Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

24/05/2022 - Il vizio di incompetenza per territorio dell’atto impositivo alla prova della legge n. 241 del 1990

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

L’ordinanza in questione riapre il dibattito sull’applicabilità alla materia tributaria degli artt. 21-septies e 21-octies, L. n. 241 del 1990. In questa occasione la Cassazione perviene alle sue conclusioni con un’interpretazione letterale delle norme invocate. La giurisprudenza sul punto non è però univoca e gli orientamenti della Cassazione appaiono troppo condizionati dai singoli casi concreti sottoposti alla sua attenzione.

PAROLE CHIAVE: incompetenza territoriale - nullità - annullabilità


di Federico Rasi

 

  1. La controversia origina dall’impugnazione di un atto di contestazione irrogato per sanzionare un omesso versamento IVA e dalla sentenza con cui la Commissione Regionale adita rigetta l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal contribuente.

Innanzi alla Cassazione, il contribuente lamentava il fatto che la Commissione di secondo grado, pur avendo riconosciuto il difetto di competenza territoriale dell’ufficio emittente, non avesse tratto la conclusione che l’atto di contestazione fosse affetto da nullità assoluta. Per la Commissione non sussisteva alcun vizio “trattandosi dell’ambito dell’operatività di due Uffici … contigui nell’organizzazione tributaria della stessa città”.  

  1. Per risolvere la questione, si discuteva se potesse o meno trovare applicazione al caso di specie l’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990:
  • per i giudici, tale norma doveva essere applicata con l’effetto che l’atto impugnato non poteva essere annullato, essendo quello di incompetenza un vizio solo formale e non incidente sul contenuto dell’atto;
  • per il ricorrente, invece, l’incompetenza rappresentava un’ipotesi di nullità assoluta ed inderogabile, non coperta dalla norma menzionata

(sul tema in generale Del Federico, La rilevanza della legge generale sull’azione amministrativa in materia tributaria e l’invalidità degli atti impositivi, in Riv. Dir. Trib., 2010, 6, p. 729; Marello, I fondamenti sistematici del sistema duale nullità-annullabilità, in Riv. Dir. Fin. Sc. Fin., 2014, 3, p. 328; Pistolesi, La “invalidità” degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. Dir. Trib., 2012, 12, p. 1131).

  1. La Cassazione nella ordinanza, 11 novembre 2021, n. 33287 in esame, per risolvere la questione, passava, innanzitutto, in rassegna le norme applicabili:
  • l’art. 16, D.Lgs. n. 472 del 1997, per il quale le sanzioni sono irrogate dall’ufficio competente per il tributo cui le violazioni si riferiscono;
  • l’art. 40, D.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi del quale la competenza territoriale per gli accertamenti e i controlli spetta all’ufficio nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente;
  • l’art. 58, D.P.R. n. 600 del 1973, per il quale i soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa.

Da tale complesso di norme deriva, secondo i giudici di legittimità, che il potere di emanare un atto di contestazione di sanzioni sussiste in capo all’ufficio distrettuale ove il contribuente ha il domicilio fiscale, domicilio che, in mancanza di una diversa indicazione, si trova nel comune ove il contribuente ha la sede legale. Nel caso di specie l’atto era stato, dunque, effettivamente emanato da un ufficio incompetente.

  1. Quanto alle conseguenze di tale situazione, come anticipato, il contribuente pretendeva si applicasse un risalente orientamento (Cass. Sez. I, sent. 26 giugno 1992, n. 8017), secondo cui il difetto di potere dell’organo, che ha proceduto all’accertamento tributario, costituisce un vizio sostanziale e radicale che importa la nullità assoluta dell’atto, rilevabile d’ufficio in ogni stato del processo.

Non è, invece, di questo avviso la Cassazione per la quale le pronunce richiamate si riferiscono ad un sistema di tutela tributaria «non più vigente»; esse valevano in un contesto in cui l’atto impositivo poteva essere impugnato avanti al giudice, previo esperimento di un ricorso amministrativo. Ora che non sussiste la necessità di esperire questo ricorso prima di adire l’autorità giurisdizionale, si deve dare seguito all’orientamento per cui l’incompetenza dell’ufficio che ha emesso l’avviso di accertamento costituisce tipico vizio di legittimità di tale atto, che deve essere dedotto dalla parte ricorrente tra i motivi di impugnazione dello stesso, senza che possa essere rilevato d’ufficio dal giudice (Cass., Sez. V, ord. 12 luglio 2018, n. 18425; Cass., Sez. VI-5, ord. 19 maggio 2017, n. 12699; Cass., Sez. VI-5, ord. 23 giugno 2017, n. 15769; Cass., Sez. VI-5, ord. 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., Sez. V, sent. 24 giugno 2016, n. 13126; Cass., Sez. V, sent. 5 maggio 2010, n. 10802).

  1. Questo era il panorama giurisprudenziale che si poneva di fronte al contribuente e alla Cassazione. Per completezza, si ricorda che il problema della competenza territoriale degli Uffici è stato affrontato e risolto dalla Cassazione, oltre che con riferimento all’ipotesi in cui l’atto notificato “provenga” dall’Agenzia delle Entrate, anche con riguardo al caso in cui l’atto notificato “pervenga” allo stesso ente.

È il caso della notifica del ricorso introduttivo del giudizio da parte del contribuente. Qui la giurisprudenza (Cass., Sez. V, sent. 26 settembre 2012, n. 16366) ritiene che  la notifica dell’impugnazione a un ufficio dell’Agenzia delle Entrate non territorialmente competente (perché diverso da quello che ha emesso l’atto impositivo) non comporti né la nullità, né la decadenza dall’impugnazione, sia per il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate, sia per il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia per la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato e non alle singole articolazioni organizzative.

È altresì il caso dell’istanza di rimborso presentata a un ufficio incompetente che, per la giurisprudenza (Cass., Sez. V, sent. 28 luglio 2004, n. 14212; Cass., Sez. V, sent. 6 maggio 2005, n. 9407), è idonea a impedire la decadenza del contribuente dall’esercizio del diritto al rimborso, in forza del principio della collaborazione e della buona fede tra contribuente e Fisco di cui all’art. 10, L. n. 212 del 2000, ma, in assenza di prova della trasmissione della istanza all’ufficio competente, non vale a formare il silenzio rigetto sulla istanza di rimborso e, per l’effetto, a rendere ammissibile l’impugnazione (contra Cass., Sez. VI-5, ord. 6 marzo 2018, n. 5203, secondo la quale sarebbe possibile considerare formato tale silenzio alla luce delle stesse regole di collaborazione tra organi della stessa Amministrazione che obbligano gli Uffici a procedere alla trasmissione ad altro ufficio, sia alla luce dell’esigenza di una sollecita definizione dei diritti delle parti, ai sensi dell’art. 111 Cost.; conf. invece Cass., Sez. V, sent. 5 febbraio 2020, n. 2615, che non ritiene possibile alcuna osmosi (e, quindi, alcun valido trasferimento di atti) tra Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Dogane «in ragione dell’assenza di un rapporto di immedesimazione organica con il Ministero … delle dette Agenzie, in quanto distinti soggetti di diritto, in ragione della separazione tra la titolarità dell’obbligazione tributaria, tuttora riservata allo Stato, e l’esercizio dei poteri statali in materia d’imposizione fiscale, trasferito alle Agenzie dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300»)

  1. La Cassazione, nella sentenza da cui si prende le mosse, non interviene nei casi in cui la notifica pervenga all’Amministrazione (sicché le relative posizioni giurisprudenziali si devono ritenere inalterate), ma si occupa solo del caso in caso provenga dall’Amministrazione. Lo fa mettendo l’orientamento tradizionale alla prova dell’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990. Ciò serve ai giudici di legittimità per puntualizzare che tale vizio «determina l’annullamento dell’atto stesso solo se non ricorrono le condizioni di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21 octies che può trovare applicazione in caso d’incompetenza relativa».

La Cassazione dichiara di condividere così l’impostazione del giudice di appello, che ha escluso l’invalidità dell’atto impugnato, confermando che il vizio derivante dall’incompetenza territoriale dell’ufficio emittente sia di natura solo formale, senza alcun riflesso sul contenuto vincolato dell’atto di contestazione delle sanzioni.

  1. La questione giuridica alla base dell’ordinanza in esame è, dunque, quella dell’applicabilità della disciplina dell’annullabilità prevista dall’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990, con la conseguente sottoposizione dell’atto al c.d. test di resistenza (sul tema Buttus, Implicazioni tributarie del nuovo regime dei vizi del provvedimento amministrativo, in Prat. Trib., 2007, 3, p. 465).

       L’ordinanza in esame non si discosta in modo significativo da quanto già chiarito dalla stessa Cassazione con la sentenza n. 18448 del 2015 (Cass., Sez. V., sent. 18 settembre 2015, n. 18448) ove era stato minuziosamente analizzato il tema dell’applicabilità alla materia tributaria degli artt. 21-secpties e 21-octies, L. n. 214 del 1990. Anche qui è stato specificato come il riparto di competenze, per materia o per territorio, degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria sia finalizzato a far sì che il cittadino, nel rivolgersi alla Pubblica amministrazione, conosca con esattezza quale sia l’ufficio competente per il suo caso, quali ne siano le attribuzioni, quali le responsabilità di colui che vi è preposto e che rappresenta, nei suoi confronti, il pubblico potere. Eventuali vizi devono essere risolti alla luce dell’art. 21-octies, ai sensi del quale quello di incompetenza è, effettivamente, uno dei tre vizi (oltre alla violazione di legge e all’eccesso di potere) che possono inficiare la validità di un qualsiasi provvedimento amministrativo, ma l’atto adottato da un ufficio incompetente non è, però, né inefficace, né produttivo di conseguenze solo sul piano sanzionatorio (disciplinare); esso è piuttosto illegittimo, per violazione delle norme che definiscono le attribuzioni del soggetto autore dell’atto.

       Già, in quell’occasione, dunque, per i giudici di legittimità doveva escludersi la rilevabilità ex officio del vizio di incompetenza, che doveva, invece, ritenersi deducibile in via esclusiva ad istanza del contribuente come vizio di invalidità-annullabilità dell’atto impositivo. Si escludeva così che il vizio in questione potesse trasmodare nel vizio di nullità dell’atto amministrativo per difetto assoluto di attribuzione, previsto dal precedente art. 21-septies. Per la Corte, in tale fattispecie, ricadrebbe solo il vizio di “incompetenza assoluta”, che si registra ove si verifica l’invasione di settori attribuiti ad altri poteri dello Stato ovvero l’esercizio di poteri del tutto estranei alle attribuzioni della Pubblica Amministrazione che ha emanato l’atto.

  1. La sentenza da ultimo menzionata è stata fondamentale nella giurisprudenza della Cassazione per descrivere il regime delle nullità in materia tributaria (cfr. anche Tesauro, In tema di invalidità dei provvedimenti impositivi e di avviso di accertamento notificato “ante tempus”, in Trib., 2013, 5, p. 1137; Pepe, Vizio di “sottoscrizione” ed invalidità degli atti di accertamento: inquadramento teorico, questioni attuali e prospettive future, in riv. Trim. Dir. Trib., 2018, 1, p. 127; Cicala, Violazione di legge e invalidità degli atti tributari: il “caso” dei dirigenti “illegittimi”, in Boll. Trib., 2015, 23, p. 1685); tuttavia, è stata altresì il punto di partenza anche per altre prese di posizione.
  2. Con riferimento proprio al problema dell’operatività dell’art. 21-octies, L. n. 214 del 1990, le sentenze n. 23050 del 2015 (Cass., Sez. V, sent. 11 novembre 2015, n. 23050) e n. 25017 del 2015 (Cass., Sez. V, sent. 11 dicembre 2015, n. 15017), depositate non molti mesi dopo la sentenza n. 18448 del 2015, hanno affermato che, nel diritto tributario, ogni nullità discende o da una specifica indicazione della legge, che ha valutato la gravità della violazione, o dalla violazione di un qualche principio fondamentale dell’ordinamento, sicché va esclusa l’applicabilità dell’art. 21-octies. Milita in questo senso anche la circostanza per cui l’illegittimità degli atti tributari è colpita (quando lo è) con una sanzione qualificata di nullità e non di annullabilità. La Cassazione, in queste sentenze, ha perfino avuto cura di precisare che «nella, invero non numerosa, giurisprudenza di questa Corte che richiama l’art. 21 octies, comma 2, tale citazione appare un non necessario obiter in quando per sorreggere l’affermazione secondo cui la violazione di legge in cui è incorsa la Amministrazione non determina la nullità dell’atto non appare necessario invocare la norma in questione», così a voler del tutto sminuire la portata di queste decisioni.

Le menzionate sentenze del 2015 escludevano poi, in radice, la possibilità di applicare alla materia tributaria il test di resistenza previsto dalla norma in esame, atteso che esso presuppone che si tratti di atti vincolati, «qualifica che non può pienamente attagliarsi all’atto impositivo che, se certamente non dà luogo ad esercizio di discrezionalità amministrativa, tuttavia non può ritenersi vincolato nel quid (tale cioè che, se il potere viene esercitato, il contenuto dispositivo dell’atto è conoscibile ex ante, in quanto già interamente predeterminato ex lege». Per la Corte, la pretesa tributaria formalizzata nell’avviso di accertamento o di rettifica, in quanto atto a contenuto variabile in relazione al diverso fatto economico presupposto, non risponde alla fenomenologia dell’atto a contenuto vincolato che sussiste allorquando ad un’Amministrazione non residua alcuna facoltà di scelta tra determinazioni diverse.

  1. Successivamente, queste posizioni sono state rivisitate in alcuni casi “limite”. Così per l’ordinanza n. 15000 del 2018 (Cass, Sez. V, ord. 8 giugno 2018, n. 15000), l’art.21-octies in questione è applicabile all’atto conclusivo del provvedimento di diniego di nulla osta alla fruizione del credito di ricerca e sviluppo di cui alla L. n. 296 del 2006, essendo questo emanato al termine «di un procedimento particolare, completamente telematico, consistente nella introduzione in via elettronica di una domanda alla quale segue, a distanza di tempo, un provvedimento, emesso sulla base di una elaborazione - anche in questo caso - meramente informatica della domanda. La Corte valorizza la circostanza che detto provvedimento sia predeterminato nella forma e nel contenuto, sicché può ritenersi a contenuto vincolato e, quindi, non sia annullabile in caso di violazione delle norme sul procedimento o sulla forma.

La sentenza n. 7800 del 2020 (Cass., Sez. V., sent. 14 aprile 2020, n. 7800), con riferimento ad una cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo, riteneva allo stesso modo che «la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, [comporti] l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies».

La stessa impostazione è accolta dalla sentenza n. 39058 del 2021 (Cass., Sez. VI-5, ord. 9 dicembre 2021, n. 39058) con riferimento all’avviso di intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo,

  1. Questa breve rassegna dimostra come non vi sia piena chiarezza da parte della Cassazione sul piano dell’operatività dell’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990 alla materia tributaria. Quello che risulta essere adottato è un approccio episodico in cui la soluzione dipende dalle circostanze del caso concreto.

La sentenza da cui si sono prese le mosse non fa eccezione: essa perviene a una conclusione senza svolgere considerazioni di sistema sulla natura dell’atto di cui si discuteva; la motivazione è piuttosto sbrigativa nel pervenire ad una conclusione.

  1. Ciò deriva probabilmente dal fatto che, nel caso di specie, oggetto del processo era un atto di contestazione di sanzioni per omesso versamento IVA, dunque, un atto con cui era stata irrogata una sanzione in una misura già predeterminata dal legislatore (30% dell’importo non versato). In un caso del genere, il test di resistenza, anche ove svolto, si sarebbe effettivamente risolto nella conferma della sanzione irrogata; tuttavia, vi sono casi in cui la sanzione è irrogata tra un minimo e un massimo edittali, sicché Uffici differenti potrebbero avere “sensibilità” diverse e potrebbe cambiare il contenuto dell’atto. In questi casi, lo svolgimento del test di resistenza potrebbe restituire esiti diversi.
  2. In conclusione, pare che il problema dell’applicabilità dell’art. 21-octies, L. n. 241 del 1990 alla materia tributaria sia stato sino ad ora affrontato dalla Cassazione in maniera non del tutto adeguata. È auspicabile un intervento delle Sezioni Unite o almeno una pronuncia che approfonditamente e motivatamente fornisca una soluzione definitiva; le sentenze che si sono susseguite sino a ora dimostrano una visione non di sistema, ma troppo limitata al caso concreto.