argomento: IRES - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa, in coerenza con precedenti ordinanze pronunciate sul tema, nel senso di non riconoscere l’inerenza dei costi di assicurazione sulla vita degli amministratori. Gli oneri in questione non sono stati ritenuti deducibili poiché non concorrono alla produzione del reddito. Tuttavia, la motivazione della Corte contraddice l’orientamento relativo al principio di inerenza emerso nella giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord., 6 settembre 2024, n. 24022)PAROLE CHIAVE: principio di inerenza - assicurazione - deducibilitā
di Patrick Innocenti
1. Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della parte privata avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale aveva disconosciuto, alla luce dell’art. 109, comma 5, TUIR, la deducibilità dei costi di assicurazione sulla vita degli amministratori (cd. assicurazioni key-man) in virtù di un difetto di inerenza degli stessi. In particolare, la Cassazione, richiamando quanto già espresso in precedenti pronunce sempre riguardanti i costi di assicurazione (Cass., 2 agosto 2017, n. 19204; Cass., 30 dicembre 2009, 28004), ha giustificato la propria decisione denunciando l’assenza di una qualsiasi forma di collegamento tra i succitati costi di assicurazione e la produzione del reddito. Inoltre, prosegue la motivazione della Corte, non si tratta nemmeno di spese a vantaggio dei lavoratori, a differenza di quelle previste da norma cogente, visto che il beneficiario di suddette assicurazioni, al verificarsi dell’evento assicurato, è la stessa società contribuente; così, si è inevitabilmente in presenza di oneri indeducibili.
2. Prima di procedere con un’analisi della sentenza in commento e delle possibili future tendenze della Suprema Corte sul tema, è necessario fare brevemente il punto sul principio di inerenza, nonché sugli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sviluppatisi su uno dei principi cardine della disciplina relativa ai redditi di impresa. In generale, il principio di inerenza può essere definito come quel nesso funzionale che, ai fini del riconoscimento della deducibilità degli oneri iscritti nel conto economico, consente la deduzione di tutti quei costi legati alla vita dell’impresa lato sensu intesa, e che esclude quella relativa alle uscite consistenti in atti di impiego del reddito conseguito (v. per tutti TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Vol. 2-Parte speciale, Milano, 2022, p. 136). Ancora, l’inerenza può vista come una sorta di “criterio oggettivo”, secondo il quale un componente negativo del reddito d’impresa, prima di poter essere considerato come deducibile, deve essere oggettivamente esaminato per poter comprendere se lo stesso è l’effetto economico della gestione dell’impresa (in tal senso, TINELLI, Commentario al Testo Unico delle Imposte sui Redditi, Padova, 2009, p. 996).
Un punto centrale, e assai dibattuto, è il fondamento normativo del principio in questione, sul quale si sono sviluppate diverse teorie. Secondo la prima, il principio di inerenza deriverebbe dalla disposizione di cui all’art. 109, comma 5, TUIR (art. 75 nella vecchia numerazione del TUIR). La norma in questione consente la deduzione dei componenti negativi di reddito, fatta eccezione per gli interessi passivi, “se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”. Da qui ne deriverebbe la sola deducibilità di quei costi legati da un nesso causale con i ricavi o altri componenti positivi ovvero legati all’attività d’impresa secondo un criterio utilitaristico da valutare ex post (DELLI PRISCOLI, La deducibilità dei costi per l’acquisto di vestiario: l’evoluzione giurisprudenziale del principio di inerenza e le criticità sull’applicazione dell’accertamento parziale, in Dir. prat. trib., 2024, 5, p. 1780). Tale impostazione, che si può altresì ritrovare nella sentenza in commento, è stata a lungo adottata dalla giurisprudenza di legittimità che, nei termini supra indicati, ha trovato nell’art. 109, comma 5, TUIR l’appoggio normativo su cui legittimare le pretese impositive dell’amministrazione finanziaria fondate sulla violazione del principio di inerenza (v. Cass., 27 febbraio 2015, n. 4041; Cass., 9 maggio 2017, n. 11241; Cass., 11 agosto 2017, n. 20049). Tuttavia, in dottrina si è criticato questo orientamento poiché la norma in esame non rappresenterebbe la formulazione normativa del principio di inerenza, bensì riguarderebbe la mera indeducibilità dei costi associati ai ricavi esenti. In poche parole, tale norma non avrebbe altro scopo che evitare una doppia agevolazione che, dopo l’esenzione di determinati ricavi, sarebbe costituita dalla deduzione dei relativi oneri (LUPI, Limiti alla deduzione degli interessi e concetto generale di inerenza, in Corr. trib., 2008, 10, pp. 772-773).
Secondo un’altra tesi, il principio di inerenza troverebbe il suo fondamento nell’art. 53 Cost., ed in particolare nel principio di capacità contributiva (FERRANTI, Corte di Cassazione in corto circuito sull’inerenza degli interessi passivi, in Corr. trib., 2020, 5, p. 415). Inoltre, la dottrina che aderisce a questa tesi sostiene che una norma che limiti o escluda in maniera irragionevole la deducibilità di un onere avrebbe l’effetto di riconoscere la tassazione di una capacità contributiva in realtà inesistente, ponendosi, così, in contrasto con la menzionata norma costituzionale (TARGHINI, La travisata ratio delle disposizioni su inerenza e competenza da semplici precisazioni convenzionali a surrettizio strumento accertativo, in Dir. prat. trib., 2022, 4, p. 1208). Tuttavia, vi è chi ha contestato l’elevazione del principio di inerenza a principio di rango costituzionale; infatti, viene affermato che la presenza di diverse deroghe allo stesso presenti nel TUIR confermerebbero la natura dell’inerenza quale principio legislativo (VICINI RONCHETTI, La clausola dell’inerenza nel reddito d’impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Padova, 2016, p. 56). Infine, vi è chi si è espresso nel senso di ritenere quella relativa all’inerenza nient’altro che una sorta di norma senza disposizione (ZIZZO, L’imposta sul reddito delle società, in FALSITTA (a cura di), Manuale di diritto tributario-Parte speciale, Padova, 2021, p. 478), il cui principio, insito nella natura della disciplina relativa ai redditi d’impresa, non è stato ancora giuridicizzato dal legislatore (PROCOPIO, L’inerenza nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 2009, p. 72).
3. Come già evidenziato supra, i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità di dedurre i costi relativi alle polizze assicurative stipulate sulla vita degli amministratori. Nel fare ciò, la Cassazione ha richiamato quanto già sancito in una sua precedente decisione (Cass., 30 dicembre 2009, n. 28004). In tale occasione, si è affermato, con riferimento agli oneri assicurativi, che “questi costi non possono essere dedotti ex articolo 75 cit., pur se inerenti alla gestione dell'impresa, in quanto non diretti alla produzione di reddito, né sono spese poste a vantaggio dei lavoratori come i costi per rassicurazione prevista da norma cogente, rimanendo al verificarsi dell'evento assicurato, il risarcimento di esclusiva spettanza della società”. Questo principio di diritto è stato, poi, ulteriormente ribadito con l’ordinanza n. 19204 del 2 agosto 2017. Ciò che emerge, quindi, è come il filone giurisprudenziale concernente il giudizio sulla legittimità della deduzione degli oneri di assicurazione – in realtà, questa è stata la soluzione a lungo offerta dalla Suprema Corte in tutti i giudizi riguardanti il principio in questione – leghi l’inerenza alla norma di cui all’art. 109, comma 5, TUIR (art. 75 nella vecchia numerazione del testo unico), e richieda un collegamento causale (da valutare ex post) tra i costi e la produzione del reddito.
Tuttavia, questo orientamento è stato ribaltato dall’ordinanza n. 450 dell’11 gennaio 2018, la quale ha accolto molte delle osservazioni critiche che buona parte della dottrina aveva posto alle precedenti prese di posizione della Cassazione. Va ricordato, comunque, come già in passato (v. Cass., 30 luglio 2007, n. 16826) la Corte aveva negato che l’inerenza implichi un necessario legame tra costi e ricavi, ma aveva ritenuto sufficiente il collegamento tra i costi e una attività – anche solo potenzialmente – idonea a produrre i ricavi; in ogni caso, ciò non aveva allora costituito un definitivo mutamento giurisprudenziale (in tal senso, ZIZZO, Inerenza ai ricavi o all’attività? Nuovi spunti su una vecchia questione, in Rass. trib., 2007, p. 1800).
Con la decisione in esame, non solo è stata rigettata la tesi secondo la quale vi debba necessariamente essere una correlazione tra costi e ricavi, ma anche quella che riconosceva soltanto la deduzione di quei costi che arrecavano un’utilità relativa all’attività d’impresa. Contrariamente a quanto sostenuto in passato, i giudici di legittimità affermano che “l'inerenza esprime la riferibilità del costo sostenuto all’attività d'impresa, anche se in via indiretta, potenziale od in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera estranea all'esercizio dell'impresa (giudizio qualitativo oggettivo)”; questo perché, prosegue la Corte, il principio di inerenza “non discende dall'articolo 75, comma 5, Tuir, che si riferisce invece al diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti (ferma l'inerenza), cioè alla correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili” (Cass., 11 gennaio 2018, n. 450). Alla luce di questo nuovo orientamento, inoltre, viene altresì esclusa la possibilità di valutare l’inerenza degli oneri da un punto di vista quantitativo; la congruità e l’antieconomicità dei costi, infatti, devono essere considerati come meri indici rilevatori di un’eventuale mancanza di inerenza, non sovrapponendosi concettualmente ad essa.
In ogni caso, la Cassazione, sempre nel 2018, ha parzialmente contraddetto tale nuovo orientamento (v. Cass., 30 maggio 2018, nn. 13588 e 13596), anche se queste ordinanze possono essere considerate come semplici incidenti di percorso (in tal senso, FERRANTI, Corte di Cassazione in corto circuito sull’inerenza degli interessi passivi, cit., p. 421). Infatti, il principio di cui all’ordinanza n. 450 del 2018 è stato più volte ribadito in numerose sentenze negli anni successivi (v. Cass., 9 febbraio 2018, n. 3170; Cass., 31 maggio 2018, n. 13882; Cass., 31 novembre 2019, n. 30366; Cass., 18 agosto 2022, n. 24880; Cass., 19 dicembre 2023, n. 35457; Cass., 12 luglio 2024, n. 19245; Cass., 3 maggio 2024, n. 12019), tant’è che si può pacificamente sostenere che questo rappresenti l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente.
4. Coerentemente con quanto affermato supra, si può sostenere, quindi, che il legislatore si è espresso in favore di un concetto allargato di inerenza (BEGHIN, Atti di gestione “anormali” o “antieconomici” e prova dell’afferenza del costo all’impresa, in Riv. dir. trib., 1996, I, p. 414). A questo punto, si tratta semplicemente di delineare con precisione i confini di questo principio. Si è asserito che l’inerenza si limiti a prescrivere un mero collegamento formale tra gli oneri sostenuti e lo svolgimento della gestione dell’impresa, consentendo, così, la deduzione dei costi derivanti dall’esercizio dell’attività imprenditoriale ovvero imputati al complesso dei beni aziendali in virtù della loro iscrizione a conto economico, o in altra scrittura contabile (v. PANIZZOLO, Inerenza ed atti erogativi nel sistema delle regole di determinazione del reddito d’impresa, in Riv. dir. trib., 1999, I, p. 699).
Più precisamente, la valutazione circa l’inerenza va effettuata ex ante e non più ex post (BEGHIN, Diritto delle imposte. Principi, istituti e regole per la tassazione dei redditi e de consumi, Padova, 2024, p. 198), come in passato sostenuto da quella giurisprudenza che pretendeva di ricondurre i costi a ben precise e determinate componenti positive di reddito ai fini della loro deducibilità. Ed invero, oggi non si richiede più che un onere sia necessariamente legato da un punto di vista strettamente causale ad un determinato ricavo (DELLI PRISCOLI, La deducibilità dei costi per l’acquisto di vestiario, cit., p. 1781). Infatti, quello che deve essere attentamente preso in considerazione dall’interprete è la destinazione – imprenditoriale o personale – dell’onere da dedurre, tenendo conto che il legislatore, con l’assenza di qualsiasi definizione normativa, ha optato per una nozione elastica dell’inerenza (PROCOPIO, Il principio dell’inerenza ed il suo stretto collegamento con quello della capacità contributiva, in Dir. prat. trib., 2018, 4, p. 1674).
Invece, la sentenza in commento sembra non riconoscere il ragionamento logico-giuridico sopra descritto e accolto ormai sia dalla dottrina maggioritaria sia dalla giurisprudenza di legittimità prevalente. La Cassazione, infatti, ha ribadito “il principio secondo il quale non sono deducibili, ai sensi dell'art. 75 del TUIR, i costi relativi all'assicurazione sulla vita dell'amministratore della società, pur se inerenti alla gestione dell'impresa, non essendo gli stessi diretti alla produzione del reddito”.
Si possono notare diversi profili problematici di tale affermazione. In primo luogo, qualora si volesse seguire l’impostazione data dagli Ermellini, in particolare sulla riconducibilità dell’inerenza all’art. 109, comma 5, TUIR, la decisione risulterebbe ugualmente contestabile. A tal proposito, si deve sottolineare come, essendo la società contribuente stessa la beneficiaria dell’assicurazione sulla vita degli amministratori in questione, al verificarsi dell’evento assicurato, essa conseguirebbe una sopravvenienza attiva. Per questa ragione, andrebbe riconosciuta le deducibilità dei costi di assicurazione, così come prescritta dall’art. 109, comma 5 TUIR, visto il nesso causale tra gli stessi e il citato componente positivo di reddito. Dopodiché, si deve comunque considerare errato il riferimento normativo da cui discenderebbe il principio di inerenza. Questo, infatti, non è da ricavarsi, come si è già avuto modo di dimostrare, dalla disposizione di cui all’art. 75 TUIR (art. 109, comma 5, TUIR nella nuova numerazione), bensì si tratta di un principio non codificato o giuridicizzato dal legislatore poiché riconducibile al concetto di reddito di impresa (v. DELLI PRISCOLI, La deducibilità dei costi per l’acquisto di vestiario, cit., p. 1781). La norma richiamata dalla Corte si applica al diverso caso della negata deducibilità prescritta dal legislatore, ferma l’inerenza, dei costi legati ai ricavi esenti. La ratio della norma è quella di evitare una sorta di doppia agevolazione (l’esenzione di alcuni ricavi e la deduzione dei costi ad essi associati che andrebbero ad erodere i redditi invece imponibili) (v. VIGNOLI, La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari. Riflessioni sull’inerenza nella tassazione attraverso le aziende, Roma, 2012, p. 37), da cui appare, quindi, difficile estrapolare, coerentemente con il dato normativo, un principio di ben più ampia portata come quello dell’inerenza (VICINI RONCHETTI, La clausola dell’inerenza nel reddito d’impresa, cit., p. 137).
Così, si giunge al secondo errore – che altro non è che diretta conseguenza del primo – ravvisabile nella sentenza in esame. I costi di assicurazione key-man sarebbero indeducibili poiché essi non concorrono alla produzione dei ricavi. Fattualmente, questa considerazione appare difficilmente superabile, in quanto sembra essere pacifico che non si possa prospettare alcun legame tra i costi in questione e nessuno dei componenti positivi di reddito. Tuttavia, l’orientamento giurisprudenziale dominante non pretende più la correlazione tra componenti positivi e negativi di reddito, e nemmeno prescrive il vaglio sulla deducibilità dei costi secondo un criterio utilitaristico attinente all’attività d’impresa. Sul punto, i giudici di legittimità hanno chiaramente affermato che “l'impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all'elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività d'impresa” (Cass., 11 gennaio 2018, n. 450). Al fine di sindacare la deducibilità di un onere per difetto di inerenza, si richiede che lo stesso debba soddisfare un bisogno ed un’esigenza di natura personale e, dunque, estraneo agli interessi imprenditoriali (TARGHINI, La travisata ratio delle disposizioni su inerenza e competenza da semplici precisazioni convenzionali a surrettizio strumento accertativo, cit., p. 1209).
5. In conclusione, riconoscendo l’errore in diritto in cui è incorsa la Suprema Corte nella sua motivazione, resta da capire quale possa essere l’effetto su simili controversie future qualora la Cassazione fosse investita dell’onere di pronunciarsi nuovamente sull’inerenza dei costi di assicurazione (in particolare quelle sulla vita degli amministratori, come nel caso di specie). Ancora, ci si deve domandare se i giudici di legittimità, nel ricostruire una simile fattispecie, considerando il principio di diritto che è stato delineato dal filone giurisprudenziale successivo all’ordinanza n. 450/2018, giungeranno al medesimo risultato ovvero, come auspicabile secondo chi scrive, mostreranno una maggiore apertura ed elasticità relativamente alla deduzione dei costi di assicurazione. A tal fine, la Corte si è già espressa in favore della deduzione di tutti gli oneri in qualche modo attinenti con l’attività imprenditoriale, con la sola esclusione di “quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto e' configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché' il giudizio sull'inerenza e' di carattere qualitativo e non quantitativo” (Cass., 19 dicembre 2023, n. 35457). Quindi, appare pacifico come il principio di inerenza oggi consenta di valorizzare la libertà delle scelte imprenditoriali, riconoscendo la deducibilità dei costi che si riferiscono ad attività o beni da cui potranno derivare componenti positivi di reddito anche in proiezione futura (v. VIGNOLI, La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari, cit., p. 40).
In conclusione, si deve altresì aggiungere che tale impostazione rende senza alcun dubbio la disciplina relativa ai redditi d’impresa, e il principio di inerenza in particolare, maggiormente conforme con il principio costituzionale di libera iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. (PROCOPIO M., Il principio dell’inerenza e l’improcrastinabile intervento del legislatore diretto a conferire maggiore certezza alle scelte dei soggetti passivi d’imposta, in Dir. prat. trib., 2024, 3, p. 1026). A tal fine, un ulteriore aspetto su cui l’interprete si deve interrogare riguarda l’opportunità di interpretare l’attuale disciplina sui redditi di impresa nel senso che questa consenta di sindacare la scelta dell’imprenditore di assicurarsi di fronte ad eventi avversi idonei a cagionare un danno alla propria attività (cfr. BEGHIN, Atti di gestione “anormali” o “antieconomici” e prova dell’afferenza del costo all’impresa, cit., pp. 414-415), nonché di disincentivare tutte quelle azioni (principalmente le attività assicurative) che rientrano nel novero di quelle che mirano ad una sana e prudente gestione del rischio connesso all’attività d’impresa e al complesso dei beni aziendali, ivi compreso il capitale umano.