Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
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Destinazione a finalità estranee e comodato al socio: la cassazione sposa una discutibile interpretazione estensiva (di Silvia Giorgi, Dottore di ricerca, Università di Chieti-Pescara)


La Cassazione ritiene che l’art. 86, comma 1, lett. c), TUIR (destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa) includa tra le fattispecie che danno luogo a plusvalenze patrimoniali qualsivoglia fuoriuscita del bene dalla sfera dell’impresa, anche in assenza del mutamento della titolarità del bene medesimo. Sulla scorta di tale principio di diritto la Corte ha ritenuto che l’uso dell’immobile da parte del socio, in assenza di corrispettivo, riguardando un bene strumentale, dia luogo a plusvalenza tassabile, anche qualora la società conservi la proprietà del cespite.

Destination of assets for extra-business purposes and use of real estates by shareholders: the italian supreme court gives a very questionable overbroad interpretation

The Supreme Court considers that art. 86, par. 1, lett. c) of the TUIR (destination of assets for extra-business purposes) involves any “exit” of assets, even when the ownership of the asset does not change. On the basis of this principle, the Court stated that the mere use of real estates by shareholders, without consideration, produces a taxable capital gain, if it involves an asset owned by the company.

Nota a Cassazione, sez. V, 23 luglio 2020, n. 15753   1. L’ordinanza 23 luglio 2020, n. 15753 della Corte di Cassazione è di estremo interesse (si veda anche il commento di FICARI, Destinazione a finalità extraimprenditoriali e contratto di comodato: Cassazione alla deriva?, in Boll. Trib., 2020, 22, p. 1687) per almeno due principi di diritto: l’uno sull’inter­pretazione della fattispecie della destinazione a finalità estranee ex art. 86 TUIR; l’altro sulla nozione di “beni strumentali”, in quanto, secondo la Suprema Corte, per una società immobiliare l’attività di locazione a terzi degli immobili rientra pienamente nell’oggetto dell’attività di impresa e, pertanto anche il fabbricato a destinazione abitativa non è “bene meramente patrimoniale” ma “bene strumentale”, con conseguente deducibilità delle quote di ammortamento. In questa sede, tuttavia, ci si concentrerà esclusivamente sul primo principio evidenziato, con cui la Corte di Cassazione vira verso un’inter­pretazione estensiva e recisamente antiformalista della fattispecie di cui all’art. 86, comma 1, lett. c), TUIR, che, com’è noto, annovera tra le ipotesi fiscalmente rilevanti ai fini dell’individuazione di plusvalenze patrimoniali (tra i contributi monografici, FALSITTA, Studi sulla tassazione delle plusvalenze, Milano, 1991, p. 161; MICCINESI, Le plusvalenze d’impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993) quella della “destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa”. Tale fattispecie è generalmente considerata una norma di chiusura del sistema che mira a recuperare, tra le componenti positive, il valore del bene, anche in assenza di un corrispettivo, posto che il medesimo ha già concorso alla formazione del reddito, sul versante delle passività. Com’è noto, in sostituzione del corrispettivo, viene tassato il valore normale del bene all’atto della sua fuoriuscita così da rappresentare l’effettivo incremento di valore sino ad allora maturato, oltre che controbilanciare le passività (MICCINESI, Le plusvalenze d’impresa, cit., p. 158). Secondo parte della dottrina, la norma soddisfa una esigenza distinta da quella che ispira le norme sulla “realizzazione”, senza per questo poter essere qualificata in termini “eccezionali”. Alla base, infatti, vi starebbe il principio per cui “la mancata considerazione del valore o del maggior valore dei beni “destinati” alla soddisfazione di interessi e bisogni estranei all’esercizio dell’impresa pregiudicherebbe una corretta determinazione dei risultati di quest’ultima” [continua..]
Fascicolo 2 - 2020