argomento: IVA - Giurisprudenza
Nel regime dell’inversione contabile, il diritto alla detrazione dell’i.v.a. sugli acquisti spetta al cessionario/committente in presenza delle condizioni sostanziali del tributo e, in particolare, occorre verificare l’inerenza dell’operazione rispetto all’attività svolta dal soggetto passivo. Per quanto attiene il criterio di riparto relativo all’onere della prova il contribuente deve dimostrare l’esistenza del requisito dell’inerenza in caso di contestazione dell’amministrazione finanziaria.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 8 luglio 2024, n. 18730)PAROLE CHIAVE: inversione contabile - I.v.a. - diritto di detrazione
di Cesare Simone
1. L’intervento dei giudici di legittimità consente di affrontare il tema relativo all’esercizio del diritto alla detrazione dei soggetti in regime di reverse charge che si trovano coinvolti nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti. Com’è noto, il disconoscimento delle operazioni contabilizzate dal soggetto passivo d’imposta si riflette, per quanto attiene la determinazione del reddito, in minori costi; mentre, ai fini dell’i.v.a. viene compromesso il diritto all’esercizio della detrazione in sede di liquidazione periodica o annuale. Ed è proprio il profilo relativo alla detraibilità dell’i.v.a. che deve essere approfondito con particolare riferimento al fenomeno dell’inversione contabile nelle operazioni intracomunitarie (cosiddetto reverse charge “esterno”). Per meglio comprendere il meccanismo dell’inversione contabile (art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/72), appare utile precisare che il destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi deve essere un soggetto passivo i.v.a. (L. Salvini, Diritto tributario delle attività economiche, Torino, 2022, p. 299); inoltre, le operazioni da sottoporre al diverso regime contabile sono individuate dal legislatore con riferimento ad alcuni settori merceologici (P. Boria, Il Sistema dei Tributi. Le imposte indirette, Tomo II, Torino, 2019, p. 44). L’ambito di applicazione del reverse charge è stato di recente ampliato dal legislatore nazionale (Legge di Bilancio 2025) anche al comparto degli appalti relativi al trasporto di merci. Occorre, innanzitutto, evidenziare che la peculiare disciplina degli obblighi contabili, di liquidazione e di versamento dell’imposta previsti in capo al committente/cessionario risponde all’esigenza di contrastare l’evasione fiscale oltre a “semplificare” l’attività di controllo e di riscossione dell’amministrazione finanziaria (P. Centore, Reverse charge e sanzioni: un equilibrio ancora da individuare, prat. trib., 2017, II, p. 203). Per quanto attiene il meccanismo di funzionamento dell’inversione contabile si possono individuare i seguenti tratti essenziali: (i) il cedente/prestatore emette la fattura senza addebitare l’imposta; (ii) il destinatario della cessione di beni (committente) o della prestazioni di servizi (cessionario) deve integrare la fattura emessa dal cedente/prestatore con l’indicazione dell’imposta dovuta; (iii) l’operazione deve essere registrata dall’acquirente (cessionario/committente) attraverso la “doppia annotazione” nei registri dell’i.v.a. sotto forma di “debito” e “credito” (S.M. Messina, Le imposte indirette sui trasferimenti onerosi e gratuiti, in AA.VV., Fondamenti di diritto tributario, Milano, 2024, p. 295 e ss). Questa disciplina, piuttosto articolata, è finalizzata a “cumulare” sull’acquirente le situazioni (attive e passive) sotto il profilo dell’i.v.a. (debito d’imposta e detrazione) che derivano dall’operazione economica conclusa tra il cedente/prestatore e il cessionario/committente. Si tratta, tuttavia, di un modello che risulta essere, per un verso, vantaggioso per l’Erario ai fini del contrasto all’evasione del tributo e, dall’altro, un potenziale “aggravio finanziario” a carico del cedente/prestatore per la difficoltà di recuperare l’i.v.a. passiva (L. Salvini, Diritto tributario delle attività economiche, cit., p. 301).
2. Il quadro sommariamente delineato è funzionale ad approfondire l’argomento relativo alla perdita della detrazione nel regime di reverse charge alla luce delle soluzioni interpretative raggiunte dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale. Per quanto riguarda il sistema ordinario dell’i.v.a. sembra utile osservare che l’oggetto della detrazione è costituito dall’imposta addebitata a titolo di rivalsa dal cedente/prestatore per l’operazione effettuata nei confronti del destinatario di beni o di servizi. Coerentemente allo schema di applicazione del tributo, allora, è possibile desumere che l’omissione della rivalsa non dovrebbe consentire al cessionario/committente di portare in detrazione l’imposta che risulta esigibile in capo al cedente/prestatore. Dal punto di vista sistematico, l’art. 167 della Direttiva prevede che il diritto di detrazione “sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile”. A partire dal contenuto dell’art. 167 si coglie un aspetto di carattere generale che riguarda il rapporto fra l’esercizio della detrazione e l’esigibilità del tributo (M. Basilavecchia, Detrazione Iva, inerenza rafforzata e diritto comunitario, in trib., 2010, p. 1425 e ss.; M. Logozzo, Il diritto alla detrazione dell’iva tra principi comunitari e disposizioni interne, in Rass. trib., 2011, p. 1069 e ss). Secondo l’approccio sostenuto dalla Corte di Giustizia, si potrebbe propendere a favore di una coincidenza fra la fattispecie della detrazione e quella dell’esigibilità. Sul punto, autorevole dottrina ha suggerito una diversa chiave di lettura che valorizza l’introduzione dell’art. 167-bis della Direttiva. Secondo questa prospettiva, l’art. 167-bis della Direttiva 2006/112/CE può essere interpretato nel senso che sia “possibile” e non “necessario” un “allineamento" fra l’esigibilità e la detrazione (G. Fransoni, Il momento impositivo nell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2019, p. 67). E questo sta a significare, in pratica, che la disciplina dei singoli Stati membri potrebbe prendere in considerazione delle ipotesi in cui al venire meno dell’esigibilità (da considerare come “mancanza del pagamento”) corrisponde comunque l’applicazione del diritto alla detrazione. Probabilmente, il discorso relativo all’esigibilità può sollecitare alcuni spunti di riflessione con riguardo all’impianto normativo del reverse charge, tenuto conto che un elemento caratterizzante di questo regime è costituito proprio dal mancato versamento dell’i.v.a. nei confronti del cedente/prestatore. Nell’inversione contabile lo schema di funzionamento che consente l’esercizio della detrazione si fonda sulla doppia annotazione (“registro degli acquisti” e “registro delle vendite”) della fattura integrata dall’acquirente (cessionario/committente) con l’indicazione dell’i.v.a. dovuta. Questo regime contabile porta a realizzare in capo al cessionario/committente la “totale compensazione tra IVA a debito e IVA a credito” (L. Salvini, Diritto tributario delle attività economiche, cit., p. 300; S. Gianoncelli, Novità normative e giurisprudenziali in tema di reverse charge, in questa Rivista, 2018, fasc. 1, p. 49 e ss.). In questo modo, il legislatore ha delineato un sistema finalizzato a garantire, da un lato, una “sostanziale” neutralità dell’imposta nei passaggi all’interno del ciclo produttivo e, dall’altro, il gettito all’Erario in considerazione del fatto che l’esercizio della detrazione sulle operazioni attive dell’acquirente non può generare fenomeni di evasione collegati al mancato versamento dell’i.v.a. addebitata a titolo di rivalsa dal cedente/prestatore. Sotto questo profilo, in pratica, il legislatore ha escluso il rischio relativo alle condotte fraudolente del cedente/prestatore, tenuto conto che l’omissione del versamento della somma percepita a titolo di rivalsa si riflette ai fini dell’esercizio della detrazione; infatti, l’importo portato in detrazione dal cessionario/committente corrisponde all’imposta oggetto dell’eventuale attività di evasione. In altri termini, il legislatore ha sterilizzato gli effetti distorsivi derivanti dall’esercizio della detrazione in assenza del versamento dell’imposta addebitata tramite la rivalsa.
3. La soluzione del caso in esame sollecita una breve riflessione dedicata alle condizioni (“formali” e “sostanziali”) che devono sussistere ai fini del corretto esercizio della detrazione nella disciplina ordinaria dell’i.v.a., oltre a prendere in considerazione le operazioni imponibili sottoposte al regime di reverse charge. Secondo l’orientamento della Corte di Giustizia, l’esercizio del diritto di detrazione può trovare applicazione in presenza di alcune violazioni degli obblighi formali al fine di assicurare il principio di neutralità del tributo (Corte di Giustizia UE, sentenze 9 luglio 2015, Radu Florin Salomie, C-183/14 e 11 dicembre 2014, Idexx Laboratoires Italia, C-590/2013). In questa prospettiva, il diniego della detrazione, a seguito dell’inosservanza degli obblighi contabili e dichiarativi, è stato considerato dalla giurisprudenza comunitaria come una sanzione che “eccede chiaramente quanto necessario per conseguire l’obiettivo di garantire il corretto adempimento di tali obblighi” (Corte di Giustizia UE, sentenza 9 luglio 2015, Salomie e Oltean, C-183/14, punto 63). Si deve, tuttavia, notare, a tal riguardo, che la Corte di Giustizia si è pronunciata a favore dell’indetraibilità dell’i.v.a. per l’inosservanza degli obblighi formali nei casi di coinvolgimento del soggetto passivo nell’evasione dell’imposta (Corte di Giustizia UE, sentenza 9 luglio 2015, Salomie e Oltean, C-183/14, punto 63). Questa impostazione sembra considerare la partecipazione (“attiva” o “passiva”) del soggetto passivo i.v.a. nella frode come un elemento “indefettibile” per l’indetraibilità del tributo (K. Guarini, Quando la sanzione non è conforme al principio di proporzionalità e neutralità fiscale, in Dir. e prat. trib., 2023, p. 1431). Particolarmente significativo, all’indagine del profilo formale nel regime del reverse charge, è il caso Bockemühl (Corte di Giustizia UE, sentenza 1 aprile 2004, C-90/02). Questa vicenda è di rilievo, perché la pronuncia ha stabilito che non è necessario il possesso della fattura emessa dal fornitore per l’esercizio della detrazione del cessionario/committente. Per quanto attiene il profilo sostanziale, il costante orientamento della giurisprudenza della Corte di Giustizia ha affermato che la detrazione - ai sensi dell’art. 17. par. 2, della Direttiva - spetta al “soggetto passivo” per i beni e servizi “utilizzati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta” (Corte di Giustizia UE, sentenza, 29.04.2004, Faxworld, C-137/02, punto 24). Si tratta, pertanto, di soddisfare la cosiddetta condizione dell’impiego che consiste nel nesso “immediato” e “diretto” di tipo “funzionale” ed “economico” fra il bene/servizio acquistato e il bene/servizio prodotto (Corte di Giustizia UE, sentenza, 29.04.2004, Faxworld, C-137/02). Sul punto, la dottrina ha evidenziato che l’art. 17, par. 2 della Direttiva richiede ai fini della detrazione “l’utilizzo e non la mera destinazione dei beni o dei servizi acquistati” (A. Comelli, Iva comunitaria e Iva nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, p. 393 e ss.). Si deve aggiungere che l’impiego dei beni o dei servizi acquistati può essere anche “differito nel tempo” a condizione di un utilizzo “concreto” nella realizzazione delle operazioni imponibili (A. Comelli, Iva comunitaria e Iva nazionale. Contributo alla teoria generale dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2000, p. 394 e ss). Nella disciplina nazionale, l’art. 19, del D.P.R. 633/72 contiene, al primo comma, la cosiddetta condizione di inerenza “in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati” nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” e, al secondo comma, il principio di indetraibilità dell’imposta per l’acquisto o l’importazione “di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta”. Si deve tenere conto che la regola contenuta nell’art. 19, del D.P.R. 633/72 diverge dall’art. 168, par. 1 della Direttiva IVA. Infatti, la disciplina unionale prevede che la detrazione dell’i.v.a. sia applicata nella “misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta”. Questo disallineamento può essere attribuito al legislatore nazionale, a causa della formulazione più ampia dell’art. 168, che deriva dalla trasposizione della Direttiva IVA nell’ordinamento tributario dello Stato membro. Prima di proseguire l’analisi dell’art. 19 del D.P.R. 633/72, appare utile precisare, per completezza, che il concetto di inerenza, ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione, non è del tutto coincidente con l’inerenza che si ricava dall’art. 109, comma 5, t.u.i.r. Dal contenuto dell’art. 19, D.P.R. 633/72 si desume che il legislatore porta a considerare rilevanti per la detrazione dell’imposta le cessioni di beni o le prestazioni di servizi “strumentali” ad effettuare operazioni imponibili (Corte di Giustizia UE, sentenza, 22 dicembre 2010, RBS Deutschland, C-277/09). Occorre, soprattutto, segnalare che l’art. 19 del D.P.R. 633/72 “subordina” la detrazione dell’i.v.a. all’inerenza dell’acquisto rispetto all’esercizio dell’attività svolta dal soggetto passivo d’imposta. (L. Salvini, La nuova disciplina della detrazione a seguito del D.lgs. 313/1997, in Riv. dir. trib., 1998, I, p. 151; Corte di Giustizia UE, sentenze 1° ottobre 2020, Vos Aannemingen BVBA, C-405/19; 30 maggio 2013, X, C-651/11). Questo aspetto assume rilievo nella soluzione del caso in esame che riguarda la cessione di beni secondo la disciplina del regime di reverse charge. In particolare, le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione consentono, ancora una volta, di sottolineare che il diritto alla detrazione spetta in presenza delle seguenti condizioni sostanziali: la soggettività passiva, l’inerenza e l’esistenza dell’acquisto. Queste condizioni, inoltre, devono sussistere a prescindere dalla corretta applicazione dell’inversione contabile.
4. La pronuncia in commento contribuisce a consolidare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che si è formato in materia di esercizio della detrazione nel reverse charge. Secondo le argomentazioni sostenute dalla giurisprudenza di legittimità, si deve tenere conto che il meccanismo dell’inversione contabile pone in capo al cessionario/committente diverse “situazioni” che “rispondono” a presupposti sostanziali e condizioni differenti” (Cass. civ., sez. V, 05.10.2022, n. 140). Da questo punto di vista, allora, l’esercizio della detrazione “presuppone” il verificarsi delle condizioni sostanziali che si possono desumere dall’art. 19, comma 1, del D.P.R 633/72. Pertanto, la mancata allegazione dell’inerenza da parte del cessionario/committente comporta l’indetraibilità dell’imposta in caso di contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria. Si deve, inoltre, aggiungere che la soluzione della Corte assume particolare rilievo in seguito all’intervento delle Sezioni Unite in materia di sanzioni tributarie nel reverse charge. Questa pronuncia consente di affrontare i profili di criticità derivanti dall‘ambito di applicazione dell’art. 6, comma 9-bis.3, del d.lgs. 471/97 (S. Gianoncelli, Inversione contabile e operazioni inesistenti: il recupero dell’imposta a fini sanzionatori, in Riv. dir. trib., 2023, I, p. 377 e ss.). Le conclusioni raggiunte dalla pronuncia a Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale a favore della tesi restrittiva del contenuto da riconoscere all’espressione “operazioni inesistenti”. Secondo la giurisprudenza, la disciplina prevista dall’art. 6, comma 9-bis.3, secondo periodo, del d.lgs. 471/97 si interpreta nel senso che la neutralizzazione dell’i.v.a. a credito e a debito nell’inversione contabile trova applicazione “esclusivamente” per le operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta (Cass. civ. SS.UU., 20 luglio 2022, n. 22727). A questo proposito, occorre segnalare che la Corte ha precisato che la seconda parte dell’art. 6, comma 9-bis.3, d.lgs. 471/97 non può riferirsi alle operazioni imponibili inesistenti, altrimenti, si “consentirebbe la detrazione dell’IVA in assenza dei presupposti sostanziali richiesti”. Si deve, tuttavia, prendere in considerazione un ulteriore aspetto sotto il profilo sistematico. L’art. 6, comma 9-bis.3, del d.lgs. 471/97 è stato di recente modificato dall’art. 1, comma 152, della l. 197/2022 (Legge di Bilancio 2023) con l’introduzione di una puntuale disciplina sanzionatoria nelle ipotesi di evasione o di frode consapevole del cessionario/committente. La nuova regola prevede in capo al cessionario/committente l’applicazione della sanzione di cui al comma 6, primo periodo, del d.lgs. 471/97 nella misura pari al settanta per cento dell’imposta che “non avrebbe potuto detrarre".