argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Legislazione e prassi
Dopo anni di incertezze interpretative, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 12/E del 14 febbraio 2025, ha finalmente chiarito, in conformità con le indicazioni della dottrina e alla più recente giurisprudenza di legittimità, che, nell’ambito dei patti di famiglia, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni alle attribuzioni compensative disposte dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie a favore dei legittimari non assegnatari, l’aliquota e la franchigia devono essere determinate in base al grado di parentela o al vincolo coniugale esistente tra il disponente e il legittimario non assegnatario.
PAROLE CHIAVE: patto di famiglia - imposta sulle successioni e donazioni - attribuzioni compensative ai legittimari non assegnatari
di Filippo Passagnoli
1. Le attribuzioni compensative che, nell’ambito del patto di famiglia, il legittimario assegnatario effettua a favore dei legittimari non assegnatari ai sensi dell’art. 768-quater del Codice civile devono essere qualificate, sotto il profilo fiscale, come donazioni effettuate dall’ascendente a favore dei discendenti in linea retta (o al coniuge), e non tra parenti in linea collaterale. Tale qualificazione comporta l’applicazione di un’aliquota e di una franchigia più favorevoli ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni.
Questa è la conclusione a cui è pervenuta, di recente, l’Agenzia delle Entrate (Divisione Contribuenti – Direzione Centrale Persone Fisiche, Lavoratori Autonomi ed Enti non Commerciali), nell’ambito della risoluzione n. 12/E del 14 febbraio 2025. Con tale documento, l’Amministrazione finanziaria si allinea finalmente, dopo anni di acceso dibattito, a quanto sostenuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni.
2. La legge 27 dicembre 2006, n. 296, ha inserito nell’ordinamento giuridico italiano l’istituto del “patto di famiglia”, che trova disciplina negli articoli 768-bis e seguenti del Codice civile (per un inquadramento civilistico dell’istituto, senza alcuna pretesa di esaustività, cfr. C. CACCAVALE, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strumentali e funzionali della fattispecie, in Notariato, 2006, p. 297 ss.; P. MANES, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e Impresa, n. 2/2006, p. 539 ss.; M. IEVA, Il patto di famiglia, in P. RESCIGNO (diretta da), Trattato breve delle successioni e delle donazioni, Padova, 2010, p. 327 ss.; P. MATERA, Il patto di famiglia. Uno studio di diritto interno e comparato, Torino, 2012).
Il patto di famiglia è il contratto con cui «l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti» (art. 768-bis c.c.). Esso si configura, pertanto, come il negozio giuridico attraverso il quale l’imprenditore o il socio di una società possono trasferire, in vita, ai propri discendenti (figli, nipoti): (i) l’azienda o un ramo di essa, ovvero (ii) le proprie quote o azioni societarie. Tale istituto è stato introdotto dal legislatore con l’intento di favorire la pianificazione del passaggio generazionale e garantire una stabile trasmissione endofamiliare della ricchezza produttiva e della governance societaria, prevenendo al tempo stesso il sorgere di contenziosi successori e, quindi, il rischio di disgregazione delle aziende o delle partecipazioni societarie (sui dubbi interpretativi emersi in relazione all’oggetto dell’assegnazione, cfr. I. RIVA, Il patto di famiglia, Bologna, 2021, p. 54 ss.).
Le parti del contratto – che richiede la forma dell’atto pubblico (art. 768-ter c.c.) – sono quindi in primo luogo l’imprenditore che cede l’impresa o la società e l’assegnatario che la riceve. Oltre a questi, al contratto devono partecipare anche tutti coloro che sarebbero legittimari del de cuius (il “disponente”) se in quel momento si aprisse la sua successione (art. 768-quater c.c.).
È chiaro il contenuto di questo contratto plurilaterale: vi è da un lato la cessione dell’azienda o delle partecipazioni societarie dal disponente all’assegnatario e, dall’altro, ci sono i trasferimenti di denaro o beni in favore dei legittimari non assegnatari, i quali devono ricevere la liquidazione dei loro diritti ereditari appunto mediante pagamenti in denaro o attribuzione di beni in misura pari al valore della rispettiva quota di legittima.
Gli effetti più rilevanti del patto di famiglia risiedono nella sua capacità di stabilizzare le attribuzioni ricevute dai contraenti, in quanto queste non possono essere oggetto né di riduzione né di collazione (art. 768-quater, comma 4, c.c.). Inoltre, tale patto non può essere impugnato come un patto successorio, in virtù della riserva espressa contenuta nell’art. 458 c.c.
Pertanto, il patto di famiglia costituisce uno strumento giuridico efficace per la programmazione del passaggio generazionale, consentendo al contempo di evitare che le caratteristiche proprie di un normale contratto di donazione – come la possibilità di assoggettamento alla collazione, ovvero di essere sottoposto all’azione di riduzione in caso di lesione delle quote di legittima – ostacolino il trasferimento della ricchezza rappresentata dall’impresa, assicurandone la continuità nel tempo.
In tale contesto, deve ricordarsi che, con la citata legge n. 296/2006, il legislatore italiano ha pure introdotto il comma 4-ter all’art. 3 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (“Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni”, TUSD), sancendo una disposizione di carattere agevolativo. Tale norma stabilisce che, a determinate condizioni, i trasferimenti di aziende, rami d’azienda, quote sociali e azioni, «anche tramite i patti di famiglia previsti dagli articoli 768-bis e seguenti del codice civile», non siano soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni, se effettuati a favore dei discendenti o del coniuge dell’imprenditore. In particolare, nel caso di trasferimento di partecipazioni o quote sociali, è richiesto il mantenimento del controllo della società per almeno cinque anni dalla data del trasferimento, mentre nel caso di trasferimento di azienda o ramo di essa, è necessaria la prosecuzione dell’attività imprenditoriale per almeno cinque anni dal trasferimento.
Deve segnalarsi che il comma 4-ter è stato recentemente modificato dal legislatore tributario con il decreto legislativo 18 settembre 2024, n. 139, intervenuto nell’ambito della più ampia riforma fiscale prevista dalla legge-delega 9 agosto 2023, n. 111, al fine di risolvere alcune problematiche applicative emerse negli anni successivi alla sua introduzione.
Infine, l’esenzione è estesa, giusto il disposto dell’art. 1, comma 2, e dell’art. 10, comma 3, del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347 (“Testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale”) anche alle imposte ipotecarie e catastali riferite ai beni immobili presenti nell’azienda oggetto di trasferimento.
3. Completato questo breve ma opportuno inquadramento normativo, è possibile delineare la disciplina fiscale applicabile al patto di famiglia ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, per poi esaminare il dibattito che si è sviluppato intorno al trattamento impositivo della liquidazione dei legittimari non assegnatari (per un inquadramento dei profili fiscali del patto di famiglia, cfr. G. GAFFURI, Aspetti tributari del patto di famiglia, in Bollettino Tributario, n. 13/2006, p. 1081 ss.; M. BASILAVECCHIA, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Le implicazioni del patto di famiglia. Aspetti sistematici, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006; M. BEGHIN, Il patto di famiglia tra profili strutturali e aspetti problematici, in Corriere Tributario, n. 45/2006, p. 3543 ss.; P. PURI, Prime riflessioni sul trattamento fiscale del patto di famiglia, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 3/2008, p. 10565 ss.; A. FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Rivista di Diritto Tributario, n. 5/2014, p. 526 ss.).
Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere detto contratto come un atto a titolo gratuito, con la conseguente applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, salvo che ricorrano le condizioni di esenzione previste dal citato articolo 3, comma 4-ter, TUSD. Pertanto, tale imposta si applica sia al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie in favore del beneficiario (o dei beneficiari) assegnatario, sia alla liquidazione spettante ai legittimari non assegnatari.
Tuttavia, sebbene sia stato chiarito che entrambe le operazioni – il trasferimento dell’azienda e la liquidazione dei non assegnatari – sono soggette a imposta, per lungo tempo non si è raggiunto un consenso in merito all’entità dell’onere fiscale da applicare.
Le compensazioni in denaro o beni a favore dei legittimari non assegnatari vengono infatti effettuate, giusto il disposto dell’art. 768-quater c.c., da parte dell’assegnatario prescelto per continuare l’impresa (sebbene dottrina maggioritaria ritenga che queste possano essere elargite anche dal disponente). Per tale ragione, l’Agenzia delle Entrate e, in un primo momento, anche la Corte di Cassazione, hanno ritenuto che esse dovessero essere tassate con le aliquote e le franchigie (di cui al previgente art. 2, comma 48, D.L. n. 262/2006, confluite nel nuovo art. 56 del TUSD a seguito del D.Lgs. n. 139/2024) calcolate sulla base del rapporto di parentela intercorrente fra il legittimario assegnatario e gli altri legittimari: quindi aliquota del 6%, riservata ai trasferimenti in favore di fratelli o sorelle da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, 100.000 euro (franchigia); e non aliquota del 4%, riservata ai trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta (ascendenti e discendenti) da applicare sul valore complessivo netto, eccedente per ciascun beneficiario, la quota di 1 milione di euro (franchigia).
Così, Cassazione n. 32823/2018 (prima pronuncia della Corte in tema di tassazione indiretta del patto di famiglia) ha ritenuto che la corresponsione della somma compensativa della quota di legittima da parte dell’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie ai legittimari non assegnatari fosse da assoggettare ad imposta in base all’aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario. Questo primo orientamento era volto a considerare la liquidazione operata nei confronti del legittimario non assegnatario da parte del beneficiario come una vera e propria donazione, con l’applicazione delle aliquote e franchigie previste dal TUSD sulla base del grado di parentela esistente tra il suddetto legittimario non assegnatario e l’assegnatario.
Questa impostazione, criticata in dottrina, è stata ben presto superata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 29506/2020, poi confermata con l’ordinanza n. 19561/2022 e, ancora più di recente, nell’ordinanza n. 19627/2024 (nella giurisprudenza di merito recente, si veda la CGT di primo grado di Bari, sentenza n. 2626/2024). In queste pronunce, la Corte, dopo aver evidenziato la presenza all’interno del patto di famiglia di due “anime”, una liberale e l’altra solutoria, sostiene innanzitutto che la necessità di liquidare i legittimari non assegnatari non è di per sé sufficiente a modificare la natura complessivamente liberale del trasferimento effettuato dal disponente. Di conseguenza, essa ritiene che sussista una causa liberale anche in relazione alle compensazioni effettuate in favore dei non assegnatari, con la conseguente applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni tanto al trasferimento dell’azienda (o delle partecipazioni societarie) in favore dell’assegnatario, quanto alla liquidazione spettante agli altri legittimari.
Ciò posto, secondo i giudici di legittimità, la correlazione fra presupposto impositivo e accrescimento patrimoniale del beneficiario che presuppone l’applicazione dell’imposta de qua, renderebbe evidente la necessità di considerare il risultato dell’attribuzione patrimoniale esclusivamente in termini di incremento effettivo, al netto di ogni componente negativa imputata al patrimonio del beneficiario. Questa ratio troverebbe conferma nel chiaro disposto dell’art. 58, comma 1, TUSD, a mente del quale «Gli oneri da cui è gravata la donazione, che hanno per oggetto prestazioni a soggetti terzi determinati individualmente, si considerano donazioni a favore dei beneficiari» e che, secondo la Corte, viene in considerazione anche nel contesto dei patti di famiglia.
In altre parole, la liquidazione imposta ex lege al beneficiario assegnatario riduce l’incremento patrimoniale di quest’ultimo, risolvendosi in un incremento patrimoniale per i destinatari della compensazione. Pertanto, anche se la liquidazione viene (come la norma dell’art. 768-quater c.c. presuppone) eseguita dall’assegnatario, è pur vero che detta attribuzione viene da lui eseguita a soddisfacimento degli altri legittimari per il fatto di aver ottenuto l’attribuzione dei beni (impresa o partecipazioni societarie) dal disponente. Ciò consentirebbe di equiparare il patto di famiglia alla liberalità gravata da un onere (cui si rende applicabile il disposto dell’art. 58), almeno quoad effectum (in questo senso G. PASSAGNOLI, Liberalità indirette e patto di famiglia, in Persona e Mercato, n. 2/2022, p. 198 ss.).
Pertanto, «in virtù del richiamo al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 58, comma 1, il patto di famiglia in cui il beneficiario del trasferimento di azienda o delle partecipazioni societarie liquidi il conguaglio agli altri legittimari, dal punto di vista impositivo, contiene più atti di liberalità dell’imprenditore, una a favore del beneficiario del trasferimento e le altre a favore degli altri legittimari non assegnatari» (cfr. Cass., n. 29506/2020). Ne consegue – anche per merito del condivisibile pensiero della Corte – che è coerente con il sistema e con la ratio dell’istituto individuare nell’unitaria operazione negoziale (complessa) anche una liberalità indiretta, attuata dal disponente verso il non assegnatario, onerando l’assegnatario della relativa prestazione (ricostruzione che trova riscontro, ex multis, in G. PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rassegna di Diritto Civile, 2008, p. 146 ss.).
In altre parole, la liquidazione dei non assegnatari, lungi dal poter essere considerata come una donazione, deve essere allora qualificata alla stregua di una liberalità indiretta eseguita dal disponente nei confronti di questi, con la conseguente applicazione di aliquota e franchigia propria del rapporto di parentela in linea retta (o di coniugio) esistente fra il disponente e i non assegnatari, e non di quello sussistente fra assegnatario e non assegnatari (per un commento alle citate pronunce di Cassazione, cfr. S. GHINASSI, La Suprema Corte interviene sulla tassazione del patto di famiglia, in Rivista Telematica di Diritto Tributario, 10 gennaio 2019; A. FEDELE, La Cassazione e il patto di famiglia, in Rivista Telematica di Diritto Tributario, 22 gennaio 2019; M. BASILAVECCHIA, Il patto di famiglia: dove il diritto civile unisce, il Fisco (e la giurisprudenza) dividono, in Corriere Tributario, n. 3/2019, p. 267 ss.; A. FEDELE, La Cassazione aggiusta il tiro sul regime fiscale del patto di famiglia, in Rivista Telematica di Diritto Tributario, 31 dicembre 2020; V. FICARI, La fiscalità della trasmissione familiare della ricchezza e dei patti di famiglia, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, n. 2/2021, p. 293 ss.; A. MARINELLO, Patto di famiglia e imposta di successione: luci e ombre nella giurisprudenza, in Tax News, 7 febbraio 2022; M. CLÒ, La corte di cassazione torna a pronunciarsi sul trattamento fiscale, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, applicabile ai patti di famiglia, in Tax News, 21 dicembre 2022. Nella recente giurisprudenza di merito, si veda Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, 8 marzo 2023, n. 129, con commento di M. TRAPANESE, Tassazione del patto di famiglia e tutela del passaggio generazionale, in Tax News, 24 aprile 2024).
4. Nonostante gli approdi ermeneutici illustrati, l’Amministrazione finanziaria ha continuato per anni a sostenere la tesi – evidentemente sfavorevole al contribuente – per cui la liquidazione dei non assegnatari, tipicamente fratelli e sorelle dell’assegnatario, sarebbe da inquadrare come una donazione fra parenti in linea collaterale, con le conseguenti ricadute impositive in termine di aliquota (6 per cento) e franchigia (100.000 euro).
Sulla questione controversa nemmeno è intervenuto – come invece era auspicabile – il legislatore delegato nell’ambito della recente riforma fiscale, attuata, in materia di imposte indirette, con il citato D.Lgs. n. 139/2024. Quest’ultimo ha apportato varie modifiche – in vigore dal 1° gennaio 2025 – all’imposta sulle successioni e donazioni (solo per citarne alcune, la modifica dell’anzidetto comma 4-ter dell’art. 3 del TUSD; oppure il nuovo art. 4-bis del TUSD, dedicato al trust, nel quale viene confermata legislativamente la tassazione in “uscita” ma con opzione in “entrata”; ancora, l’autoliquidazione dell’imposta sulle successioni da parte del contribuente), senza tuttavia risolvere in alcun modo la questione relativa alla tassazione della liquidazione che i legittimari non assegnatari ricevono dall’assegnatario nell’ambito dei patti di famiglia. Tale aspetto, come evidenziato dal dibattito sviluppatosi anche all’interno della stessa Corte di Cassazione, avrebbe indubbiamente richiesto un intervento chiarificatore da parte del legislatore nell’ambito della riforma.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate è recentemente intervenuta con la risoluzione n. 12/E del 14 febbraio 2025, segnando un importante punto di svolta. Con tale documento, l’Amministrazione finanziaria, modificando radicalmente il proprio orientamento consolidato, ha deciso di allinearsi alla più recente giurisprudenza di legittimità, confermando la tesi secondo cui, nell’applicare l’imposta di donazione alle attribuzioni compensative effettuate dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni societarie a favore dei legittimari non assegnatari, «l’aliquota e la franchigia sono determinate tenendo conto del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente e legittimario non assegnatario» (pag. 6 della risoluzione).
Dopo anni di discussioni, la tesi interpretativa – sostenuta dalla dottrina e dal più consolidato orientamento giurisprudenziale – che considera tutte le attribuzioni oggetto del patto di famiglia come effettuate dal disponente imprenditore, con piena equiparazione della liquidazione operata dall’assegnatario a favore degli altri legittimari all’attribuzione del disponente in favore dell’assegnatario, trova finalmente accoglimento anche da parte del Fisco.
Conseguentemente, la risoluzione in questione conclude invitando gli Uffici periferici a riesaminare i procedimenti pendenti interessati dalla specifica problematica.
5. Se il risultato giuridico raggiunto è certamente da accogliere con favore, permangono tuttavia dei nodi interpretativi irrisolti. In particolare, non convince l’esclusione dall’esenzione di cui al citato art. 3, comma 4-ter, TUSD, delle attribuzioni compensative in favore dei legittimari non assegnatari, limitando il beneficio esclusivamente al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni societarie effettuato dal disponente all’assegnatario (a patto che quest’ultimo: prosegua l’esercizio dell’attività dell’impresa ovvero detenga il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data trasferimento; renda, contestualmente alla stipula del contratto con il quale è disposto il patto di famiglia, una dichiarazione di impegno ad osservare le predette condizioni).
Si tratta di un orientamento originariamente adottato dall’Agenzia delle Entrate (cfr. circolari n. 3/E/2008, par. 8.3.2., e n. 18/E/2013, par. 5.3.2.), secondo il quale «l’agevolazione recata dall’articolo 3, comma 4-ter, del TUS, si applica esclusivamente con riferimento al trasferimento effettuato tramite il patto di famiglia, e non riguarda anche l’attribuzione di somme di denaro o di beni eventualmente posta in essere dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali in favore degli altri partecipanti al contratto».
La giurisprudenza di legittimità successiva ha costantemente confermato questo orientamento: sia la giurisprudenza (Cass., n. 32823/2018) che riteneva applicabile alle attribuzioni compensative in favore dei non assegnatari l’aliquota corrispondente al grado di parentela intercorrente tra l’assegnatario e ciascun legittimario non assegnatario; sia la più virtuosa giurisprudenza (Cass., n. 29506/2020, n. 19561/2022, n. 19627/2024) che ha invece ritenuto che alla liquidazione dei legittimari non assegnatari si debbano applicare le aliquote e franchigie relative al rapporto intercorrente fra disponente e non assegnatari. Infatti, anche nella recente ordinanza n. 19627 del 2024, si afferma che «l’esenzione prevista dall’art. 3, comma 4 ter, d.lgs. n. 346 del 1990, si applica al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento dell'azienda e delle partecipazioni societarie in favore del discendente beneficiario, non anche alle liquidazioni operate da quest'ultimo in favore degli altri legittimari».
Si tratta di conclusioni ampiamente criticate dalla dottrina (cfr. supra ultima parte del par. 3), la quale, invece, tende a ricostruire il patto di famiglia come una pluralità di attribuzioni a titolo gratuito provenienti dallo stesso disponente, ritenendo quindi indispensabile considerare l’unitarietà causale che pervade l’intera operazione negoziale. Del resto, la medesima dottrina osserva come, anche a seguito della sola interpretazione letterale della norma, sia lo stesso art. 3, comma 4-ter, a imporre l’esclusione dall’imposta sulle donazioni non solo delle attribuzioni a favore dell’assegnatario, ma anche delle liquidazioni effettuate in favore degli altri legittimari (cfr. in particolare A. FEDELE, La Cassazione aggiusta il tiro sul regime fiscale del patto di famiglia, cit.). Solo in questo modo, infatti, si riuscirebbe a sottrarre all’imposizione l’intero valore delle aziende o delle partecipazioni societarie a cui fa riferimento la disposizione agevolativa in questione, la quale intende coprire la complessiva attribuzione effettuata dal disponente a favore dell’assegnatario. Al contrario, seguendo l’interpretazione che nega tale unitarietà, l’esenzione non coprirebbe l’intero valore dell’azienda o delle partecipazioni societarie trasferite, ma solo il valore residuo, al netto di quanto corrisposto a titolo compensativo dall’assegnatario agli altri legittimari.
Nonostante le criticità evidenziate, anche questa questione interpretativa non è stata affrontata dalla recente riforma fiscale, sebbene un intervento chiarificatore sarebbe certamente stato apprezzato. Motivo per cui l’Agenzia delle Entrate, sicuramente confortata dal consolidato orientamento di legittimità sopra esposto e dal silenzio del legislatore delegato, nella recente risoluzione n. 12/E del 14 febbraio 2025 ha espressamente ribadito – prima di affermare che per le attribuzioni compensative disposte dall’assegnatario in favore dei legittimari non assegnatari l’aliquota e la franchigia sono determinate in base al rapporto intercorrente tra disponente e legittimario non assegnatario – il principio secondo cui l’esenzione prevista dall’art. 3, comma 4-ter, si applica al patto di famiglia solo con riguardo al trasferimento in favore del discendente beneficiario, e non anche alle liquidazioni effettuate da quest’ultimo a favore degli altri legittimari.
Si genera così un deprecabile cortocircuito interpretativo: se, da un lato, è ormai consolidata l’equiparazione, ai fini delle aliquote e delle franchigie applicabili, della liquidazione operata dall’assegnatario in favore degli altri legittimari all’attribuzione del disponente a favore dell’assegnatario, dall’altro, l’esclusione dall’esenzione di cui all’art. 3, comma 4-ter, delle compensazioni non sembra allinearsi all’unitarietà causale che caratterizza il patto di famiglia, concepito come una pluralità di attribuzioni gratuite provenienti dal medesimo disponente.
Non può che auspicarsi, anche sotto questo profilo, un deciso cambio di rotta da parte dei giudici di legittimità nel prossimo futuro.