Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

30/04/2025 - Gli effetti processuali della conciliazione della lite tributaria nel giudizio di legittimità

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Cassazione, nella sentenza n. 24175/2024, ha affrontato il caso della conciliazione della lite tributaria intervenuta nel corso del giudizio di legittimità, che comporta la chiusura del giudizio con la dichiarazione della cessazione della materia del contendere e l’inapplicabilità del cd. raddoppio del contributo unificato.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., sez. trib., 9 settembre 2024, n. 24175) scarica file

PAROLE CHIAVE: conciliazione - estinzione del giudizio - cessazione della materia del contendere


di Matteo Busico

1. Nella causa culminata con la sentenza n. 24175, depositata il 9 settembre 2024, la Cassazione era stata chiamata a decidere su una controversia tra un comune e una società di costruzioni avente ad oggetto l’applicazione dell’ICI per il periodo d’imposta 2008; i gradi di merito avevano dato alterni esiti e nelle more del giudizio di legittimità le parti addivenivano ad un accordo conciliativo, in ragione del quale chiedevano alla Suprema Corte che venisse dichiarata l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere, con compensazione delle spese di lite.

La Cassazione, dopo aver affermato che “la cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza d’interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che  siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta pronuncia di merito”, ha poi sostenuto che qualora nel corso del giudizio di legittimità intervenga una transazione, o un più in generale un fatto o evento che determini la cessazione della materia del contendere, “il ricorso deve essere dichiarato inammissibile essendo venuto meno l’interesse alla definizione e, quindi, ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione”.

Pertanto, in ragione di quanto appena riportato, i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a causa della cessazione della materia del contendere, compensando interamente le spese di lite, come convenuto tra le parti, dando infine atto dell’inapplicabilità del raddoppio del contributo unificato, il cui presupposto è dato dall’integrale conferma della statuizione impugnata, ovvero, nelle parole della Cassazione, in caso di “ordinaria” dichiarazione di inammissibilità del ricorso, non anche nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità sopravvenuta di quest’ultimo per cessazione della materia del contendere, poiché essa determina la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio non passate in giudicato, rendendo irrilevante, se non per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, la valutazione della virtuale fondatezza o meno del ricorso stesso.

 

2. Pur risultando assolutamente scontato l’esito del giudizio, alcune doverose precisazioni e rilievi critici devono essere svolti sulla sentenza in commento, nella quale la Cassazione non ha tenuto in alcun conto il fondamentale arresto delle Sezioni Unite del 2018, nel quale è stata ben delineata la tipologia e la natura della pronuncia di cessazione della materia del contendere nel giudizio di legittimità (Cass., SS.UU., 11 aprile 2018, n. 8980, in Foro it., n. 9/2019, pag. 2908, con successive note di A. Mondini, Notazioni sulla cessazione della materia del contendere in Cassazione, e di A. Scala, «Eppur si muove …»: le sezioni unite riconoscono la natura di merito della sentenza dichiarativa della cessazione della materia del contendere per intervenuta transazione).

A tal proposito, giova innanzitutto rammentare che con riguardo alla questione della formula terminativa del processo da utilizzare nel caso in cui venga meno l’oggetto della lite in pendenza del giudizio di legittimità nel corso del tempo sono state offerte svariate risposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza (si veda in proposito A. Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001, pag. 247 ss.).

Una prima soluzione, in passato largamente seguita nella giurisprudenza di legittimità e adottata pure nella sentenza in commento, vuole che il giudizio venga chiuso con una sentenza dichiarativa della inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione; la tesi risulta coerente con l’ingresso nel processo della prova del fatto nuovo che ha determinato l’elisione della res litigiosa ai sensi dell’art. 372 c.p.c., tuttavia non appare convincente in quanto alla pronuncia in rito di inammissibilità del ricorso dovrebbe conseguire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, mentre l’effetto tipico della cessazione della materia del contendere è il travolgimento di tutte le decisioni emanate nel corso del processo su un oggetto del giudizio ormai del tutto svanito.     

Secondo un altro orientamento talvolta adottato in giurisprudenza, la Cassazione deve dare atto dell’intervenuta cessazione della materia del contendere mediante la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 382 c.p.c., che però può essere pronunciata quando la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito (cfr. l’art. 382, comma 3, ultimo periodo, c.p.c.), cioè nell’ipotesi in cui il giudice di merito non aveva riscontrato l’originaria o la sopravvenuta mancanza delle condizioni per decidere la causa nel merito, pertanto si tratta di un vizio della sentenza impugnata, mentre la cessazione della materia del contendere nel giudizio di legittimità avviene invece per effetto di un fatto nuovo, sopravvenuto rispetto alla pronuncia di merito, per cui anche questa soluzione non appare condivisile.

Lo stesso dicasi per l’idea della cassazione senza rinvio con decisione nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., che presuppone l’accoglimento del ricorso per violazione di legge e la non necessità di ulteriori accertamenti di fatto per la decisione nel merito, mentre al contrario la cessazione della materia del contendere non comporta affatto che la causa venga decisa nel merito, essendo venuta meno l’utilità stessa della pronuncia del giudice sul merito della controversia.

L’ultima soluzione prospettabile comporta, nell’impossibilità di usare una delle formule espressamente previste dal codice di rito, la dichiarazione della cessazione della materia del contendere direttamente in cassazione e ha avuto il riconoscimento delle Sezioni Unite della Suprema Corte nell’importante arresto del 2018 sopra citato, nel quale è stato affermato che la presa d’atto nel corso del giudizio di legittimità della cessazione dell’oggetto della controversia implica necessariamente la constatazione della perdita di efficacia della sentenza impugnata; tuttavia, il fenomeno che si verifica non è la cassazione della sentenza stessa, bensì l’accertamento che la sua efficacia è venuta meno [A. Scala, op. cit., pag. 264; B. Sassani, voce Cessazione della materia del contendere (dir. proc. civ.), in Enc. giur., VI, Roma, 1988, pag. 2].

Nella sentenza in commento, tuttavia, la Cassazione, dopo aver preso atto dell’avvenuta cessazione della materia del contendere, ha dichiarato inammissibile il ricorso, salvo poi precisare che nella specie l’effetto della pronuncia non è quello tipico della dichiarazione di inammissibilità, ovvero il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, bensì il venir meno di tutte le sentenze emanate nel corso del giudizio. La Corte ha così disatteso l’indicazione delle Sezioni Unite sul punto appena rammentata, secondo la quale il contenuto della decisione del giudice di legittimità che prende atto del venir meno della ragion d’essere della controversia non è riconducibile a nessuna delle formule terminative sopra ricordate di cui agli artt. 382, 383 e 384 c.p.c., dovendosi in tal caso semplicemente dichiarare la cessazione della materia del contendere (si veda sul tema Cass., Sez. III, Sez. III, 19 aprile 2023, n. 10483, la cui massima può essere letta in Il processo, n. 1/2024, pag. 229, con commento di F.C. Malatesta, La cessazione della materia del contendere: una figura dai confini ancora troppo incerti; in materia tributaria, tra le tante: Cass., Sez. trib., 6 agosto 2020, n. 16755; Cass., Sez. trib., 27 aprile 2022, n. 13090; Cass., Sez. trib., 29 aprile 2022, n. 13471; Cass., Sez. trib., 2 maggio 2024, n. 11714; Cass., Sez. trib., 20 maggio 2024, n. 13930).

 

3. La conclusione sul capo della sentenza nella quale è stato, poi, dato atto dell’assenza dei presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (applicabile, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, qualora il procedimento per cassazione si concluda con integrale conferma dell’efficacia della statuizione impugnata, ovvero con il rigetto dell’impugnazione nel merito, oppure con la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità del ricorso) risulta corretta. Tuttavia non altrettanto può dirsi sulla sua motivazione, in primis in quanto, come sopra rappresentato, nel caso di conciliazione della lite intervenuta nel corso del giudizio di legittimità il ricorso in cassazione non deve essere dichiarato inammissibile; inoltre, la misura latamente sanzionatoria che prevede il raddoppio del contributo unificato ha natura indubbiamente eccezionale e come tale è di stretta interpretazione, per cui è insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica per rendersi applicabile all’ipotesi non contemplata della cessazione della materia del contendere, che invero non è affatto riconducile ai casi previsti dalla legge, che vuole “punire” un ricorso che non ha trovato alcun accoglimento.

 

4. Infine, qualche considerazione merita di essere spesa sulla affermazione della sentenza in commento in cui la Cassazione ha ricondotto la cessazione della materia del contendere alla sopravvenuta carenza di interesse ad agire, seguendo un certo orientamento della giurisprudenza di legittimità formatosi nell’ambito del processo civile, tuttavia anch’esso superato dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 sopra ricordata; ad ogni modo, occorre evidenziare che per quanto le due figure siano affini, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire, che si ha qualora sopraggiunga un fatto che, pur non incidendo sull’oggetto della lite, rende inutile la pronuncia sull’originaria domanda, va tenuta distinta dalla cessazione della materia del contendere, che presuppone che sia intervenuto un evento che incide sul merito della controversia, facendo venir meno l’oggetto stesso del giudizio, di tal che il venir meno dell’interesse ad agire in tale ipotesi rappresenta un effetto mediato della fattispecie (A. Scala, op. cit., pag. 159).

Giova rimarcare che nel processo amministrativo le due figure sono normativamente distinte: l’art. 34, comma 5, del c.p.a. regola la pronuncia di cessazione della materia del contendere includendola tra le sentenze di merito, mentre il successivo art. 35, comma 1, lett. c), prevede l’emanazione di una sentenza di improcedibilità quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione.