Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

02/04/2019 - Inammissibilità della definizione agevolata di un giudizio proposto avverso la cartella di pagamento

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Inammissibile l’istanza di sospensione del processo formulata dal contribuente ex art. 6 del d.l. n. 119 del 2018 in un giudizio avente ad oggetto vizi propri della cartella di pagamento emessa ex art. 36 bis d.p.r. n. 600 del 1973, non avendo tale cartella natura di atto impositivo

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PAROLE CHIAVE: definizione agevolata - cartella di pagamento - istanza di sospensione - processo tributario


Svolgimento del processo

Nella controversia concernente l'impugnazione da parte di F.R. di cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, e portante Iperf, addizionali, interessi e sanzioni dell'anno di imposta 2000, la Commissione tributaria regionale del Lazio dichiarava l'appello - proposto dalla contribuente avverso la prima decisione, sfavorevole - inammissibile, per il mancato deposito di copia presso la Segreteria della Commissione tributaria provinciale.

Avverso la sentenza ricorre la contribuente affidandosi a quattro censure.

L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Nell'imminenza della data fissata per la trattazione del ricorso in pubblica udienza la ricorrente ha depositato istanza di sospensione del processo ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art.6.

 

Motivi della decisione

  1. Preliminarmente va disattesa l'istanza di sospensione del processo, presentata dalla ricorrente, ai sensi del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119,art. 6.

Tale norma, al comma 10, rimasto invariato in sede di conversione nella L. 17 dicembre 2018, n. 136, prevede la possibilità per il contribuente di chiedere la sospensione del processo sino al 10 giugno 2019 facendone apposita richiesta al giudice e dichiarando di volersi avvalere delle disposizioni dello stesso articolo.

Il primo comma dell'articolo prevede testualmente che possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio.

Nel caso in esame, l'oggetto della controversia è l'impugnazione di una cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, a seguito di omesso o carente versamento dell'Irpef e impugnata solo per vizi propri (per come risulta pacificamente dalla sentenza impugnata). Tale cartella, peraltro non impugnata nel merito della pretesa erariale, non può ritenersi atto impositivo derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell'omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell'Amministrazione (cfr. tra le altre Cass. n. 28064 del 02/11/2018).

Ne deriva che la controversia non rientra tra quelle passibili di definizione agevolata ai sensi della normativa citata con conseguente rigetto dell'istanza di sospensione.

  1. Procedendo, quindi, all'esame del ricorso, secondo l'ordine logico giuridico delle questioni prospettate va, da primo, esaminato il terzo motivo con il quale la contribuente censura la Commissione tributaria regionale per avere dichiarato l'appello inammissibile.

2.1. La censura è manifestamente infondata alla luce dei principi consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5347 del 2015, n.22639 del 2014; n. 12861 del 2014; n.15432 del 2015; n. 3442 del 2016; n.ri 1635 e 2276 del 2017; n.24289 del 2018) la quale ha ribadito che "in tema di contenzioso tributario, qualora il ricorso in appello non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, in quanto prescritto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, seconda parte, a pena d'inammissibilità dell'appello, deve aver luogo entro il termine perentorio di trenta giorni, indicato dalla prima parte della medesima disposizione, attraverso il richiamo all'art. 22, comma 1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione "ad quem", trattandosi di attività finalizzata al perfezionamento del gravame e che tale inammissibilità è rilevabile d'ufficio".

Si è, in particolare, avuto modo di chiarire che la ratio della disposizione non è "oscura", ma è stata identificata dalla Corte costituzionale e da questa Corte nella finalità di rendere nota alla C.T.P. l'impugnazione della sentenza ed impedire, così il rilascio della copia esecutiva di una sentenza di primo grado impugnata. In particolare, come rilevato dalla Corte costituzionale con le pronunce n. 321 del 2009, n. 43 del 2010, n. 141 del 2011: a) la disposizione ha l'apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell'appello notificato senza il tramite dell'ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale (sentenza n. 321 del 2009); b) tale finalità non è soddisfatta dall'obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 3, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata "subito dopo il deposito del ricorso in appello", perchè la suddetta richiesta viene avanzata dalla segreteria del giudice di appello solo "dopo" la costituzione in giudizio dell'appellante e, pertanto, non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell'appello, considerando anche il tempo necessario a che essa pervenga alla segreteria della Commissione tributaria provinciale e, di conseguenza, tale richiesta non è idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello; c) l'applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui l'appello non venga notificato per il tramite dell'ufficiale giudiziario trova adeguata giustificazione nel fatto che, nei casi in cui la notificazione sia, invece, effettuata mediante ufficiale giudiziario, la tempestiva notizia della proposizione dell'appello è fornita alla segreteria del giudice di primo grado dallo stesso ufficiale giudiziario, ai sensi dell'art. 123 disp. att. c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), secondo cui "l'ufficiale giudiziario che ha notificato un atto d'impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata"; d) il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle Commissioni tributarie provinciali non è affatto escluso o ridotto dalla possibilità di revocare successivamente l'erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza; e) l'inammissibilità dell'appello per mancata o tardiva costituzione in giudizio dell'appellante (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, primo periodo, e art. 22, commi 1, 2 e 3) può sempre essere dimostrata dall'interessato quando richieda l'attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla disposizione censurata; f) là dove l'appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell'ufficiale giudiziario, l'unico deterrente per indurre l'appellante a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell'appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma; g) l'adempimento del deposito non comporta, per la parte, particolari difficoltà e, dunque, non rende estremamente difficile l'esercizio del suo diritto di difesa (Cass. n.15432 del 2015).

La legittimità costituzionale di tale norma è stata, da ultimo, ribadita dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 121 del 2016 mentre questa Corte (n. 1635/2017 cit.) ha puntualizzato che il deposito di copia dell'atto di appello presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, quale requisito di ammissibilità del gravame non notificato a mezzo di ufficiale postale, è stato eliminato dal D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, con efficacia non retroattiva, compatibile con l'art. 6 C.E.D.U., che non garantisce il diritto a beneficiare di norme procedurali sopravvenute, a cui lo Stato può legittimamente applicare il principio tempus regit actum.

  1. Dall'infondatezza del terzo motivo consegue il rigetto di tutte le ulteriori censure, presupponenti l'accoglimento di quel mezzo di impugnazione.
  2. In conclusione, alla luce dei principi fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 21/03/2017 n.7155, il ricorso va dichiarato inammissibile.
  3. Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico di F.R..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

condanna la ricorrente alla refusione, in favore dell'Agenzia delle entrate, delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 1.200,00 oltre spese prenotate a debito.

 

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2019