argomento: IVA - Giurisprudenza
Il commento analizza l’applicazione del principio dell’abolitio criminis con riferimento al superamento dei limiti di compensazione previsti per i crediti tributari. Con la pronuncia n. 18377/2024 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’innalzamento retroattivo del limite annuale di compensazione a due milioni di euro comporta una parziale abolitio criminis, escludendo la punibilità delle condotte precedentemente eccedenti i limiti normativi, ma ora rientranti nella nuova soglia. Si evidenzia come l’innalzamento del limite di compensazione incida sulla struttura della fattispecie astratta, ampliando l’area di liceità della condotta. La Corte chiarisce inoltre che la nuova soglia si applica retroattivamente a tutti i procedimenti non definitivi, con implicazioni rilevanti per il contenzioso tributario.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent., 5 luglio 2024, n. 18377 )PAROLE CHIAVE: compensazione - imposta sul valore aggiunto - abolitio criminis - sanzioni
di Alessia Fidelangeli
1. Il tema in esame riguarda l’applicazione del principio dell’abolitio criminis in relazione alle compensazioni fiscali eccedenti i limiti previsti. Una sentenza del luglio 2024 ha offerto chiarimenti in merito sia al limite normativo di riferimento nel caso di modifiche legislative sui tetti di compensazione, sia alla possibilità di applicare l’abolitio criminis in simili contesti.
2. Il caso riguarda una cooperativa che, nei periodi d’imposta 2009, 2010 e 2011, ha superato i limiti annuali di compensazione dei crediti fiscali. L’Agenzia delle Entrate ha contestato tali eccedenze, rilevando un importo complessivo superiore al limite annuo compensabile, fissato ai sensi dell’art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 241/1997, in 516.454,90 euro. Per ciascun anno di violazione, è stata applicata una sanzione del 30% sull’eccedenza, in conformità all’articolo 13, comma 1, del D.Lgs. n. 471/1997. Al momento dei fatti, non era ancora vigente una norma specifica per l’utilizzo di crediti fiscali in misura superiore a quella consentita. L’articolo 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997, che prevede esplicitamente la sanzione del 30% per tali violazioni, è stato infatti introdotto solo nel 2016 (dal 1° settembre 2024, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, la sanzione è ridotta al 25% ed è disciplinata al comma 4 bis. Sulla riforma del sistema sanzionatorio v. la seconda sezione del recente volume curato da GIOVANNINI, La riforma fiscale – I diritti e i procedimenti, III, Pisa, 2024, e, in particolare, ai fini del tema che ci si appresta a trattare, i contributi di GIOVANNINI, I nuovi princìpi del sistema punitivo tributario: proporzionalità e identità del fatto materiale (p. 149 ss.); DEL FEDERICO, La riforma delle sanzioni amministrative: profili generali e principi di novità (p. 183 ss.); CORDERIRO GUERRA, Il principio di proporzionalità (p. 205 ss.); LOGOZZO, Il principio di proporzionalità e l’entità delle sanzioni amministrative (p. 225 ss.); GIRELLI, La nuova disciplina sull’indebita compensazione (p. 275 ss.). Sullo schema del decreto delegato v. anche GIOVANARDI, Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio tributario, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, p. 354 ss.; MELIS, Le sanzioni amministrative tributarie nella Legge delega: questioni aperte e possibili soluzioni, in Rass. trib., 2023, p. 502 ss.; SAMMARTINO, La riforma della disciplina delle sanzioni amministrative in materia tributaria, in Rass. trib., 2022, p. 274 ss.). Pertanto, l’Agenzia delle Entrate aveva applicato le sanzioni sulla base del comma 1 dello stesso articolo, che disciplina i ritardati o omessi versamenti. Anche prima di tale precisazione normativa, infatti, la giurisprudenza era concorde nel ritenere che le sanzioni per omessi versamenti fossero applicabili all’utilizzo di crediti in misura superiore a quella spettante. La Cassazione aveva statuito, con la sentenza n. 14795/2022, che “in tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal d.lgs. 471 del 1997, art. 13, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti” (v. anche Cass., Sez. V, Ord., 17 aprile 2019, n. 10708; Cass., Sez. V, Ord., 26 ottobre 2012, n. 18369). La questione è giunta in Cassazione nel 2024.
3. Nel frattempo, le norme relative ai limiti compensabili hanno subito modifiche legislative, il cui impatto ha contribuito a orientare le decisioni di merito e di Cassazione. L’articolo 25, comma 2, del D.Lgs. n. 241/1997 prevedeva originariamente un tetto massimo di compensazione pari a 500 milioni di lire per ciascun periodo d’imposta. Questo limite è stato successivamente innalzato a un miliardo di lire (circa 516.456,90 euro) dall’articolo 34 della L. n. 388/2000, con decorrenza dal 1° gennaio 2001. All’epoca dei fatti, ossia quando la cooperativa operava le compensazioni in esame, il limite applicabile era proprio quello fissato nel 2001. A partire dal 1° gennaio 2014, esso è stato innalzato a 700.000 euro, mentre per l’anno 2020, durante la pandemia, il Decreto Rilancio (articolo 147, D.L. n. 34/2020) lo ha portato a un milione di euro come misura straordinaria per sostenere le imprese in difficoltà. Nel 2021, il Decreto Sostegni Bis (D.L. n. 73/2021) ha ulteriormente elevato il limite a due milioni di euro, sempre con validità temporanea per l’anno in corso, con l’intento di fornire liquidità e facilitare l’accesso al credito attraverso agevolazioni fiscali e contributi a fondo perduto. Infine, la legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021) ha stabilizzato il limite di due milioni di euro, rendendolo permanente a partire dal 1° gennaio 2023.
Al momento della decisione della Corte di Cassazione, quindi, la soglia vigente era quella definitiva di due milioni di euro. La questione principale esaminata dalla Corte era se l’innalzamento del limite configurasse una forma di mitigazione o addirittura di abrogazione delle sanzioni previste, nonostante l’articolo 13 del D.Lgs. n. 471/1997 – la norma sanzionatoria in senso stretto – fosse rimasto immutato.
4. Nel quadro delle sanzioni amministrative tributarie, l’articolo 3 del D.Lgs. n. 472/1997 introduce due principi fondamentali riguardanti l’applicazione delle norme nel tempo: l’abolitio criminis e il favor rei, entrambi considerati dirette espressioni del principio di legalità (v. ex multis BATISOTINI FERRARA, Commento all’art. 3, d.lgs. n. 472 del 1997, in Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di Falsitta, Fantozzi, Marongiu e Moschetti, Tomo II, Padova, 2011, p. 734 ss.; CORDEIRO GUERRA, Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996, p. 150 ss.; DEL FEDERICO, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, p. 19 ss.; , Il principio di legalità, in Trattato di diritto sanzionatorio tributario, a cura di Giovannini, Di Martino e Marzaduri, Milano, 2016, p. 1421 ss.). L’introduzione del principio di legalità nel sistema sanzionatorio tributario, ad opera della riforma del 1997, fu considerata un importante progresso verso una maggiore civiltà giuridica (GIOVANNINI, Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 2022, p. 122 ss.). In base al comma 2 dell’art. 3, salvo diversa disposizione legislativa, nessuno può essere sanzionato per un fatto che, in virtù di una legge successiva, non costituisce più una violazione punibile. Questa disposizione supera il tradizionale principio del tempus regit actum, in ragione di quello dell’abolitio criminis. Il comma 3 stabilisce inoltre che, in caso di modifica dell’entità della sanzione prevista da una norma successiva, si applica la legge più favorevole al trasgressore, purché il provvedimento sanzionatorio non sia ancora divenuto definitivo. L’istituto dell’abolitio criminis, secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate (Circ. n. 180/E/1998), trova applicazione non solo in caso di abrogazione esplicita della norma sanzionatoria in senso stretto, ma anche qualora venga eliminato un obbligo strumentale che incida indirettamente sulla disposizione sanzionatoria. Come è stato evidenziato dalla dottrina, la differenziazione tra norma sanzionatoria in senso stretto e obbligo strumentale risulta priva di esplicita base normativa ed alquanto fumosa (DEL FEDERICO, Principio di legalità e sanzioni tributarie, in Innovazione e diritto, 2015, 2, p. 66).
5. La giurisprudenza si è interrogata sull’estensione dell’abolitio criminis a fattispecie caratterizzate dalla modifica o abolizione di obblighi strumentali. È stato rilevato, in dottrina, che le posizioni della giurisprudenza sono state non uniformi, con divergenze interpretative emerse in vari casi concreti (MELIS, Manuale di diritto tributario, Torino, 2024, p. 91 ss.).
Un primo orientamento della Corte di Cassazione si è occupato di chiarire il caso in cui una dichiarazione mendace, qualificata tale sulla base di requisiti normativi successivamente modificati, mantenga la sua rilevanza sanzionatoria nell’ipotesi in cui, a fronte del mutamento delle condizioni richieste per ottenere il beneficio, l’agevolazione risulterebbe spettante. Prima della pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite di cui si discuterà infra, sul tema esistevano due opposti orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo, le modifiche legislative che incidono sull’oggetto della dichiarazione potrebbero interrompere il nesso tra norma sanzionatoria e norma impositiva, caducando il titolo per l’applicazione della sanzione. Secondo il filone minoritario, invece, l’abolitio criminis richiede la radicale eliminazione del presupposto impositivo. Se il presupposto impositivo non viene eliminato e, dunque, l’imposta continua a essere dovuta per il periodo antecedente all’intervento normativo che l’ha poi esclusa, per quel periodo sono dovute anche le sanzioni (per un commento v. CANNIZZARO, O Favor rei o abolitio criminis, purché non si applichi la sanzione!, in Riv. tel. dir. trib., 2017, 1 p. 54 ss.). Un secondo orientamento giurisprudenziale si è invece focalizzato sull’abrogazione dei tributi per ragioni non legate a pronunce di incostituzionalità. Alcune sentenze hanno escluso la possibilità di applicare le sanzioni per omessa o infedele dichiarazione di un’imposta non più esistente. Tuttavia, altre decisioni hanno sostenuto che l’abolitio criminis si configuri solo quando l’imposta sia stata completamente eliminata, mentre, nel caso in cui il tributo sia ancora dovuto per i fatti precedenti, anche gli obblighi e le sanzioni rimangono applicabili (Per una ricostruzione si rinvia a LUPI, Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 1998, I, p. 327 ss., e MELIS, Manuale di diritto tributario, cit., p. 91). Un terzo filone si è concentrato sulla riduzione del perimetro delle condotte rilevanti dal punto di vista fiscale, come nel caso dell’innalzamento dei limiti alla compensazione di crediti. La questione è se tali mutamenti possano essere considerati alla stregua di una riduzione della condotta illecita, con conseguente applicazione del favor rei. La giurisprudenza ha fornito risposte contrastanti: in alcune pronunce si è sostenuto che il favor rei sia applicabile (Cass., Sez. VI, Ord., 23 febbraio 2021, n. 4806; Cass., Sez. V, Ord., 30 giugno 2021, n. 18367; Cass., Sez. V, Ord., 1° dicembre 2022, n. 35385), mentre altre si sono espresse in senso contrario (Cass., Sez. V, Ord., 22 ottobre 2019, n. 26926).
6. Per quanto riguarda la possibilità di applicare l’istituto dell’abolitio criminis nel caso di innalzamento del limite alla compensazione, la giurisprudenza in commento si pone in continuità con l’orientamento interpretativo secondo il quale l’aumento della soglia massima compensabile comporta una “riduzione della condotta rilevante” ai fini della sanzionabilità ex art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997. Secondo l’orientamento precedente l’incremento circoscrive la sanzione alla sola compensazione delle somme che superano il limite nel frattempo accresciuto, in ragione dell’applicazione del favor rei ai procedimenti ancora pendenti (Cass. n. 18367/2021, cit.; Cass. n. 35385/2022, cit.).
Di conseguenza, anche con riferimento al periodo pregresso, per valutare la sanzionabilità in relazione al superamento del limite annuale per la compensazione di tributi, occorre considerare il nuovo limite di due milioni di euro. Nel caso che si annota, le compensazioni effettuate dalla cooperativa rientravano nei limiti previsti dalla nuova soglia e, dunque, non era applicabile la sanzione. Al di là del caso di specie, le conseguenze pratiche sono evidenti ed estremamente rilevanti. Per tutti i procedimenti in corso relativi a violazioni del limite di compensazione annuale le sanzioni si applicano solo all’eccedenza rispetto alla nuova soglia di due milioni di euro. Nel caso in cui la soglia dovesse essere ulteriormente aumentata, poi, sarebbe la nuova soglia ad applicarsi.
Il profilo di maggiore interesse della sentenza in esame risiede nel fatto che la Cassazione attribuisce l’applicazione del limite dei due milioni di euro non tanto a un’estensione del principio del favor rei – diversamente da quanto riscontrato nei precedenti orientamenti giurisprudenziali – ma a una modifica normativa retroattiva, che ha l’effetto di rideterminare le sanzioni per tutti i procedimenti in corso. Si sottolinea, anzi, che la sanzione non è stata direttamente modificata. La condotta, intesa come il superamento della soglia, resta sanzionabile, ma solo oltre i nuovi valori più elevati. L’innalzamento del limite annuale configura quindi una abolitio criminis parziale, fattispecie raramente affrontata nelle pronunce delle sezioni civili della stessa Corte. Dall’affermazione della Corte si può dedurre che il limite alla compensazione rappresenta una sorta di soglia di punibilità, la cui modifica incide direttamente sulla fattispecie sanzionatoria.
7. La Corte, nella sentenza in esame, sottolinea poi che il proprio orientamento non è in contrasto con la decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 13145/2022, relativa alle agevolazioni per l’acquisto della prima casa (per un commento si vedano FARELLA, Punibilità della dichiarazione mendace sui previgenti requisiti prima casa: la soluzione delle Sezioni unite tra favor rei, abolitio criminis e (mera) successione delle leggi nel tempo, in Dir. prat. trib., 2023, p. 175 ss.; SCAPIN, L’applicazione del principio del favor rei alle sanzioni tributarie nell’ipotesi di decadenza dalle agevolazioni per l’acquisto della prima casa, in Tax News, 7 febbraio 2023). Nel 2022, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano cercato di chiarire le ambiguità derivanti dal quadro giurisprudenziale delineato, stabilendo che la mera ridefinizione della condotta integrante la violazione tributaria non fosse sufficiente per escludere la sanzione amministrativa (Cass., SS.UU., Sent., 27 aprile 2022, n. 13145, confermata, tra le altre, da Cass., Sez. V, Ord., 20 luglio 2023, n. 21727). Il caso riguardava un contribuente che aveva ottenuto l’aliquota IVA agevolata del 4% per l’acquisto della prima casa dichiarando falsamente il rispetto dei requisiti, nonostante l’immobile superasse i limiti dimensionali per i beni di lusso. Successive modifiche normative avevano ridefinito i criteri per accedere al beneficio, sostituendo il parametro della metratura con quello della categoria catastale, escludendo immobili signorili, ville e castelli dall’esenzione.
Secondo la Cassazione, per capire se via sia stata abolitio criminis, occorre partire dalla struttura della fattispecie sanzionatoria tributaria. Affinché si applichi una sanzione, occorre una norma concernente la fattispecie legale astratta, che descrive la condotta rilevante e sintetizza il precetto, e una norma che fissa la disciplina, cioè le conseguenze dell’infrazione del precetto sul piano sanzionatorio. Ai fini dell’abolitio criminis ciò che conta è la fattispecie astratta della dichiarazione mendace, e non l’oggetto di essa, che, in quanto antecedente di fatto, rappresenta un elemento esterno alla struttura della violazione. La modifica dei parametri per il riconoscimento dell’agevolazione IVA, introdotta dall’art. 33 del D.Lgs. n. 175/2014, non aveva carattere retroattivo e non interferiva con la sanzione poiché l’infrazione, costituita dalla dichiarazione mendace, era rimasta immutata. L’abolitio criminis si sarebbe potuta verificare solo se la norma successiva, “che [aveva] diversamente disciplinato l’oggetto della dichiarazione, fosse stata retroattiva: in tal caso la norma non avrebbe soltanto qualificato un elemento di fatto, ma avrebbe mutato l’assetto giuridico della fattispecie astratta” (punto 12). Decidere diversamente equivarrebbe a riportare in essere il criterio della doppia punibilità in concreto, ormai ripudiato dall’ordinamento nazionale. Per sostenere questa conclusione le Sezioni Unite si erano richiamate alla giurisprudenza di Cassazione in materia penale (Cass. pen., SS.UU., Sent., 15 maggio 2008, n. 19601 – Niccoli) inerente al reato di bancarotta e richiamata anche nella pronuncia che si annota.
8. La Corte, nella sentenza in esame, sottolinea la necessità di distinguere tra il caso regolato dalla decisione delle Sezioni Unite e la fattispecie attuale. In quell’occasione non si era ravvisata un’abolitio criminis, poiché la condotta dichiarativa mendace era rimasta inalterata. Nel presente caso, invece, l’innalzamento della soglia di compensazione IVA a due milioni di euro comporta una modifica che investe la struttura sostanziale della fattispecie: la condotta resta la medesima, ma rientra in un quadro di liceità esteso (la Cassazione parla di “ampliamento della soglia di liceità”), di qui l’abolitio criminis
Tale conclusione sarebbe coerente anche con la giurisprudenza della Cassazione relativa all’applicabilità di sanzioni più favorevoli alle dichiarazioni di intento degli esportatori abituali (Cass., Sez. V, Sent., 28 luglio 2022, n. 23695). In questa pronuncia la Cassazione si ispira a principi penalistici, secondo cui si applica il favor rei in senso stretto, e non l’abolitio criminis, quando, nonostante modifiche normative, permane un giudizio di disvalore astratto, basato su una continuità e omogeneità strutturale tra le previsioni normative, con un nucleo essenziale della condotta ancora riconducibile a una diversa e più mite categoria di illecito. La Corte estende tale ragionamento al sistema delle sanzioni tributarie, affermando che non si ha abolitio criminis quando il fatto permane illecito e si ha continuità strutturale tra l’originaria previsione e le modifiche sopravvenute, che si limitano a introdurre un mutamento meramente quantitativo degli adempimenti richiesti (per un commento si vedano INGRAO, Oscillazioni giurisprudenziali sull’abolitio criminis per le modifiche della normativa sostanziale, in GT – Riv. giur. trib., 2023, p. 313 ss.; SASSARA, Nessuna abolitio criminis per l’omessa comunicazione di dichiarazione d’intento da parte del fornitore o prestatore, in Il fisco, 2022, 8, p. 766 ss.).
9. Dal punto di vista sistematico se ne deve dedurre che la semplice modifica o ridefinizione della condotta costituente una violazione tributaria, come accaduto nel caso delle agevolazioni prima casa, non è sufficiente a giustificare l’abolitio criminis. Tali modifiche incidono su norme integratrici della fattispecie, senza intaccare la struttura della norma sanzionatoria. Non è sufficiente constatare che il fatto, alla luce della normativa attuale, non configurerebbe più reato; occorre invece verificare se la norma integrativa sia così rilevante da determinare un mutamento nella fattispecie risultante dal collegamento tra le due norme, ossia tra quella impositiva e quella sanzionatoria. Diversamente, modifiche legislative che intervengano direttamente sulla fattispecie astratta e sul precetto normativo cui si ricollega la norma sanzionatoria possono dar luogo a una abolitio criminis, totale o parziale. L’abolitio criminis è totale qualora venga eliminata del tutto la disposizione normativa collegata; ad esempio, nel caso in esame, ciò si sarebbe verificato qualora fosse stato abrogato l’art. 25, comma 2, che stabilisce il limite alla compensazione. È invece parziale quando si assiste a un ampliamento dell’area di liceità della condotta, per esempio innalzando i limiti direttamente previsti dalla fattispecie astratta.
10. Queste considerazioni conducono a una serie di riflessioni rilevanti. In primo luogo, si può ritenere che prolungare il contenzioso possa risultare strategicamente conveniente per beneficiare di eventuali future riduzioni delle sanzioni. Ciò trova fondamento nella consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui le norme sanzionatorie più favorevoli si applicano ex officio in ogni stato e grado del giudizio, inclusa la fase di legittimità.
In secondo luogo, si osserva che una disposizione normativa che amplia l’area di liceità con effetti retroattivi determina indubbiamente un’abolitio criminis. Tuttavia, anche una norma che non affronti espressamente tale questione, come nel caso in esame, se incide sulla fattispecie astratta ampliando la soglia di liceità, può produrre effetti retroattivi. L’unico modo per evitare tali conseguenze è limitare esplicitamente gli effetti della modifica normativa pro-futuro, prevedendo che tali modifiche abbiano efficacia solo a partire da una determinata data. Questo tipo di limitazione può essere introdotto dal legislatore, che ha il potere di stabilire esplicitamente l’applicazione temporale delle disposizioni. A tal proposito, si richiama la circolare n. 180/E/1998, che ha sottolineato come il principio di abolitio criminis non abbia rango costituzionale, come confermato dalla giurisprudenza (v. ad esempio Cass., Sez. V, Sent., 28 luglio 2022, n. 23695), e sia pertanto derogabile da una norma di legge.
11. D’altronde, la limitazione degli effetti nel tempo appare frequente sia in relazione a norme sanzionatorie sia a norme che, come quella in discussione, comportano costi rilevanti e necessitano di una copertura finanziaria. Un esempio esplicativo è fornito dall’art. 34 che, nella formulazione introdotta dalla L. n. 388/2000, subordinava l’aumento del limite di compensazione fiscale alla compatibilità con le esigenze di bilancio, affidando al Ministro dell’economia e delle finanze il potere di incrementarlo, a partire dal 1º gennaio 2010, fino a un massimo di 700.000 euro. Ciò dimostra che l’ampliamento delle soglie di compensazione fiscale è strettamente legato alla disponibilità di risorse economiche, confermando il ruolo determinante delle esigenze di bilancio nella configurazione e nella portata temporale delle agevolazioni previste. Di conseguenza, nei casi in cui per esigenze di bilancio gli effetti di una norma siano rinviati, è possibile che cambi il trattamento riservato a contribuenti in situazioni analoghe. Se ciò è ammissibile nel caso dell’abolitio criminis, in quanto l’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 472/1997 prevede che l’istituto si applichi “salvo diversa previsione di legge” (v. CORASANITI, Riflessioni critiche sulla deroga al principio di retroattività della lex mitior nel decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio tributario, in prat. trib., 2024, pp. 1273-1274), un discorso diverso riguarda il principio di favor rei in senso stretto. Com’è già stato evidenziato in relazione alla recente riforma sanzionatoria, nei casi in cui l’intervento legislativo richiama il principio del pareggio di bilancio e dell’interesse finanziario per giustificare la mancata riduzione delle sanzioni per il passato, il ragionamento solleva perplessità rispetto a fondamentali principi costituzionali, come la riserva di legge, i principi di offensività e proporzionalità, nonché gli obiettivi di rieducazione (v. CORASANITI, Riflessioni critiche sulla deroga al principio di retroattività, cit.; DEL FEDERICO, La riforma delle sanzioni amministrative, cit., p. 202-203; GIRELLI, La nuova disciplina sull’indebita compensazione, cit., p. 278; MARCHESELLI, GURDULÙ alle PIRAMIDI: note critiche su contraddittorio e favor rei nella riforma fiscale, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, p. 575 ss. Sul fatto che il principio di proporzionalità costituisca il principio cardine della riforma del diritto punitivo tributario v. in particolare CORDEIRO GUERRA, Il principio di proporzionalità, cit., p. 215; GIOVANNINI, I nuovi princìpi del sistema punitivo tributario, cit., p. 149). Infatti, la circostanza che le sanzioni comportino una minore entrata è un elemento accidentale, dal momento che il loro obiettivo principale è quello di punire l’autore dell’illecito (CORDEIRO GUERRA, Adeguamento delle sanzioni punitive al principio di proporzionalità e coperture finanziarie: un evidente corto circuito giuridico, in Riv. tel. dir. trib., 2023, 2, p. 780). Inoltre, dalla legge delega emerge che il Parlamento non avrebbe inteso derogare al principio del favor rei (DEL FEDERICO, La riforma delle sanzioni amministrative, cit., p. 202).
12. La natura transitoria di determinate modifiche induce poi a interrogarsi sulla possibilità di configurare un’abolitio criminis anche in circostanze di modifiche temporanee, come quelle introdotte nel 2021 e nel 2022 in risposta a specifiche contingenze, quali la pandemia. Dalla lettura della giurisprudenza emergerebbe una risposta affermativa, in quanto, anche in tali casi, la temporaneità delle disposizioni non esclude la possibilità di un ampliamento dell’area di liceità con conseguenti effetti retroattivi.
13. Per concludere, merita un richiamo anche una pronuncia immediatamente successiva a quella appena esaminata, che si riferisce esplicitamente alla sentenza in oggetto (Cass., Sez. V., Ord, 22 luglio 2024, n. 20098). In quel caso, un notaio aveva registrato con un ritardo superiore ai venti giorni prescritti dal Testo Unico sull’Imposta di Registro (TUR) un atto di ricognizione dell’avveramento di una condizione sospensiva. Gli articoli 69 e 19 del TUR regolano rispettivamente il regime sanzionatorio per omissioni o ritardi nella presentazione di denunce e i termini per la comunicazione dell’avveramento di condizioni sospensive apposte agli atti. L’articolo 19, nella versione originaria del 2000, stabiliva che l’avveramento di una condizione sospensiva apposta a un atto dovesse essere denunciato entro venti giorni all’ufficio presso il quale l’atto era stato registrato. Successivamente, il termine per la denuncia è stato esteso a trenta giorni (l’atto era stato registrato dopo ventiquattro giorni). Secondo la Cassazione la modifica normativa ha comportato una parziale abolitio criminis, in conformità ai principi sanciti dalla Corte nella sentenza che si annota. Nella fattispecie, l’infrazione non consiste più in un ritardo superiore a venti giorni, bensì in quello superiore a trenta giorni. Da questa pronuncia emergono due considerazioni di rilievo. In primo luogo, la proroga del termine entro cui adempiere a un obbligo, qualora l’inadempimento sia sanzionato in quanto effettuato in ritardo, produce anch’essa un ampliamento dell’area di liceità, configurando quindi un’abolitio criminis. In secondo luogo, la Corte di Cassazione menziona esplicitamente l’importanza di introdurre regimi transitori per limitare tali effetti (“Considerato che l’art. 47 del d.l. n. 73/2022 non detta alcuna disposizione transitoria, deve ritenersi che tale disposizione sia immediatamente applicabile”). Questo aspetto conferma quanto già rilevato in precedenza: i regimi transitori costituiscono uno strumento fondamentale per bilanciare le esigenze di bilancio con i principi giuridici di abolitio criminis (sulla centralità dei regimi transitori in relazione all’abolitio criminis v. DEL FEDERICO, Principio di legalità e sanzioni, cit., p. 66).