argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32432, depositata in data 13 dicembre 2024, ha nuovamente precisato i confini dell’accesso agli atti istruttori, precisando che, in caso di diniego all’accesso, il contribuente può lamentare una violazione del suo diritto di difesa solo a condizione che riesca a dimostrare che la documentazione richiesta fosse effettivamente idonea a incidere sull’esito dell’accertamento stesso. La pronuncia consente alcune riflessioni prospettiche quanto alla sorte dell’accesso agli atti nel procedimento tributario, ora che, in attuazione della legge delega della riforma fiscale n. 111 del 2023, con l’art. 6-bis, comma 3, della legge 212 del 2000, è stato finalmente codificato tale diritto in ambito tributario.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. 13 dicembre 2024, n. 32432)PAROLE CHIAVE: accesso agli atti - riforma fiscale - diritto di difesa
di Vincenzo Starace
1. Con la sentenza n. 32432, depositata in data 13 dicembre 2024, la Suprema Corte di Cassazione, richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass., sez. V, sent. 15 dicembre 2022, n. 36852; Cass., sez. V, sent. 5 dicembre 2023, n. 34044), ha chiarito che il diritto di accesso agli atti del procedimento tributario non riveste carattere assoluto, ma soltanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa. In tale prospettiva, la mancata ostensione dei documenti posti a fondamento dell’accertamento viene a configurare una violazione del diritto di difesa solo laddove il contribuente riesca a dimostrare che la documentazione richiesta fosse effettivamente idonea a incidere sull’esito dell’accertamento stesso, secondo la logica della cosiddetta “prova di resistenza”.
In particolare, il caso sottoposto all’esame della Corte di legittimità traeva origine da un avviso di accertamento a mezzo del quale veniva recuperata l’IVA relativa a operazioni di cessione effettuate, da una società di capitali residente, nei confronti di quattro esportatori abituali ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, sul presupposto che le dichiarazioni di intento rese da ciascuno dei predetti soggetti fossero ideologicamente false.
Nel corso dell’istruttoria che aveva preceduto l’adozione dell’atto impositivo, l’Amministrazione finanziaria non aveva consentito alla società contribuente l’accesso agli atti del procedimento, inducendo quest’ultima a eccepire una violazione del diritto di difesa sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
2. La questione dell’accesso agli atti risulta particolarmente rilevante proprio nell’ambito degli accertamenti in materia di IVA e, tra l’altro, proprio in quei casi in cui l’Amministrazione finanziaria disconosce il diritto alla detrazione dell’imposta sulla base di una presunta partecipazione, attiva o comunque consapevole, del contribuente a operazioni fraudolente che coinvolgono soggetti terzi, spesso esteri. In tali circostanze, di norma, l’Ufficio si avvale di processi verbali di constatazione redatti da autorità fiscali straniere nei confronti di terzi o di documentazione proveniente da procedimenti penali instaurati in Stati esteri, ovverosia documenti di cui comunque il contribuente accertato non ha alcuna conoscenza né diretta, né indiretta.
Ne deriva che, per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa, il contribuente deve poter accedere agli atti del procedimento, così da acquisire completa cognizione degli elementi probatori sui quali si fonda l’azione accertativa dell’Amministrazione finanziaria.
3. Tanto premesso, la pronuncia in esame merita attenzione in quanto offre l’occasione per una riflessione di carattere sistematico, in considerazione del suo evidente disallineamento rispetto alle recenti novità normative introdotte dal D.Lgs. n. 219 del 2023.
Come noto, il Legislatore della riforma fiscale, in attuazione dei criteri direttivi fissati dalla legge delega n. 111 del 2023, ha apportato significative modifiche alla legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), riconoscendo al contribuente, mediante l’inserimento del nuovo art. 6-bis rubricato “Principio del contraddittorio”, il diritto di “accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo”. Nelle intenzioni del Legislatore, tale previsione rappresenterebbe una forma generalizzata di accesso agli atti del procedimento tributario nel corso della fase istruttoria.
4. Sino all’introduzione delle disposizioni di cui al citato art. 6-bis, l’ordinamento tributario non prevedeva alcuna disciplina specifica in materia di accesso agli atti, disciplina che, invece, era rinvenibile unicamente nella legge n. 241 del 1990 (legge sul procedimento amministrativo).
Come noto, l’art. 22 della legge n. 241 del 1990, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 15 del 2005, identifica il diritto di accesso quale il diritto degli interessati (i.e., di tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso) di “prendere visione e estrarre copia di documenti amministrativi”.
La disposizione in commento, al comma 2, fissa il ruolo da assegnare al diritto di accesso, sancendo, infatti, che esso, “attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”, inoltre al comma 3 dispone che: “tutti i documenti amministrativi sono accessibili, con le sole eccezioni previste dall’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6”.
Tuttavia, per quanto qui di interesse, l’art. 24, comma 1, lett. b), della legge n. 241 del 1990 esclude il diritto di accesso “nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano” (Salvini, Accesso agli atti del procedimento tributario, Dizionario di Diritto Pubblico, Giuffrè Editore, 2006, pag. 66 ss.; Caramia, Riflessioni sul diritto di accesso agli atti del procedimento tributario, in Riv. Dir. Trib., 6/2024, pag. 790 ss.; Basilavecchia, Impossibile l’accesso agli atti tributari, Corriere Tributario, 2008, 3093 ss.; Logozzo, Il diritto a una buona amministrazione nel procedimento tributario, Milano, 2019, 171 ss.).
Detta previsione va però coordinata con quella contenuta nel comma 7 del medesimo articolo, secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”
La normativa così richiamata è stata oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza. Si ricorda che, in merito all’applicabilità dell’accesso agli atti di cui all’art. 22 cit. al procedimento tributario, è emersa una prima tesi secondo cui tale diritto era esercitabile esclusivamente dopo l’emissione dell’atto impositivo, così da evitare che il contribuente, celando elementi essenziali per la corretta ricostruzione della sua posizione fiscale, potesse ostacolare l’azione dell’Amministrazione finanziaria.
Secondo un’altra impostazione tale diritto doveva, invece, essere riconosciuto sin dalla fase precedente l’emissione dell’atto impositivo, non già in base alla legge n. 241 del 1990, bensì alla luce dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, secondo cui il contribuente deve essere messo in condizione di conoscere gli atti e i documenti – di suo interesse – formati dall’Amministrazione finanziaria e richiamati in altri atti a lui notificati, al fine di esercitare correttamente il proprio diritto di difesa.
5. La questione interpretativa così delineata è stata affrontata dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. IV, sent. 31 luglio 2014, n. 4046), il quale ha riconosciuto – sulla base della legge n. 241 del 1990 – un interesse giuridicamente rilevante del contribuente ad accedere agli atti relativi al procedimento tributario, stabilendo tuttavia che l’esercizio di tale diritto possa avvenire soltanto a seguito dell’avvenuta notifica dell’atto impositivo.
6. Va, però, evidenziato come tale posizione, benché autorevolmente sostenuta, si ponga in contrasto con quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di tributi armonizzati.
Secondo la giurisprudenza europea, il principio del rispetto del diritto di difesa impone, invece, che il destinatario di una decisione lesiva sia posto nelle condizioni di conoscere e valutare gli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione (CGUE, sent. 9 novembre 2017, C-198/16, Ispas). In tale prospettiva, l’accesso al fascicolo non rappresenta un mero diritto accessorio, ma costituisce un passaggio fondamentale per garantire l’effettivo esercizio del contraddittorio e il corretto sviluppo del procedimento amministrativo.
L’accesso al fascicolo, pertanto, deve essere garantito durante il procedimento amministrativo e non può essere rimandato alla fase giurisdizionale. La semplice possibilità di accedere al fascicolo in sede processuale non costituisce una sanatoria rispetto ad un eventuale mancato accesso nella fase amministrativa (CGUE, sent. 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore).
La Corte UE, nella citata pronuncia Glencore, ha poi chiarito che il contribuente deve poter accedere a tutti gli elementi utilizzati per fondare le contestazioni a suo carico, sicché il diritto di accesso al fascicolo deve estendersi a tutti gli elementi sui quali l’amministrazione fonda la propria decisione, compresi quelli acquisiti nell’ambito di procedimenti penali o amministrativi connessi avviati nei confronti di terzi, come spesso avviene nei casi di contestazioni IVA (Basilavecchia, Contraddittorio preventivo e accesso al fascicolo, Corriere Tributario, 8-9, 2020, 737 ss.).
Allo stesso modo, il contribuente deve poter accedere agli elementi che, benché non utilizzati direttamente per motivare la decisione, potrebbero comunque risultare utili per l’esercizio del diritto di difesa. La possibilità di accedere a elementi a discarico, infatti, costituisce un aspetto imprescindibile del diritto di difesa, in quanto consente al contribuente di fornire una rappresentazione completa e accurata della propria posizione.
La CGUE, sempre nella sentenza Glencore, ha affermato anche l’inammissibilità dell’utilizzo, nei procedimenti amministrativi, di prove acquisite in altri procedimenti connessi, nonché di constatazioni contenute in decisioni emesse nei confronti di soggetti terzi, qualora il giudice non possa verificare che tali elementi siano stati acquisiti nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
7. Il principio del rispetto del diritto di difesa, nell’impostazione della Corte europea, tuttavia, non assume carattere assoluto e può essere soggetto a restrizioni motivate da esigenze di riservatezza, segreto professionale o tutela della vita privata di terzi. Ne consegue che anche le esigenze di efficacia dell’azione repressiva possono, in alcuni casi, giustificare limitazioni all’accesso al fascicolo.
È stato però chiarito che anche nei casi in cui ricorrono tali circostanze eccezionali, l’amministrazione finanziaria resta tenuta a valutare la possibilità di garantire un accesso parziale al fascicolo, contemperando il diritto di difesa del contribuente con le esigenze di tutela dell’interesse pubblico.
8. Le suesposte considerazioni valgono certamente per i tributi armonizzati, ma potrebbero, non senza difficoltà, essere estese anche a quelli non armonizzati, alla luce dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, il quale, imponendo l’obbligo di allegare al provvedimento amministrativo gli atti richiamati, parrebbe manifestare un’opzione legislativa in favore della piena conoscibilità degli elementi posti a fondamento dell’accertamento.
9. Ebbene, è proprio tenendo conto del quadro sopra delineato che il Legislatore della recente riforma fiscale, in attuazione dei criteri direttivi fissati dalla legge delega n. 111 del 2023, ha inteso intervenire, da un lato, riconoscendo il principio generale del “diritto di accesso alla documentazione amministrativa tributaria” tra le garanzie fondamentali poste a tutela del contribuente (art. 1, comma 3-bis, legge n. 212 del 2000) e, dall’altro, inserendo, tra le prerogative assicurate al contribuente nell’ambito del contraddittorio preventivo attivato con l’Amministrazione finanziaria, la possibilità di “accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo” (art. 6-bis, comma 3, legge n. 212 del 2000).
Più nel dettaglio, sul piano procedurale, l’art. 6-bis, comma 1, prevede che “tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo ai sensi del presente articolo”. Tale contraddittorio viene azionato attraverso la consegna di uno “schema di atto” al contribuente, così da consentirgli, ai sensi del comma 3 del citato art. 6-bis, di formulare “eventuali controdeduzioni” (di cui l’Amministrazione deve poi tener conto in sede di emissione dell’atto impositivo), di “accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo” o, ancora, di presentare istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del D. Lgs. n. 218 del 1997.
Per la prima volta nell’ordinamento tributario, è stata così introdotta una disciplina sul contraddittorio preventivo, all'interno della quale il diritto di accesso agli atti ha trovato esplicita codificazione (Giovannini, La riforma fiscale – I diritti e procedimenti – Vol. II, Pacini Giuridica, pag. 27-41).
10. Nonostante il recente riconoscimento a livello normativo del diritto di accesso agli atti, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha, invece, scelto di non cogliere l’occasione per rivedere il proprio consolidato orientamento in materia, ribadendo una posizione restrittiva e limitativa del diritto in questione. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il diritto di accesso alla documentazione sottesa all’adozione dell’atto impositivo può essere esercitato soltanto in relazione a quella documentazione che risulti concretamente utile alla difesa del contribuente (Pennella, Sez. Trib., 13 dicembre 2024 n. 32432, Nota a sentenza, in Assonime, Newsletter Massimario tributario n° 2 del 2025; Antico, Genovesi, Quali prospettive per l’accesso agli atti nel procedimento tributario?, in Il Fisco, 17, 2025, p. 1503).
11. Come anticipato, per la Cassazione, il diritto di accesso non costituisce una prerogativa assoluta, bensì un diritto suscettibile di limitazioni, che divengono ingiustificate e inammissibili soltanto nel caso in cui il contribuente riesca a dimostrare, mediante la cosiddetta “prova di resistenza”, che l’accesso tempestivo a tali atti avrebbe potuto determinare un esito differente del procedimento amministrativo.
Il contribuente, dunque, è chiamato a dimostrare come e in che termini, in assenza della compressione del diritto di difesa derivante dal diniego di accesso, il procedimento impositivo avrebbe potuto concludersi diversamente.
In altri termini, la mancata tempestiva ostensione di documenti che risultino strumentali all’esercizio del diritto di difesa rileva come vizio procedimentale solo qualora si dimostri che il loro tempestivo accesso e la loro valorizzazione avrebbero concretamente potuto incidere sull’esito dell’atto impositivo adottato.
12. Ebbene, confrontando tale posizione della giurisprudenza con quella del legislatore, risulta alquanto complesso per più ordini di ragioni comprendere come, in tema di accesso agli atti, la Corte di Cassazione possa insistere nel subordinare la violazione del diritto di difesa, conseguente alla mancata ostensione dei documenti posti a fondamento dell’atto impositivo, all’onere, in capo al contribuente, di dimostrare una cosiddetta “prova di resistenza” in merito al possibile esito differente del procedimento.
13. In primo luogo, in un’ottica di sistema, è lecito domandarsi come possa il contribuente, non essendo a conoscenza del contenuto degli atti formanti il fascicolo istruttorio, dimostrare che l’omessa ostensione abbia recato un pregiudizio allo stesso.
Una simile pretesa, nei fatti, si potrebbe tradurre in una probatio diabolica, dunque in un onere istruttorio impossibile da assolvere in mancanza dell’oggetto dell’accesso stesso ovverosia, la documentazione richiesta (Bruzzone, Informazione del contribuente nella fase istruttoria preaccertativa e “prova di resistenza”, in Corr. Trib., 1, 2021, p. 15).
14. Tale riflessione assume ancor più rilevanza nei casi di accertamenti concernenti l’IVA, ambito in cui l’Agenzia delle Entrate fa frequentemente ricorso a documenti acquisiti nell’ambito di procedimenti penali avviati in Stati esteri ovvero a processi verbali di constatazione redatti da autorità fiscali straniere, spesso riferibili a soggetti terzi. Risulta, pertanto, problematico comprendere come il contribuente possa avere cognizione di atti che sono stati formati all’estero e che non lo riguardano direttamente, risultando evidentemente al di fuori del suo ambito di conoscibilità.
In secondo luogo, dal punto di vista del diritto vigente, va inoltre evidenziato la circostanza che se il legislatore avesse inteso subordinare l’esercizio del diritto di accesso nella fase istruttoria all’onere di fornire una prova di resistenza, lo avrebbe dovuto prevedere in modo espresso. Al contrario, la formulazione dell’art. 6-bis, comma 3, è chiara nel riconoscere al contribuente un diritto generalizzato di prendere visione e di estrarre copia degli atti del procedimento, senza condizionamenti o limiti fondati sull’utilità immediata o sulla dimostrabilità ex ante di un pregiudizio subito. Manca, dunque, qualunque riferimento all’operatività di una qualche prova di resistenza.
L’impostazione della Suprema Corte parrebbe, dunque, in contrasto con la ratio sottesa alla novella legislativa, ovvero quella di attribuire finalmente portata generalizzata e automatica al diritto di accesso agli atti, senza la previsione del superamento di alcuna prova di resistenza.
15. In tale contesto, diviene, dunque, doveroso interrogarsi circa il fondamento normativo della decisione della Suprema Corte di subordinare la violazione del diritto di difesa alla necessità per il contribuente di fornire una prova di resistenza sull’eventuale esito diverso del procedimento tributario. In via di prima approssimazione, sembrerebbe che la Corte abbia inteso mutuare, in via analogica, le disposizioni di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, secondo cui l’annullamento dell’atto amministrativo può essere escluso quando il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso anche in assenza del vizio procedimentale. è sulla base di tale norma che potrebbe essere richiesta una prova di resistenza fondata sulla (mancata) dimostrazione in concreto dell’effettivo pregiudizio subito dal soggetto destinatario dell’atto ovvero sulla dimostrazione che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe comunque potuto essere diverso (Cass., sez. V., sent. 11 novembre 2015, n. 23050).
16. Tale impostazione, tuttavia, mal si concilia con l’orientamento, ribadito più volte anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza, per il quale le disposizioni di cui all’art. 21-octies, comma 2, legge n. 241 del 1990 non trovano applicazione nella materia tributaria, stante l’assenza del carattere di vincolatività negli atti impositivi (Cass., sez. V., sent. 12 febbraio 2014, n. 3142; sul punto, si veda altresì Fantozzi, Violazioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in dir. trib.,2011, I, 150 ss.; Randazzo, In tema di applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2, Legge n. 241 del 1990, agli atti impositivi, in Riv. dir. trib., 3/2018, pag. 260 ss.).
17. Ciò non è smentito da quell’orientamento giurisprudenziale che ammette l’applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 anche in ambito tributario, in quanto essa è ammessa solo con riferimento ad atti – quali, ad esempio, le cartelle di pagamento – il cui contenuto, stante la loro natura vincolata, non avrebbe potuto differire rispetto a quanto concretamente adottato. Solo in tali specifiche ipotesi, potrebbe configurarsi un’applicazione della prova di resistenza di cui al citato art. 21-octies. Al di fuori da tali ipotesi, resta fermo come la giurisprudenza non ammetta l’operatività di tale articolo.
18. In ogni caso, il regime di invalidità delineato dall’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 appare ora viepiù difficilmente applicabile in quanto difficilmente conciliabile con la scelta legislativa di introdurre, rispettivamente agli artt. 7-bis, 7-ter, 7-quater, 7-quinquies e 7-sexies della legge n. 212 del 2000, una disciplina autonoma e specifica in materia di invalidità degli atti tributari. Tale normativa di recente introduzione mira a configurarsi come un sistema esaustivo e autosufficiente, che esclude la necessità di ricorrere a regimi di invalidità esterni alla disciplina tributaria.
19. A completamento di tale ricostruzione, possono, infine, svolgersi talune considerazioni sulle conseguenze derivanti da un eventuale rifiuto ingiustificato da parte dell’Amministrazione finanziaria alla richiesta di accesso agli atti.
In particolare, vale la pena interrogarsi se la mancata ostensione della documentazione da parte dell’Amministrazione finanziaria possa determinare l’annullabilità dell’atto impositivo in sede giurisdizionale. In proposito, appare rilevante sottolineare come l’effettività del diritto al contraddittorio preventivo e al correlato accesso agli atti del fascicolo – entrambi, come detto, sanciti dall’art. 6-bis della legge n. 212 del 2000 – trovi esplicita conferma nel successivo art. 7-bis della medesima legge, che annovera tra le cause di annullabilità degli atti impositivi proprio la violazione delle norme concernenti “la partecipazione del contribuente”.
Quest’ultima locuzione, invero, dovrebbe essere intesa con facente riferimento non soltanto al diritto al contraddittorio in senso stretto, ma anche a tutte le prerogative ad esso correlate, così comprendendo anche il diritto di accesso alla documentazione rilevante ai fini dell’accertamento.
Dalla littera legis del citato art. 6-bis appare, infatti, evidente come il diritto di accesso agli atti rappresenti una delle garanzie essenziali che consentono al contribuente il pieno esercizio di un contraddittorio “informato ed effettivo”, finalizzato a garantire la partecipazione del contribuente al procedimento tributario. Ne dovrebbe quindi conseguire che l’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria alla richiesta di esibizione dei documenti posti a fondamento dell’avviso di accertamento possa legittimare il contribuente a richiedere, in sede contenziosa, l’annullamento dell’atto impositivo per violazione del principio del contraddittorio preventivo ex art. 6-bis dello Statuto del contribuente, principio all’attuazione del quale concorre, come detto, anche il riconoscimento del diritto d’accesso.
20. In conclusione, in forza delle considerazioni che precedono, la sentenza n. 32432 del 13 dicembre 2024 della Corte di Cassazione – nel negare la violazione del diritto di difesa del contribuente in caso di mancata ostensione degli atti fondanti la pretesa qualora il contribuente stesso non dimostri, per il tramite della c.d. prova di resistenza, che il procedimento, in assenza della predetta violazione, si sarebbe potuto concludere diversamente – si pone in netta antitesi rispetto allo spirito garantista che ha ispirato la riforma fiscale. Nella prospettiva tracciata dal Legislatore, infatti, il diritto di accesso agli atti ambisce a rivestire un ruolo centrale nell’ambito della partecipazione del contribuente al procedimento tributario, al punto da essere ricompreso espressamente tra le prerogative previste dall’art. 6-bis dello Statuto. Tale impostazione si inserisce coerentemente nel disegno normativo che, all’art. 7-bis, contempla l’annullabilità dell’atto impositivo nei casi in cui l’Amministrazione finanziaria disattenda le disposizioni in materia di partecipazione del contribuente, incluso – si può ragionevolmente supporre – il diniego ingiustificato dell’accesso agli atti richiesti. In questo modo, il Legislatore ha inteso consolidare le garanzie partecipative del contribuente, sancendo un nesso inscindibile tra diritto di accesso ed effettività del contraddittorio preventivo. Detto intervento normativo non può non valere anche nei confronti degli avvisi di accertamento in ambito IVA e, viepiù, nei confronti di tutte quelle ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria faccia riferimento a documenti concernenti soggetti terzi, al di fuori della sfera di conoscibilità del contribuente. Si tratta di casi in cui è ancora più grave la negazione del diritto del contribuente di conoscerli.
21. Alla luce del descritto quadro normativo, la giurisprudenza di legittimità ha dunque mancato di cogliere l’occasione di adeguare il proprio orientamento alle più recenti modifiche normative in materia, trascurando l’intento del Legislatore di valorizzare il diritto di accesso quale presupposto imprescindibile per un contraddittorio informato ed effettivo e, di conseguenza, per una maggior tutela del contribuente nel procedimento tributario.
In definitiva, il mancato riconoscimento di un diritto pieno e incondizionato di accesso agli atti appare difficilmente compatibile con il disegno sistematico previsto dalla legge delega della riforma fiscale n. 111 del 2023 e rischia di svuotare di contenuto le garanzie procedimentali ad oggi riconosciute dallo Statuto. La giurisprudenza futura sarà dunque chiamata a ripensare tale orientamento ed evitare che il diritto di accesso e, di conseguenza, il diritto al contraddittorio si trasformino in un’aspirazione teorica priva di effettività.