Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

15/07/2020 - RELAZIONE - Le sezioni unite tornano a definire il criterio di riparto della giurisdizione nelle liti relative all’esecuzione forzata tributaria.

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

In positivo, nell’ordinanza n. 7822/2020 si ravvisa una sostanziale linea di continuità, o quanto meno di compatibilità, con le quattro importanti pronunzie giurisdizionali che, dal 2017 al 2020, si sono (una per ogni anno) susseguite in tema di riparto di giurisidizione nell’esecuzione forzata tributaria; le perplessità sono sostanzialmente riconducibili alle espressioni con le quali l’ordinanza sembra attribuire alla cartella di pagamento la natura di ultimo atto impositivo oltre il quale scatta la giurisdizione ordinaria.

PAROLE CHIAVE: esecuzione forzata - pignoramento - riparto giurisdizione


di Massimo Basilavecchia

La (faticosa) lettura dell’importante ordinanza n. 7822/2020 delle sezioni unite della Corte di cassazione suscita reazioni contrastanti.

  1. In positivo, si ravvisa una sostanziale linea di continuità, o quanto meno di compatibilità, tra le quattro importanti pronunzie giurisdizionali che, dal 2017 al 2020, si sono (una per ogni anno) susseguite in tema di riparto di giurisidizione nell’esecuzione forzata tributaria. Poteva andare peggio, anche se qualche dissonanza c’è, ed era inevitabile, dopo che la Corte Costituzionale aveva restituito al giudice ordinario margini di tutela preclusi dal testo dell’art. 57 d.p.r. 602/73. Si conferma che quando, semplificando, si dice che è ammesso il ricorso tributario contro il pignoramento, come se quest’ultimo fosse atto impugnabile davanti al giudice tributario, si incorre in un equivoco che è fuorviante: non è mai il pignoramento impugnabile davanti alle commissioni, lo sono sempre e solo gli atti impositivi se, in occasione del pignoramento (così come in occasione del rilascio dell’estratto di ruolo, o in occasione della proposta di compensazione volontaria), si scopre la loro asserita notificazione e se ne vuole contestare la esistenza o validità.

Inoltre, la scelta di rimarcare la giurisdizione tributaria, come già accaduto nel 2017, ogni volta in cui la questione della legittimità delle procedure tributarie viene dedotta in sede di impugnazione del pignoramento, appare a mio avviso condivisibile; peraltro, una opportuna delimitazione del principio fissato dalle stesse sezioni unite nel 2017 restituisce al debitore opponente, che non intenda rimettere in discussione atti e procedimenti tributari, di giocarsi le sue carte contro il pignoramento esclusivamente in sede civilistica, quando fa valere fatti estintivi della pretesa tributaria non dipendenti dalla mancata o nulla notificazione degli atti tributari.

Ancora, pare positiva, come del resto era stato auspicato, la scelta di valorizzare, nel criterio di riparto, una logica desunta dall’art. 19 comma 3 del d.lgs. n. 546/92, che affida al ricorrente la scelta se limitare l’impugnativa al solo fine di annullare il più recente atto lesivo, ovvero se rimettere in discussione anche fasi pregresse dei procedimenti. Sotto questo aspetto, la sentenza ha cura di segnalare che il principio di diritto enunciato nel 2017 dalle sezioni unite va “precisato”, individuando nell’art. 19 comma 3 la norma che abilita la contestazione circa un atto presupposto conosciuto solo con l’atto consequenziale.

Assumendo questa direzione, l’ordinanza avrebbe forse potuto meglio precisare un punto delicato, che resta tuttora incerto. Infatti, la sistematica delle sezioni unite funziona senza problemi, quando, attraverso il pignoramento, il contribuente intende contestare gli atti presupposti; ma se l’invalidità, o la mancanza della notifica di questi ultimi sono dedotti solo al fine di impedire il pignoramento, la giurisdizione tributaria si giustifica se si ammette che il giudice tributario può annullare, o quanto meno dichiarare inefficace, l’atto impositivo non notificato; non potrebbe, infatti, indirizzare la sua pronuncia direttamente sull’atto esecutivo. Un’analisi della natura e degli effetti della sentenza del giudice tributario avrebbe potuto trovare posto in un’ordinanza così completa e articolata, soprattutto se si considera che la soluzione delle sezioni unite impatta sul pacifico orientamento giurisprudenziale per il quale il vizio o la carenza della notifica di un atto non sono fattori invalidanti l’atto stesso ma ne compromettono soltanto l’efficacia e la sua attitudine a giustificare gli atti successivi della sequenza.

Questo, sul piano strettamente pertinente la questione del riparto. Ma l’ordinanza ha anche spunti sistematici “paralleli”, dei corollari, di grande importanza, che potranno essere recuperati in futuro e che non devono passare sotto silenzio, perché sarebbe imperdonabile se un tale patrimonio interpretativo, data l’autorevolezza dell’organo da cui proviene, fosse destinato ad essere disperso perché assorbito dalle questioni principali.

In chiusura dell’ordinanza, ad esempio, sia pure con una conclusione restrittiva, viene giustamente richiamata l’attenzione sulla possibilità di translatio iudicii. Ma soprattutto, nella combinazione delle forme di tutela, viene sottolineato come in caso di giurisdizione del giudice tributario non venga a mancare la possibilità di tutela immediata contro l’esecuzione del pignoramento, dato che il giudice tributario ha un potere di sospensione dell’atto impugnato i cui effetti, secondo le sezioni unite, non possono non riverberarsi sugli atti esecutivi successivi sottratti alla giurisdizione delle commissioni tributarie. Il potere cautelare del giudice tributario, valorizzato dalla normativa degli ultimi anni ma nella prassi esercitato spesso in modi e tempi inadeguati, viene così ad assumere giustamente importanza centrale sul piano della completezza e della effettività della tutela.

  1. Le perplessità sono sostanzialmente riconducibili alle espressioni con le quali l’ordinanza sembra attribuire alla cartella di pagamento la natura di ultimo atto impositivo oltre il quale scatta la giurisdizione ordinaria, riportando il testo dell’art. 2 d.lgs. n. 546/92. Sebbene comprensibile alla luce delle alternative delle quali le sezioni unite dovevano farsi carico e alla luce della semplificazione già tratteggiata, con eccessiva disinvoltura, dalla sentenza a sezioni unite n. 34447/2019, la linea di confine può rivelarsi fuorviante, poiché esistono molte possibilità che, dopo la cartella di pagamento, vengano emessi atti sui quali la giurisdizione continua ad appartenere al giudice tributario, per giurisprudenza o per espressa attribuzione normativa (compensazione volontaria ex art. 28-ter d.p.r. 602/73, ipoteca dell’agente della riscossione, fermo amministrativo sui beni mobili, dilazione di pagamento negata in tutto o in parte, atti istruttori, ad es da art. 48-bis d.p.r. 602/73, se ritenuto impugnabile; dell’intimazione di pagamento ex art. 50 d.p.r. 602/73 le sezioni unite tengono conto, ma senza trarne troppe conseguenze).

In definitiva: la giurisdizione ordinaria comincia con il pignoramento, come in effetti stabilisce l’art. 2 del d.lgs. n. 546/92, ma con la cartella di pagamento non finisce la giurisdizione tributaria, ed in questo l’indicazione dell’art. 2 può essere fuorviante e non è stata sinora seguita dalla giurisprudenza. La mancata considerazione di atti intermedi, peraltro numerosi, atipici, non tipizzabili in uno schema precostituito, successivi alla cartella ma da sottoporre al giudice tributario, si perde nella schematizzazione del principio di diritto enunciato, anche se non ha il sapore di una smentita della giurisdizione tributaria prevista per tali atti.

Da questa mancata considerazione della varietà e della complessità degli schemi che possono precedere la riscossione coattiva (anche e soprattutto in considerazione del rilievo dato all’art. 19 comma 3 d.lgs. n. 546/92) deriva che la seconda parte dell’ordinanza ed in particolare la parte conclusiva non sembrano idonee a esprimere quell’effetto nomofilattico che il principio di diritto vorrebbe esternare; troppo particolare il caso, troppo marginale l’imposta di cui si discuteva (imposta sul canone delle concessioni), troppo invasiva, rispetto al merito delle questioni, l’analisi compiuta dall’organo regolatore della giurisdizione.

D’altra parte, un criterio regolatore della giurisdizione deve avere una (relativa) semplicità di fondo e non può ancorarsi ad un’analisi casistica estremamente dettagliata; o per lo meno, l’ordinanza, certamente pregevole per impegno ricostruttivo, ha un’utilità in termini generali per la prima parte, molto meno per la seconda che disegna un riparto poco idoneo ad essere ripreso in successive occasioni.

  1. E’ utile riprendere il filo del percorso delle ultime quattro fondamentali pronunzie, di cui si diceva all’inizio, succedutesi sul tema; ve ne sono altre, nel periodo 2017 – 2020, ma la loro portata appare meno rilevante.

La sentenza 13913/2017 delle sezioni unite, motivando anche sulla base dei divieti posti alla tutela ordinaria dall’art. 57 d.p.r. 602/73, aveva deciso che l’impugnazione degli atti impositivi (quelli aventi effetti di riscossione, soprattutto) doveva essere consentita davanti alle commissioni anche quando la loro notifica era mancata, o almeno il destinatario degli atti tanto assumeva; in tale contesto, se solo con il pignoramento viene conosciuto dal destinatario un atto impugnabile, il momento di effettuazione del pignoramento assume funzione di dies a quo per proporre ricorso davanti alla commissione tributaria (avverso l’atto impositivo, come detto). La soluzione, a mio avviso con una sola riserva condivisibile, ma da molti invece autorevolmente criticata (Glendi, per tutti), è stata condivisa sia dalla Corte costituzionale nel 2018, sia dalle sezioni unite nell’ordinanza qui in esame; le si può muovere un solo rilievo, ad avviso di chi scrive, e riguarda l’indifferenza rispetto alla domanda del soggetto opponente; il quale ben potrebbe non avere alcun interesse a censurare le fasi tributarie della vicenda, essendo la mancata notifica sufficiente a invalidare il pignoramento (questa soluzione, peraltro, è apparsa probabilmente non praticabile alle sezioni unite, che decidevano prima che la Corte rivitalizzasse l’art. 57 citato). 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 114 del 2018, si pone come detto in linea con le sezioni unite, confermando che è corretto che i vizi del titolo (ruolo/cartella) siano valutati dalle commissioni tributarie; ma la Corte deve fare i conti con i casi nei quali da un lato le commissioni tributarie non possono più essere chiamate a decidere, perché non si discute più di vizi propri degli atti impositivi, ma dall’altro nemmeno il giudice ordinario può intervenire, per i divieti di cui all’art. 57. Che finalmente viene dichiarato incostituzionale, con specifico riferimento all’inibitoria di azioni oppositive giustificate da cause sopravvenute – rispetto alla notifica del titolo - di invalidità del titolo (per sospensione, per definizione agevolata, per  pagamento). Non sono prese in considerazione, nella esemplificazione che viene fatta in motivazione, le ipotesi in cui la modifica del titolo riguardi il quantum, piuttosto che l’an, ovvero dipenda dal sopravvenire della prescrizione.

Anche la Corte adotta il binomio cartella/pignoramento, ma la sentenza non autorizza conclusioni anomale rispetto all’ipotesi di atti intermedi: deve ritenersi che l’opposizione ex art. 57 d.p.r. 602/73 sia necessaria solo nell’ipotesi che il fattore sopravvenuto, che priva di efficacia il titolo, non sia stato deducibile in precedenza impugnando atti impositivi successivi alla cartella ma anteriori al pignoramento.

Alla sopravvenuta prescrizione ha invece riguardo Cass. n. 34447/2019,  che regola la giurisdizione in favore del foro fallimentare, riconoscendo che in tale sede, e precisamente in sede di ammissione al passivo, deve trovare soluzione la questione della prescrizione maturata medio tempore, dopo la notifica della cartella e prima dell’istanza di ammissione al passivo fallimentare. Anche questa sentenza non ha contenuti innovativi rispetto alle sezioni unite del 2017 e alla Corte costituzionale del 2018, se non per l’importante integrazione - però in assoluto imprecisa, come si è detto – che “dopo la notificazione della cartella” la giurisdizione tributaria avrebbe fine. Si deve a questa sentenza altra importante affermazione, sostanzialmente condivisibile ma insidiosa nella sua assolutezza, secondo la quale alle commissioni tributarie non può riconoscersi, stante il criterio di riparto strutturato per “fasi”, un’esclusiva, quanto a competenza a decidere an e quantum del tributo.

Infine, l’ordinanza del 2020 qui commentata, che avrebbe potuto allontanarsi almeno in parte dalle conclusioni raggiunte nel 2017, e invece le ratifica e le coordina con gli altri tre precedenti qui – e ivi – ricordati. Con l’importante precisazione, rispetto alla prima sentenza, che se questioni di notifica del titolo esecutivo non vengono sollevate impugnando il pignoramento, e se dunque quest’ultimo è “opposto” per vizi propri non ricollegabili ai procedimenti tributari, nella logica dell’opzione del ricorrente la giurisdizione si radica sul giudice ordinario, che non dovrà sindacare le vicende tributarie.