Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

14/05/2025 - Prime riflessioni giurisprudenziali di incostituzionalità sulla irretroattività delle nuove sanzioni tributarie

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Con la recentissima sentenza n. 2950/2025, la Corte di cassazione torna di nuovo ad affrontare il tema della legittimità della deroga prevista in ordine alla retroattività del regime sanzionatorio più favorevole introdotto dal d.lgs. n. 87/2024. Si tratta di un notevole punto di svolta, poiché in essa la Corte, nel rinviare la relativa questione al giudice di merito, apre, per la prima volta dall’introduzione della novità legislativa, una riflessione sulla compatibilità costituzionale della nuova disciplina derogatoria (in precedenza, peraltro, sempre considerata legittima). In tale ottica, il contributo analizza le implicazioni di una simile scelta legislativa, sottolineando come la relativa ratio possa, in sostanza, porsi in contrasto con taluni valori costituzionali, quali quello di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), e con la giurisprudenza europea, che estende il principio della retroattività della lex mitior anche a sanzioni "sostanzialmente penali".

» visualizza: il documento (Corte di Cass., 6 febbraio 2025, n. 2950) scarica file

PAROLE CHIAVE: sanzioni tributarie - incostituzionalità - irretroattività


di Martina D'Ignazio

1. L’esigenza, ormai da tempo comunemente avvertita, di rendere il sistema sanzionatorio tributario italiano maggiormente aderente al principio di proporzionalità (sul punto cfr. Corte cost. n. 46/2023 con nota di D. COPPA, I principi di proporzionalità e di offensività nell’interpretazione (poco) costituzionalmente orientata della Consulta, in Rass. trib., 2023, 3, pp. 614 e ss.; R. CORDEIRO GUERRA, Sanzioni tributarie draconiane e principio di proporzionalità, in Corr. Trib., 2023, pp. 749-761) e agli standard all’uopo vigenti in altri Stati europei ha indotto il legislatore a contemplare, nell’ambito dell’ampissima delega sulla riforma fiscale (ex l. n. 111/2023), anche un’attenuazione del carico punitivo “con riferimento alle imposte sui redditi, all'IVA e agli altri tributi indiretti nonché ai tributi degli enti territoriali”.

In attuazione di tali direttive, la risposta del legislatore delegato, intervenuta con il d.lgs. n. 87/2024, si è sostanziata in due diverse modifiche, riguardanti, la prima, l’aggiunta del comma 3-bis all’art. 3 del d.lgs. n. 472/1997, il quale statuisce che la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie è improntata al principio di proporzionalità e offensività e, la seconda, in una generale riduzione dell’entità delle sanzioni comminate per gli illeciti di cui al d.lgs. n. 471/1997 e dalle altre leggi speciali. Il riordino della disciplina non risulta, tuttavia, del tutto compiuto, atteso che l’art. 3 - unitamente agli artt. da 1 a 18, 20, 21 e da 23 a 29 - del d.lgs. n. 472/1997, come modificato dal d.lgs. n. 87 del 2024, cesserà di avere vigore dal 1° gennaio 2026, poiché abrogato dall’introduzione del d. lgs. n. 173/2024 ossia il T.U. delle sanzioni amministrative e penali, al cui interno la disposizione in parola (“la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie è improntata ai principi di proporzionalità e di offensività”) risulta trasposta nell’art. 2 (per maggiori approfondimenti e riflessioni sulla riforma del sistema sanzionatorio tributario si vedano, in particolare, A. GIOVANNINI, I nuovi principi del sistema punitivo tributario: proporzionalità e identità del fatto materiale, in Riv. dir. trib., 2024, 4, pp. 391 e ss.; GIOVANARDI A., Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. tel. dir. trib., n. 1/2024, pubblicato online il 20 aprile 2024).

Sennonché siffatte modifiche, se da un lato, come detto, erano da tempo auspicate, stante anche l’intollerabilità ormai raggiunta dai livelli delle sanzioni fiscali in Italia, dall’altro, rischiano di minare l’ottica garantista genericamente sottesa alla riforma, ove si vada, invece, a considerare la circoscrizione temporale (art. 5) delle stesse alle violazioni commesse dal 1° settembre 2024, e non anche a quelle già accertate o definite (anche in sede di ravvedimento operoso)

Ciò, sotto un profilo eminentemente pratico, può, infatti, tradursi in una fisiologica disparità di trattamento nell’applicazione dei diversi regimi sanzionatori pre e post entrata in vigore della nuova previsione, con applicazione delle sanzioni ridotte al solo momento, assai remoto, di accertamento delle prime annualità di riferimento o a quello, anticipato, in cui il contribuente decida di rimuovere la violazione e di corrispondere spontaneamente la sanzione, sempreché, come detto, essa sia afferente a illeciti commessi dopo il citato confine temporale.

 

2. L’applicazione differita delle suddette previsioni, escludendo, in definitiva, dal beneficio del regime di riduzione delle sanzioni i trasgressori antecedenti all’entrata in vigore della nuova normativa, finisce per rappresentare un’importante deroga al principio di retroattività della legge più favorevole già previsto dall’art. 3, c.3, del d.lgs. n. 472/1997 secondo cui “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

Tale importante brocardo, pur qualificandosi di matrice squisitamente penalistica, risulta ormai acquisito e consolidato anche in materia fiscale, nel cui ambito esso produce l’effetto di rendere applicabile la disciplina sanzionatoria sopravvenuta più favorevole rispetto a quello vigente nel momento (antecedente) di commissione del fatto anche a fattispecie poste in essere in epoca anteriore alla sua introduzione, ferma, tuttavia, l’inoperatività dello stesso nel caso in cui il provvedimento di irrogazione sia ormai diventato definitivo. Nello specifico, l’introduzione di siffatta statuizione in materia tributaria (per una disamina dell’evoluzione del sistema sanzionatorio tributario italiano, cfr., in particolare, A. GIOVANNINI, A. DI MARTINO, E. MARZADURI (a cura di), Trattato di Diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016; R. ALFANO, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020; MELIS G., La riforma delle sanzioni amministrative tributarie e il principio di proporzionalità, in E. Manzon - G. Melis (a cura di), Il diritto tributario nella stagione delle riforme - Dalla legge 130/2022 alla legge 111/2023, Pisa, 2024, pp. 227 ss.) va intesa quale naturale estensione dei principi penalistici di riserva di legge e di irretroattività alle violazioni tributarie, nonché quale fisiologico corollario del superamento del principio dell’ultrattività della sanzione, prima sancito dall’art. 20 della legge n. 4/1929 (“le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”).

Ebbene, l’applicazione concreta di questi principi sembra essere in qualche misura minata dalla statuizione di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024 (sul punto, si veda G. CORASANITI, Riflessioni critiche sulla deroga al principio di retroattività della lex mitior nel decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Dir. prat. trib., 2024, 4, pp. 1270-1284), con la conseguenza di comportare una sorta di reviviscenza dell’ultrattività della misura della sanzione in vigore al tempo della violazione, oramai, come detto, superata. A differenza, peraltro, di quanto accaduto con la precedente riforma delle sanzioni amministrative (ex d.lgs. n. 158/2015) occasione nella quale, come conferma la decisione di cassazione qui commentata, la nuova più ridotta misura delle sanzioni fu riconosciuta anche agli illeciti commessi in precedenza.

Per giustificare la deroga, la relazione governativa evidenzia, in primo luogo, la necessità di interpretare la rimodulazione dell’entità delle sanzioni applicabili alle varie tipologie di violazioni, non già in maniera isolata, bensì in correlazione sistematica con la “rinnovata impostazione del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuenti” e, quindi, di determinare il parametro temporale di applicazione delle norme di rinnovazione del sistema sanzionatorio tributario unitariamente a quello dell’entrata in vigore della generalità degli istituti sostanziali e procedimentali oggetto della riforma fiscale. Al fine di comprovare tale esigenza, viene richiamata la sent. della Corte Cost., n. 288/2019 secondo cui è “all’interno della considerazione di una revisione di sistema” che deve essere sviluppata la verifica della ragionevolezza delle norme che di tale complessiva revisione fanno parte, essendo “necessario considerare l’insieme degli interventi legislativi che hanno complessivamente accompagnato” quello di cui si discute, nel caso di specie, il rinnovato assetto di rapporti tra Fisco e contribuente.

In secondo luogo, il legislatore delegato pone l’attenzione sul riconoscimento giurisprudenziale del difetto di copertura costituzionale del principio di retroattività della lex mitior per le sanzioni amministrative, propriamente intese, salvo che alle stesse debba riconoscersi natura “sostanzialmente penale”. Ciò significa, da un lato, l’impossibilità di rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell’applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole e, dall’altro, il riconoscimento, correlato, in capo al legislatore, di modulare, ragionevolmente, le proprie determinazioni sul tema (Così Corte Cost. n. 193/2016).

D’altronde, è lo stesso legislatore ordinario che, nell’introdurre il principio della lex mitior, sembra essersi curato di far espressamente salva la possibilità di diversa previsione di legge, addirittura concependo la possibile graduazione degli effetti temporali delle sanzioni rispetto a fattispecie di abolitio criminis, in cui il disvalore della condotta sanzionata non è solo diminuito, ma del tutto scomparso (art. 3, c. 2 del d.lgs. n. 472/1997).

Sennonché, siffatto ragionamento sembra del tutto prescindere da quello che è il contesto normativo e giurisprudenziale sovranazionale vigente sul tema, secondo il quale, la qualificazione di una sanzione come sostanzialmente penale e, quindi, l’estensione - attraverso l’art. 117 Cost. - delle garanzie convenzionali per la materia penale di cui all’art. 7 CEDU, tra le quali rientra senza dubbio anche il principio della retroattività della lex mitior, deve essere raccordata con i noti criteri Engel, secondo i quali una sanzione può essere definita come “penale”, al di là del nomen iuris, quando, in alternativa, la finalità sia prevalentemente punitiva e il grado di afflittività sia particolarmente elevato, secondo livelli particolari di gravità e misura. Carattere quest’ultimo, del tutto riscontrabile nella disciplina sanzionatoria tributaria nazionale, il cui carico punitivo sembra oramai aver raggiunto livelli di commisurazione davvero gravosi, come peraltro espressamente riconosciuto, nel tentativo di fornire una giustificazione alla stessa revisione di sistema, dalla relazione di accompagnamento (“le sanzioni amministrative attualmente previste raggiungano livelli intollerabili, che si discostano sensibilmente da quelle in vigore in altri Paesi, conducendo a una pretesa complessiva di fatto abnorme”).

Ciò permette, peraltro, di sconfessare, quantomeno sul piano logico, la possibilità, prima accennata, di considerare la deroga in parola necessaria al fine di coordinare la revisione delle sanzioni con la ratio sottesa all’intera riforma fiscale, caratterizzata da un importante rafforzamento della compliance tra Fisco e contribuente. Se, infatti, il fine dichiarato nella delega è quello di una riforma che deve tendere a realizzare un sistema sanzionatorio più giusto, coerente e ragionevole non si comprende come il nuovo mutato contesto possa giustificare il permanere di un sistema esplicitamente riconosciuto come sproporzionato e intollerabile per lo stesso contribuente (in questo senso, si veda A. GIOVANARDI, Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, cit.).

Il terzo argomento richiamato dal legislatore delegato per giustificare siffatta previsione attiene alla necessità di bilanciare l’interesse del singolo consociato alla comminazione retroattiva di una sanzione inferiore con quello pubblico all’equilibrio del bilancio di cui all’art. 81 Cost. E ciò in quanto, l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative ridotte previste da alcune delle norme del presente decreto genererebbe la perdita di entrate già contabilizzate e, correlativamente, un significativo disequilibrio nei bilanci dello Stato. In questo senso, il legislatore sembra, quindi, (erroneamente) considerare equivalenti, quanto alle finalità, il tributo e la sanzione, assegnando anche a quest’ultima, secondo logiche del tutto estranee alla ratio ordinamentale della stessa (quale risposta collettiva agli illeciti individuali), il precipuo scopo di assicurare il reperimento di gettito erariale e di evitare, quindi, nuovi squilibri finanziari.

 

3. Con la pronuncia che in questa sede si annota, la Corte di cassazione affronta il problema della legittimità della deroga appena descritta e perviene ad una conclusione parzialmente differente dall’orientamento manifestato sul tema con la precedente sent. n. 1274/2025.

In essa, la Suprema Corte, nell’affrontare direttamente la questione dell’applicabilità delle sanzioni più favorevoli, sostiene la piena conformità della non retroattività delle disposizioni sanzionatorie introdotte dal d.lgs. n. 87/2024, rispetto alla previsione di cui al suddetto art 3.

A tal fine, si fa riferimento alla possibilità, già paventata da alcuni precedenti della Corte costituzionale (sentenze n. 68/2021 e n. 63/2019), di escludere la retroattività della lex mitior al ricorrere di motivi costituzionalmente rilevanti che giustifichino la non operatività del favor rei. Nel caso di specie, attesa la possibile influenza della riduzione immediata delle sanzioni sulle entrate previste, la scelta di far valere le nuove sanzioni solo per le condotte poste in essere a partire dal 1° settembre 2024 è stata considerata coerente con la gradualità della riforma, l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, all’uopo considerati interessi di rango costituzionale, come tali, quindi, in grado di giustificare le limitazioni de quibus (“resta comunque chiaro che la deroga al principio della applicazione della legge più favorevole, come agevolmente si desume dai precedenti della Corte di legittimità e dalle Corti unionali, ha il suo comune denominatore nella esigenza di comparazione con altri diritti di rango costituzionale o eurounitario, comparazione all'esito della quale la lex mitior può risultare recessiva, giustificandosene dunque la deroga”).

Invero, la Corte, attraverso un’estensione forse troppo ampia, va oltre il mero discorso del rispetto della contabilità pubblica e dirige i possibili effetti della retroattività del regime di beneficio anche al “raggiungimento di prestazioni standard in materie di rango costituzionale altrettanto sensibili, quali le prestazioni sanitarie (art. 32 Cost.), scolastiche (art. 34 Cost.), di sicurezza pubblica, ecc”. Si giunge, quindi, ad una vera e propria comparazione tra diversi interessi, implicante un sacrificio del principio della legge più favorevole che sia motivato, non già – a differenza di quanto accaduto in precedenti pronunce (il riferimento è alla decisione della Corte costituzionale, n. 10/2015) - da situazioni peculiari, basate su esigenze straordinarie, bensì da una espressa previsione di legge.

La citata sentenza, poi, in linea con la summenzionata relazione illustrativa, giustifica l’irretroattività disposta dal citato art. 5, c. 2, del d.lgs. n. 87/2024, come una sorta di “conseguenza di sistema”, all’uopo valorizzandone la collocazione nell’ambito di “un contesto, interno ed esterno, che accompagna la rimeditazione dell'intero sistema sanzionatorio”, e “un ripensamento del ruolo stesso della sanzione, implementando un contesto di collaborazione tra Amministrazione e contribuente (art. 20, comma 1, lett. a, n. 4)”. In altre parole, il riassetto sanzionatorio di cui si discorre va inserito nel più ampio raggio riformista, della cui ratio esso ne condivide l’essenza secondo un nesso ideologico che vale, per l’appunto, a legittimare la previsione derogatoria in parola.

L’orientamento appena descritto, sebbene sia apparso tranchant, non lasciando nella sua formulazione particolare spazio a ripensamenti da parte della Corte sull’affermata legittimità, sembra subire un parziale cambio di rotta nella sentenza n. 2950/2025 nella quale viene rimessa al giudice di merito, incidenter tantum, la valutazione della questione di illegittimità costituzionale sollevata in via subordinata dal ricorrente, in relazione alle previsioni contenute nell’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024.

La fattispecie scaturente la suddetta statuizione prende le mosse dalla contestazione di un mancato pagamento dell’IRPEF sul maggior reddito accertato in applicazione del c.d. redditometro ex art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, con contestuale irrogazione delle relative sanzioni amministrative previste ai sensi del d.lgs. n. 472/1997, così come modificato dal d.lgs. n. 98/2011. Trattandosi di violazioni tributarie afferenti ai periodi d’imposta 2004-2005, il contribuente invocava l'applicazione del principio del favor rei per le sanzioni irrogate ex art. 3 del d.lgs. n. 472/1997, in considerazione dello ius superveniens costituito dalle disposizioni di cui al d.lgs. n. 158/2015. Nel caso di specie, infatti, dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, il legislatore risultava intervenuto a riordinare il sistema delle sanzioni tributarie, amministrative e penali, dapprima con il citato intervento del 2015 (di cui per l’appunto si richiedeva l’applicazione retroattiva) e, successivamente, con il summenzionato d.lgs. n. 87/2024, dettando una disciplina sanzionatoria ulteriormente più favorevole, come visto però applicabile in via posticipata (settembre 2024) rispetto alla sua entrata in vigore.

Con riferimento a quest’ultima disposizione, il ricorrente, in via del tutto correlata alla suddetta richiesta di applicazione retroattiva, formulava istanza per la rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024, in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost. e 117 Cost., anche in virtù della giurisprudenza europea che equipara - secondo i citati criteri Engel - le sanzioni amministrative tributarie a quelle penali.

Ciò posto, il giudizio in esame assume una notevole rilevanza nell’ambito del dibattito sull’irretroattività sanzionatoria poiché in esso la Suprema Corte si esprime favorevolmente, con conseguente rinvio al giudice di merito, non solo sulla pronuncia circa la possibilità di un’applicazione retroattiva della disciplina sanzionatoria più favorevole di cui al d.lgs. n. 158/2015, atteso che “lo ius superveniens risulta peraltro vigente in relazione a tutti i giudizi ancora in corso (cfr. Cass. sez. V, 30.3.2021, n. 8716) ed è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole”, ma anche sulla descritta questione di legittimità costituzionale, rimettendone, per l’appunto, il vaglio allo stesso giudice a quo (“inoltre, verificato quale sia la corretta sanzione applicabile, in considerazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, occorrerà anche valutare la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente in memoria, in relazione alle previsioni di cui all' art. 5 del D.Lgs. n. 87 del 2024”).

La decisione in commento, pur non pervenendo ad un rinvio diretto da parte del giudice di legittimità, tale da far propendere per un vero e proprio revirement interpretativo sul tema, non può che essere accolta quale interessante punto di svolta, quantomeno in grado di provocare una prima riflessione sulla compatibilità costituzionale della descritta disciplina sotto il profilo delle garanzie del contribuente.

 

4. La rimessione della valutazione circa la legittimità della nuova disciplina al giudice di merito rende, quindi, possibile (e altamente probabile) una futura pronuncia della Corte costituzionale idonea a sciogliere, forse definitivamente, i dubbi vigenti sulla descritta deroga.

Come detto in precedenza, l’eccezione sollevata dal ricorrente nella sentenza in commento riguarda, in primo luogo, la compatibilità dell’art. 5 del d.lgs. n. 87/2024 con l’art. 3 Cost., e, quindi, con i principi di uguaglianza e ragionevolezza ivi sanciti. Rispetto a tale ipotetico contrasto, la norma menzionata, nel disporre l’applicabilità della lex mitior prevista dalla nuova disciplina esclusivamente alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024, finisce per determinare una differenza trattamento basata sul solo momento temporale di commissione, tale per cui gli illeciti perpetrati fino al 31 agosto 2024 sono assoggettati alla disciplina antecedente meno benevola e quelli (magari anche della stessa tipologia) verificatisi, invece, dopo il 1° settembre 2024 alla normativa più favorevole.

In tale ottica, ancorare la differenza di trattamento sanzionatorio ad un criterio assolutamente avulso dall’offensività della condotta del soggetto agente e dalla gravità della violazione costituisce un vero e proprio rischio legislativo, in grado per ciò stesso di qualificarsi, in sede di giudizio di legittimità, come scelta irragionevole ai sensi del citato articolo costituzionale (in questo senso, si veda Corte cost. n. 394/2006).

Né tantomeno può giungersi a differente soluzione, ove si consideri la disparità di trattamento giustificata da ragioni di gettito, come pure nella relazione governativa si sostiene, atteso che, come già affermato in precedenza, la finalità tipica della sanzione non può e non deve essere ravvisata nell’esigenza di incrementare il patrimonio dello Stato, bensì in quella di incidere economicamente sul trasgressore, in chiave squisitamente afflittiva.

Un ulteriore ipotetico profilo di incostituzionalità della esaminanda deroga può essere ravvisato nella frizione con l’art. 25, c. 2, Cost., che, nello statuire, in via generale, il principio di legalità e di irretroattività sanzionatoria, può essere qualificato come base normativa di riferimento dello speculare art. 3 del d.lgs. n. 472/1997 e della declinazione tributaria dei suddetti principi ivi contenuta (in argomento, cfr. L. DEL FEDERICO, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, pp. 19 ss.; ID., Il principio di legalità, in Trattato di diritto sanzionatorio tributario, a cura di A. Giovannini, A. Di Martino, E. Marzaduri, Milano, 2016, pp. 1421 ss.; R. CORDEIRO GUERRA, Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, pp. 150 ss.). Di talché, la previsione della deroga con legge ordinaria (art. 5), implicando, secondo tale diretta derivazione, un’eccezione anche del corrispondente precetto costituzionale, dovrebbe essere considerata, a rigor di logica giuridica, costituzionalmente inammissibile.

Infine, nella sentenza in commento viene palesata l’incostituzionalità della norma anche con riferimento alle disposizioni dell’ordinamento sovranazionale (e, più precisamente, con l’art. 117 Cost. che ne permette l’ingresso nel sistema normativo interno) che contemplano il principio di retroattività della lex mitior, cui si è già fatta menzione.  Il riferimento è, in particolare, alle previsioni dell’art. 7 CEDU, così come interpretate dalla Corte EDU, e all’art. 49, par. 1, della Carta dei Diritti fondamentali UE, che estendono il loro ambito di applicazione oltre le fattispecie considerate dai legislatori nazionali come penalmente rilevanti, finendo per ricomprendere, attraverso il ricorso ai più volte citati criteri Engel, sanzioni anche di “natura sostanzialmente penale”. Come detto, il carattere particolarmente gravoso della sanzione tributaria vigente nell’ordinamento italiano e la sua natura squisitamente afflittiva non pongono particolari problemi interpretativi ad un simile riconoscimento e, quindi, all’applicabilità alla stessa del principio di retroattività della lex mitior (implicitamente) statuito dall’art. 7 CEDU. Ne deriva che, anche quest’ultimo profilo potrebbe astrattamente essere invocato per giustificare una declaratoria di inammissibilità della descritta deroga.

 

5. Alla luce di quanto esposto, la scelta di rendere irretroattive le nuove norme sulle sanzioni tributarie può apparire tanto sorprendente quanto ardua, attesa la difficoltà di giustificare un simile operato con ragioni logiche diverse da quella – del tutto estranea alla ratio propria della sanzione – di tutela del gettito. Senza contare, poi, come associare la differenza di trattamento sanzionatorio al solo momento temporale di commissione delle violazioni sia, in concreto, passibile di generare una disparità di trattamento tra consociati, scaturente, oltre i descritti aspetti di incostituzionalità con l’art. 3 Cost., un contrasto logico con la ratio che la stessa relazione governativa pone a giustificazione della deroga ossia quella di adeguare la nuova disciplina sanzionatoria al rinnovato assetto dei rapporti tra Fisco e contribuente.

Ciò posto, la decisione demandata al giudice di merito sulla rimessione o meno della questione di legittimità appare di dirimente importanza, potendo finalmente contribuire a districare il dibattito e i dubbi che, nonostante l’intervento di numerose pronunce di legittimità sull’argomento, ancora vigono intorno alla descritta disciplina.