Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

18/03/2025 - Competenza territoriale degli uffici finanziari e residenza del contribuente

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Nel caso di un contribuente residente in un Paese a fiscalità privilegiata, laddove l’Agenzia delle Entrate non contesti la residenza estera del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che assuma rilevanza l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord., 2 maggio 2024, n. 11733) scarica file

PAROLE CHIAVE: Agenzia delle Entrate - competenza - residenza estera - reddito


di Anna Rita Ciarcia

1. Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione è relativo alla corretta individuazione dell’Ufficio finanziario territorialmente competente nell’ipotesi di un contribuente che abbia regolarmente trasferito all’estero la propria residenza con relativa iscrizione all’AIRE.

Il contribuente, nel ricorrere alla Suprema Corte, contestava, ai sensi del combinato disposto degli artt. 31 e 58 del D.P.R. n. 600/1973, l’incompetenza territoriale dell’Ufficio che aveva proceduto a notificare l’avviso di accertamento, individuato secondo l’elezione di domicilio del contribuente, mentre, l’Ufficio competente, era quello del luogo di produzione del reddito che, appunto, prescinde dall’eventuale domicilio dichiarato dal contribuente.

La Corte, nell’accogliere il Ricorso del contribuente, rinvia alla Corte di II grado competente perché disponga in coerenza di legge.

 

2. Nel nostro ordinamento tributario le imposte sui redditi si applicano sia alle persone fisiche “residenti” nel territorio dello Stato, secondo la definizione contenuta nell’art. 2 del TUIR, attualmente riformato con la Legge 9 agosto 2023, n. 111 (PISTONE, La nuova disciplina sulla residenza delle persone fisiche e delle persone giuridiche nel sistema di imposizione reddituale, in prat. trib. inter., 2023, 3, p. 872), che ai “non residenti”, ma la base imponibile per le due categorie di contribuenti presenta diverse differenze: per i residenti concorrono infatti a determinare la base imponibile tutti i redditi posseduti, sia in Italia che all’estero, secondo il principio della tassazione del reddito mondiale (worldwide taxation principle); i “non residenti” sono invece tenuti a dichiarare in Italia solamente i redditi ivi prodotti, secondo il noto principio della territorialità (MELIS, Tax Residence of Individuals in the Italian Direct Tax System: Some Reflections about the Relationship between Tax Law and Civil Law, in PISTONE (edited by), Building Global International Tax Law, Amsterdam, 2022, p. 371).

Al fine di determinare gli Uffici competenti nella fase accertativa occorre analizzare il combinato disposto degli artt. 31 e 58 del D.P.R. n. 600/1973: la competenza territoriale dell’Ufficio procedente in materia tributaria è radicata nel domicilio fiscale del contribuente indicato nella dichiarazione dei redditi (da ultimo Cass., sez. trib., ord., 31 luglio 2024, n. 21533) (art. 31 – VITALE, L’accertamento della Direzione Regionale e l’onere probatorio nei trasferimenti di residenza in Stati non black-list, in Dir. prat. trib., 2014, 6, II, p. 975) nonché, ai sensi dell’art. 58, le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte. Quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato. I cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi dell’articolo 2, comma 2 bis, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato (MELIS, La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 1995, p. 1046).

Il domicilio diviene, pertanto, l’elemento fondamentale per localizzare l’Ufficio competente all’accertamento dei contribuenti quanto ai redditi da essi prodotti, essendo il criterio di collegamento per la tassazione dei redditi.

La Corte di Cassazione ha statuito in proposito che nel caso in cui il contribuente abbia omesso di presentare la dichiarazione dei redditi e non abbia mai comunicato in modo formale all’Amministrazione il proprio mutamento di domicilio fiscale, resta competente, per il principio dell’affidamento, l’Ufficio in relazione all’ultimo domicilio fiscale noto, con riguardo all’anagrafe tributaria del Comune, a nulla rilevando gli altri elementi fattuali (Cass., sez. VI-5, ord., 3 febbraio 2023, n. 3346).

 

3. Il comma 2 bis contiene una presunzione legale relativa di residenza in Italia di quelle persone che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata: “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini cancellati dall’anagrafe nazionale della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, da pubblicare in Gazzetta Ufficiale” (PROCOPIO, L’infinita querelle relativa all’accertamento della residenza fiscale, in prat. trib., 2019, 6, II, p. 484).

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, per vincere la presunzione di residenza, di cui all’art. 2, comma 2 bis, TUIR, i cittadini italiani trasferiti in Paesi a fiscalità privilegiata hanno l’onere di provare che è effettivamente ivi localizzato il centro dei loro interessi vitali, mentre è del tutto ininfluente la sussistenza (in Italia) delle relazioni affettive e familiari le quali non assumono affatto rilevanza prioritaria rispetto agli interessi di natura economico-patrimoniale (Cass., sez. trib., sent., 31 marzo 2015, n. 6501); l’unico elemento da esaminare, per accertare la residenza è il luogo col quale il soggetto ha più stretto collegamento (PROCOPIO, L’individuazione della residenza fiscale: un problema ancora aperto, in Dir. prat. trib., 2019, 2, II, p. 560).

Tale circostanza era stata ripresa dalla stessa amministrazione finanziaria nel documento di prassi n. 9/E del 26 gennaio 2001 quando, in risposta ad un quesito, specificava che deve considerarsi fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, “mantenga il centro dei propri interessi in Italia. Tale circostanza si concretizza, ad esempio, nel caso in cui (...) emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto interessato abbia quivi mantenuto il centro dei suoi affari e interessi”.

La Corte evidenzia il principio secondo cui le relazioni affettive e familiari, elemento centrale secondo, invece, l’Agenzia delle entrate, costituiscono, ad ogni modo, un elemento probatorio del tutto irrilevante e superfluo: l’unico dato oggettivo da accertare si individua in quello afferente il collegamento funzionale tra il luogo di residenza (estero) e l’interessato; l’orientamento della Corte Suprema trova, inoltre, conferma da parte anche della Corte di giustizia che si è pronunciata sul problema, affermando: nel caso in cui una persona abbia legami, sia personali, sia professionali in due Stati membri, il luogo della sua normale residenza stabilito nell’ambito di una valutazione globale in funzione di tutti gli elementi di fatto rilevati, è quello in cui viene individuato il centro permanente degli interessi economici di tale persona e, solo nell’ipotesi in cui tale valutazione globale non permetta siffatta valutazione, allora occorrerà verificare la preminenza dei legami personali (cfr. Corte di Giustizia UE, 12 luglio 2001, causa C-262/99, Louloudakis, e, in precedenza, Id., 23 aprile 1991, causa C-297/89, Rigsadvokaten).

Tale precisazione appare di fondamentale importanza dal momento che, il soggetto passivo di imposta è tenuto a concorrere alle spese pubbliche solo a condizione che i relativi redditi siano stati conseguiti in Italia e che quindi assume determinante rilievo l’esistenza di un criterio territoriale tra il soggetto e il luogo ove questi abbia prodotto i redditi. Non si comprende, insomma, come le relazioni familiari possano indurre l’Amministrazione finanziaria a richiedere una prestazione patrimoniale; esse non hanno infatti una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento (PROCOPIO, L’individuazione della residenza fiscale: un problema ancora aperto, in Dir. prat. trib., 2016, 2, p. 560).

Deve tuttavia precisarsi che, ai fini della determinazione del luogo della residenza normale, deve tenersi conto, però, dei legami professionali, oltre che personali, e dei redditi a seguito di essi prodotti in un determinato Stato, prescindendo dalla iscrizione all’AIRE; con il conseguente recupero a tassazione dei redditi prodotti del territorio nazionale (CGT di secondo grado Abruzzo, sez. VII, sent., 3 dicembre 2024, n. 872, in Il fisco, 2025, 6, p. 543, con nota di VANNINI, Residenza fiscale in Svizzera: necessaria una valutazione globale degli interessi della persona).

La riforma introdotta dalla L. n. 111/2023 ha rivisto il disposto di cui all’art. 2, comma 2, sopprimendo il riferimento espresso alle norme del Codice civile in tema di domicilio e sostituendolo con criteri di natura sostanziale; orientando, quindi, il domicilio verso una dimensione esclusivamente personale e familiare delle relazioni del contribuente. La scelta di considerare rilevanti le sole relazioni personali e familiari del contribuente ai fini del domicilio realizza un quadro di maggiore coerenza con lo spirito del collegamento personale all’ imposizione reddituale (PISTONE, La nuova disciplina sulla residenza delle persone fisiche e delle persone giuridiche nel sistema di imposizione reddituale, in Dir. prat. trib. inter., 2023, 3, p. 872).

In merito alla presunzione di cui al comma 2 bis dell’art. 2, la giurisprudenza di merito, negli ultimi anni, ha ritenuto non sufficiente l’apparato probatorio prodotto dal contribuente al fine di dimostrare la propria residenza in Paesi a fiscalità vantaggiata.

Infatti, sono stati ritenuti rilevanti, in termini di determinazione della residenza in Italia, e conseguente recupero a tassazione di redditi non dichiarati, talvolta la disponibilità, nello stato italiano, di un immobile di civile abitazione ad uso promiscuo nel quale risultano tuttora attive le utenze domestiche con carattere residenziale, nonché la frequenza ed assiduità della sua presenza sul territorio italiano, comprovata dalle numerose operazioni effettuate di persona presso gli sportelli degli istituti di credito o postali, i transiti autostradali (individuati dai pagamenti effettuati sui conti correnti collegati ai dispositivi Telepass (CTP Como, sez. IV, sent., 17 luglio 2017, n. 210); altre volte i plurimi investimenti immobiliari eseguiti in Italia, polizze assicurative stipulate nonché l’opera prestata sul territorio nazionale (CTR Lombardia, sez. XIV, sent., 31 maggio 2017, n. 2422); ancora avere un centro d’affari nel territorio italiano (CGT di primo grado di Treviso, sez. II, sent., 1° febbraio 2023, n. 44).

La presunzione esistente per i cittadini che sono emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, ha come conseguenza che l’Amministrazione finanziaria è legittimata all’emissione dell’atto impositivo, mentre incombe sul contribuente dimostrare di avere reciso ogni rapporto significativo con il territorio dello Stato, trovando applicazione il principio dell’unicità del domicilio ex art. 43 c.c. (Cass., sez. V, ord., 1° luglio 2021, n. 18702; CTR Lombardia, sez. LXVII, sent., 14 ottobre 2015, n. 3869).

Ciò implica che sul soggetto trasferito ricadrà l’onere di provare di risiedere effettivamente in altro Paese o territorio (CGT di primo grado di Sassari, sez. II, sent., 4 dicembre 2023, n. 703) e non configura elemento sufficiente a provare il trasferimento la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente (Cass., sez. trib., sent., 28 ottobre 2015, n. 21970, in Il fisco, 2015, 45, p. 4377, con nota di MAGLIARO-CENSI, Non vi è trasferimento all’estero fino  a che non ci si cancella dall’anagrafe della popolazione residente) e la conseguente iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (l’AIRE è stata istituita nel 1990 in forza dell’emanazione della L. 27 ottobre 1988, n. 470, e del relativo regolamento di esecuzione contenuto nel D.P.R. n. 323/1989. Dal punto di vista pratico, essendo i Comuni gli enti locali competenti alla tenuta dell’anagrafe della popolazione, ciascun Comune ha la propria AIRE. Inoltre, esiste un’AIRE nazionale istituita presso il Ministero dell’Interno che raggruppa i dati trasmessi dalle anagrafi comunali).

La prassi (C.M. 2 dicembre 1997, n. 304/E) ha ribadito l’irrilevanza della sola iscrizione all’AIRE e la necessità per gli organi preposti all’accertamento, al fine di individuare l’effettiva residenza fiscale del soggetto iscritto all’AIRE, di valutare l’eventuale mantenimento in Italia della dimora abituale e del centro degli affari e degli interessi, con riferimento sia a elementi patrimoniali che ai legami affettivi ed ha ritenuto, quindi, che l’iscrizione nell’AIRE non costituisce un elemento determinante per stabilire se un soggetto sia residente all’estero, essendo per di più ammesso ogni mezzo di prova idoneo a trarre conclusioni opposte a quelle che emergono dalle sole risultanze anagrafiche.

Anche secondo l’orientamento della Suprema Corte l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali ciò sia deducibile anche in base a concordanti elementi presuntivi (Cass., sez. trib, sent., 11 ottobre 2022 n. 29635; Id., 15 giugno 2016, n. 12311; Id., 15 marzo 2013, n. 6598; Id., 20 ottobre 2011, n. 29576).

Tutto ciò, permette all’A.F. nazionale di contestare al contribuente trasferito l’effettiva perdita della residenza fiscale in Italia con la conseguenza che lo stesso sarebbe tassato in base al principio del “worldwide taxation”.

Tuttavia, laddove, come nel caso de quo, non vi sia contestazione da parte dell’Ufficio circa la residenza estera, la presunzione di cui all’art. 2 bis non trova applicazione ed il contribuente risulterà sì residente all’estero ma sarà tassato in Italia per i redditi ivi prodotti in Italia secondo l’art. 3 del TUIR.

Pertanto, anche in caso di contribuenti residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, ove l’Ufficio non contesti la residenza del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che abbia rilievo l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia (Cass., sez. trib., sent., 3 maggio 2022, n. 13983, in Il fisco, n. 2022, 23, p. 2278, con nota di DEGANI, Residenza in Paesi black list: la contestazione determina la competenza dell’Ufficio accertatore).

 

4. La competenza territoriale per gli accertamenti e i controlli tributari spetta all’ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione alla data in cui questa è stata o avrebbe dovuto essere presentata; pertanto, la competenza è legata al domicilio o alla residenza del contribuente derivante dall’applicazione dei principi enunciati dall’art. 2 del TUIR.

Mentre per le persone fisiche, residenti in Italia o di cui si accerti la residenza fiscale in Italia, si rende applicabile il principio della tassazione in Italia dei redditi ovunque prodotti (worldwide taxation principle); per i non residenti, o per i quali l’Ufficio non ritenga di accertare la residenza in Italia, si applica il diverso principio della tassazione del solo reddito prodotto in Italia.

In tale ultimo caso, pertanto, la competenza per l’accertamento spetta all’Ufficio del Comune in cui è stato prodotto il reddito, ovvero a quella del Comune dove è stato prodotto il reddito più elevato, ai sensi dell’art. 58 comma 2 secondo periodo del D.P.R. n. 600/1973.

In questo caso, pertanto trova applicazione il principio di territorialità, che assegna la competenza in base al luogo di produzione del reddito.

Alla luce di quanto statuito dalla Corte di Cassazione si può, dunque, concludere che, nel caso di un contribuente residente in un Paese a fiscalità privilegiata, laddove l’Ufficio non contesti la residenza estera del contribuente, la competenza dell’Ufficio che procede all’accertamento del reddito si determina, al pari di qualunque cittadino non residente in Italia, in base al Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, in quello in cui è stato prodotto il reddito più elevato, senza che assuma rilevanza l’eventuale domicilio fiscale dichiarato dal contribuente per i redditi prodotti in Italia.

Si rileva, infine, che laddove il contribuente abbia indicato nella dichiarazione dei redditi un domicilio fiscale situato in luogo diverso da quello noto o determinabile in base ai criteri legali non può pretendere di invocare una nullità dell’accertamento per incompetenza territoriale sfruttando a suo vantaggio l’eventuale errore da esso stesso indotto.

Tale statuizione fa riferimento alla regola della buona fede e al rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario.

Allo stesso modo, in coerenza con il principio di affidamento che deriva dall’indicazione del domicilio fiscale effettuata dal contribuente, laddove sussista una difformità tra la residenza anagrafica e quella indicata nella dichiarazione dei redditi, è valida la notificazione dell’avviso perfezionatasi presso quest’ultimo indirizzo.