Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

09/10/2021 - Margini di tutela del debitore. Contribuente e riparto di giurisdizione in tema di transazione fiscale

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato il problema della giurisdizione nell’ambito della nuova transazione fiscale, ritenendo sussistente la cognizione dell’AGO, mediante la valorizzazione dei profili paritetici delle modalità di espressione del voto, del cramdown e più in generale della connotazione concorsuale dell’istituto. Tuttavia, si dissente in parte da tale autorevole pronuncia. La norma che conferisce il potere di cramdown al Tribunale fallimentare in sede di omologa si configura come attributiva di specifiche potestà all’AGO, investita di una giurisdizione di merito e sostitutiva, in deroga al riparto per oggetto ed al tradizionale divieto di pronunce sostitutive. Pertanto, laddove la controversia in tema di transazione fiscale non risulti ricompresa nella cognizione del Tribunale mediante cramdown in sede di omologa, si configura la normale giurisdizione delle Commissioni Tributarie nelle controversie tributarie, aventi ad oggetto l’esercizio della funzione impositiva

PAROLE CHIAVE: giurisdizione ordinaria - giurisdizione tributaria - transazione fiscale


di Lorenzo Del Federico

Premessa

L’importante sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, resa in tema di giurisdizione nelle controversie sulla transazione fiscale, suscita grande interesse ai fini della ricostruzione sistematica dell’istituto e offre l’occasione per fare chiarezza sui margini di tutela del debitore - contribuente.

Come è noto i rapporti tra diritto tributario e diritto fallimentare presentano molteplici aspetti problematici, non solo per quanto riguarda la c.d. specialità del diritto tributario, che per tale sua asserita natura, è stato ritenuto troppo spesso prevalente rispetto alle regole della concorsualità, ma anche in ragione dalla rigidità delle pretese del Fisco, caratterizzate dall’indisponibilità dell’obbligazione tributaria e dal regime pubblicistico del rapporto tra ente impositore e contribuente (sui profili teorici v. per tutti A. FANTOZZI, Considerazioni generali sui profili fiscali delle procedure concorsuali e sul rapporto tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi diffusi, in AA.VV., I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, Trattato delle procedure concorsuali, diretto da L. Ghia - C. Piccinini – F. Severini, VI, Torino, Utet, 2012, 417; F. PAPARELLA, L’attualità del pensiero di Augusto Fantozzi alla luce del nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in AA.VV., Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi, Pacini, Pisa, 2021, 397. Per un ampio ed approfondito quadro delle varie problematiche applicative v. AA.VV., Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, a cura di F. Paparella, Milano, Giuffrè, 2013).

Il tema dell’equilibrio tra interesse fiscale ed interessi concorsuali è stato ripreso in chiave ermeneutica ed applicativa dalle Sezioni Unite, secondo cui “il legislatore della riforma ha incastonato la transazione fiscale con maggior chiarezza nel campo del diritto fallimentare, ancorché ne siano evidenti i riflessi di diritto tributario… A partire dalla unificante ratio legis… sancita dal comune tratto della obbligatorietà della proposta transattiva…” –v. infra-  “che va individuata non nell'interesse fiscale che è la "causa prima" dell'obbligazione tributaria, del quale si controverte nelle liti tributarie "comuni", bensì nell'interesse concorsuale che è invece la "ragione fondativa" delle procedure concordatarie ed assimilabili, sempre più mirate alla conservazione del "bene impresa. In altri termini, la transazione fiscale "obbligatoria" rappresenta l'esigenza di bilanciare appunto i due interessi sicché l'ampia discrezionalità riconosciuta all'amministrazione finanziaria nello stipulare accordi transattivi concorsuali è in questo senso palesemente finalizzata…”.

Le vicende della transazione fiscale si pongono quindi come utile chiave di lettura dei rapporti tra fiscalità e concorsualità.

L’esperienza della vecchia transazione sui ruoli (art. 3, 3 co., del D. L. 8.7.2002, n. 138, conv. dalla L. 8.8.2002, n. 178), aveva destato attenzione, ma era risultata alquanto sterile sul piano applicativo.

Le riforme del diritto fallimentare hanno comportato l’abrogazione della transazione sui ruoli e la sua sostituzione con un istituto molto più sofisticato, qualificato tout court come transazione fiscale, collocato nell’art. 182 ter della legge fallimentare, ed articolato a tutti gli effetti come procedura endoconcorsuale[1].

Da ultimo la transazione fiscale ha parzialmente cambiato nome e fisionomia, non tanto ad opera del Codice della Crisi d’Impresa (a fronte della copiosa bibliografia si rinvia ai contributi più recenti: F. MARENGO - A. LA MALFA, Transazione fiscale e previdenza, Rimini, Maggioli, 2010; G. GAFFURI, Aspetti problematici della transazione fiscale, in Rass. Trib., 2011, 111; E. BAGAROTTO, L’ambito oggettivo di applicazione della transazione fiscale, ibidem, 2011, 1472; G. LA CROCE, La transazione fiscale, Milano, Ipsoa, 2011; L. TOSI, La transazione fiscale: profili sostanziali, in AA.VV., Il diritto tributario delle procedure concorsuali cit., 647; M. CARDILLO, La transazione fiscale, Roma, Aracne, 2016; M. ALLENA, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Padova, Cedam, 2017), quanto piuttosto in virtù di un intervento legislativo effettuato con l’art. 1, comma 81, della legge n. 232/2016 (c.d. legge di stabilità del 2017), maturato a seguito della sentenza Degano Trasporti, con cui la Corte di Giustizia UE ha chiarito che nulla osta alla falcidia dell’Iva e delle altre risorse dell’Unione Europea nell’ambito di procedure concordatarie provviste di ragionevoli garanzie per il ceto creditorio (cfr Corte Giust. UE, sez. II, 07/04/2016, n. C-546/14 Degano Trasporti, in Corr. trib., 2016, 1549, con nota di V. Ficari, La Corte ammette la riduzione dell’IVA mediante la transazione fiscale).

L’art. 88 CCII, in cui è confluito il novellato art. 182 ter L.F., è rubricato “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”, ma si parla ancora di transazione nell’art. 63 CCII, rubricato “Transazione e accordi sui crediti tributari”; certo è che si parla ancora diffusamente di transazione fiscale fra pratici e studiosi, tuttavia tale denominazione assume ora una connotazione meramente descrittiva, tendendo a ricomprende istituti alquanto differenziati (il trattamento dei crediti tributari e contributivi nel concordato preventivo, la “transazione fiscale” negli accordi di ristrutturazione dei debiti, gli accordi sui crediti tributari e contributivi nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento; in senso analogo F. PAPARELLA, Il nuovo regime dei debiti tributari di cui all’art. 182-ter L.F.: dalla transazione fiscale soggettiva e consensuale alla retrogradazione oggettiva, in Rass. Trib., 2018, 329-330). Emblematico che di transazione fiscale parli ancora l’Agenzia delle Entrate nella circolare 29.12.2020, n. 34/E, in tema di “Gestione delle proposte di transazione fiscale nelle procedure di composizione della crisi di impresa”; la terminologia viene considerata consolidata nella prassi e nella giurisprudenza e quindi ripresa anche dalla sentenza delle Sezioni Unite.

Il tema in generale e la specifica disciplina dell’art. 88 si inseriscono nella ormai matura prospettiva di valorizzazione dei moduli consensuali nell’attuazione del prelievo, attenuando la tradizionale indisponibilità dell’obbligazione tributaria e gli stringenti vincoli formali derivanti dal regime pubblicistico del rapporto (sul tema specifico v. M. ALLENA, Profili costituzionali della transazione fiscale e G. MARINI, Indisponibilità e transazione fiscale, in Aa.Vv., Studi in onore di Enrico De Mita, Napoli, Jovene, 2012, 1 e 566. Per quanto riguarda in generale i vincoli pubblicistici del rapporto e l’indisponibilità dell’obbligazione tributaria v. per tutti: G. FALSITTA, Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, 1047 ss.; ed in giurisprudenza: Cass. 8.5.1991, n. 5128, in Riv. dir. trib., 1991, II, 521; Cass. 12.5.1992, n. 5620, in Giust. civ., 1992, I, 2358; Cass., sez. trib., 2.7.2003, n. 1047; Cass., sez. trib., 11.1.2006, n. 309, in Il fisco, 2006, 1238; ma soprattutto Corte Cost. 23.6.2014 n. 225, in Il fall., 2015, 13), ma la transazione fiscale è stata privata delle peculiarità che l’avevano caratterizzata inizialmente e per tutto il decennio di applicazione.  

Al di la della vischiosità della denominazione di “transazione” (a livello normativo recessiva), di certo l’istituto, invero alquanto multiforme, non presenta alcuna connotazione transattiva; nella disciplina introdotta nel dicembre 2016, ed ora confluita nell’art. 88 CCII, è venuta meno la facoltatività, sono scomparse le limitazioni alla falcidia dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, così come le limitazioni alla falcidia in tema di IVA e di ritenute; è scomparso il requisito del consolidamento dei crediti tributari, sono scomparse le ricadute processuali, che davano corpo alla cessazione della materia del contendere per le controversie sui tributi (sul tema M. SPADARO, Il trattamento dei crediti tributari e contributivi secondo il nuovo testo dell’art. 182 ter L. FALL., in Il Fall. 2018, 7, e F. PAPARELLA, Il nuovo regime dei debiti tributari di cui all’art. 182ter L. Fall.: dalla transazione fiscale soggettiva e consensuale alla retrogradazione oggettiva, in Rass. Trib., 2018, 317; P. ROSSI, La transazione fiscale tra codice della crisi e legislazione di emergenza, in AA.VV., Saggi in ricordo di Augusto Fantozzi cit., 339; L. DEL FEDERICO, Transazione fiscale, in Enc. del Diritto -in corso di pubblicazione; il punto di vista dell’Agenzia delle Entrate è invece espresso nelle circolari 23 luglio 2018, n. 16, e 34/E del 2020).

Il trattamento tributario dei crediti tributari e previdenziali di cui agli artt. 63 ed 88 CCII delinea peculiari modalità procedimentali endoconcorsuali per poter giungere alla falcidia dei crediti in questione, cui è riconosciuto uno specifico regime di favore; senza l’attivazione di queste peculiari procedure i crediti tributari e previdenziali, cui le norme fanno riferimento, sono sottratti al concorso.

Tali procedure sono delineate in modo tale da consentire alle Agenzie fiscali ed agli enti di previdenza di quantificare tempestivamente i propri crediti e di vagliare prontamente ed attentamente le proposte di accordo o di concordato; al tempo stesso la tempestiva quantificazione e certificazione dell’indebitamento fiscale consente al debitore di elaborare e riformulare al meglio le sue proposte,  ma più in generale consente al ceto creditorio di avere adeguata conoscenza dell’entità dell’indebitamento e di vagliare prontamente ed attentamente il quadro complessivo della proposta e le sue prospettive di fattibilità.

In questa sede si intende esaminare la portata della sentenza delle Sezioni Unite sui temi della giurisdizione e della tutela del contribuente nell’ambito della transazione fiscale, cercando di capire quali possono essere i margini per un sindacato giurisdizionale sui provvedimenti di diniego dell’Agenzia delle Entrate ed ancor più avverso i comportamenti omissivi dell’Agenzia.

Le Sezioni Unite affrontano il regime della transazione fiscale introdotto dalla legge di stabilità del 2017, ma utilizzano in chiave interpretativa alcune fondamentali nuove disposizioni della Legge Fallimentare e del CCII, “essendo la configurazione dell'istituto transitata sostanzialmente immutata nelle disposizioni del CCII e nella novella anticipatrice del dicembre 2020, deve affermarsi che non si profila una "soluzione di continuità" tra la vecchia e la nuova disciplina, con la conseguenza… che la seconda può essere utilmente impiegata come elemento di valutazione ermeneutica della prima..”; un ruolo decisivo è assegnato al cramdown: potendo il Tribunale fallimentare omologare nonostante il dissenso dell’Amministrazione finanziaria, risulta chiaro il ruolo assorbente dell’AGO rispetto alla giurisdizione tributaria. Ma tale passaggio suscita perplessità in quanto il cramdown non trova applicazione in tutti i casi in cui la transazione fiscale presenta profili di illegittimità (v. infra §§ 3-5) ma soprattutto questo nuovo potere del Tribunale in sede di omologa non trovava applicazione nel regime della transazione fiscale introdotto dalla legge di stabilità del 2017), e le stesse Sezioni Unite ne escludono l’applicabilità alla concreta fattispecie in termini di ius superveniens. A tale proposito occorre segnalare come sia poco convincente quel passaggio della motivazione in cui le Sezioni Unite ritengono nella sostanza il cramdown applicabile anche prima della novellazione avviata dal CCII, affermando che “nella sostanziale invarianza dei presupposti e delle modalità del "trattamento dei crediti tributari" dettate da quest'ultima e da quella previgente” disciplina della transazione fiscale – “ -e qui ratione temporis applicabile, deve ritenersi che anche dalla seconda tale sindacato fosse comunque affidato allo stesso tribunale fallimentare, nell'ambito delle sue competenze "omologatorie" generali di cui agli artt. 162, 163, 179 ss. e 182 bis e ter, LF, rispettivamente per il concordato e per l'accordo di ristrutturazione dei debiti” (detta sentenza è stata peraltro già commentata da A.R. CIARCIA, Diniego di transazione fiscale e giurisdizione, 2021, I, 173.

Come si avrà modo di vedere si tratta di temi che travalicano i confini del diritto concorsuale, implicando complesse questioni in tema qualificazione dei poteri, di situazioni soggettive, di criteri di riparto giurisdizionale e di oggetto del processo tributario (Per ulteriori approfondimenti su tali profili v. DEL FEDERICO, Transazione fiscale, profili procedimentali e tutela del contribuente, in corso di pubblicazione negli atti in memoria del Prof. Francesco Tesauro).

 

-1) Rinvio del Codice della Crisi d’Impresa ed anticipata entrata in vigore della nuova transazione fiscale.

Allo stato il CCII dovrebbe entrare in vigore il 16 maggio 2022, ma l’emergenza sanitaria COVID -19 e la crisi economica fanno temere per ulteriori rinvii.

Pertanto la  L. 27 novembre 2020, n. 159, di conversione del D. L. 7 ottobre 2020, n. 125 (recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 ecc.) ha anticipato l’entrata in vigore di alcune disposizioni del CCII, e, per quanto rileva in questa sede, della nuova disciplina della transazione fiscale.

L'art. 3, comma 1 bisD. L. n. 125/2020, così come conv, dalla L. n. 159/2020, incide sulla disciplina della transazione fiscale contenuta nella legge fallimentare, innestandovi le innovative disposizioni di cui agli artt.  48, comma 563 e 88 CCII che vanno a  modificare gli artt. 180, 182 ter e 182 bis L.F.

Su tali norme si si soffermerà, qui va comunque evidenziato che la novella ha risolto il problema dell’anacronistico D.M. 4 agosto 2009, reso dal Ministero del Lavoro in tema transazione per i contributi previdenziali, prevedendo che “dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del… decreto cessa di avere applicazione il provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 32, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”.

Le nuove norme sono entrate in vigore dal 4 dicembre 2020 (art. 7 D. L. cit. ) e possono essere applicate immediatamente dai Tribunali in tutti i procedimenti pendenti, purchè non ancora omologati, in quanto norme di natura procedimentale.

Il Legislatore è intervenuto analogamente sul testo della L. 27 gennaio 2012, n. 3, dedicata ai procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Tramite il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, c.d. “Decreto Ristori”, convertito dalla L.
18 dicembre 2020, n. 176, la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento è stata novellata anticipando l’entrata in vigore degli interventi contenuti nel CCII.

Sono stati eliminati i limiti previsti per la falcidia dell’IVA e delle ritenute, in tema di omologa è stato introdotto il cramdown per i crediti tributari erariali, secondo quanto previsto dall’art. 48, comma 5, CCII (art. 12, comma 3-quater).

Per quanto riguarda la transazione fiscale e più in generale il trattamento dei crediti tributari e previdenziali negli accordi di ristrutturazione dei debiti, nel concordato preventivo e nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, nel complesso si è assistito ad una vera e propria anticipazione del CCII.

Ipotizzandosi che il CCII prima o poi entri in vigore i riferimenti normativi saranno effettuati tenendo conto delle sue norme, ma ormai vi è una sostanziale identità di disciplina rispetto alle novellate disposizioni della L. F. e della L. n. 3/2012.

 

–2) L’ambito applicativo.

Il peculiare trattamento dei crediti tributari e contributivi trova applicazione nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ex art. 63 e nel concordato preventivo ex art. 88.

Naturalmente il trattamento dei debiti tributari e contributivi negli accordi di ristrutturazione risulta disciplinato in modo molto più snello e semplificato rispetto al concordato preventivo, e ciò ovviamente in ragione della maggiore incisività del concordato (produttivo di effetti per tutti i creditori), rispetto agli accordi (di massima produttivi di effetti solo per i creditori che aderiscono).

L’ambito applicativo degli artt. 48, 63 ed 88 risulta comunque più vasto di quanto appaia prima facie.

Tale opzione interpretativa trova un appiglio positivo -significativo, ma molto circoscritto- nell’art. 65 comma 2, CCII, posto tra le disposizioni di carattere generale in tema di procedure di composizione della crisi da sovra indebitamento (Titolo IV, Capo II, Sezione I).

La norma si occupa in generale delle procedure di composizione delle crisi da sovraidebitamento, disponendo al comma 2 che in tale ambito “si applicano per quanto non specificamente previsto dalle disposizioni della presente sezione” (la I) “le disposizioni del titolo III, in quanto compatibili”.

Orbene tra tali disposizioni spicca l’art. 48, con il suo particolare comma 5 secondo cui, mediante cramdown, il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione Finanziaria o degli enti previdenziali quando l’adesione è decisiva e la proposta è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Ne consegue che il cramdown nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria e degli enti previdenziali si applica anche alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 ss.) ed al concordato minore (art. 74 ss.).

Inoltre l’art. 63, per quanto espressamente previsto nel suo comma 1, trova applicazione per tutti gli altri accordi ex artt. 57, 60 e 61, e l’art. 57 ricomprende anche gli accordi relativi ai soggetti cui sono applicabili le procedure di composizione della crisi da sovraidebitamento; restano tuttavia esclusi la procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore ex art. 67 (che ha assunto i connotati di un concordato sui generis) e gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento ex art. 56.

 

 

-3) L’adesione o il diniego alla proposta: margini di tutela giurisdizionale.

Nella pregressa disciplina della transazione sui ruoli (L. n. 178/2002) l’accordo si perfezionava in base ad apposito atto emesso dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate; si trattava di un vero e proprio provvedimento di accettazione della proposta di transazione, di natura discrezionale, e quindi da motivare attentamente, a fronte del quale in capo al contribuente si configurava una posizione di interesse legittimo (in tal senso si era espresso il Consiglio di Stato nel parere poi recepito dall’Agenzia Entr. con la circolare n. 8-E/2005. Per quanto attiene alle controversie sul provvedimento di diniego e sul silenzio sussiste la giurisdizione tributaria, a nulla rilevando l’ipotetica natura discrezionale del potere: Cass., Sez. Un., sentenza 14 dicembre 2016, n. 25632. Su tali profili v. A.R. CIARCIA, Diniego di transazione fiscale e giurisdizione cit.).

Il provvedimento era espressivo di una ponderazione di interessi in cui assumevano un ruolo fondamentale i parametri della maggiore economicità e della proficuità dell’accordo rispetto all’attività di riscossione coattiva.

Viceversa nel sistema della transazione fiscale endoconcorsuale la natura provvedimentale dell’atto di adesione all’accordo sfuma, accentuandosene la connotazione concorsuale (V. per tutti V. ZANICHELLI, Transazione fiscale e proposta di concordato preventivo: riflessi sull’ammissione alla procedura e sul voto dei creditori, in AA.VV., La crisi di impresa. Questioni controverse del nuovo diritto fallimentare, a cura di F. Di Marzio, Padova, Cedam,  2010, 377), come risulta chiaramente, in ottica evolutiva, dai vari interventi di modifica legislativa sino a giungere all’attuale sistema del CCII e specificamente al meccanismo del cramdown (P. VELLA, Procedure concorsuali e processi tributario, in Riv. dir. tribut., 2020, 98-99; il passaggio dalla vecchia transazione sui ruoli alla nuova transazione fiscale è ben evidenziato anche nella sentenza in commento).

Invero a norma dell’art. 88, comma 4, la posizione delle Agenzie fiscali si concretizza, per il “credito tributario chirografario complessivo”, mediante il voto sulla proposta concordataria, espresso dall’Ufficio locale, previo parere conforme della Direzione Regionale; il seguente comma 5, chiarisce poi che l’Agente della riscossione esprime il proprio voto limitatamente agli oneri della riscossione a lui spettanti ex art. 17 D. Lgs n. 112/1999.

Da ciò si desume che:

-l’atto finale non è configurabile come un atto di adesione o diniego alla proposta di transazione fiscale, ma semplicemente come voto sulla proposta concordataria, da rendersi secondo la normale procedura di voto ex artt. 107 ss;

-l’unico atto amministrativo rilevante di per se è il parere della Direzione Regionale dell’Agenzia, cui l’Ufficio locale deve conformarsi; si tratta quindi di un parere obbligatorio e vincolante ai fini dell’espressione di voto da parte dell’Ufficio;

-al di la del riparto di competenze fra riscossione ed accertamento per quanto riguarda le certificazioni, il voto sulla proposta concordataria è espresso dal solo Ufficio dell’Agenzia delle Entrate (o della altre Agenzie fiscali) per il “credito tributario chirografario complessivo”, sul quale quindi non può esprimere voto l’Agenzia della Riscossione.

Merita particolare attenzione il tema della natura giuridica del parere della Direzione Regionale e del voto dell’Ufficio sulla proposta di concordato, così come il problema dei margini di tutela per il debitore-contribuente. Ma si tratta di questioni caratterizzate da grande incertezza teorica ed applicativa.

Al riguardo, nonostante l’attenuazione della natura transattiva dell’accordo, e l’espressione dell’adesione, o del diniego, mediante voto favorevole, o contrario, si ritiene che l’Amministrazione sia tenuta ad operare in modo procedimentalizzato, secondo la logica della funzione amministrativa e quindi ponderando gli interessi pubblici, sulla base dei consueti ed immanenti parametri della economicità e della proficuità della proposta concordataria (Su tali profili è esplicita l’Agenzia Entr., circ. 18.4.2008, n. 40/E).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato il problema della giurisdizione nell’ambito della nuova transazione fiscale, ritenendo sussistente la cognizione dell’AGO, mediante la valorizzazione dei profili paritetici delle modalità di espressione del voto, del cramdown e più in generale della connotazione concorsuale dell’istituto. Tuttavia, si dissente in parte da tale autorevole pronuncia, in ragione di quanto si avrà modo di argomentare a proposito di taluni profili trascurati dalle Sezioni Unite, soprattutto per quanto riguarda la matrice pubblicistica della transazione fiscale.

Infatti se è vero che il voto dell’Ufficio sulla proposta concordataria è un puro e semplice atto paritetico, della stessa natura del voto dei normali creditori di diritto comune, così non è per quanto riguarda la determinazione dell’Ufficio posta a base della richiesta ed il parere obbligatorio e vincolante della Direzione Regionale.

Invero se l’Ufficio deve chiedere il parere della Direzione Regionale vuol dire che deve prima svolgere un’istruttoria autonoma e giungere ad una sua determinazione amministrativa, soltanto in una seconda fase tale determinazione va sottoposta alla Direzione Regionale; indi questa rende un proprio parere, obbligatorio e vincolante, sulla cui base poi, nella terza ed ultima fase l’Ufficio esprime il voto sulla proposta concordataria (la prassi amministrativa conferma tale ricostruzione sistematica).

Sono quindi identificabili tre fasi: -1) prima istruttoria e proposta dell’Ufficio; -2) seconda istruttoria e parere obbligatorio e vincolante della Direzione Regionale; -3) espressione del voto da parte dell’Ufficio ex art. 107 ss.

Orbene la procedimentalizzazione delineata dalla norma, con l’introduzione di un’articolata istruttoria, che per sua natura sfocia in un atto da motivare, dà inequivocabilmente corpo alla situazione soggettiva del debitore – contribuente in termini di diritto/interesse al corretto esercizio della funzione; addirittura nella prassi amministrativa si delinea anche obbligo di contraddittorio endoprocedimentale. Per quanto riguarda gli enti previdenziali gli artt. 63 ed 88 delineano un procedimento meno strutturato, ma ciò non toglie che anche tali enti, come tutti gli enti pubblici, debbano agire in via funzionale per la tutela degli interessi loro affidati, applicando i principi della legge generale sull’azione amministrativa (L. 7 agosto 1990, n. 241).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno valorizzato “la prevalente /assorbente finalità concorsuale dell’accordo transattivo e quindi del suo mancato raggiungimento a causa del dissenso opposto dall’Ente impositore”, la fase dell’espressione del voto ed il cramdown, ma hanno del tutto svalutato e marginalizzato le fasi dell’istruttoria procedimentale e l’esistenza degli atti amministrativi in  cui confluiscono le risultanze istruttorie.

La giurisdizione dell’AGO è stata infatti radicata sul cramdown, ossia sul nuovo potere del Tribunale fallimentare di omologare gli accordi o il concordato anche in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria laddove essa risulti determinante e conveniente (v. infra per i dettagli di tali requisiti): “questa scelta normativa indirizza in modo marcato la questione della mancata adesione alla proposta di transazione da parte dell'agenzia fiscale verso la competenza giurisdizionale di merito del tribunale fallimentare, collocando ancor più chiaramente l'istituto de quo all'interno delle procedure concorsuali ed alle loro peculiari, finalità, piuttosto che nell'ambito delle procedure di attuazione dei tributi”.

Ma vi sono casi non risolvibili mediante il cramdown, nei quali il debitore / contribuente risulterebbe quindi privo di tutela a fronte degli eventuali atti illegittimi emessi dall’Amministrazione finanziaria. Pertanto, quantomeno in tale ambito, deve essere ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice tributario e non dinanzi all’AGO (v. infra § 5).

Per quanto riguarda la matura del potere sembra configurabile un’attività discrezionale, in cui le Agenzie dovranno ponderare l’interesse fiscale ed i generali criteri ispiratori dell’attività amministrativa, con gli interessi della salvaguardia dei fattori produttivi, dei livelli occupazionali, della continuità aziendale ecc.; più in generale le Agenzie dovranno tener conto dei valori e degli interessi sottesi al diritto concorsuale.

Tuttavia va fatta una precisazione sul requisito della “convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale”, valorizzato ed esplicitato nel CCII, giacché gli artt. 63, comma 1, ed 88, comma 2, per quanto riguarda i crediti tributari e previdenziali, richiedono che l’attestazione del professionista debba essere in merito specifica; inoltre l’art. 48, comma 5, prevede il cramdown quando “sulla base… della relazione del professionista… la proposta di soddisfacimento… è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”. Il requisito della convenienza attenua quindi la connotazione discrezionale dell’attività delle Agenzie fiscali, che tuttavia conserva ampi margini di apprezzamento (contra: M. GOLISANO, La nuova “transazione fiscale” dell’art. 63 del codice della crisi e dell’insolvenza: fra nuove difficoltà interpretative, inediti poteri sostitutivi e definitive conferme circa la vincolatezza della funzione esercitata, in Riv. trim. dir. trib., 2019, 459).

Ciò comporta che a tale atto amministrativo debbono essere applicate le normali regole dell’agire funzionalizzato. Conseguentemente, in caso di diniego, il debitore -contribuente potrà impugnare l’atto amministrativo prodromico all’espressione di voto, sindacandone la legittimità (Contra L. TOSI, La transazione fiscale cit., 1090, il quale pur ammettendo la natura discrezionale dell’atto ne esclude l’impugnabilità, in quanto non ricompreso nell’elencazione di cui all’art. 19 D. Lgs. n. 546/1992), a nulla rilevando che in concreto si dia seguito ad una espressione di voto negativo o si verifichi una mera inerzia silente.

Pur tra le tante incertezze che caratterizzano il tema sembra ragionevole ritenere che sia impugnabile il parere obbligatorio e vincolante della Direzione Regionale, configurandosi esso, e non la proposta dell’Ufficio, come atto amministrativo determinante ai fini dell’espressione di voto.

Il debitore- contribuente potrà tutelarsi in giudizio anche contro l’inerzia dell’Agenzia e quindi contro il mero silenzio, ex art. 2, L. n. 241/1990. Si ritiene infatti che tale legge contenente norme generali sull’azione amministrativa, si applichi anche in materia tributaria, in quanto compatibile e salve espresse deroghe; ed invero l’applicabilità dell’art, 2, “Conclusione del procedimento”,  non è affatto preclusa dall’art. 13, 2 co.

Pertanto l’Agenzia delle Entrate, a norma dell’art. 2, ha il dovere di concludere il procedimento mediante un provvedimento espresso entro il termine stabilito per legge o per regolamento, o in mancanza entro trenta giorni dall’istanza.

Nel nostro caso, in mancanza di norme ad hoc, non può che trovare applicazione il termine di base di trenta giorni, decorrente dalla convocazione dei creditori ai fini delle operazioni di voto (artt. 104 e 107); l’apposita istanza è infatti concretata dall’avviso, comunicato dal Commissario Giudiziale, contenente le modalità delle operazioni di voto e soprattutto il termine iniziale e finale per l’espressione del voto; L’Agenzia deve concludere il suo procedimento amministrativo entro trenta giorni dalla comunicazione di tale avviso, salvo poi esprimere il voto nei termini indicati dal Commissario. Decorso il termine di trenta giorni dall’avviso del Commissario Giudiziale, il debitore-contribuente potrà proporre ricorso avverso il mero silenzio, senza necessità di alcuna ulteriore diffida (art. 2, ult. co.).

Ovviamente risulterà ben difficile ottenere una pronuncia giurisdizionale utile nella serrata fase della formazione delle maggioranze concordatarie, ma questo è un inconveniente pratico (rispetto al quale giocheranno un ruolo decisivo la scansione degli adempimenti concordatari e delle operazioni di voto da parte del Commissario, la ponderazione degli interessi, l’apprezzamento del fondamentale requisito della convenienza, la congruità della motivazione dell’atto, la tempistica ed il contenuto dei provvedimenti cautelari, il rischio del risarcimento dei danni ecc.).

Comunque va chiarito che al di fuori del cramdown in sede di omologa sono alquanto marginali i casi in cui è possibile configurare un interesse del debitore - contribuente per contestare atti illegittimi e/o comportamenti ostativi delle Agenzie fiscali e degli enti di previdenza (v. infra § 5).

E’ particolarmente controverso anche il profilo della giurisdizione.

In passato era largamente condivisa la tesi della cognizione del Giudice Amministrativo per le impugnazioni dei dinieghi di rateizzazione dei tributi iscritti a ruolo (di cui è evidente l’assonanza con il diniego di transazione), così come, più in generale di tutti gli atti discrezionali che non rilevano ai fini della determinazione dell’an e del quantum del tributo. Tuttavia la situazione è cambiata con i significativi ampliamenti della giurisdizione tributaria cfr. (artt. 2 e 19 D. Lgs. 31.12.1992, n. 546); la materia tributaria è stata devoluta per intero alla cognizione delle Commissioni, rafforzandone la connotazione di giurisdizione per oggetto, a nulla rilevando la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi o tra atti vincolati ed atti discrezionali (conf. Cass., Sez. Un., n. 25632/2016 (in tema di transazione sui ruoli). Ed al riguardo va evidenziato che lo stesso art. 19 (1 co., lett. h) devolve esplicitamente al giudice tributario l’impugnazione del rigetto di domande di definizione agevolata del rapporto tributario, tra cui rientra certamente il rigetto della domanda di transazione fiscale.

Analoghi ragionamenti andrebbero sviluppati a proposito dell’operato degli enti previdenziali, ai quali l’art. 88 dedica scarsa attenzione (il comma 3 li ignora del tutto); con l’ulteriore complicazione della multiformità di tali enti, che a volte sono di natura privata, del coinvolgimento del giudice del lavoro e della previdenza ecc.

Ma il profilo della giurisdizione è stato radicalmente ridefinito in ragione del cramdown ora codificato nel comma 5 dell’art. 48, “Omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti”: l’asse del riparto è stato spostato dalla giurisdizione per oggetto delle Commissioni Tributarie alla giurisdizione generale dell’AGO (v. infra §§ 4 e 5).

 

-4) Il cramdown in sede di omologa.

Con l’intento di risolvere alla radice la radicale ed aprioristica avversità delle Agenzia fiscali e degli enti previdenziali, l’art. 48, comma 5, prevede chiaramente che  il Tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo “anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza… quando l’adesione è decisiva” ai fini del raggiungimento delle maggioranze “e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza… è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”. Un analogo meccanismo è stato introdotto nell’ambito della composizione della crisi da sovraindebitamento (v. retro § 1).

E’ quindi evidente che, ai fini strettamente concorsuali, la fondamentale esigenza di tutela del debitore - contribuente avverso il parere della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, e/o l’inerzia delle Agenzie fiscali e degli enti previdenziali, è soddisfatta in sede di omologa, nell’interesse oggettivo della procedura. Potranno residuare margini di tutela giurisdizionale del debitore - contribuente per altri profili, ma la fondamentale esigenza di salvaguardia della procedura è assicurata mediante l’intervento del Tribunale. Ciò consente di scavalcare il sottostante potenziale contenzioso con le Agenzie fiscali e con gli enti previdenziali, gravido di incertezze e di complessità, ponendo al centro della conflittualità il Tribunale concorsuale ed il criterio della convenienza. 

A prescindere dalla tematica della giurisdizione (v. anche infra § 5), sul fronte degli effetti la prima formulazione dell’art. 48, comma 5, ha suscitato perplessità giacché accentuava il profilo dell’omologa, tacendo dell’efficacia; ma ritenere omologabile l’accordo non implica necessariamente l’ampliamento dell’efficacia ai non aderenti. Si è quindi giunti ad ipotizzare un cramdown sull’omologa, ma non sull’efficacia (in tal senso v. F. PAPARELLA, Prime riflessioni sui profili tributari del nuovo Codice della crisi cit.).

Questi dubbi interpretativi possono essere oggi fugati ove si consideri che:

-nella sua formulazione finale l’art. 48 comma 5, riguarda non solo gli accordi ma anche il concordato preventivo, per il quale è pacifico che l’omologa produce effetti erga omnes, vincolando tutti i creditori;

-l’estensione dell’accordo ai non aderenti è ritenuta ormai praticabile anche per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ex art. 61 e per le convenzioni in moratoria ex art. 62;

-il presupposto del cramdown costituito dal requisito della convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale, rende inconcepibile l’ipotesi della differenziazione dei crediti tributari e contributivi ai fini dell’omologa ed ai fini dell’efficacia; in tal caso non avrebbe senso alcuno porre il tema della convenienza, laddove si ritenessero i crediti in questione estranei agli effetti della procedura e quindi tali da dover essere soddisfatti per intero;

-una lettura restrittiva dell’art. 48, comma 5, si porrebbe in contrasto con la Direttiva (UE) 2019/1023 del 20 giugno 2019 (direttiva sulla ristrutturazione e sull'insolvenza), che contempla un generalizzato cramdown, senza consentire regimi preferenziali per le autorità fiscali o più in generale le pubbliche amministrazioni (art. 10);

-le collaterali ipotesi di cramdown - per il concordato preventivo ex art. 112, e per il  il concordato nella liquidazione giudiziale ex art. 245 –producono normali effetti sia in termini di omologazione, sia in termini di efficacia, senza differenziazioni soggettive di sorta. Ed ovviamente nel silenzio della legge non si possono introdurre limiti di sorta nell’ambito del cramdown ex art. 48;

- il cramdown ex art. 48 risponde all’esigenza di superare le notorie situazioni di stallo causate dall’inerzia e/o dalla radicale ed aprioristica avversità dell’Agenzia delle Entrate. Sarebbe pertanto irrazionale trasformare il cramdown in un meccanismo di smaccato favore per le Agenzie fiscali, che pur persistendo nelle loro ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, avrebbero infine il vantaggio di non subire gli effetti dell’omologa e quindi di essere soddisfatte per intero a scapito del ceto creditorio.

 

-5) Casi di persistente interesse all’impugnazione dinanzi al giudice tributario.  

Sul piano della tutela giurisdizionale il cramdown ha risolto alla radice gran parte dei problemi, facendo venir meno l’interesse del debitore – contribuente ad agire dinanzi al giudice tributario.

La maggior parte dei conflitti fra il debitore – contribuente e le Agenzie fiscali (e/o gli enti previdenziali) è risolta dal Tribunale in sede di omologa, con meccanismi uniformi per gli accordi di ristrutturazione, per il concordato preventivo e per le analoghe procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Sino a questo punto risultano quindi condivisibili le argomentazioni su cui si sono basate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel radicare la giurisdizione dell’AGO a fronte delle controversie causate dalla mancata adesione dell’Amministrazione finanziaria, potendo essere composte appunto dal Tribunale in sede di omologa.

Viceversa, si dissente, a favore della giurisdizione tributaria, laddove il conflitto non può essere risolto mediante il cramdown e quindi il debitore / contribuente risulta privo di tutela a fronte degli eventuali atti illegittimi emessi dall’Amministrazione finanziaria (v. retro § 3).

Residuano infatti significativi margini di persistente interesse per l’impugnazione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale del parere obbligatorio e vincolante della Direzione Regionale, preliminare all’espressione di voto nell’adunanza; assumendo tale parere la configurazione di atto impugnabile ex art. 19 D. Lgs. n. 546/1992 (v. retro § 3). Per gli enti previdenziali il procedimento è meno strutturato, ma le questioni di fondo si pongono in modo analogo, ferma restando la cognizione del giudice del lavoro e della previdenza (v. retro § 3).

Il diniego di transazione fiscale sarebbe certamente impugnabile laddove si ritenesse configurabile la (non condivisibile) concezione restrittiva del cramdown operante per il solo computo delle maggioranze, ma non per la falcidia (v. retro).

Non è invece concepibile l’impugnazione del diniego nei casi in cui il cramdown non è applicabile in quanto la mancata adesione delle Agenzie fiscali (e/o degli enti previdenziali) non risulta determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze. Ciò in quanto in tali casi se il concordato preventivo è omologato, le Agenzie fiscali e/o gli enti previdenziali subiscono i normali effetti del concordato ex art. 184 L.F., anche se hanno votato contro o sono rimasti inerti. Se invece il concordato non è omologato per mancato raggiungimento delle maggioranze, non si possono porre problemi di sorta in merito al sindacato giurisdizionale sulla mancata adesione delle Agenzie fiscali e/o degli enti previdenziali, non determinante e quindi di per sé inconferente rispetto al risultato finale.

Comunque, per un’ipotesi di impugnabilità del diniego di transazione fiscale nel concordato preventivo si pensi al caso in cui la contrarietà dell’Agenzia risulti basata su un illegittima quantificazione dei tributi dovuti, ed ancor di più su un’illegittima quantificazione che vizia anche l’apposita certificazione dell’indebitamento tributario.

Al riguardo le stesse Sezioni Unite della Cassazione hanno ammesso la configurabilità di contrasti sull’an e quantum debeatur dei carichi tributari risultanti dalle certificazioni in questione, ma hanno risolto il problema, sempre a favore dell’AGO, facendo leva sull’art. 90 del D.P.R. n. 602/1973, che delinea il meccanismo dell’ammissione provvisoria dei crediti tributari. Tuttavia il riferimento all’art. 90 non convince, in quanto la norma fa riferimento soltanto alle “somme iscritte a ruolo” su cui “sorgono contestazioni, mentre la certificazione dei crediti tributari non è atto della riscossione ed ha una estensione molto più ampia. Inoltre il Tribunale fallimentare sui crediti tributari non può svolgere un sindacato incidentale, stante la riserva a favore della giurisdizione tributaria.

Pertanto, in tal caso la controversia avente ad oggetto il diniego di transazione fiscale, basato su illegittima quantificazione/certificazione, dovrà essere devoluta al giudice tributario, risultando precluso il sindacato incidentale da parte del Tribunale, anche in sede di cramdown ai fini dell’omologa.

Comunque, al di là di qualche caso limite, è chiaro che, per quanto riguarda la transazione fiscale nel concordato preventivo, il cramdown ha fatto venir meno l’interesse del debitore – contribuente ad agire dinanzi al giudice tributario.

La questione si prospetta ben diversamente, ed in modo piuttosto rilevante, in tema di accordi di ristrutturazione.

Ipotizzando sempre una mancata adesione delle Agenzie fiscali (e/o degli enti previdenziali) in un contesto in cui tale mancata adesione non è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze, e quindi in cui non può trovare applicazione il cramdown da parte del Tribunale, il debitore – contribuente potrà impugnare l’atto di diniego dinanzi al giudice tributario (o dinanzi al giudice del lavoro e della previdenza). In questo caso l’interesse è rinvenibile nell’utilità pratica della adesione all’accordo di ristrutturazione. Invero chi aderisce subisce gli effetti dell’accordo, mentre i creditori estranei debbono essere soddisfatti per intero.

Per le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento la questione si pone in termini simili, dovendosi distinguere, in ragione di quanto suindicato, tra accordi di ristrutturazione e concordato minore, ma il quadro risulta ancor più incerto in quanto nell’ambito dell’insolvenza civile non si rinviene una specifica disciplina della transazione fiscale.

Si tratta poi di capire come articolare la tutela a fronte di una mera inerzia delle Agenzie fiscali (e/o degli enti previdenziali).

La questione è stata già anticipata retro (§ 3) e risolta nella logica dell’art. 2 della legge n. 241/1990. Per la transazione fiscale nel concordato preventivo le Agenzia fiscali e gli enti previdenziali hanno il dovere di concludere il procedimento entro trenta giorni dall’istanza; negli accordi di ristrutturazione tale termine è stabilito inequivocabilmente dall’art. 63 in novanta giorni.

Per quanto riguarda l’oggetto dell’impugnazione e l’identificazione del petitum nel giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria (ma è ovvio che analoghi problemi si pongono per il Giudice del lavoro e della previdenza), in questa sede non è consentito indugiare sul dibattito relativo all’oggetto del giudizio tributario, tutt’ora aperto.

Certo il debitore – contribuente che impugna il diniego di transazione fiscale ha interesse ad ottenere l’adesione dell’Agenzia, ma il giudice tributario non ha il potere sostitutivo di disporre tale adesione, al concordato preventivo o all’accordo di ristrutturazione, in luogo dell’Agenzia (potere che invece è stato attribuito al Tribunale in sede di omologa mediante cramdown).

Il giudice tributario non ha tale potere sia in quanto il giudizio è di annullamento (salvo che per le liti da rimborso e simili), sia in ragione del tradizionale e solido divieto per tutti gli organi giurisdizionali di sostituirsi nella decisione di merito all’Amministrazione, scaturente dagli artt. 4 e 5 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E (espressione del fondamentale principio della separazione dei poteri, sul fronte giudiziario/esecutivo). Ovviamente il Legislatore può introdurre deroghe, attribuendo al giudice poteri sostitutivi, come è accaduto per il cramdown, ma si tratta di interventi derogatori che necessitano di solida ed inequivoca base normativa (V. per tutti R. CAVALLO PERIN, I limiti ai poteri delle giurisdizioni nelle controversie contro gli atti della pubblica amministrazione, in Dir. Proc. Amm., 2016, 981).

Né tale strada potrebbe ritenersi percorribile in base alla corrente, ma non condivisibile, concezione del processo tributario come giudizio di impugnazione – merito, che, nonostante la sua qualificazione, risulta centrata sulla quantificazione dell’obbligazione tributaria e non sul merito amministrativo.

Pertanto, a fronte dell’annullamento dell’atto di diniego della transazione fiscale sarà l’Agenzia a doversi conformare alla sentenza resa dalla Commissione Tributaria.

Come è noto nel processo amministrativo per i casi d’attività vincolata o quando risulti che non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità, né siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione, il giudice può accertare la fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, comma 3, c.p.a.) e condannare al rilascio del provvedimento (art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a.). Ma, in mancanza di norme del genere (giustificate dalla rilevanza degli interessi pretensivi nel c.p.a.), il giudizio tributario non può spingersi oltre l’accertamento conformativo della sentenza di annullamento, cui può seguire l’intervento del commissario ad acta nominato in sede di ottemperanza (nel giudizio tributario di norma si controverte su interessi oppositivi).

Comunque, a prescindere dalle difficoltà applicative e dai limiti che gravano sugli strumenti di tutela, il nodo centrale è quello della giurisdizione.

Come si è avuto modo di evidenziare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto sussistente la giurisdizione dell’AGO, valorizzando i profili paritetici delle modalità di espressione del voto, il cramdown e più in generale la connotazione concorsuale della transazione fiscale. Sono stati recepiti i profili condivisibili di tale ricostruzione, ma al tempo stesso ne sono stati rimarcati alcuni aspetti critici.

Il nucleo centrale della sentenza delle Sezioni unite va certamente ripreso e valorizzato: l’introduzione del cramdown ha risolto la maggior parte delle questioni attinenti alla tutela del debitore / contribuente in caso di contrarietà delle Agenzie fiscali (e/o degli enti previdenziali) alla transazione fiscale. Ma, come si è visto, residuano ipotesi di persistente interesse all’impugnazione dinanzi al giudice tributario.

 

 

Conclusioni

Il riparto di giurisdizione tra AGO e giudice tributario va focalizzato, dovendosi in primo luogo chiarire che non può dipendere dalle esigenze concrete, dall’utilità degli strumenti di tutela, dagli interessi e dalle strategie processuali delle parti.

La giurisdizione tributaria è saldamente fondata sul criterio di riparto dell’oggetto. Appartengono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi (art. 2 D. Lgs. n. 546/1992), sulla base degli atti impositivi indicati dalla legge processuale tributaria e delle corrispondenti situazioni di inerzia (artt. 19 e 21); restano escluse dalla giurisdizione delle Commissioni Tributarie soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata, successivi alla notifica degli atti impositivi attinenti alla fase della riscossione (v. retro § 3).

Ma la delimitazione di questo oggetto non è basata sul profilo obbligatorio, dell’an e del quantum del tributo (come postulano le Sezioni Unite), quanto piuttosto sull’esercizio della funzione impositiva.  Risulta in tal modo agevole comprendere la pacifica estensione della giurisdizione tributaria sino a ricomprendere atti che non attengono all’obbligazione tributaria, ma alla funzione impositiva: -atti di variazione d’ufficio del domicilio fiscale; -atti di diniego della rateizzazione; -atti relativi all’ipoteca ed al fermo; -atti di diniego o di revoca dell’autorizzazione per operazioni IVA intracomunitarie; -atti di diniego dell’attivazione delle procedure amichevoli per la risoluzione delle controversie fiscali internazionali; -atti di diniego del condono e di rigetto della definizione agevolata di rapporti tributari; -atti di diniego dell’autotutela ecc.

La giurisdizione ordinaria può trovare spazio soltanto al di fuori dell’oggetto della giurisdizione tributaria (cioè al di fuori dell’esercizio della funzione impositiva), ed esclusivamente in presenza di diritti soggettivi.

La norma che conferisce il potere di cramdown al Tribunale in sede di omologa si configura come attributiva di specifiche potestà all’AGO, investita di una giurisdizione di merito e sostitutiva, in deroga al riparto per oggetto ed al tradizionale divieto di pronunce sostitutive.

Pertanto, laddove la controversia in tema di transazione fiscale non risulti ricompresa nella cognizione del Tribunale mediante cramdown in sede di omologa, si configura la normale giurisdizione delle Commissioni Tributarie nelle controversie tributarie, aventi ad oggetto l’esercizio della funzione impositiva.