argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Legislazione e prassi
Fra le novità della riforma tributaria, spicca l’introduzione di una disciplina organica delle riorganizzazioni degli studi professionali, ai fini delle imposte dirette e indirette, ad opera del D.lgs. 13 dicembre 2024, n. 192. Con l’obiettivo di favorire le aggregazioni professionali, il nuovo art. 177-bis del TUIR ha esteso il regime di neutralità, tipico delle riorganizzazioni fra imprese, a diverse operazioni straordinarie delle attività professionali. L’articolo, esaminata la nuova disciplina, si soffermerà, dapprima, sul coordinamento dell’art. 177-bis TUIR con la controversa fiscalità delle società fra professionisti e fra avvocati e, successivamente, su alcune questioni irrisolte in materia di fiscalità indiretta.
PAROLE CHIAVE: riorganizzazione - imposte sui redditi - studi professionali - neutralitā fiscale - imposte indirette
di Chiara Francioso
1. Introduzione. Il D.lgs. 13 dicembre 2024, n. 192, emanato in attuazione della Legge delega per la riforma fiscale (L. 9 agosto 2023, n. 111), ha novellato il Testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, “TUIR”) inserendovi l’art. 177-bis, rubricato “Operazioni straordinarie e attività professionali”.
In occasione di un’estesa revisione delle previsioni sui redditi prodotti nell’esercizio di arti e professioni, il legislatore ha disciplinato ex novo il fenomeno della riorganizzazione degli studi professionali, codificando un canone di “neutralità fiscale”, per diverse operazioni comportanti la circolazione di un «complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale» (art. 177-bis TUIR).
L’intervento normativo giunge dopo una prolungata fase di incertezza. All’assenza di una disciplina fiscale, aveva tentato di sopperire l’Amministrazione finanziaria con interventi di prassi non univoci, ma sostanzialmente disincentivanti (in base alla stessa relazione tecnica al d.lgs. n. 192/2024, reperibile al collegamento www.camera.it/leg19/682?atto=218&tipoAtto=atto&idLegislatura=19&tab=, «in mancanza di una disciplina fiscale, è da ritenere che i contribuenti si siano astenuti dal porre in essere operazioni che avrebbero comportato l’anticipata tassazione di plusvalenze non ancora realizzate». Oltre alle risposte ad interpello citate di seguito, cfr. FERRANTI, Le lacune normative disincentivano le aggregazioni e le riorganizzazioni degli studi professionali, in Corr. trib., 2019, p. 831 ss.; SACCHETTO, Redditi di lavoro autonomo e disegno di legge delega di riforma tributaria, in Rass. trib., 2022, p. 75).
In diverse risposte ad interpello (del 5 dicembre 2018, n. 125, e del 12 dicembre 2018, n. 107), l’Agenzia delle entrate aveva negato, infatti, che potessero beneficiare del regime di neutralità le riorganizzazioni realizzate tramite trasformazione di un’associazione professionale in una società commerciale di persone tra professionisti o con il conferimento di uno studio professionale individuale o associato in una società fra professionisti, fosse essa società di persone o di capitali. Alla base dei dinieghi vi era, in estrema sintesi, la constatazione del mancato svolgimento, da parte del soggetto dante causa, di un’attività commerciale produttiva di reddito d’impresa e l’impossibilità di qualificare quale “azienda” il complesso di beni e rapporti da conferire, presupposti per l’applicazione dei regimi di neutralità ex artt. 170, comma 1, e 176 TUIR. In base all’art. 9 TUIR, che equipara il conferimento ad una cessione a titolo oneroso, l’Agenzia considerava realizzati eventuali plus- o minusvalori, da quantificarsi secondo le regole di determinazione del reddito di lavoro autonomo, categoria di riferimento per il soggetto conferente.
Il riflesso di tale orientamento sul piano dell’imposizione indiretta era ulteriormente disincentivante. Non potendosi qualificare quale “azienda” il complesso di beni e rapporti oggetto delle riorganizzazioni professionali, le operazioni di cessione o conferimento erano considerate cessioni di beni imponibili ai fini IVA (risposta ad interpello del 5 dicembre 2018, n. 125, che nega l’applicabilità dell’art. 2, comma 3, lett. b), d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). Inoltre, per la stessa ragione, il trasferimento a titolo gratuito dello studio professionale non poteva beneficiare dell’esenzione da imposta di successione e donazione, neppure se compiuto in favore del coniuge o di discendenti intenzionati a proseguire l’esercizio dell’attività (esenzione prevista invece per i trasferimenti a titolo gratuito – anche tramite patto di famiglia – di aziende e partecipazioni di controllo ex art. 3, comma 4-ter, D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, “TUSD”).
Il legislatore delegato è intervenuto anche in materia di imposta sul valore aggiunto, integrando l’art. 2, comma 3, lett. b), del d.P.R n. 633/1972. Nella nuova formulazione, oltre alle cessioni e ai conferimenti d’azienda, non sono considerate cessioni di beni neppure le operazioni aventi ad oggetto «un complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale». L’equiparazione fra l’“azienda” e il “complesso di beni e rapporti professionali” non è avvenuta, però, ai fini dell’imposta di successione e donazione; pertanto, l’esenzione prevista per i trasferimenti di aziende o partecipazioni di controllo in favore del coniuge o dei discendenti non è stata estesa ai passaggi generazionali negli studi professionali. Come si avrà modo di approfondire, tale omissione, seppur di apparente ostacolo al passaggio generazionale, non pare irragionevole, per motivi legati alla ratio dell’agevolazione e alle peculiarità delle attività artistiche e professionali.
Di seguito, esaminate le linee di riforma attuate in tema di aggregazioni professionali, ci si soffermerà, dapprima, sul coordinamento dell’art. 177-bis TUIR con la controversa fiscalità delle società fra professionisti e fra avvocati e, successivamente, su alcune questioni irrisolte in materia di imposte di registro, di successione e di donazione.
2. Dalla prassi del realizzo alla codificazione della neutralità. Il neointrodotto art. 177-bis TUIR estende il modello di neutralità fiscale tipico delle riorganizzazioni fra imprese alle operazioni di aggregazione professionale.
Si tratta di un intervento a lungo atteso, posto che, rispetto ai modelli tradizionali di studio individuale e associazione professionale, l’aggregazione in studi multidisciplinari con un’organizzazione equiparabile a quella imprenditoriale pare rispondere meglio alle esigenze di integrazione di competenze e specializzazione richieste dal mercato (Fondazione nazionale dei commercialisti, La disciplina delle società tra professionisti, settembre 2020, p. 6). Tale approccio permea l’intera riforma concernente i redditi prodotti nell’esercizio di arti e professioni, posto che la stessa relazione illustrativa della Legge delega afferma che, nel «disciplinare il reddito di lavoro autonomo con analiticità e completezza» occorre, in particolare, operare, «ove necessario, precisi rinvii alle disposizioni riguardanti il reddito d’impresa applicabili anche in sede di determinazione del reddito in esame».
Le riorganizzazioni che potranno beneficiare del nuovo regime di neutralità sono, anzitutto, i conferimenti di «un complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale» in una società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico. Il riferimento è alle società tra professionisti (“STP”) che, secondo l’art. 10, commi 3 ss., L. 12 novembre 2011, n. 183, possono essere società di persone, di capitali o cooperative, il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci e altre cautele volte ad assicurare la centralità dell’apporto professionale rispetto a quello del socio investitore.
Similmente a quanto previsto per il conferimento d’azienda (art. 176 TUIR), i conferimenti in STP non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze, a condizione che il soggetto conferente assuma, quale valore delle partecipazioni ricevute, la somma algebrica dei valori fiscalmente riconosciuti di attività e passività conferite e che il soggetto conferitario subentri nella posizione di quello conferente in ordine a quanto ricevuto, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti nelle scritture contabili e i valori fiscalmente riconosciuti.
Alle medesime condizioni, si considerano neutrali anche i conferimenti in società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico diverse dalle STP. Il riferimento è evidentemente alle società fra avvocati (“STA”), di cui all’art. 4-bis della Legge professionale forense (L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo introdotto dalla L. 4 agosto 2017, n. 124). Anch’esse – a differenza di quanto previsto dall’anteriore disciplina di cui al D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96 – possono assumere la forma delle società di persone, di capitali o cooperative e ammettono la partecipazione di professionisti iscritti in albi di altre professioni (sulle implicazioni fiscali del precedente regime delle STA, cfr. SCHIAVOLIN, Prime riflessioni sul trattamento della “neonata” società tra avvocati ai fini delle imposte sui redditi, in Riv. dir. trib., 2001, I, p. 1007 ss., e FICARI, La società fra avvocati nell’imposizione sul reddito: spunti per una discussione, in Rass. trib., 2002, p. 891 ss.). Inoltre, «attesa la “generalità” dell’ambito applicativo delle disposizioni in commento, la norma riguarda, nel rispetto dei principi ivi contenuti, tutte le società esercenti attività regolamentate dagli ordini professionali», come conferma una delle prime risposte ad interpello post riforma (parere dell’Agenzia delle entrate n. 148 del 4 giugno 2025).
La portata del nuovo regime si estende, inoltre, agli apporti nelle associazioni o società semplici ex 5 TUIR, costituite per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, nonché alle trasformazioni, fusioni e scissioni di STP o STA e alle medesime operazioni delle associazioni o società semplici professionali e tra le STP, le STA e le associazioni o società semplici professionali.
Fra queste, nella prassi, appare particolarmente rilevante l’operazione di trasformazione di un’associazione professionale o di una società semplice che svolge attività professionale in una società commerciale tra professionisti (di persone o di capitali). Si configura una trasformazione eterogenea progressiva, la cui disciplina era dettata in precedenza dal solo art. 171, comma 2, TUIR («La trasformazione, effettuata ai sensi dell’articolo 2500-octies del codice civile, di un ente non commerciale in società soggetta all’imposta di cui al Titolo II si considera conferimento limitatamente ai beni diversi da quelli già compresi nell’azienda o complesso aziendale dell’ente stesso»). L’equiparazione al conferimento implica il realizzo per l’ente dante causa dei plusvalori relativi a beni ulteriori rispetto a quelli aziendali, esclusivamente se si configurino redditi diversi [secondo l’art. 67, comma 1, lett. n), sono redditi diversi le plusvalenze realizzate a seguito di trasformazione eterogenea di cui all’art. 171, comma 2, «ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle lettere precedenti» e se non costituiscono redditi conseguiti – fra l’altro – nell’esercizio di arti e professioni. In tema, cfr. DEOTTO, La disciplina tributaria della “trasformazione” dello studio professionale, in L’accertamento, 2019, fasc. 4., p. 31 ss.].
L’espressa estensione, ad opera della riforma, del canone di neutralità alla trasformazione eterogenea progressiva della società semplice o dell’associazione professionale – a prescindere dalla qualificazione del reddito prodotto dalla società di professionisti commerciale avente causa – consente di colmare una lacuna registratasi nel quadro normativo previgente.
Come si approfondirà nel prosieguo, non è pacifica l’applicazione alle STP commerciali del principio di attrazione nel reddito d’impresa (specie a seguito di Cass., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7407), dovendosi accertare caso per caso l’esistenza di un’organizzazione in forma d’impresa tale da giustificare la qualificazione del reddito quale reddito d’impresa. Se tale accertamento avesse dato esito negativo, nella situazione previgente, sarebbe mancato il presupposto logico-giuridico per applicare l’art. 171, comma 2, TUIR, ossia l’ingresso di un patrimonio nel regime fiscale d’impresa e, pertanto, la trasformazione sarebbe rimasta redditualmente irrilevante perché non riconducibile ad alcuna fattispecie imponibile prevista dal legislatore (in tal senso, cfr. ZAGÀ, Le società semplici. Disciplina reddituale e forme di trasparenza fiscale, Giuffrè, Milano, 2023, pp. 81-82).
La relazione illustrativa al decreto legislativo specifica che il principio di neutralità «risulta applicabile anche all’apporto di basi fisse o stabili organizzazioni esistenti nel territorio dello Stato da parte di esercenti arti e professioni, società tra professionisti o associazioni professionali non residenti in associazioni o società professionali residenti».
Alcune previsioni contenute nell’art. 177-bis sono dedicate al passaggio generazionale nelle attività professionali (comma 2, lett. d) e comma 3). Sul modello dell’art. 58, comma 1, TUIR, è considerato neutrale il trasferimento per causa di morte o per atto gratuito del complesso unitario di beni e rapporti professionali organizzato per l’esercizio dell’attività svolta in forma individuale. Ciò vale, altresì, se, entro cinque anni dall’apertura della successione, cessi l’esercizio in forma associata di arti e professioni da parte degli eredi e uno solo di essi prosegua nell’attività. Anche nello scenario del passaggio generazionale, il regime di neutralità opera a condizione che lo studio professionale trasferito sia assunto dall’avente causa ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa.
2.1. Il passaggio da un criterio d’imputazione temporale all’altro. Il nuovo art. 177-bis TUIR contiene apposite disposizioni per evitare salti o duplicazioni di imposizione, «nel caso di passaggio, per effetto delle disposizioni di cui ai commi precedenti, da un periodo di imposta soggetto alla determinazione del reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 54 a un periodo di imposta soggetto alla determinazione del reddito d’impresa ai sensi degli articoli 56 e 83» o viceversa (comma 4).
In questi scenari, i componenti positivi e negativi che hanno già concorso alla formazione del reddito, in base alle regole di una delle due categorie, non assumono rilevanza nella determinazione del reddito dell’altra nei successivi periodi. Nella relazione illustrativa, si precisa che, nel passaggio da un periodo soggetto al criterio di cassa ad uno soggetto al criterio di competenza, i componenti che non hanno ancora concorso alla determinazione del reddito di lavoro autonomo secondo il criterio di cassa concorreranno alla determinazione del reddito d’impresa al momento della manifestazione finanziaria. Ad esempio, il credito di una associazione professionale non ancora incassato al momento della trasformazione in STP concorrerà alla determinazione del reddito di tale ultima società al momento dell’incasso.
Nessun esempio è formulato per il caso opposto, ossia il passaggio dalla produzione di reddito d’impresa alla produzione di reddito di lavoro autonomo, ma anche in tal caso, laddove il componente positivo o negativo fosse già maturato, non assumerebbe rilevanza al momento della manifestazione finanziaria e, se invece non fosse ancora maturato, rileverebbe al momento della maturazione. Tale soluzione, come le precedenti, è supportata dalla prassi amministrativa relativa ad una disposizione analoga e antecedente a quella in commento che disciplina il passaggio da un periodo d’imposta soggetto alla determinazione del reddito delle imprese minori (improntato al criterio di cassa), a un periodo d’imposta soggetto a regime ordinario (improntato al criterio di competenza), e viceversa (art. 1, comma 19, L. 11 dicembre 2016, n. 232; sul criterio di imputazione temporale nelle imprese minori e sulla sua ratio, cfr. CARDELLA, L’impresa minore nell’ordinamento tributario, Wolters Kluwer-Cedam, Milano-Padova, 2024, 118 ss.). A questo proposito, la circolare dell’Agenzia delle entrate 13 aprile 2017, n. 11/E, aveva chiarito che «i componenti reddituali – per i quali sia mutato il criterio di imputazione temporale in occasione del cambio di regime – che non abbiano concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole previste dal regime di “provenienza” concorreranno alla formazione del reddito dei periodi di imposta successivi ancorché non si siano verificati i presupposti di imponibilità/deducibilità previsti dal regime di “destinazione”. Al fine di individuare la corretta imputazione temporale di tali componenti reddituali è necessario far riferimento alle regole vigenti nel regime di “provenienza”».
La tematica è strettamente connessa alla qualificazione dei redditi prodotti dai soggetti coinvolti nella riorganizzazione. Come si avrà modo di approfondire successivamente, se, da un lato, è indubbio che producano reddito di lavoro autonomo i professionisti che operano individualmente o in forma associata (associazione professionale o società semplice), dall’altro è controverso che le società commerciali fra professionisti producano in ogni caso reddito d’impresa. Prima della riforma in esame, la tesi dell’amministrazione finanziaria secondo cui queste ultime producono sempre reddito d’impresa (in base agli artt. 6 e 81 TUIR) era stata smentita dalla giurisprudenza di legittimità in base alla quale – in assenza di una disciplina fiscale dedicata – la qualificazione del reddito di una STP come reddito di impresa dipende dalla concreta presenza al suo interno di un autonomo profilo organizzativo, rispetto al lavoro professionale, capace di “spersonalizzare” l’attività svolta e di fornire, come struttura a sé stante, quella stessa prestazione professionale che connota l’attività personale tipica del professionista (Cass., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7407). Occorreva, dunque, discernere caso per caso l’attività professionale – generalmente produttiva di reddito di lavoro autonomo – da quella organizzata mediante la combinazione dei fattori capitale-lavoro, produttiva di reddito d’impresa.
Ad eccezione del comma 4 dell’art. 177-bis TUIR, qui esaminato, il D.lgs. n. 192/2024 non si è espresso sulla qualificazione dei redditi prodotti dalle società fra professionisti (o fra avvocati). Il fatto che sia contemplato espressamente il passaggio – per effetto della nuova disciplina – dalle regole di determinazione di una categoria a quelle dell’altra potrebbe avvalorare la tesi secondo cui le STP o le STA producono in ogni caso reddito d’impresa. Nel contempo, la portata del comma 4 potrebbe essere limitata ai casi in cui l’accertamento caso per caso evidenzi l’esistenza di un’organizzazione in forma d’impresa tale da giustificare la qualificazione del reddito quale reddito d’impresa.
2.2. Le residue fattispecie realizzative. Le operazioni sin qui sinteticamente descritte – ora soggette al modello di neutralità fiscale – non esauriscono il ventaglio delle possibili operazioni straordinarie professionali. Particolarmente rilevanti sono, come noto, le cessioni a titolo oneroso dello studio professionale individuale, della clientela o di una quota di un’associazione professionale o di una STP.
Nel quadro normativo ante riforma, la cessione dello studio professionale (individuale o associato) non era configurabile come cessione di “azienda” a fronte di un compenso unitario, poiché la prassi amministrativa e la giurisprudenza di legittimità la consideravano una fattispecie contrattuale atipica, specie per le peculiarità connesse al trasferimento della clientela (risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 29 marzo 2002, n. 108/E e risposta ad interpello del 5 dicembre 2018, n. 125, che richiamano l’orientamento giurisprudenziale espresso da Cass., Sez. un., 21 luglio 1967, n. 1889, e, più di recente, Id., sez. II, 9 febbraio 2010, n. 2860). Oltre al trasferimento di beni materiali, in virtù dell’intuitu personae che connota il rapporto tra professionista e cliente, tale contratto instaura tra i due professionisti un rapporto di tipo obbligatorio nel quale il professionista c.d. “cedente”, a fronte del corrispettivo percepito, assume l’impegno di favorire il soggetto subentrante nella prosecuzione del rapporto con i propri vecchi clienti, attraverso condotte attive (promozione dei contatti con il professionista subentrante) e omissive (astensione dall’operare in concorrenza).
Il trattamento fiscale della cessione dello studio ai fini reddituali, dunque, doveva essere analizzato separatamente per ciascun insieme di asset ceduti (beni materiali – mobili e immobili – e beni immateriali, come la clientela), ma, anche così scomposta, si trattava di un’operazione sostanzialmente realizzativa. Già in base alla precedente formulazione dell’art. 54 TUIR, concorrevano a formare il reddito di lavoro autonomo le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei beni strumentali (comma 1-bis, lett. a) e i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale (comma 1-quater; sebbene prima della riforma del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, quest’ultima tipologia di corrispettivo fosse ricondotta ai redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, in base ad apporti dottrinali e orientamenti di prassi. Cfr. STEVANATO, Proventi derivanti da cessione di studio professionale: quale trattamento ai fini dell’imposizione diretta?, in Riv. dir. trib., 1991, I, p. 843 ss., e risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 29 marzo 2002, n. 108. Sul quadro normativo delinatosi col D.L. n. 223/2006, si veda ZAGÀ, Manovrabis: le nuove regole di determinazione del reddito di lavoro autonomo, in Dir. prat. trib., 2006, I, spec. 906 ss.).
La riforma in questione, come si è evidenziato, introduce una nozione di “studio professionale” inteso quale «complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale», così definito in sede di disciplina delle operazioni neutrali (art. 177-bis TUIR). Fra queste non è annoverata la cessione a titolo oneroso di tale complesso di beni e rapporti professionali.
Senz’altro tale operazione, a seguito della riforma, non è più soggetta ad IVA, grazie all’esclusione operata dall’art. 2, comma 3, lett. b), del d.P.R n. 633/1972, riferita testualmente non solo ai conferimenti degli studi professionali (ora neutrali ai fini reddituali) ma anche alla loro cessione. Tornando alla prospettiva delle imposte sui redditi, la categoria dei redditi di lavoro autonomo ha subito una profonda rivisitazione ad opera del D.lgs. n. 192/2024, a seguito della quale è venuto meno il riferimento esplicito all’imponibilità dei corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di altri elementi immateriali. Permane, invece, un’espressa disciplina dedicata alle plusvalenze dei beni mobili strumentali, analoga alla precedente e ora collocata nel neointrodotto art. 54-bis TUIR.
La principale novità sulla categoria di reddito consiste nella previsione di onnicomprensività della base imponibile (art. 54, comma primo, primo periodo, TUIR: «Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica o professionale e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività, salvo quanto diversamente stabilito nel presente articolo e negli altri articoli del capo V»). Dunque, la soppressione della disposizione dedicata alla cessione della clientela o di altri elementi immateriali può ritenersi compensata dalla clausola generale di onnicomprensività.
La stessa relazione illustrativa al D.lgs. n. 192/2024 precisa che la concorrenza alla formazione del reddito dei corrispettivi ricevuti a tale titolo «risulta implicitamente confermata dal criterio generale sancito nel nuovo comma 1 del medesimo articolo 54». Inoltre, l’art. 17, comma 1, lett. g-ter), TUIR, che in precedenza ammetteva la tassazione separata delle somme di cui al vecchio comma 1-quater dell’art. 54, ora la prevede testualmente per i «corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali, se percepiti, anche in più rate, nello stesso periodo di imposta».
Non deve sorprendere che la cessione dello studio professionale sia considerata un evento realizzativo, poiché, analogamente alla cessione d’azienda, oltre a comportare una monetizzazione, denota la volontà di disinvestire: diversamente dal conferimento (neutrale), non permane, infatti, un nesso qualificato fra il titolare dello studio e il complesso di beni e rapporti professionali ceduti, non verificandosi una sostituzione fra tale complesso e una partecipazione (sulle ragioni dei diversi modelli impositivi della cessione e del conferimento d’azienda, senza pretesa di esaustività, cfr. PORCARO, Le ragioni della “sistematica” neutralità delle recenti norme sulle ristrutturazioni aziendali: dal trasferimento gratuito, al conferimento, alle fusioni, in Rass. trib., 1997, p. 1556 ss.; ZIZZO, Le operazioni straordinarie tra realizzo e neutralità: spunti sistematici, in Riv. dir. trib., I, 2006, 515 ss.; TURCHI, Conferimenti e apporti nel sistema delle imposte sui redditi, Giappichelli, Torino, 2008, p. 4 ss.; FANTOZZI, PAPARELLA, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Wolters Kluwer-Cedam, Milano-Padova, 2019, p. 331 ss.).
Anche la cessione della quota di un’associazione professionale o di una STP fa emergere redditi imponibili, da qualificare diversamente nelle due ipotesi. Vengono in rilievo, a questo scopo, tre possibili categorie di reddito: vi è da chiedersi, infatti, se il reddito conseguito dal cedente sia di lavoro autonomo, d’impresa o diverso.
Per tentare di individuare una soluzione è utile muovere dal quadro normativo ante riforma.
In una prima fase, si consideravano redditi diversi tutte «le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali [e dei] dei certificati rappresentativi di partecipazioni in […] associazioni» [art. 81 TUIR, comma 1, lett. c) e c-bis), come modificato dal D.L. 28 gennaio 1991, n. 27]. Con l’intervento ad opera del D.lgs. 21 novembre 1997, n. 461, dall’art. 81 TUIR [poi divenuto l’art. 67, comma primo, lett. c) e c-bis)] sono state espressamente escluse le plusvalenze derivanti dalla cessione di quote di associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) TUIR. Secondo l’interpretazione generalmente accolta (Circolare ministeriale 24 giugno 1998, n. 165, § 2.2.2), dunque, la cessione di tali quote era irrilevante sul piano delle imposte sui redditi. Alla luce dell’equiparazione ex art. 5, comma 3, lett. c) del TUIR tra l’associazione professionale e la società semplice, l’esclusione da tassazione si considerava estesa anche alle plusvalenze realizzate con la cessione di una quota partecipativa in una società semplice tra professionisti (cfr. ZAGÀ, Le società semplici. Disciplina reddituale e forme di trasparenza fiscale, cit., p. 82).
Il D.lgs. n. 192/2024 ha rimosso tale esclusione dall’art. 67 TUIR, comma primo, lett. c) e c-bis), per cui – secondo la prima formulazione post riforma – sono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante la cessione di ogni partecipazione al capitale o al patrimonio delle società di cui all’articolo 5 e dei soggetti di cui all’articolo 73 TUIR. Se ne poteva dedurre l’acquisito rilievo, quale reddito diverso, delle plusvalenze derivanti dalla cessione di quote di associazioni professionali. Tuttavia, due passaggi della relazione illustrativa al Decreto – invero piuttosto ambigui – lasciavano trasparire l’interpretazione alternativa secondo cui le plusvalenze da cessione delle quote di un’associazione professionale sarebbero state imponibili quale reddito di lavoro autonomo, in virtù del principio di onnicomprensività. Vi si leggeva in particolare che la soppressione dell’esclusione nell’art. 67 risponde a «ragioni sistematiche e di coordinamento normativo» e che nell’art. 17, comma primo, lett. g-ter) «viene […] precisato che beneficiano del regime di tassazione separata anche le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in associazioni e società che esercitano un’attività artistica o professionale produttiva di reddito di lavoro autonomo, a esclusione delle partecipazioni in società tra professionisti esercenti attività da cui consegue un reddito d’impresa, che restano soggette alla disciplina dell’art. 67 del TUIR».
La relazione sovrapponeva i diversi piani concettuali della qualificazione del reddito e della modalità di tassazione (globale, sostitutiva o separata). Invece, astrattamente ben potrebbe concepirsi la tassazione separata della plusvalenza da cessione della quota di un’associazione professionale, anche laddove tale reddito fosse qualificabile come reddito diverso (in ragione della soppressione nell’art. 67 dell’esclusione da imposizione). Del resto, a prescindere dalla riconduzione all’una o all’altra categoria di reddito, si tratta in ogni caso di un provento a formazione pluriennale. L’apparente antitesi tra plusvalenze (qualificate quali redditi di lavoro autonomo) soggette a tassazione separata e plusvalenze qualificate quali redditi diversi si spiega in considerazione del fatto che le seconde – pur essendo maturate in più periodi d’imposta – sono soggette ad imposizione sostitutiva con ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento (come le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società di persone e di capitali esercenti attività produttive di reddito di impresa) e perciò non necessitano della tassazione separata per essere sottratte all’imposizione progressiva.
All’ambiguità descritta, ha posto rimedio il D.L. 17 giugno 2025, n. 84, precisando, all’art. 54 TUIR, che «Le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in associazioni e società che esercitano un’attività artistica o professionale, ivi comprese quelle in società tra professionisti e in altre società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico di cui all’articolo 177-bis, costituiscono redditi diversi» e sopprimendo il riferimento all’opzione per la loro tassazione separata contenuto all’art. 17, comma 1, lettera g-ter) (la soluzione adottata corrisponde a quanto auspicato dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili – che da tempo monitora la prassi e l’evoluzione normativa sulle aggregazioni professionali – nel documento “Proposte di disposizioni correttive e integrative” del 31 gennaio 2025, reperibile al collegamento https://commercialisti.it/informative/15-proposte-di-disposizioni-correttive-e-integrative-da-emanare-ai-sensi-dellarticolo-1-comma-6-della-legge-9-agosto-2023-n-111-dei-decreti-legislativi-di-attuazione-della-riforma-tri/).
Per effetto del recente intervento correttivo, dunque, tali plusvalenze saranno sempre assoggettate all’imposta sostituiva con aliquota del 26 per cento.
3. Il mancato coordinamento con la fiscalità delle società fra professionisti e fra avvocati. La portata del criterio di neutralità introdotto dall’art. 177-bis TUIR non è stata limitata alle sole aggregazioni “espansive”, che diano luogo ad una società di capitali fra professionisti o ne potenzino una preesistente. Tuttavia, tale scenario appare quello maggiormente attrattivo sia sul piano degli affari, poiché uno studio organizzato e multidisciplinare corrisponde alle attese del mercato odierno, sia sul piano fiscale, poiché potrebbe consentire il passaggio dall’imposizione (per trasparenza) progressiva all’imposizione proporzionale, evitando l’emersione di plusvalori latenti (cfr., in tal senso, CARINCI, PATUMI, Società tra professionisti: i vantaggi con la neutralità fiscale dei conferimenti, in Quotidianopiù Giuffrè, 21 gennaio 2025).
A ben vedere, la convenienza fiscale delle operazioni che diano luogo ad una società di capitali fra professionisti non è palese, per due ordini di ragioni. Anzitutto, il carico fiscale complessivo sugli utili della STP di capitali risultante dall’operazione è dato dall’integrazione della tassazione sopportata dalla società, soggetta ad IRES, con la tassazione del socio, soggetto a ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento al momento della distribuzione degli utili (il vero vantaggio di tale assetto – come rileva CANÈ, Inscindibilità del reddito societario e società tra professionisti, in Tax News, 21 dicembre 2021 – è rappresentato dalla possibilità per i soci di differire la tassazione fino alla distribuzione dell’utile). Inoltre, con una riorganizzazione, potrebbe verificarsi il passaggio da una forma di esercizio dell’attività che non sconta l’applicazione dell’IRAP ad una forma organizzata senz’altro soggetta ad imposta.
Un’ulteriore ragione, che costituisce il maggior limite della riforma, risiede nel mancato coordinamento fra la disciplina delle società fra professionisti e quella delle riorganizzazioni professionali. L’estesa revisione della fiscalità delle attività professionali non è intervenuta direttamente sull’annosa questione della qualificazione dei redditi prodotti dalle società fra professionisti (o fra avvocati). L’unica previsione esplicita – di cui si è già dato atto – riguarda l’esigenza di evitare salti o duplicazioni di imposizione nel passaggio da un periodo soggetto alle regole di determinazione di una categoria (reddito di lavoro autonomo o di impresa) ad un periodo soggetto alle regole dell’altra (comma 4, art. 177-bis TUIR).
Ciò potrebbe avvalorare la tesi secondo cui le STP o le STA producono in ogni caso reddito d’impresa, stante il principio di attrazione nel reddito d’impresa dei redditi societari da qualunque fonte provengano (artt. 6 e 81 TUIR). Tuttavia, alla luce dell’attività svolta – intrinsecamente professionale – e in assenza di un’apposita qualificazione dei redditi prodotti, tale conclusione non è pacifica. La portata del comma 4 del nuovo art. 177-bis, d’altra parte, potrebbe essere limitata ai casi in cui l’accertamento caso per caso evidenzi l’esistenza di un’organizzazione in forma d’impresa tale da giustificare la qualificazione del reddito quale reddito d’impresa.
Si rammenta, infatti, che, secondo la giurisprudenza precedente al D.lgs. 192/2024, occorre discernere l’attività professionale – generalmente produttiva di reddito di lavoro autonomo – da quella organizzata in forma tale da comportarne una “spersonalizzazione”, produttiva di reddito d’impresa. È questo il punto di approdo di un insolito dibattito che ha visto contrapporsi, da un lato, la tesi sostenuta dall’Agenzia delle entrate e dalle società fra professionisti e, dall’altro, la soluzione adottata dalla Corte di cassazione in sede civile con la nota sentenza della sez. III, 17 marzo 2021, n. 7407.
In varie occasioni – precedenti e successive a quella pronuncia – l’Agenzia, rammentando che l’appartenenza alla categoria del reddito d’impresa può dipendere sia dalle caratteristiche dell’attività svolta, sia dalla qualificazione formale del soggetto, ha affermato che le società fra professionisti commerciali producono sempre reddito d’impresa. E ciò in quanto, secondo gli artt. 6 e 81 TUIR, il reddito complessivo delle società in nome collettivo e in accomandita semplice e delle società di capitali è considerato reddito d’impresa da qualsiasi fonte provenga ed è determinato unitariamente secondo le regole di tale categoria. Pareri di questo tenore sono stati espressi in risposta a vari interpelli concernenti i dubbi sulla doverosità delle ritenute normalmente applicate dai clienti degli studi professionali sui compensi corrisposti, che invece non sarebbero contemplate se tali versamenti costituissero redditi d’impresa per la STP (art. 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Si vedano le risoluzioni del 4 maggio 2006, n. 56/E, e del 7 maggio 2018, n. 35/E, e le risposte ad interpello del 5 dicembre 2018, n. 125, del 12 dicembre 2018, n. 107, e del 16 settembre 2021, n. 600). Più precisamente, secondo la prassi amministrativa, ferma restando la natura professionale dell’attività svolta dalle STP, il corrispettivo dovuto da chi ha fruito della prestazione non si configura per la società come compenso per prestazioni di lavoro autonomo da assoggettare a ritenuta, bensì come ricavo, conseguito nell’ambito dell’attività propria della società, che concorre alla determinazione del reddito d’impresa come componente positivo di reddito.
La sentenza della terza sezione della Suprema Corte (n. 7407/2021) origina proprio da una controversia – instaurata avanti al giudice ordinario – fra una STP ed una società sua cliente, in seguito alla ritenuta d’acconto operata dalla seconda sui compensi corrisposti alla prima. Ritenendo che le somme corrisposte dalla società cliente costituissero reddito d’impresa, la STP aveva chiesto alla controparte la restituzione delle trattenute operate, invocando la prassi dell’Agenzia delle entrate. Non pare superfluo rievocare il fatto all’origine della lite, poiché, nonostante la recente riforma, la problematica relativa alle ritenute rimane uno dei principali ostacoli fiscali al decollo delle aggregazioni professionali nella forma delle società commerciali.
La Corte, constatando l’assenza di una espressa previsione normativa, che qualifichi la natura, ai fini fiscali, del reddito prodotto dalle STP, premette che l’attività ermeneutica «conduce ad esiti diametralmente opposti, a seconda che si scelga di privilegiare il presupposto soggettivo (vale a dire, la natura del soggetto che produce il reddito), ovvero quello oggettivo, che ha riguardo, invece, ai caratteri dell’attività svolta da tali società». Attingendo da uno dei principali orientamenti dottrinali in materia (PIANTAVIGNA, La qualificazione del reddito nelle società tra professionisti, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2015, I, p. 88 ss., e, sul piano metodologico, FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Giappichelli, Torino, 1998, p. 260), la soluzione allo stallo determinato dall’inazione del legislatore è ravvisata nelle norme civilistiche, poiché, «in assenza di una previsione specifica nella disciplina di secondo grado (quella fiscale), torna ad avere applicazione diretta quella civilistica (ovvero, di primo grado), […] ponendosi quella di cui al codice civile come normativa generale, che normalmente “cede il passo alla normativa fiscale “speciale” che disciplina un determinato aspetto dell’istituto nell’ambito di una imposta, o di gruppo di imposte”». Il riferimento è in particolare all’art. 2238 c.c., che, «se in linea generale nega – ancorché in modo indiretto – la natura commerciale delle attività dei professionisti intellettuali e degli artisti, stabilisce, nel contempo, che a tali attività intellettuali e artistiche si applichino le disposizioni dettate in relazione all’impresa commerciale, allorché le prestazioni professionali costituiscono elemento di una attività organizzata in forma d’impresa».
La pronuncia conclude che la qualificazione del reddito di una STP, come reddito di impresa, deve farsi dipendere dalla concreta configurazione della società, ed in particolare dalla presenza al suo interno (da accertarsi caso per caso), di un autonomo profilo organizzativo, rispetto al lavoro professionale, capace di “spersonalizzare” l’attività svolta e di fornire, come struttura a sé stante, quella stessa prestazione professionale che connota l’attività personale tipica del professionista. Pertanto, ai fini dell’applicazione della ritenuta d’acconto alle somme corrisposte alle STP, risulta decisivo qualificarle come redditi di lavoro autonomo, conclusione cui si perviene nel caso di specie, mancando la prova che le prestazioni di lavoro autonomo si inseriscano in una più ampia attività organizzata in forma d’impresa, ossia che il lavoro del professionista ed il capitale concorrano entrambi nella produzione del reddito.
La dottrina, pur pervenendo a conclusioni divergenti (raramente coincidenti con quelle espresse dalla Suprema Corte), pare generalmente concorde sul fatto che qualsiasi opzione ermeneutica comporti indubbie complicazioni sul piano pratico e, dunque, sull’opportunità di introdurre un’autonoma disciplina dei profili fiscali, foss’anche solo nel senso di estendere espressamente alle STP lo statuto fiscale dell’impresa commerciale (per le diverse posizioni espresse, cfr. TARIGO, I redditi di lavoro autonomo, in Aa.Vv., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, vol. II, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da TESAURO, UTET, Torino, 1994, p. 369; PIANTAVIGNA, La qualificazione del reddito nelle società tra professionisti, cit., pp. 92-93, 101-102 e 115; A.M. GAFFURI, Le società tra professionisti. Aspetti tributari, in Le società, 2019, p. 1207 ss.; MICELI, La natura del reddito prodotto dalle società commerciali tra professionisti, in Dir. prat. trib., 2021, pp. 2799-2800; ID., La natura del reddito prodotto dalle società tra professionisti: un quadro generale, in Riv. tel. dir. trib., 2021, 322 ss.; RONCO, Forma commerciale e impresa nell’imposizione sui redditi, Pacini, Pisa, 2021, pp. 101-108; CANÈ, Inscindibilità del reddito societario e società tra professionisti, cit.; SACCHETTO, Redditi di lavoro autonomo e disegno di legge delega di riforma tributaria, cit., p. 73 ss.; ZAGÀ, Le società semplici. Disciplina reddituale e forme di trasparenza fiscale, cit., p. 60 ss.).
Del resto, già prima della compiuta regolamentazione delle STP e delle STA da parte delle L. n. 183/2011 e L. n. 247/2012, nello studio dei confini fra le categorie del reddito di lavoro autonomo e del reddito d’impresa, la dottrina tributaria aveva enfatizzato – in luogo del dato formalistico-contrattuale rilevante ai sensi del Codice civile – le esigenze di valorizzare il risultato dell’attività esercitata e di legare l’imposizione a parametri correlati a forme produttive di ricchezza, in ossequio al principio di capacità contributiva. Si evidenziava, dunque, che nessun ostacolo dogmatico si sarebbe frapposto alla riconduzione del fenomeno associativo fra professionisti nell’alveo del reddito d’impresa in presenza di organizzazione ad impresa (e, quindi, previa ricognizione del grado di coinvolgimento personale del professionista nello svolgimento della prestazione e dei fattori produttivi a sua disposizione. In tal senso, cfr. compiutamente SACCHETTO, I redditi di lavoro autonomo: nozione e disciplina tributaria, Milano, 1984, pp. 360-362; GIOVANNINI, La nozione di imprenditore, in Aa.Vv., L’imposta sul reddito delle persone fisiche, vol. II, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da TESAURO, UTET, Torino, 1994, p. 431 ss.; ID., voce Professionisti (associazioni e società fra) nel diritto tributario, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 1995, § 3).
L’art. 177-bis TUIR, estendendo il canone di neutralità a diversi tipi di riorganizzazione degli studi professionali, supera – almeno nella gestione straordinaria – un ostacolo fiscale significativo alla diffusione delle STP. In precedenza, infatti, all’applicazione della neutralità ostavano il mancato svolgimento, da parte dell’avente e/o del dante causa, di un’attività commerciale produttiva di reddito d’impresa e l’impossibilità di qualificare quale “azienda” il complesso di beni e rapporti da trasferire. Poiché la nuova disposizione non àncora l’operatività della neutralità alla tipologia di reddito prodotto dai soggetti partecipanti, neppure la giurisprudenza citata preclude la possibilità ai professionisti di aggregarsi in società, differendo l’emersione di eventuali plusvalori.
Quanto alla gestione ordinaria, si prospettano due scenari.
Qualora dovesse prevalere un’“interpretazione evolutiva” della questione sin qui esposta, giustificata dalle assonanze fra lo statuto dell’impresa e il nuovo art. 177-bis TUIR (specie osservando comma 4), si assisterebbe ad un’indubbia semplificazione.
Se, invece, restasse fermo l’orientamento giurisprudenziale, permarrebbero, oltre ai dubbi sulla doverosità delle ritenute d’acconto, limiti significativi – anche sul piano contabile – legati alla necessità di distinguere la natura dei redditi prodotti da ciascun socio. Laddove dall’analisi “caso per caso” non risultasse raggiunto un livello di organizzazione sufficiente a qualificare il reddito societario quale reddito d’impresa, occorrerà distinguere l’attività svolta dalle diverse categorie di soci (“socio professionista”, “socio investitore” o “socio per prestazioni tecniche”), spaziando fra redditi di lavoro autonomo, diversi o d’impresa. Si pensi alla difficoltà di tenere una duplice contabilità e di adottare all’interno della stessa compagine sociale criteri d’imputazione temporale diversi a seconda del tipo di reddito prodotto.
4. Imposizione indiretta: questioni irrisolte in materia di imposte di registro, di successione e di donazione. La riforma attuata dal D.lgs. n. 192/2024 non ha tralasciato i profili di fiscalità indiretta delle aggregazioni professionali, sebbene risaltino alcune lacune su cui pare opportuno soffermarsi.
Come si è premesso, superando il precedente orientamento di prassi (risposta ad interpello del 5 dicembre 2018, n. 125), l’art. 2, comma 3, lett. b) ed f), del d.P.R n. 633/1972 esclude ora dal campo di applicazione dell’IVA le operazioni riguardanti «un complesso unitario di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale», nonché «i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti, inclusi quelli costituiti per l’esercizio dell’attività artistica o professionale».
Le riorganizzazioni concernenti gli studi professionali vengono così equiparate anche ai fini IVA alle riorganizzazioni fra imprese, generalmente escluse dal campo di applicazione dell’imposta, perché, pur presentando i requisiti delle operazioni imponibili, sono estranee alla gestione ordinaria dell’attività (FEDELE, Struttura dell’impresa e vicende dell’azienda nell’IVA e nell’imposta di registro, in AV.VV., La struttura dell’impresa e l’imposizione fiscale, Padova, 1981, p. 163; TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, agg. da FREGNI, SARTORI, TURCHI, Utet, Milano, 2022, p. 242). In questo contesto, infatti, cessioni e conferimenti, piuttosto che atti di scambio, sono atti di organizzazione (FANTOZZI, PAPARELLA, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Wolters Kluwer-Cedam, Milano-Padova, 2019, p. 404). Analogamente, i passaggi di beni in occasione di fusioni, trasformazioni o scissioni sono prive di intento traslativo, dipendendo invece da una mutazione dei soggetti (FALSITTA, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Wolters Kluwer-Cedam, Milano-Padova, 2021, p. 874; in giurisprudenza, cfr. Corte di giustizia UE, 27 novembre 2003, C-497/01, Zita Modes Sàrl, § 39, e Id., 10 novembre 2011, C-444/10, Finanzamt Lüdenscheid c. Christel Schriever, § 21-23).
4.1. Registrazione degli atti di riorganizzazione professionale. Dubbi sulla disciplina applicabile alla cessione dello studio. Alle riorganizzazioni si applica il tributo di registro, tipico della raccolta di capitali. I conferimenti, le fusioni, le scissioni e le trasformazioni che coinvolgono le attività professionali, come quelle societarie, nella maggior parte dei casi vi saranno assoggettate in misura fissa. Il D.lgs. n. 192/2024 ha, infatti, esteso all’ambito artistico e professionale il regime impositivo destinato a tali atti di riorganizzazione societaria, caratterizzato dalla tassazione in misura fissa in ragione di vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea (Direttiva n. 335/1969/CEE, sostituita dalla Direttiva n. 2008/7/CE, volta a rimuovere ostacoli fiscali al raggruppamento e allo sviluppo delle imprese nel mercato unico, su cui si veda CORASANITI, Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società, Cedam, Padova, 2008, p. 354 ss.).
Precisamente, la Tariffa del TUR (parte I, art. 4) prevede ora l’applicazione della tassa di registro nella misura fissa di euro 200 ai «conferimenti di proprietà o diritto reale […] su complessi unitari di attività materiali e immateriali, inclusa la clientela e ogni altro elemento immateriale, nonché di passività, organizzati per l’esercizio dell’attività artistica o professionale», al pari di quanto avviene nel conferimento d’azienda. Sono tassate in egual misura le «operazioni straordinarie di cui all’articolo 177-bis del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917», espressamente accostate alle fusioni e alle scissioni societarie. L’applicazione dell’imposta proporzionale con aliquota al 4 per cento è riservata alla costituzione e all’aumento del capitale o del patrimonio «con conferimento di proprietà o diritto reale di godimento su fabbricati destinati specificamente all’esercizio di attività commerciali, artistiche, professionali e non suscettibili di altra destinazione senza radicale trasformazione» (si rammenta che l’imposizione proporzionale sui conferimenti immobiliari era stata ritenuta conforme al diritto europeo da Corte di giustizia UE, 11 dicembre 1997, C-42/96, Società immobiliare SIF SpA contro Amministrazione delle finanze dello Stato).
Secondo l’art. 23, comma 4, primo periodo, TUR, «Nelle cessioni di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa, si applicano le aliquote previste per i trasferimenti a titolo oneroso aventi a oggetto le diverse tipologie di beni che compongono l’azienda o il ramo di azienda, sulla base dell’imputazione a tali beni di una quota parte del corrispettivo da individuare secondo una ripartizione indicata nell’atto o nei suoi allegati». A differenza di quanto accaduto in materia di IVA, ove l’esclusione della cessione d’azienda dal campo di applicazione è stata espressamente estesa alla cessione dello studio professionale, nel TUR non è stata inserita alcuna previsione volta a disciplinare tale operazione. Si tratta, dunque, di comprendere se – e in base a quale disposizione – l’operazione sia assoggettabile al tributo di registro.
L’art. 23, comma 4, TUR non sembra immediatamente applicabile alla cessione a titolo oneroso di un complesso unitario di attività materiali e immateriali organizzato per l’esercizio dell’attività artistica o professionale, sebbene la sua differenziazione – ai soli fini del registro – rispetto alla cessione d’azienda appaia poco razionale.
L’omessa previsione della cessione dello studio professionale dalla portata della norma parrebbe “intenzionale” poiché l’art. 23 TUR era stato integrato in occasione della medesima riforma fiscale che ha interessato la disciplina delle aggregazioni professionali. Sulla scorta della L. delega n. 111/2023, infatti, il legislatore delegato è intervenuto sulla disciplina dell’imposta di registro con due provvedimenti ravvicinati (il D.Lgs. 18 settembre 2024 n. 139 e il D.lgs. 13 dicembre 2024 n. 192), dapprima nell’ambito della “razionalizzazione dei tributi indiretti” e successivamente con riguardo alle riorganizzazioni professionali. In particolare, l’art. 23, comma 4, TUR è stato integrato ad opera del D.lgs. n. 139/2024 affinché stabilisse espressamente le condizioni in presenza delle quali, nei casi di cessione di un’azienda o di un ramo aziendale, sono applicabili, separatamente, le diverse aliquote previste per il trasferimento dei singoli beni e diritti che lo compongono, in luogo di un’aliquota unica (quella più elevata), recependo un orientamento interpretativo già consolidatosi nella vigenza dell’originaria formulazione (come conferma la circolare dell’Agenzia delle entrate 14 marzo 2025, n. 2/E).
Ciò non significa, però, che l’operazione non debba essere registrata e tassata. Si possono ipotizzare, in proposito, tre distinte soluzioni, a seconda che siano presentati per la registrazione un unico atto di cessione dello studio professionale nel suo complesso oppure una moltitudine di atti ciascuno avente ad oggetto una diversa categoria di beni o rapporti professionali.
A fronte di un unico atto di cessione dello studio, mancando una previsione ad hoc, potrebbe rilevare l’art. 9 della parte I della Tariffa, disposizione di natura residuale che ricomprende fra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta proporzionale al 3 per cento, gli «atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale».
A ben vedere, però, al caso di specie potrebbe anche applicarsi l’art. 23, comma primo, TUR, secondo cui «Se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti». Del resto, prima della recente specificazione nel quarto comma delle condizioni per poter beneficiare delle diverse aliquote, si faceva leva proprio sul comma primo per giungere al medesimo risultato.
In alternativa, se la cessione dell’attività professionale dovesse concretizzarsi attraverso una moltitudine di atti, potrebbero trovare applicazione le diverse aliquote previste per i singoli beni e diritti ceduti. Nell’ultima ipotesi, il risultato non è così diverso da quello ottenuto applicando il comma primo dell’art. 23. Tuttavia, la soluzione indicata si espone al rischio di arbitraggi “IVA-registro”, poiché ripropone nel contesto delle riorganizzazioni professionali la dinamica della cessione c.d. “spezzatino” cui si assiste qualora i contribuenti reputino più conveniente sottoscrivere diversi contratti di vendita di beni aziendali per applicarvi l’IVA, tributo neutrale, in luogo dell’imposta proporzionale di registro (invocando il principio di alternatività delle due imposte, ex art. 40 TUR).
4.2. La mancata esenzione da imposta di successione e donazione dell’assegnazione a titolo gratuito dello studio: ostacolo al passaggio generazionale? Un ultimo aspetto meritevole di attenzione concerne il trattamento ai fini dell’imposta di successione e donazione dell’assegnazione dello studio professionale individuale a titolo gratuito o per causa di morte.
L’operazione è stata disciplinata sul piano reddituale (art. 177-bis TUIR), equiparandola ad una assegnazione a titolo gratuito dell’azienda, che beneficia del regime di neutralità a condizione che avvenga in continuità di valori fiscalmente riconosciuti. Altrettanto non è avvenuto però sul piano dell’imposta di successione e donazione poiché non si registra nessun intervento in proposito né nel D.Lgs. n. 192/2024 né nel TUSD (D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346). Benché si possa ipotizzare che il valore di molti studi individuali sia modesto e che i discendenti vi subentrino gradualmente, non possono escludersi casi di superamento dell’ingente franchigia prevista nei rapporti col coniuge o con i discendenti (si pensi a complessi che ricomprendano immobili di pregio e/o strumentazione tecnologicamente avanzata).
Sebbene il Decreto delegato abbia coniato una nozione unitaria di “studio professionale” – valida ai fini reddituali, dell’IVA e del registro – che riecheggia la nozione di “azienda”, tale concetto non è transitato nel TUSD e, dunque, non vale ad estendere alle attività professionali l’esenzione da imposta dedicata al passaggio generazionale nell’esercizio dell’attività d’impresa. Come noto, infatti, l’art. 3, comma 4-ter, TUSD esenta dall’imposta di successione e donazione i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge di aziende o rami, di quote sociali e di azioni, effettuati anche tramite i patti di famiglia (ex artt. 768-bis ss. cod. civ.), a condizione che il beneficiario si impegni ad esercitare l’attività d’impresa o a mantenere il controllo societario per almeno cinque anni dalla data del trasferimento.
La mancata estensione della portata dell’agevolazione alle attività artistiche o professionali, ancorché di apparente ostacolo al passaggio generazionale negli studi, non pare irragionevole. Le ragioni a supporto di tale soluzione riguardano la ratio dell’agevolazione e le peculiarità delle attività artistiche e professionali.
La ratio dell’esenzione – indagata a fondo dalla Corte costituzionale con la sent. 23 giugno 2020, n. 120 – risiede astrattamente nell’esigenza di evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa generare difficoltà finanziarie tali da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, con una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico. Tuttavia, in concreto, viene accordata prescindendo da qualsiasi considerazione delle dimensioni dell’impresa, di particolari congiunture economiche sfavorevoli o di indici dai quali sia desumibile la difficoltà dei successori nel corrispondere l’imposta e si inserisce in un sistema impositivo significativamente meno oneroso rispetto ai sistemi esteri, caratterizzato (quanto ai discendenti e al coniuge) da un’aliquota pari al 4 per cento e da franchigie consistenti.
La Corte, chiamata a giudicare sulla ragionevolezza della limitata portata soggettiva dell’agevolazione (che inizialmente non includeva fra i beneficiari il coniuge dell’imprenditore disponente), ha evidenziato incidentalmente che la sua portata oggettiva è sin troppo estesa, poiché riguarda indistintamente imprese di ogni dimensione, mentre le menzionate esigenze di liquidità sarebbero semmai ipotizzabili solo rispetto alle piccole e medie realtà.
Ciò che più interessa ai nostri fini è la dubbia utilità sociale dell’agevolazione nella misura in cui essa, azzerando completamente il carico fiscale, potrebbe costituire un disincentivo alla vendita, favorendo la continuità della proprietà dell’impresa, ma all’interno della stessa comunità familiare. Questa dinamica – secondo la Corte – «non è detto che assicuri […] un’idonea qualità manageriale», agevolando invece «una concentrazione della ricchezza che prescinde da una ragionevole approssimazione al merito e alle capacità individuali, ostacolando così la mobilità socio-economica e l’uguaglianza delle opportunità di partecipazione sociale».
Ebbene, l’esigenza di promuovere il “merito” nei passaggi generazionali, a costo di individuare beneficiari estranei al contesto familiare, risulta ancor più impellente nell’ambito artistico e professionale. La trasmissione di competenze professionali e doti artistiche – anche in ragione dell’intuitu personae che connota il rapporto di lavoro autonomo – appare ancor più ardua rispetto alla trasmissione di competenze manageriali necessarie alla prosecuzione delle attività d’impresa e, dunque, impone di superare i confini familiari per individuare un degno successore. Ci pare, quindi, da accogliere positivamente il fatto che il legislatore abbia soprasseduto sull’estensione dell’art. 3, comma 4-ter, TUSD ai passaggi generazionali nelle attività artistiche o professionali svolte in forma individuale.
5. Notazioni conclusive. Con l’introduzione dell’art. 177-bis TUIR, nella gestione straordinaria dell’attività professionale, opererà un canone di neutralità sino ad ora tipico delle riorganizzazioni che non comportano la fuoriuscita degli asset dal regime dei beni d’impresa. A fronte di una medesima attività professionale che muta solo veste giuridica, non emergeranno plus- o minusvalori latenti, superandosi così un ostacolo fiscale significativo alle aggregazioni professionali richieste dal mercato.
Permangono, però, alcune incertezze che possono ancora costituire un freno alla riorganizzazione degli studi e alla diffusione delle società fra professionisti e fra avvocati.
Anzitutto, non è stata risolta la questione relativa alla qualificazione dei redditi prodotti da queste ultime, rispetto ai quali l’art. 177-bis TUIR si è limitato a prevedere meccanismi di raccordo tra criteri di imputazione temporale differenti, senza confermare l’operatività del principio di attrazione nel reddito d’impresa per i redditi prodotti con l’esercizio dell’attività professionale in forma societaria.
La riforma ha il merito di aver disciplinato in modo organico il trattamento fiscale delle operazioni previste dall’art. 177-bis TUIR, equiparandole alle riorganizzazioni fra imprese, generalmente escluse dal campo di applicazione dell’IVA e soggette alla tassa di registro in misura fissa.
Anche sul piano dell’imposizione indiretta non mancano, però, profili dubbi. Resta priva di disciplina esplicita la cessione dello studio professionale, con conseguente incertezza sull’applicabilità delle aliquote. Infine, la mancata estensione al trasferimento degli studi individuali dell’esenzione prevista per il passaggio generazionale nelle aziende può apparire una lacuna, ma trova giustificazione nelle peculiarità dell’attività professionale e nella necessità di valorizzare il merito, più che la continuità familiare.
Complessivamente, il nuovo assetto riduce gli ostacoli fiscali alle riorganizzazioni professionali, ma impone ancora alcuni sforzi interpretativi, che potrebbero essere oggetto di interventi correttivi di coordinamento normativo.
I residui ostacoli alle aggregazioni professionali, in fondo, non sembrano ascrivibili alle incertezze evidenziate, bensì all’eccessiva agevolazione delle attività individuali. Il riferimento è, nella specie, alla pervasiva diffusione del “regime forfettario”, poiché l’aggregazione fra professionisti imporrebbe la rinuncia al risparmio d’imposta e alle indubbie semplificazioni che il regime comporta (in tema, si vedano le raccomandazioni rivolte all’Italia dal Fondo monetario internazionale: IMF, Fiscal Monitor. Fiscal Policy under Uncertainty, 23 aprile 2025, p. 18, reperibile al collegamento https://www.imf.org/en/Publications/FM/Issues/2025/04/23/fiscal-monitor-April-2025, e ID., Italy: Staff Concluding Statement of the 2025 Article IV Mission, 29 maggio 2025, reperibile al collegamento https://www.imf.org/en/News/Articles/2025/05/28/05282025-mcs-italy-staff-concluding-statement-of-the-2025-article-iv-mission).