Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
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La cassazione torna ancora sull´esterovestizione (nota a) (di Domenico Antonio Multari, Avvocato, LLM (Tax) Alma Mater Studiorum, Università di Bologna e Queen Mary, University of London.)


La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in materia di esterovestizione; in particolare viene esaminato il caso di una società con sede legale in Olanda la cui sede di direzione effettiva è risultata essere in Italia, che, in ragione di ciò è stata ritenuta essere ivi fiscalmente residente sulla base della convenzione tra Italia ed Olanda per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l’evasione fiscale e dell’art. 73, comma 3, TUIR.

The court of cassation once again deals with the case of a company with registered office abroad found to be tax resident in italy (note on)

This judgment deals with the case of a company with registered office in the Netherlands claiming to be tax resident in that country but found to be tax resident in Italy in the light of the provisions laid down by the double taxation convention between Italy and the Netherlands and Article 73 (3) of the Italian Income Tax Act.

Corte di Cassazione, 21 giugno 2019, n. 16697 La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si pronuncia, per quanto qui di interesse, ancora una volta sul tema dell’esterovestizione societaria. La vicenda, secondo ciò che risulta dalla sentenza de qua, trae origine da una contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni a fini IRPEG, IRAP ed IVA, per gli anni d’imposta 1999-2002, mossa dall’Agenzia delle Entrate a società aventi sede legale in Olanda, ma ritenute fiscalmente residenti in Italia per ivi avere la propria sede amministrativa. Sia i Giudici di primo grado che d’appello condividevano la tesi dell’Agenzia; la Suprema Corte, dichiarato estinto il giudizio con riguardo alle posizioni di alcuni ricorrenti per intervenuta definizione agevolata della vertenza con correlata rinunzia al ricorso, confermava, come illustrato nel prosieguo, la legittimità della pronuncia della CTR ritenendo correttamente applicate le norme sulla residenza delle società in relazione alla presente fattispecie che, secondo i Supremi Giudici, “va ricondotta alla cd.esterovestizione”. Al riguardo, la Corte ribadisce – rifacendosi a proprie precedenti pronunce [Cass., sez. V, 7 febbraio 2013, n. 2869 e la recente Cass., sez. V, 21 dicembre 2018, n. 33234] – che per esterovestizione si intende “la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale” [di recente, per una lettura ampia del concetto di costruzione artificiosa si vedano Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2020, n. 9090 e Cass. pen., sez. III, 16 marzo 2020, n.10098; in tale ultima pronuncia la Suprema Corte afferma che “possono rientrare nel comune fenomeno della esterovestizione sia forme societarie del tutto apparenti (cd. “società schermo” come tali del tutto “fittizie”) sia altre forme comunque dotate di una propria autonomia giuridica e operativa”]. Quindi, richiamando la giurisprudenza [C-196/04, C-73/06, C-419/14, C-6/16] della Corte di Giustizia dell’UE, chiarisce che la scelta di costituire una società in uno Stato Membro al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa rientra nell’ambito del­l’esercizio del diritto di stabilimento, ma che, laddove tale modalità di esercizio del diritto in questione celi costruzioni di puro artificio, prive di reale sostanza economica, la cui unica finalità è quella di aggirare la normativa dello Stato Membro interessato, la normativa nazionale può prevedere disposizioni che comportino una restrizione al suo esercizio. Dopo aver brevemente delineato il perimetro del diritto di stabilimento [specificamente in materia di residenza fiscale societaria e diritto di stabilimento si veda Dorigo, Residenza fiscale [continua..]
Fascicolo 1 - 2020