argomento: IVA - Legislazione e prassi
Il presente lavoro formulerà alcune considerazioni sulla disciplina degli aeromobili nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto. In particolare, si prenderà spunto da alcuni casi in cui è stato ipotizzato che degli aeromobili allo stato unionale potessero considerarsi, prima, esportati a seguito della loro cancellazione dal Registro Aeronautico Italiano e, poi, reimportati – con conseguente nuova debenza dell’IVA all’importazione – alla luce della loro continuativa presenza sul territorio unionale.
PAROLE CHIAVE: IVA - importazioni - aeromobili
di Ernesto-Marco Bagarotto
1. Nel presente lavoro saranno formulate alcune considerazioni sulla disciplina degli aeromobili nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto.
A tal fine saranno presi in considerazione alcuni casi in cui è stato ipotizzato che degli aeromobili allo stato unionale (in quanto presenti sul territorio italiano e ivi già regolarmente importati ed immessi in consumo) potessero considerarsi, prima, esportati a seguito della loro cancellazione dal RIA e, poi, reimportati – con conseguente nuova debenza dell’IVA all’importazione – alla luce della loro continuativa presenza sul territorio unionale (in particolare, del superamento del termine di sei mesi previsto dall’art. 217 del Regolamento UE n. 2446/2015 per l’appuramento del regime di ammissione temporanea), a prescindere dalla precedente mancata fuoriuscita dal territorio doganale dell’UE.
Giova da subito precisare che in tali fattispecie è stato invocato l’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43/1973, che, in sostanza, stabiliva che gli aeromobili dovessero “intendersi” destinati al consumo: all’interno del territorio doganale in caso di iscrizione nel Registro Aeronautico Italiano (cd. RIA); al di fuori di tale territorio se cancellati dal RIA per effetto dell’iscrizione nel Registro di altro stato.
Ebbene, ancorché detta disposizione sia stata recentemente abrogata per effetto del D.Lgs. n. 141/2024, grazie alla sua analisi sarà possibile formulare alcune considerazioni di ordine sistematico sulla disciplina delle esportazioni e delle reimportazioni degli aeromobili.
2. L’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43/1973 – come visto recentemente abrogato per effetto del D.Lgs. n. 141/2024 – statuiva testualmente che «Le navi, ad esclusione di quelle da diporto, e gli aeromobili costruiti all'estero o provenienti da bandiera estera si intendono destinati al consumo nel territorio doganale quando vengono iscritti nelle matricole o nei registri di cui rispettivamente agli articoli 146 e 750 del codice della navigazione; le navi, ad esclusione di quelle da diporto, e gli aeromobili nazionali e nazionalizzati, iscritti nelle matricole o nei registri predetti, si intendono destinati al consumo fuori del territorio doganale quando vengono cancellati dalle matricole o dai registri stessi per uno dei motivi indicati nel primo comma, lettere c) e d), rispettivamente degli articoli 163 e 760 del codice medesimo».
La norma, dunque, stabiliva che gli aeromobili allo stato estero dovessero “intendersi” destinati al consumo all’interno del territorio doganale in caso di iscrizione nel RIA; e che gli aeromobili nazionali e nazionalizzati dovessero “intendersi” destinati al consumo al di fuori di tale territorio se cancellati dal RIA per effetto dell’iscrizione nel Registro di altro stato, con conseguente apposizione delle cd. marche estere [in tale fattispecie, infatti, l’art. 760, comma 1, lett. d), del codice della navigazione prevede la cancellazione dal RIA].
Tale previsione sembra muovere dal presupposto che l’iscrizione nel RIA di un aeromobile “estero” rappresenti un elemento idoneo a ritenere che esso sia destinato a permanere stabilmente in Italia; e che, di contro, l’apposizione di marche estere ad un aeromobile “nazionale” consenta di escludere tale circostanza.
A questo proposito, si deve ricordare che gli aeromobili, al pari degli altri mezzi di trasporto, per la loro particolare natura, sono oggetto di una disciplina specifica, contenuta nell’art. 217 del Regolamento UE n. 2446/2015 (e precedentemente recata dall’art. 722, comma 5, del Regolamento UE 2 luglio 1993 n. 2454, coerentemente con l’art. 9 della Convenzione di Istanbul del 26 giugno 1990, ratificata con L. 26 ottobre 1995, n. 479).
Tale disposizione, in sostanza, consente di ammettere temporaneamente un aeromobile nel territorio (scongiurando così l’obbligo di assolvere la fiscalità connessa all’importazione ogniqualvolta esso varchi la linea di confine) a condizione che questo non vi permanga oltre un determinato periodo temporale, pari a sei mesi.
Il meccanismo recato dall’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973, pertanto, è tutt’altro che raffinato, poiché tralascia che un aeromobile iscritto nel RIA potrebbe essere localizzato stabilmente al di fuori del territorio doganale dell’UE e, specularmente, che un aeromobile con marche estere (anche extra-UE) potrebbe trovarsi costantemente in tale territorio; inoltre, non considera che la scelta di apporre marche di un Paese estero potrebbe essere legata, non tanto alla localizzazione dell’aeromobile, bensì alla volontà di essere assoggettati a specifiche normative di quel Paese, come tipicamente accade per la “bandiera” delle navi.
3. L’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973 è stato al centro di alcune pronunce delle Sezioni penali della Corte di Cassazione.
Tali pronunce sono pervenute alla conclusione – sia pure non esposta in modo del tutto lineare – che, in sostanza, sarebbe possibile determinare lo stato unionale (o non unionale) di un aeromobile alla luce della sua iscrizione nel (o cancellazione dal) RIA.
Nella sentenza della Corte di Cassazione, III sez. pen., 21 settembre 2007, n. 38724, per esempio, è stato affermato che «Il legislatore con l'art. 36 citato ha indicato alcune ipotesi tipiche sussistendo le quali la destinazione al consumo si presume o comunque si intende verificata … le navi e gli aeromobili nazionali, e nazionalizzati, iscritti nelle matricole o nei registri predetti, si intendono destinati al consumo fuori del territorio doganale quando vengono cancellati dalle matricole o dai registri stessi …. In proposito si deve però rilevare che per le navi o gli aeromobili l'immatricolazione funge solo da fattispecie tipica vincolante ed incontrovertibile in base alla quale, a prescindere dall'effettiva utilizzazione, il bene si intende destinato al consumo».
La stessa sentenza, poi, prosegue evidenziando che ciò «non significa che senza l'immatricolazione non sorge l'obbligo del pagamento del tributo, anche se il mezzo venga effettivamente utilizzato o anche se sia scaduto il termine per l'importazione temporanea … Al contrario deve ritenersi che l'uso del mezzo nel territorio doganale faccia sorgere l'obbligo di nazionalizzazione tramite l'iscrizione nel sopraddetto registro ed il corrispondente dovere di pagare i relativi diritti allorchè l'uso non dipenda da un'immissione temporanea autorizzata nelle forme previste dalla legge o dalle convenzioni. In questi termini per quanto concerne le navi si è già pronunciata questa Corte allorchè ha stabilito che il presupposto del tributo si verifica con l'utilizzazione nelle acque territoriali dell'imbarcazione e non con l'immatricolazione (Cass. sez. 3, 6 dicembre 1983, Cass. pen. 738 del 1985; Cass. n. 2490 del 1986; 7596 del 1989)» (oltre alle pronunce citate dalla Suprema Corte, si veda anche la sentenza 17 febbraio 1984, n. 1504).
In termini sostanzialmente analoghi si è pronunciata anche la successiva sentenza 13 gennaio 2022, n. 4978, che ha avallato l’ipotesi che un aeromobile nazionale possa considerarsi esportato per effetto dell’apposizione di marche extra-UE (a prescindere, così pare, dalla sua fuoriuscita dal territorio dell’UE) e, successivamente, reimportato, per il fatto di essere rimasto nel territorio dell’UE oltre il termine di sei mesi previsto per l’appuramento del regime di ammissione temporanea.
Tale sentenza ha aggiunto che «Come sottolineato dalla dottrina, in questa materia, rileva la situazione di fatto e non quella formale. Tale interpretazione è confermata dall'art. 216 T.U. secondo cui integra il presupposto di fatto dell'obbligazione tributaria doganale l'utilizzazione nel territorio dello Stato di veicoli ad uso privato (veicoli stradali, imbarcazioni ed aeromobili), quando sono venute a cessare le condizioni che ne hanno consentito l'importazione temporanea in esenzione dai diritti doganali in conformità delle convenzioni internazionali applicabili in materia, a prescindere dalla loro immatricolazione o iscrizione nei registri nazionali …».
La citata giurisprudenza, dunque, perviene a due conclusioni: la prima è che il più volte citato art. 36, comma 4, avrebbe disciplinato una “fattispecie tipica vincolante ed incontrovertibile”; la seconda è che, a prescindere dalle risultanze formali, è necessario valorizzare la situazione di fatto verificatisi, sicché, indipendentemente dalla mancata iscrizione nel RIA, un aeromobile deve considerarsi importato per il fatto di essere presente stabilmente sul suolo italiano per un periodo superiore al più volte citato termine di sei mesi (similmente si vedano le sentenze 4 giugno 2024, n. 22297; 23 novembre 2022, n. 44467; 1° marzo 2022, n. 7126).
La seconda conclusione testé citata merita di essere accolta con favore, poiché si risolve nel richiedere di superare il dato formale e verificare se un aeromobile non iscritto nel RIA, in realtà, sia stabilmente ubicato nel territorio doganale. Essa, dunque, conduce al recupero di un tributo mai assolto, dando applicazione all’art. 217 del Regolamento UE n. 2446/2015, per effetto della verifica che, con riferimento ad un aeromobile allo stato estero, sia decorso il termine di appuramento di sei mesi (sul punto vd. anche Lavazza, Pizzo, Importazione di imbarcazioni straniere: necessaria l’iscrizione nei registri previsti dal Codice della navigazione?, in Fisco, 2016, p. 151).
La prima conclusione della citata giurisprudenza – secondo cui l’iscrizione al RIA, al pari della cancellazione, costituirebbe una “fattispecie tipica vincolante ed incontrovertibile” – merita, invece, una riflessione, soprattutto nel particolare caso di apposizione delle marche estere ad un aeromobile che è già stato regolarmente immesso in consumo nell’UE e che non è fuoriuscito dal territorio doganale.
In tale fattispecie, infatti, si verifica un vero e proprio “cortocircuito”, poiché lo stato (“unionale” o “non unionale”) di un aeromobile viene verificato sulla base, prima, di un criterio formale, di diritto (la cancellazione del RIA per effetto dell’apposizione delle marche estere) accertandone l’esportazione; e, poi, sostanziale, di fatto (il luogo fisico in cui si torva l’aeromobile) accertandone la reimportazione. Il tutto a prescindere dall’accertamento della fisica fuoriuscita del bene dal territorio doganale dell’UE.
Semmai, si dovrebbe ritenere che la mera apposizione delle marche estere ad un aeromobile che, in realtà, permane sul suolo italiano (e che è già stato immesso in consumo) non possa giudicarsi elemento sufficiente per considerare tale bene esportato: come evidenziato dalle stesse pronunce sopra citate, infatti, il dato di fatto dovrebbe prevalere sul dato di diritto, sicché, in una situazione come quella testé descritta, l’aeromobile non dovrebbe considerarsi esportato e reimportato, dovendo proseguire – una volta inizialmente importato in Italia – ad essere considerato “unionale”, a meno che non fuoriesca fisicamente dal territorio doganale (e sempre che, come vedremo nel prosieguo, in caso di uscita dal territorio doganale e successivo rientro non possa considerarsi reimportato in franchigia).
Così stando le cose, allora, sarebbe ben più ragionevole sostenere che l’art. 36 – pur impiegando la formulazione letterale “si intendono” – recasse una presunzione legale relativa in ordine allo stato, “unionale” o “non unionale”, degli aeromobili.
In caso contrario, infatti, la citata previsione contenuta nell’art. 36 sarebbe si dimostrerebbe irragionevole e di dubbia compatibilità con la normativa UE, nonché idonea a creare problemi di coordinamento di difficile soluzione. Non a caso, il Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952, contenente il Codice doganale dell’Unione, non contempla una regola simile a quella prevista dall’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973 (e lo stesso dicasi con riferimento al D.Lgs. n. 141 del 2024).
L’attribuzione della natura di presunzione legale relativa all’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973 sarebbe in linea con la prassi, seguita dal legislatore tributario, di inserire dei meccanismi idonei a consentire all’Amministrazione finanziaria di provare fatti non immediatamente accertabili (come la permanenza di un aeromobile sul suolo italiano, considerata la “mobilità” di tale bene) prendendo le mosse da elementi facilmente acquisibili (l’iscrizione/cancellazione al/dal RIA), riconoscendo al contribuente il diritto di fornire la prova contraria a proposito dell’effettiva localizzazione dell’aeromobile.
Del resto, come rilevato in dottrina – sia pure con sfaccettature diverse – le presunzioni nel diritto tributario dovrebbero sempre garantire la prova contraria, poiché in caso contrario, venendo preclusa la possibilità di dimostrare la situazione effettivamente verificatasi, si creerebbe un contrasto con il principio, per l’appunto, di effettività della capacità contributiva e con il diritto di difesa e, quindi, con gli artt. 24 e 53 Cost. (in argomento, senza alcuna pretesa di esaustività, vd. per tutti, G. FALSITTA, Appunti in tema di legittimità costituzionale delle presunzioni fiscali, in Riv. dir. fin., 1968, II, p. 5; E. DE MITA, Sulla costituzionalità delle presunzioni fiscali, in Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano, 1995, p. 201; MOSCHETTI F., Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973, p. 285; L. TOSI, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, p. 126; tra la giurisprudenza costituzionale vd., per esempio, le sentenze della n. 200 del 1976 e n. 41 del 1999).
Alla luce di quanto sin qui rilevato, pertanto, emerge come sia preferibile attribuire natura presuntiva – e, in particolare, di presunzione legale relativa – al citato art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973.
4. A ciò si aggiunga, che la tesi secondo cui il citato art. 36 avrebbe disciplinato una “fattispecie tipica vincolante ed incontrovertibile” (e che, dunque, la sola cancellazione di un aeromobile dal RIA condurrebbe al perfezionamento della sua esportazione) contrasta con la necessità di ritenere che un’esportazione possa realizzarsi solamente con la concreta fuoriuscita del bene dal territorio doganale dell’UE.
Ora, per concludere un’esportazione è, innanzitutto, necessario presentare le merci e la dichiarazione di esportazione (oltre ad eventuali autorizzazioni o licenze) all’Ufficio doganale di “esportazione”, cioè «a) l'ufficio doganale competente per il luogo in cui l'esportatore è stabilito; b) l'ufficio doganale competente per il luogo in cui le merci sono imballate o caricate per l'esportazione; c) un altro ufficio doganale dello Stato membro competente, per ragioni amministrative, per le operazioni di cui trattasi» (art. 221, par. 2, del Regolamento UE 24 novembre 2015, n. 2447).
Dopodiché, l’Ufficio doganale di esportazione assegna un numero di riferimento all’operazione (il cd. MRN - Movement Reference Number).
Il passaggio successivo consiste nella fuoriuscita della merce dal territorio dell’UE, che avviene attraverso l’Ufficio doganale di uscita.
Quest’ultimo ufficio, giova precisarlo, può differire dall’ufficio doganale di esportazione, in quanto l’art. 329 del Regolamento UE 24 novembre 2015, n. 2447 prevede che «l'ufficio doganale di uscita è l'ufficio doganale competente per il luogo da cui le merci lasciano il territorio doganale dell'Unione per una destinazione al di fuori di tale territorio».
L’Ufficio doganale di uscita comunica telematicamente all’Ufficio doganale di esportazione l’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale dell’UE inviando il cd. messaggio “uscita conclusa”, che costituisce prova dell’uscita della merce dal territorio doganale dell’UE (art. 333 del citato Regolamento UE 24 novembre 2015, n. 2447).
Dal successivo art. 335 emerge che la fuoriuscita della merce dal territorio dovrebbe avvenire entro 90 giorni dalla presentazione della dichiarazione. Detta disposizione, infatti, stabilisce che, dopo 90 giorni dallo svincolo delle merci, l’ufficio doganale di esportazione che non abbia ancora ricevuto conferma dell’uscita delle merci può chiedere al dichiarante di comunicare la data e l’ufficio doganale di uscita.
Laddove il contribuente fornisca tali dati e, ciononostante, l’ufficio doganale di uscita non risponda all’ufficio doganale di esportazione, è comunque possibile fornire la prova della fuoriuscita della merce dal territorio doganale dell’UE attraverso uno o più dei seguenti elementi: «a) una copia della bolla di consegna firmata o autenticata dal destinatario fuori dal territorio doganale dell’Unione; b) la prova del pagamento; c) la fattura; d) la bolla di consegna; e) un documento firmato o autenticato dall’operatore economico che ha portato le merci fuori dal territorio doganale dell’Unione; f) un documento trattato dall’autorità doganale di uno Stato membro o di un paese terzo, in conformità delle norme e delle procedure applicabili in tale Stato o paese; g) le scritture degli operatori economici relative alle merci fornite a navi, aeromobili o impianti offshore».
Qualora l’esportazione non venga perfezionata per effetto della trasmissione della comunicazione dall’ufficio doganale di uscita all’Ufficio doganale di esportazione, dunque, l’esportatore può fornire delle prove alternative dell’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale dell’UE.
Ebbene, qualora l’ufficio doganale di uscita non risponda all’ufficio doganale di esportazione e l’esportatore non fornisca le citate prove, si considererà che le merci non abbiano lasciato il territorio doganale dell’UE, con conseguente necessità di annullare la dichiarazione di esportazione.
Di qui si dovrebbe ritrarre la conferma che un’esportazione si possa dire perfezionata solamente con la fuoriuscita della merce dal territorio doganale dell’UE.
Ciò, peraltro, è coerente con la posizione assunta dalla stessa Amministrazione finanziaria. Per esempio, nella nota 16 dicembre 2009, n. 166840, l’Agenzia delle dogane ha sostenuto che la finalità perseguita dalla procedura disciplinata dal previgente art. 796-quinqes.2 del Regolamento UE 2 luglio 1993, n. 2454 (ora disciplinata dal sopra illustrato art. 335) è quella di «chiudere le operazioni relative a merce effettivamente uscita dal territorio comunitario ma non regolarmente appurata dall’Ufficio di uscita o di annullare quelle dichiarazioni per cui non è dimostrata l’uscita della merce. Il procedimento si concluderà quindi con la chiusura amministrativa o con l’annullamento della dichiarazione doganale, a meno che non intervenga, nel corso del procedimento stesso, la regolare chiusura dell’operazione da parte dell’Ufficio di uscita».
Similmente, si veda la Circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 14/D del 2016, in cui, affrontando il tema dell’esportazione delle navi da diporto, per le quali è prevista la possibilità di esportazione anche senza cancellazione dai Registri navali nazionali, dietro dichiarazione resa dall’armatore, è stato chiarito che quest’ultima dichiarazione non è sostitutiva delle formalità doganali richieste per l’esportazione, vale a dire della dichiarazione doganale di esportazione e della «effettiva uscita delle navi dal territorio doganale dell’Unione».
Ad ulteriore conferma della conclusione che un’esportazione, di regola, si possa perfezionare solamente a seguito della fuoriuscita della merce dal territorio doganale dell’UE, si può richiamare altresì l’art. 154 del Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952, in forza del quale le merci “unionali” diventano “non unionali” quando: «a) sono fatte uscire dal territorio doganale dell'Unione, sempre che non si applichino le norme sul transito interno; b) sono state vincolate al regime di transito esterno, di deposito o di perfezionamento attivo compatibilmente con la normativa doganale; c) sono state vincolate al regime dell'uso finale e successivamente vengono abbandonate allo Stato o vengono distrutte e restano i residui; d) la dichiarazione di immissione in libera pratica è invalidata dopo lo svincolo delle merci».
Al di là delle particolari fattispecie disciplinate dalle lettere b), c) e d), dunque, il citato art. 154 prevede chiaramente che le merci passino da “unionali” a “non unionali” (e, quindi, vengano esportate) solamente se fatte uscire dal territorio doganale dell'Unione.
Tant’è che la dottrina ha affermato che l’esportazione fa assumere alle merci unionali la qualifica di merci estere e si fonda «sull’uscita concreta e definitiva della merce dal territorio doganale comunitario» (Scuffi, Albenzio, Miccinesi, Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Milano, 2013, p. 251; nello stesso senso Bellante, Il sistema doganale, Torino, 2023, p. 849).
Si può perciò concludere che laddove una merce, dopo la sua importazione in Italia, non fuoriesca dal territorio doganale dell’UE, la stessa non potrà considerarsi “esportata”. E che, conseguentemente, dall’applicazione del più volte citato art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973 un aeromobile allo stato “unionale” non possa passare allo stato “non unionale” senza fuoriuscire dal territorio doganale dell’UE
5. Da ultimo, quand’anche si ritenesse che un aeromobile già immesso in consumo nell’UE potesse giudicarsi esportato per effetto dell’apposizione di marche estere (e conseguente cancellazione dal RIA) e reimportato per effetto della sua successiva permanenza per oltre sei mesi nel territorio doganale, si dovrebbe comunque tenere in debita considerazione la normativa che consente la reimportazione senza assoggettamento ad IVA.
L’art. 68, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, infatti, stabilisce che «Non sono soggette all’imposta: … d) la reintroduzione di beni nello stato originario, da parte dello stesso soggetto che li aveva esportati, sempre che ricorrano le condizioni per la franchigia doganale».
La franchigia doganale è disciplinata dall’art. 203, comma 1, del Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952, a mente del quale «Le merci non unionali che, dopo essere state inizialmente esportate come merci unionali dal territorio doganale dell’Unione, vi sono reintrodotte entro tre anni e sono dichiarate per l’immissione in libera pratica sono esentate dai dazi all’importazione, su richiesta della persona interessata».
Quest’ultima disposizione consente di reintrodurre nell’UE delle merci precedentemente esportate, a condizione che le stesse siano destinate al medesimo uso (comma 3) e siano introdotte nello stato in cui sono state esportate (comma 5).
Talché, laddove si ritenesse che un aeromobile immesso in consumo e ubicato in Italia dovesse considerarsi esportato per effetto dell’apposizione di marche estere, si dovrebbe comunque riconoscere che esso potesse essere, in assenza di modifiche di uso e stato, reimportato in Italia senza pagamento dell’IVA.
Vero è che, pur in presenza dell’astratta possibilità di concludere una reimportazione senza pagamento dell’IVA, la mancata presentazione della richiesta di reimportazione in franchigia potrebbe ritenersi preclusiva e condurre alla debenza dell’IVA.
Va segnalato, tuttavia, un particolare precedente dell’Agenzia delle entrate, che ha affrontato il caso di un’imbarcazione battente bandiera del Regno Unito che si trovava nelle acque italiane al momento dell’uscita del Regno Unito dall’UE (Risposta n. 26 del 2022).
L’istante illustrava che l’imbarcazione era stata inizialmente importata nell’UE con versamento dell’IVA all’importazione e, pertanto, chiedeva se – alla luce della circostanza che al 1° gennaio 2021, per effetto di Brexit, l’imbarcazione battete bandiera del Regno Unito potesse considerarsi “non unionale” – fosse necessario procedere alla reimportazione nell’UE.
Il dubbio sorgeva poiché, al momento di perfezionamento di Brexit (e, dunque, del rischio che l’imbarcazione venisse considerata “non unionale”) l’imbarcazione si trovava già nel territorio doganale dell’UE e aveva già scontato l’IVA all’importazione (in particolare, al momento della sua importazione nel Regno Unito, nel periodo in cui il Paese faceva parte dell’UE).
Ebbene, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto «che l'Istante non sia tenuto agli adempimenti propri di una merce/bene extraunionale, qualora sia in grado di dimostrare che al 1° gennaio 2021 l'imbarcazione di cui trattasi si trovava all'interno delle acque territoriali doganali dell'Unione Europea».
Tale posizione è stata argomentata richiamando la risposta n. 49 contenuta nel documento della Commissione europea - DG TAXUD: Taxation and Customs: Questions and Answers on the impact of the UK's withdrawal from the EU, its Single Market and Customs Union, in cui è stato affermato che «le unità da diporto battenti bandiera del Regno Unito che alla data del 1° gennaio 2021 si trovavano all'interno delle acque territoriali doganali della UE mantengono lo status di merce unionale. Diversamente, quelle che alla data del 1°gennaio 2021 si trovavano in territorio doganale del Regno Unito o in altro Paese terzo, hanno perso il loro status di merce unionale».
Seguendo tale percorso argomentativo, si potrebbe perciò concludere che, se un aeromobile al momento dell’apposizione delle marche estere si trovava in Italia, esso non potesse considerarsi “esportato”, dovendo proseguirsi a considerarlo merce “unionale”, senza perciò che vi fosse la possibilità che, una volta accertata la sua successiva permanenza per sei mesi nel territorio doganale dell’UE, esso si potesse considerare reimportato, con conseguente debenza dell’IVA all’importazione.
6. Alla luce di quanto sin qui evidenziato, si può ritenere che l’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 43 del 1973 debba essere interpretato nel senso di aver disciplinato una presunzione relativa di importazione ed esportazione degli aeromobili, rispettivamente, iscritti o cancellati dal RIA.
Il tutto coerentemente con la necessità, riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità citata in precedenza, di valorizzare le situazioni effettivamente verificatisi (non quelle formali) e con l’impossibilità di considerare “esportata” una merce in assenza della sua fuoriuscita dal territorio doganale dell’UE.