argomento: IRES - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 18 febbraio 2025, n. 4233, ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, in assenza di procedure concorsuali o di elementi certi e precisi, le perdite su crediti non sono deducibili dal reddito d’impresa.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., 18 febbraio 2024, n. 4233)PAROLE CHIAVE: imposta sul reddito delle società - cessione pro soluto - documentazione di elementi certi e precisi
di Marco Romiti
1. L’ordinanza n. 4233/2025 della Corte di Cassazione si inserisce nel solco di una complessa e dibattuta tematica fiscale: la qualificazione e connessa deducibilità delle perdite derivanti dalla cessione pro-soluto di crediti a prezzo inferiore al valore nominale. Il nodo centrale è se, tali perdite, siano da trattarsi come minusvalenze patrimoniali deducibili ex art. 101, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, breviter “TUIR”), o se debbano ricadere nell’ambito delle perdite su crediti, disciplinate dal successivo comma 5, soggette a più stringenti condizioni. La Corte, confermando un orientamento ormai prevalente, ribadisce l’inquadramento di tali perdite come “perdite su crediti” e ne subordina la deducibilità alla sussistenza di elementi certi e precisi.
2. La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato ad una Società con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione in relazione all’anno di imposta 2010, tra l’altro, sopravvenienze passive per Euro 350.347,07, derivanti dalla cessione pro-soluto di crediti verso due società, per un corrispettivo notevolmente inferiore rispetto al valore nominale di Euro 117.653,92 (con una minusvalenza, quindi, di Euro 226.396,71). La società impugnava l’avviso dinanzi all’allora Commissione Tributaria Provinciale de L’Aquila (ora Corte di Giustizia Tributaria di I grado de L’Aquila), che accoglieva il ricorso della contribuente, annullando l’accertamento per la parte impugnata, ritenendo legittima la deduzione della minusvalenza da cessione del credito. La Commissione Tributaria Regionale (di seguito, “CTR”, ora Corte di Giustizia Tributaria di II grado) dell’Abruzzo, in riforma della decisione di primo grado, conveniva con la ricostruzione operata dall’Amministrazione finanziaria. La Società ricorreva, quindi, in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 101 TUIR per avere la CTR erroneamente ritenuto applicabile il comma 5 invece del comma 1, omettendo, altresì, di distinguere i casi in cui la perdita derivi dalla semplice inesigibilità del credito o insolvenza del debitore, da quelli in cui la perdita derivi da atti dispositivi del credito, che sono tali da produrre vere e proprie minusvalenze da realizzo per le quali, non si avrebbe ragione di richiedere ulteriori elementi di certezza e precisione rispetto alla indubbia definitività giuridica della perdita.
3. Al riguardo, si ricorda che il contratto di cessione del credito – disciplinato agli artt. 1260 ss. del cod.civ. - si perfeziona in forza di un accordo fra il creditore (cedente) ed il terzo (cessionario) e non è richiesta l’accettazione da parte del debitore ceduto, il quale rimane estraneo all’accordo di cessione. In virtù del consenso traslativo, il credito è trasferito al cessionario nel momento stesso del perfezionamento dell’accordo, con i privilegi, le garanzie personali e reali e gli altri accessori.
Ciò detto, si definiscono pro-soluto quelle cessioni del credito nell’ambito delle quali il cedente trasferisce al cessionario non solo l’insieme dei diritti relativi alla posizione creditoria, ma anche tutti i rischi connessi alla medesima e, in particolare, il rischio d’insolvenza del debitore; con la conseguenza che, ove quest’ultimo dovesse in seguito risultare inadempiente, l’acquirente del credito non potrebbe rivalersi sul cedente.
Dunque, la questione giuridica sottesa alla controversia, anche in considerazione della disciplina ratione temporis vigente (anno d’imposta 2010) è se, in caso di cessione pro-soluto di un credito ad un valore inferiore al nominale, la perdita generata sia qualificabile come:
Quanto appena rilevato è conseguenza del fatto che nell’art. 85 del TUIR, che identifica i ricavi rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa, vengono incluse le componenti positive derivanti dalla cessione di beni e prestazione di servizi, ma esclude espressamente i crediti. Come rilevato in dottrina (Marongiu, Lezioni di diritto tributario, G. Giappichelli Editore, 2018), la ratio dell’art. 85 si fonda sull’esigenza di tassare solo i componenti effettivamente realizzati o suscettibili di realizzo certo, evitando così che il reddito d’impresa venga determinato su base meramente potenziale o valutativa. In tal senso, la norma si ispira a un criterio di realismo economico, che vuole ancorare l’imposizione a fenomeni patrimoniali certi e giuridicamente significativi. All’interno di questa logica si comprende la scelta espressa del legislatore di escludere i crediti dall’ambito applicativo dell’art. 85. Come evidenziato dalla dottrina (Falsitta, Manuale di diritto tributario - Parte speciale, Cedam, Padova), il credito non è un ricavo autonomo, ma una modalità giuridica di realizzazione del ricavo stesso. Esso sorge a seguito di un’operazione già fiscalmente rilevante, ad esempio la vendita di beni o la prestazione di servizi, che ha generato un ricavo tassabile in base al principio di competenza. Il credito, quindi, non dà luogo a nuova ricchezza, ma rappresenta una promessa di incasso di un ricavo già imponibile. In altri termini, il credito è una posta patrimoniale e non reddituale, e in quanto tale viene esplicitamente escluso dall’art. 85. Questa esclusione risponde, come detto, all’esigenza di evitare duplicazioni d’imposta, impedendo che il medesimo ricavo venga tassato sia al momento della sua maturazione (emissione della fattura) sia al momento dell’incasso. Questa impostazione, tuttavia, solleva importanti problemi nel caso in cui il credito non venga incassato o perda di valore, portando così all’esigenza di considerare le svalutazioni e le perdite su crediti.
Al riguardo, infatti, posto che l’eventuale differenziale fra il valore del credito iscritto in bilancio e il prezzo della sua cessione viene, talvolta, qualificato perdita, talaltra minusvalenza, si è trattato, perciò, di indagare se la mancata distinzione terminologica abbia una giustificazione nella corrispondente sostanziale sovrapponibilità delle fattispecie o se, ove così non fosse, vi possano essere delle diverse conseguenze in ordine ai requisiti necessari per la deduzione dell’eventuale componente negativo.
Infatti, sul punto, la dottrina è divisa. Una parte di essa (Messina, Valutazione e svalutazione dei crediti e perdite da cessione “pro soluto”, in Corriere Tributario, 12/2007, p. 955; Beghin, Cessione pro soluto ed elusione fiscale: note a proposito di una particolare interpretazione dell’art. 6, comma 3, del T.U.I.R. in funzione “antiabuso”, in Rass. trib., 1999, pag. 1757; Id., L’indeducibilità ai fini dell’Ires delle perdite su crediti derivanti da cessione del diritto con clausola pro soluto tra automatismi argomentativi ed esigenze di sindacato sull’inerenza del costo, in Riv. dir. trib., II, pag. 467; Valacca e La Rosa, I crediti nella disciplina del testo unico delle imposte sui redditi, inLe Circolari del Corriere Tributario n. 4/1996, pagg. 14 e 15; Bloch e Sorgato, Incertezza della Cassazione sulle cessioni di crediti “pro soluto”, in Corr. Trib. n. 7/2001, pag. 498; Ingrao, La cessione dei crediti pro solvendo tra minusvalenze e svalutazioni, Riv. Dir. Tri. 2007, I, pagg. 129-ss) opta per la deducibilità della componente negativa del reddito derivante dalla cessione del credito pro-soluto, reputandola una “minusvalenza”, in quanto queste ultime si considerano caratterizzate dalla conversione del credito in altra forma di ricchezza, sicché nascono da un assetto negoziale bilaterale ed oneroso. Inoltre, a riprova, i fautori di tale tesi osservano che l’art. 101, comma 1, del TUIR non indica espressamente gli elementi atti a generare minusvalenze, ma li individua in via residuale, disponendo la deducibilità delle “minusvalenze dei beni relativi all’impresa diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze …”. Conseguentemente, poiché i crediti, qualunque sia l’origine, non rientrano fra i beni elencati nell’art. 85 cit. e, dunque, la loro cessione genera ricavi solo se, in relazione al caso concreto, essi possano includersi fra i beni «al cui scambio è diretta l’attività di impresa», la loro cessione darà luogo a plusvalenze o minusvalenze a seconda che il prezzo di cessione sia o meno superiore al valore nominale. Pertanto, il “realizzo” di cui all’art. 101, comma 1, TUIR, allora, presuppone a monte un atto di cessione del diritto verso corrispettivo. Se, quindi, vi è una cessione onerosa del credito, la componente negativa reddituale emerge direttamente dalla contrapposizione tra costo fiscalmente riconosciuto del bene ceduto e prezzo di cessione. Infatti, allorquando si tratti di “atti dispositivi” del credito, i requisiti di certezza e precisione indispensabili ai fini della deduzione della (seppur eventuale) perdita dovrebbero ritenersi di per sé integrati, residuando al massimo la sola questione sull’efficacia dell’atto dispositivo stesso (cfr. Beghin, Perdite su crediti, antieconomicità dell’operazione e giudizio d’inerenza, in Corr. Trib. n. 5/2008, pag. 382). In tali casi, dunque, è ritenuto dai fautori di detta tesi che non vi sia la necessità che sussista la “certezza” della perdita, come accade invece per la perdita su crediti.
Per altra parte della dottrina (Zizzo, Il differenziale negativo generato dalla cessione pro soluto dei crediti tra incertezze di qualificazione e problemi di inerenza, in Riv. dir. trib., 2001, n. 5, pag. 353; Fiorentino, Le perdite su crediti nella determinazione del reddito d’impresa, in Dir. prat. trib., 1997, I, pag. 1499; Lupi, Certezza e probabilità nelle perdite su crediti, in Rass. trib., 1987, I, pag. 264; del Federico, Minusvalenze patrimoniali sopravvenienze passive, perdite ed accantonamenti per rischi su crediti, in AA.VV., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, in Giust. sist. dir. trib. diretta da Tesauro, Torino, 1994, pag. 779; Leo - Monacchi - Schiavo, Le imposte nel testo unico, Milano, 1999, pag. 981; Valacca e Dragone, Atti dispositivi del credito: perdite o minusvalenze, in Corriere Tributario, 46/2010, p. 3864; Crovato e Lupi, Il reddito di impresa, Milano, 2002, pagg. 320 ss.), rifacendosi anche ai precedenti di legittimità (Cass., sez. 5, del 4 ottobre 2000 n. 13181, del 24 luglio 2014 n. 16823 16823 e del 3 marzo 2021 n. 5787), si opta per la seconda ipotesi, secondo cui la cessione pro-soluto non configura una minusvalenza patrimoniale ma una perdita su crediti, con tutti i vincoli che ne conseguono, posto che - sulla base dello stesso dato testuale dell’art. 101, comma 5, del TUIR si fa espressamente riferimento ai “crediti”, mentre, il comma 1, fa riferimento esclusivamente in generale ai “beni”. Pertanto, la cessione pro-soluto di un credito ritenuto inesigibile produce una perdita deducibile dal reddito imponibile soltanto ove il contribuente alleghi e documenti elementi certi e precisi, sebbene si tratti di un presupposto che di per sé non è puntualmente definito e che è rimesso in gran parte a valutazioni di fatto, che non si esauriscano nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto e nella perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma comprendano anche gli elementi che hanno indotto all’operazione ed al conseguente recupero solo parziale del valore nominale del credito (Gallio, Deducibili le perdite su crediti per cessioni pro-soluto solo se sono certe e determinabili, in Il Fisco, n. 18, 6 maggio 2024, p. 1723).
Infine, anche in considerazione della citata interpretazione e della necessità di dotare l’ordinamento di elementi di maggiore certezza, vale la pena rilevare che l’art. 101 comma 5 del TUIR è stato oggetto nel corso degli anni di ripetute modifiche, sostanzialmente finalizzate, con l’introduzione di una serie di presunzioni di ricorrenza degli elementi certi e precisi per la deduzione delle perdite su crediti, a limitare le ipotesi di contenzioso sulla ricorrenza di tali elementi. Infatti la norma presume ora l’esistenza degli elementi certi e precisi necessari per la deduzione delle perdite su crediti: se (i) il credito è di modesta entità ed è decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento; (ii) il diritto alla riscossione del credito è prescritto; e (iii) i crediti sono cancellati dal bilancio in applicazione dei principi contabili (ipotesi in origine espressamente limitata ai soli soggetti IAS/IFRS adopter, e poi estesa anche ai soggetti ITA Gaap dall’art. 1 comma 160 della L. 147/2013). La formulazione normativa attuale, e le ragioni che l’hanno determinata, saranno certamente di “aiuto” nel derimere potenziali contestazioni nell’ambito (soprattutto, per ciò che qui rileva) di una cessione di un credito pro-soluto.
4. Ciò detto, l’ordinanza del 2025 si colloca, dunque, in continuità con questo secondo orientamento ormai consolidato, ritenendo che nell’ipotesi di cessione del credito pro-soluto a un prezzo inferiore a quello nominali si rientri nella disciplina delle “perdite su crediti”, enfatizzando la necessità di dimostrare la definitività della perdita di valore del credito attraverso elementi oggettivi e documentati (e.g., come la documentata insolvenza del debitore; la cancellazione del credito dal bilancio per effetto di applicazione dei principi contabili; o, in via presuntiva, l’apertura di una procedura concorsuale).
La Cassazione, infatti, mantenendo ferma la distinzione tra minusvalenze e perdite su crediti, sembrerebbe evitare aperture che potrebbero agevolare comportamenti elusivi. Infatti, secondo la Corte il corrispettivo pattuito per la cessione di un credito non ha in sé alcun rilievo ai fini dell’accertamento dell’esistenza di elementi “certi” e “precisi”, di cui all’art. 101, comma 5 TUIR, in quanto è necessario che si dimostri che tale cessione corrisponda ad una effettiva riduzione di valore reale del credito stesso.
In altri termini, si deve anche avere riguardo degli elementi che, a monte, hanno indotto alla cessione medesima al fine di documentare, attraverso elementi certi e precisi, che la perdita risultante dalla cessione sia da intendersi come oggettivamente definitiva.
Inoltre, la stessa Corte pone anche l’attenzione al profilo dell’inerenza, che diventa un ulteriore filtro alla deducibilità: se l’operazione non fosse motivata da esigenze economiche aziendali, la perdita potrebbe essere ritenuta erogativa e non produttiva, citando altri precedenti sul punto (cfr. Cass., sez. 5, 14 gennaio 2015, n. 447).
5. Le conclusioni raggiunte dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza qui annotata si pongono certamente in continuità con la (ormai) radicata giurisprudenza di legittimità e la dottrina maggioritaria, soprattutto in relazione alla disciplina ratione temporis vigente. Tuttavia, tale impostazione interpretativa rigida, come criticato dalla circolare Assonime n. 15/2013, presta alcune lacune per il fatto che la richiesta di dimostrare l’ineluttabilità della perdita su crediti avrebbe senso per le perdite di natura “valutativa”, ossia per quelle svalutazioni stanziate in bilancio in considerazione della inesigibilità del credito dovute al particolare status in cui versa il debitore. Diversamente, in relazione agli atti estintivi (i.e. una cessione del credito), invece, la certezza e la definitiva quantificazione della perdita potrebbero considerarsi presenti in re ipsa.
L’ordinanza n. 4233/2025 conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza tributaria sul tema della cessione pro-soluto dei crediti: in assenza di procedure concorsuali o di elementi certi e precisi, le perdite non sono deducibili dal reddito d’impresa. Pur riconoscendo la legittimità delle scelte imprenditoriali ispirate da logiche di convenienza, gli Ermellini mantengono una linea prudente per evitare usi strumentali del meccanismo di cessione a fini di riduzione dell’imponibile. Si tratta, quindi, di un indirizzo che tutela l’integrità dell’imponibile fiscale e contrasta operazioni che potrebbero mascherare la volontà di trasferire artatamente ricchezza o realizzare risparmi d’imposta indebiti.
L’evoluzione normativa e contabile (con l’estensione della rilevanza della derecognition anche ai soggetti OIC adopter) potrebbe nel tempo portare a un diverso bilanciamento tra esigenze di certezza e flessibilità (cfr. Cass. Sez. 5, 3 aprile 2024, n. 8714), ma allo stato attuale, il messaggio della Corte è chiaro: la deducibilità delle perdite su crediti rimane un’eccezione, non una regola.