Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

23/05/2023 - Sui limiti ai rimborsi d'imposta nel giudizio di ottemperanza

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

L’ordinanza interviene sul tema dell’operatività delle restrizioni ai rimborsi d’imposta spettanti nell’ambito dell’ottemperanza tributaria. La Suprema corte conferma che i limiti di spesa autorizzata non possono intaccare il diritto al rimborso del contribuente ed anzi rientra fra i poteri del giudice dell’ottemperanza individuare il quomodo necessario per garantire l’effettività del suddetto diritto, e quindi portare ad esecuzione la sentenza di merito.

» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 10 ottobre 2022, ordinanza n. 29504) scarica file

PAROLE CHIAVE: rimborsi di imposta - giudizio di ottemperanza - limiti di spesa


di Pietro Valluzzi

1. La Suprema corte, con l’ordinanza 29504, pubblicata il 10/10/2022, si è pronunciata sulla corretta ed integrale ottemperanza di una sentenza emessa nel 2016 dalla CTR della Sicilia (oggi Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) in materia di rimborso di imposte dirette (de quo Irpef) versate dal contribuente, negli anni d'imposta 1990, 1991 e 1992, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

L’ente impositore aveva dato esecuzione solo parziaria alla sentenza di merito, che aveva visto vincitore il contribuente. L’Amministrazione finanziaria aveva, infatti, erogato al contribuente solo il 50% dell’importo determinato nella sentenza dai giudici di seconde cure, a titolo di rimborso, adducendo come limitazione al suo operato l’incapienza di risorse finanziarie individuate negli ordinari capitoli di spesa previsti per quell’agevolazione fiscale; aveva, quindi, proceduto alla liquidazione del rimborso nella modalità e nella misura determinata all’art 16 – octies del D. L 20 giugno 2017, n. 123, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123.

Il contribuente (vittorioso) aveva, pertanto, presentato ottemperanza, ai sensi dell’art 68, secondo comma, del d.lgs del 31 dicembre 1992, n. 546, avverso la sentenza di merito, che, nel frattempo, era divenuta definitiva. La CTR della Sicilia, competente in materia di ottemperanza, aveva accolto il ricorso presentato dal contribuente ritenendo che il giudicato formatosi in sede giurisdizionale non potesse essere soggetto, in fase di ottemperanza, ai limiti quantitativi di rimborso fissati dalla normativa evocata dall’amministrazione, peraltro, e comunque, limitati ai soli rimborsi effettuati nel triennio 2015-2017. In forza di ciò aveva pronunciato sentenza invocando l’integrale esecuzione del rimborso e disponendo la nomina di un commissario ad acta per l'adozione dei provvedimenti necessari.

L’ente impositore, però, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di ottemperanza, ai sensi dell’art 70, comma 10, del d.lgs. n. 546 del 1992, dolendo (come unico motivo del suo ricorso), ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la falsa applicazione dell’art 16 – octies del d. l 20 giugno 2017, n. 123, da parte del giudice dell’ottemperanza.

Il soggetto passivo ha resistito con controricorso recante la richiesta alla Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, perché, a suo giudizio, il complesso normativo in questione incideva sull’an e sul quantum del diritto sostanziale - del contribuente - al rimborso, e determinava, pertanto, una probabile violazione degli artt. 3, 24 e 117 Costituzione.

La Corte di Cassazione, alla luce di quanto verrà esposto nei successivi paragrafi, ha ritenuto fondato il ricorso proposto dall’Erario in virtù, appunto, del principio di diritto in forza del quale «nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 d.lgs. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29 d.l n. 162 del 2019- e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito (..)».

2. L’istituto giudiziale dell’ottemperanza tributaria, fu introdotto (ottenendo così la piena cittadinanza nell’ordinamento tributario F. FASSÒ, Il rapporto tra il giudizio di ottemperanza e la tutela cautelare “pro fisco”: profili di criticità e spunti ricostruttivi”, in La riforma della giustizia tributaria, C. GLENDI (a cura di), Padova, 2021, 242) all’art. 70 del d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546 (ex multis sul tema della previgente disciplina del giudizio di ottemperanza e alle (ragionevoli) critiche mosse dalla dottrina: M. BASILAVECCHIA, Il giudizio di ottemperanza, in Il processo tributario, Tesauro (a cura di) , Torino, 1998, 929 ss.; F. RANDAZZO, Natura e profili operativi del giudizio di ottemperanza, in GT – Riv. Giur. Trib, 2002, 8, 759 ss.), rubricato – all’uopo – “giudizio di ottemperanza”, ed è stato modificato dal d.lgs. del 24 settembre 2015, n.156. Preme ricordare che il giudizio di ottemperanza tributaria ha avuto la sua genesi sostanziale nel diritto amministrativo (Cfr. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1994, 321 ss.; M. CLARICH, L’effettività della tutela nell’esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Amm., 1998, 523 ss) e, successivamente, è stato mutuato nel diritto tributario (si veda C. GLENDI, Art. 70, d.lgs n.546/1992. Giudizio di ottemperanza, in Abuso del diritto e novità sul processo tributario. Commento al d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, C. GLENDI – C. CONSOLO – A. CONTRINO (a cura di), Milano, 2016, 285) come strumento idoneo a perseguire la previsione dell’obbligo di conformazione della Pubblica amministrazione (de quo l’Amministrazione finanziaria) al giudicato del giudice tributario.

Quindi, volendo provare a definire l’istituto di cui all’art. 70 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, esso è – oggi – l’unico strumento esperibile (sulle opinioni dottrinali critiche si rinvia a C. GLENDI, Art. 70, d.lgs n. 546/1992. Giudizio di ottemperanza, in Abuso del diritto e novità sul processo tributario, cit., 287 ss. secondo cui la scelta normativa presenterebbe dubbi di incostituzionalità. Dello stesso avviso: F. RANDAZZO, Con l’immediata esecutività delle sentenze non ancora in giudicato cambia il giudizio di ottemperanza, in Corr. Trib., 2016, 25, 1971 ss) dal contribuente vittorioso (in giudizio) per ottenere l’esecuzione (esatta) coattiva degli obblighi (di dare e/o di facere) sanciti nella sentenza, qualora l’Amministrazione finanziaria, decorso il termine previsto dalla legge, sia rimasta (comunque) inadempiente ( C.GLENDI, Prime sentenze nei giudizi di ottemperanza davanti alle Commissioni tributarie, in GT – Riv. Giur. Trib., 1997, 12, 1136). È un mezzo giudiziale a garanzia del contribuente che, “dopo aver concluso vittoriosamente il giudizio davanti alla Commissioni tributarie (oggi Corti di Giustizia n.d.r), trovi nell’inerzia dell’Amministrazione un ulteriore ostacolo alla soddisfazione del proprio interesse già riconosciuto come meritevole di tutela” (M. BASILAVECCHIA, Il giudizio di ottemperanza, in Il processo tributario. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. TESAURO, Torino, 1998, 931).

3. Seppur non expressis verbis, dal combinato disposto dei primi due commi di cui consta l’Art 70, si ricava, il cosiddetto “presupposto negativo”, quale profilo sostanziale affinché possa prendere avvio e celebrarsi il giudizio di ottemperanza, ovverosia l’inadempimento dell’Amministrazione finanziaria rispetto agli obblighi scaturenti dalla sentenza del giudice di merito (in tal senso M.C. PARLATO, ll giudizio di ottemperanza, In Codice del processo tributario, V. Uckmar e F. Tundo (a cura di), PIACENZA, 2007, 1209). Discende dunque che il petitum della ottemperanza è racchiudibile (nonché contingentabile) nel giudizio terminato con la pronuncia del giudice di merito. A norma dell’art. 70, settimo comma, del d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546, il giudice deve attenersi agli obblighi risultanti espressamente dal dispositivo della sentenza e tenere conto della motivazione.  

Ciò detto spiega la definizione dottrinale di “giudizio chiuso” riferita all’ottemperanza tributaria (F. RANDAZZO, Natura e profili operativi del giudizio di ottemperanza, in GT – Riv. giur.trib., 2002, 759; M.C PARLATO, Giudicato tributario, oggetto dell’ottemperanza e impugnazione della sentenza, in  Riv. Tel. di Dir. Trib., 29 maggio 2020, 4; G. FRANSONI, Contenzioso tributario. Formulario commentato, Milano, 2016, 742). Partendo da questa premessa indefettibile sul perimetro di applicabilità del giudizio ex art. 70 del d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546, possiamo esporre che i poteri del giudice di ottemperanza si estrinsecano, essenzialmente, nello svolgimento di due attività (cronologicamente impostate): 1) un’attività cognitiva (Cfr. Cass. Sent. 19 maggio 2022, n. 16290) ove il giudice deve accertare il dispositivo della sentenza rimasta ineseguita per cogliere gli obblighi prescritti ed esplicitare poi il contenuto del dispositivo, unitamente alla motivazione, chiarendone il reale significato (così Cass. Sent. 24 novembre 2004, n. 22188; Cass. Sent. 10 dicembre 2008, n. 28944; Cass. Sent. Del 29 luglio 2016, n. 15827); 2) la tipica attività di esecuzione, che si estrinseca nell’adozione dei provvedimenti amministrativi indispensabili, in sostituzione dell’Ufficio, all’esecuzione della sentenza.

Rebus sic stantibus, il giudizio di ottemperanza è stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità come un giudizio che ha una duplice natura (o comunque un giudizio sui generis) poiché ha in sé la duplice natura di giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione. In sostanza, per prima cosa, si deve individuare la (esatta) portata del decisum da eseguire; in secondo luogo, si identifica l’atto amministrativo più idoneo, più opportuno per ottemperare la sentenza, ovvero finalizzato al ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente. Infatti, stante il tenore letterale dell’art. 70, settimo comma, del d.lgs. del 31 dicembre 1992, n. 546, il giudice dell’ottemperanza tributaria non dovrebbe limitarsi ad un mero e astratto ordine di adempiere rivolto all’ente impositore, ma deve individuare ed emanare provvedimenti necessari allo scopo da raggiungere.

Da tali considerazioni discende che rientra fra i poteri del giudice dell’ottemperanza quello di integrare il dictum attraverso anche la determinazione del quantum e del quomodo del comando giudiziale rimasto ineseguito (S. CAPOLUPO, Giudizio di ottemperanza ed esecuzione delle sentenze tributarie, cit., 1145).

4. La Corte di Cassazione - nel caso di specie - prosegue dando poi una possibile esemplificazione del quomodo a cui avrebbe potuto far riferimento il giudice dell’ottemperanza, ossia «l’eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’ effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati (..), non determina tuttavia l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente, né procrastina sine die, la sua integrale attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che nella relativa sentenza deve precisare il quomodo dell’intervento sostitutivo. A tal fine, va considerato che, secondo la stessa prassi amministrativa (…) l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta, allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all'emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all'art. 14, comma 2, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 convertito nella legge 28 dicembre 1997, n. 30 (…)».

Per quanto rilevante ai fini del presente elaborato, si ricorda che il cosiddetto “ordine di pagamento in conto sospeso” consente alla P.A. (in presenza di un provvedimento giurisdizionale esecutivo n.d.r.) un differimento dell’esecuzione (qualora non vi sia la relativa disponibilità finanziaria nel relativo capitolo di spesa n.d.r.) per permetterle di approntare le necessarie risorse finanziarie ed evitare aggravi che deriverebbero dalla sottoposizione alla procedura esecutiva, contemperando l’interesse del privato alla soddisfazione del suo credito e quello generale alla ordinata e corretta gestione finanziaria” (P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Il processo, Milano, 2005, 322).

E, quindi, dal punto di vista pratico, mediante l’ordine di pagamento in conto sospeso l'Amministrazione dello Stato può eseguire comunque il pagamento attraverso l’emissione di uno speciale ordine rivolto all'istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di “anticipare” le somme necessarie ad effettuarlo, registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo, con conseguente ripianamento dell’anticipazione (Cfr. in proposito C. LUCARIELLO, Brevi note sull’utilizzo dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso per i rimborsi dei tributi, in Il fisco, 2006, 13, 4953 ss.).

5. L’ordinanza oggetto di approfondimento, e in particolare il principio di diritto ivi statuito, conferma, a parere di chi scrive, che il giudizio per l’ottemperanza alle sentenze tributarie (passate o no in giudicato) garantisce l’effettività del decisium giudiziale, anche qualora vi siano problemi di incapienza di risorse finanziare di cui agli appositi capitoli di spesa previsti per erogare i rimborsi d’imposta al contribuente, che ne ha pieno diritto.

Ciò in virtù del fatto che la Suprema corte ricorda come il concetto di ottemperanza sia più ampio di quello di esecuzione così ricavabile dal rito civile.  Ai fini dell’analisi svolta è utile rievocare, come già fatto da attenta dottrina (F. BATTISTONI FERRARA, Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, 131), la differenza ontologica e finalistica tra i due istituti, ovvero l’uno (l’esecuzione) volto alla esatta e concreta attuazione dell’obbligo processuale di rispettare quanto accertato dalla sentenza da ottemperare, l’altro diretto a dare sostanza, coercitivamente, al comando statuito nel giudicato ( a prescindere se quest’ultimo – il comando – non contenga un dispositivo dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo) (nella giurisprudenza di legittimità cfr. Cass. Sent. 18 gennaio 2012, n. 646; Cass. Sent. del 24 settembre 2010, n. 20202). È importante precisare, come perfettamente stigmatizzato dalla Corte, che, comunque, nessun fatto e/o atto impeditivo può essere fatto valere dall’Ente impositore per sottrarsi in tutto o in parte all’adempimento del relativo diritto sostanziale del contribuente (riconosciuto dall’organo giurisdizionale), ovvero rimandare sine die la sua integrale attuazione. Emerge, a mente di quanto sopra detto, come anche per merito di questa fattispecie processuale decisa dalla Corte, nonostante la (non) vittoria dell’Ente impositore, i giudici di legittimità avvalorino la convinzione che l’ottemperanza tributaria riesca a dare contezza concreta anche sotto il profilo del legittimo affidamento del contribuente (sul punto si veda M.C. PARLATO, ll giudizio di ottemperanza, In Codice del processo tributario, V. Uckmar e F. Tundo (a cura di), cit., 1229.).

Quindi, è ormai indiscutibile (e l’ordinanza ne dà prova) che la funzione di cognizione propria del giudizio di ottemperanza non possa essere ridotta alla semplice verifica della corretta esecuzione del comando contenuto nella sentenza da ottemperare.

Inoltre, si ritiene necessario commentare la strategia processuale condotta dall’ente impositore. Ossia, riflettere se l’Agenzia delle entrate avrebbe potuto (già) far valere l’eccezione dell’incapienza dei fondi destinati al rimborso, così come previsto e regolamentato dall’art. dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29 d.l. n. 162 del 2019, dinnanzi alla Corte di Giustizia a quo competente a decidere sul diritto al rimborso del contribuente.

A riguardo, preme sottolineare (come fatto anche dalla Corte nell’ordinanza in esame) che la valutazione di questa circostanza (ossia l’insufficienza di fondi) è una tematica non inerente alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che è estranea al thema decidendum del giudizio di merito sulla singola domanda di rimborso e che, quindi, verrà necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai accertato nell’ an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile, con la conseguenza della possibile invocazione dei limiti di attuazione del diritto suddetto anche al caso in cui il relativo diritto sia stato accertato con sentenza definitiva.  

Ecco dunque che – come evidenziato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza in analisi – la questione attinente ai limiti delle risorse stanziate eccepite dalla pars pubblica nelle possibili controversie sui provvedimenti liquidatori emessi dall'Agenzia delle entrate può essere fatta valer solo in fase di ottemperanza. Ossia, è nell’ottemperanza tributaria che l’organo giudicante deve esercitare il potere-dovere di compiere quella attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza definitiva che si estende (nel caso affrontato dalla Suprema Corte) fino alla verifica di tutti i requisiti e di tutte le condizioni che determinano il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 123 del 2017.  E poi sulla scorta di ciò emanare direttamente, o per il tramite del commissario ad acta eventualmente nominato, tutti i provvedimenti amministrativi necessari a garantire l’attuazione integrale e tempestiva del comando giudiziale reso nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (nel caso trattato l’eventuale emissione dell’ordine di pagamento in conto sospeso).  

Di parere contrario era il giudice dell’ottemperanza a quo, secondo cui queste limitazioni dell'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 erano non operative in sede di ottemperanza.  

Quindi, questa non corretta interpretazione ha condotto il giudice sopra menzionato a commettere i seguenti errori in procedendo: non aver accertato gli effetti dell'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017 sulle modalità di esecuzione del rimborso e pronunciare una sentenza generica di condanna al pagamento (in contrasto con quanto disposto all’art. 70, settimo comma, del d.lgs del 31 dicembre 1992, n. 546) senza precisare, invece, il quomodo specifico, in ragione della situazione concreta prospetta alla sua attenzione, per ottemperare correttamente la sentenza. Questi errori hanno portato i giudici della Suprema corte a cassare la sentenza di ottemperanza, accogliendo il ricorso dell’ente impositore.  

Le suddette motivazioni e argomentazioni della giurisprudenza di legittimità sono condivisibili, tenendo a mente a corollario che non è in alcun modo possibile la falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati per effetto dell'art. 16-octies d.l. n. 91 del 2017.

Infine, circa la posizione dell’Amministrazione finanziaria, come ribadito dalla ordinanza in commento, già essa – l’Amministrazione finanziaria -, allo scopo di consentire che il decisum giudiziale trovi attuazione, a norma della vigente prassi amministrativa sull’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, è legittimata a richiedere a Banca d’Italia l’emissione di questo speciale mezzo di pagamento a favore del contribuente vittorioso. Infatti, la procedura dell’ordine in conto sospeso di pagamento può essere attivata dall’ente pubblico debitore (anche) nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti, di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi statuito da un provvedimento giurisdizionali avente efficacia esecutiva (come nel caso in questione). E, quindi, l’Agenzia delle entrate, nell’ottica anche del principio di buon andamento della Pubblica amministrazione e buona fede, posto il diritto sostanziale al rimborso del contribuente giudizialmente accertato, avrebbe potuto dare esito in toto alla sentenza di secondo grado attraverso la procedura di pagamento sopra menzionata, senza nemmeno attendere la sentenza di ottemperanza che la obbligasse a dare esecuzione al rimborso in favore del contribuente.

 Ente impositore che, invece, stante gli errori in procedendo posti in essere dal giudice dell’ottemperanza, ha deciso poi di impugnare per cassazione la sentenza di ottemperanza. Ricorso che sì è stato accolto, ma che in sostanza non è traducibile in una vittoria per l’ente impositore, in quanto la Suprema corte rinvia al giudice a quo affinché adotti, compatibilmente con l’appurata incapienza di risorse proprie afferenti agli ordinari capitoli di spese, i provvedimenti attuativi necessari per ottemperare integralmente per la sentenza di merito ricognitiva del diritto al rimborso del soggetto passivo.

In ragione di quanto fino ad ora esposto, è pressoché pacifico, a giudizio di chi scrive, che il Fisco abbia presentato ricorso ex art. 70, decimo comma, d.lgs del 31 dicembre 1992, n.546, per dilatare, sostanzialmente, il termine entro cui effettivamente erogare il rimborso al contribuente vittorioso.