Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

14/05/2018 - Brevi riflessioni su formalismo e limitazione dei diritti dei contribuenti. a proposito della sospensione automatica dei rimborsi iva per “carichi pen-denti”

argomento: IVA - Legislazione e prassi

 L’applicazione dell’istituto della sospensione dei rimborsi dovrebbe essere esclusa con riguardo all’IVA, in quanto l’art. 38-bis, D.P.R. n. 633/1972 prevede una disciplina “chiusa” dei rimborsi, consistente nell’obbligo del rilascio di fideiussioni triennali. Tali garanzie sono da sole sufficienti a bilanciare gli interessi contrapposti, ovvero l’esigenza di garanzia per lo Stato e il diritto alla neutralità dell’IVA per il contribuente.

PAROLE CHIAVE: IVA - rimborso - sospensione - carichi pendenti - neutralità


di Maurizio Logozzo

  1. L’ultimo periodo dell’era fiscale è caratterizzato dalla “furia” degli adem­pimenti formali e dalla conseguente limitazione dei diritti dei contribuenti. Per anni abbiamo invocato la semplificazione, ma la strada da ultimo imboccata va in senso contrario: inasprimento della burocratizzazione del rapporto tributario a carico dei contribuenti (i sociologi parlano di “burocrazia passiva”) all’insegna del motto lotta all’evasione e alle frodi fiscali!

Come se non bastassero gli incisivi poteri istruttori a sua disposizione, l’Amministrazione finanziaria, vero legislatore di questa “nuova” politica fiscale, sembra pervasa dall’idea che è l’aspetto formale che può ostacolare l’eva­sione (ma sotto sotto c’è anche la malcelata idea di un beneficio al bilancio dello Stato in termini di rallentamento dei rimborsi, in particolare quelli IVA).

Tutto ciò deve indurre la dottrina a stimolare il dibattito su un serio bilanciamento del rapporto tra adempimenti fiscali, legalità dell’imposizione e “giusta imposta”. L’alterazione di tale bilanciamento è sintomo di inefficienza e inefficacia dell’azione amministrativa (è inutile predicare diversamente), ma anche di una sempre più manifesta insofferenza da parte dei contribuenti.

  1. L’unico argine rimasto è rappresentato dai principi europei. È di questi giorni, ad esempio, la lettera alla Commissione europea da parte di alcune associazioni di categoria con la quale si denuncia il contrasto con i principi di neutralità, di proporzionalità e di effettività delle norme contenute nella cd. manovrina (D.L. 24 aprile 2017, n. 50), che prevedono tempi molto stretti per le detrazioni IVA, rendono obbligatorio il visto di conformità per le compensazioni superiori a 5.000 Euro (con incremento dei costi per l’operatore) e introducono la comunicazione trimestrale delle fatture.

Sempre con riguardo all’IVA, un altro spettro si aggira da ultimo nelle aule giudiziarie tributarie: è quello della legittimità del fermo amministrativo operato automaticamente dall’Amministrazione finanziaria nell’ipotesi di “carichi pendenti”.

A parte il significato di “carichi tributari pendenti” (v. circ. 11.8.1993, n. 19/E, accertamenti e rettifiche o atti sanzionatori oggetto di contenzioso, P.V.C. e addirittura “segnalazioni”), il tema è quello dell’azionabilità del fermo amministrativo generale (o contabile) di cui all’art. 69, R.D. 2440/1923 e del fermo tributario di cui all’art. 23, D.Lgs. n. 472/1997.

L’applicazione di tali misure cautelari dovrebbe essere esclusa con riguar­do all’IVA, in quanto l’art. 38-bis, D.P.R. n. 633/1972 prevede una disciplina “chiusa” dei rimborsi, consistente nell’obbligo del rilascio di fideiussioni triennali commisurate all’entità del credito chiesto a rimborso. Tali garanzie sono da sole sufficienti a bilanciare gli interessi contrapposti, ovvero l’esi­genza di garanzia per lo Stato e il diritto alla neutralità dell’IVA per il contribuente.

  1. Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Cassazione (Cass. 10199/2003, Cass. 7952/2004, 15424/2009) ha ritenuto che la disciplina di cui all’art. 38-bis, D.P.R. 633/1972 ha carattere speciale e derogatorio. La disposizione sarebbe infatti del tutto inutile laddove si potesse comunque applicare ad arbitrio dell’Amministrazione finanziaria la sospensione dei rimborsi prevista dal R.D. n. 2440/1923 (e/o D.Lgs. n. 472/1997) in aggiunta alle garanzie specifiche previste in materia di IVA.

Tale posizione appare ampiamente condivisibile, alla luce dei principi comunitari vigenti, di cui si dirà appresso. Tuttavia, il più recente orientamento della Corte di Cassazione, limitando la propria prospettiva alla normativa nazionale e avallando la prassi dell’Amministrazione finanziaria, sostiene un’in­terpretazione di segno opposto.

La Suprema Corte sposa infatti la teoria dei «cerchi concentrici di proporzioni diverse», dei quali il più ristretto è costituito dal fermo dei rimborsi IVA (art. 38-bis); il mediano dalla sospensione dei rimborsi in presenza di carichi tributari pendenti (art. 23, D.Lgs. n. 472/1997); il maggiore, che copre tutti i rapporti di credito con la Pubblica Amministrazione, rappresentato dal fermo di cui al R.D. n. 2440/1923, che opera quale misura di garanzia in tutte le ipotesi residuali (da ultimo Cass. 5139/2016). Sulla base di tale ricostruzione, l’Amministrazione finanziaria sarebbe dunque libera di scegliere quale strumento applicare al caso concreto a proprio piacimento, senza alcuna predeterminazione di tipo sostanziale o procedurale.

Tale orientamento non pare condivisibile già da un punto di vista della normativa “interna”: l’istituto del rimborso costituisce un fondamentale aspetto dinamico del rapporto tra Fisco e contribuente, sicché qualsiasi misura che vi possa incidere, tra cui il fermo, dovrebbe essere adottata, anche in ossequio ai principi di buona fede e collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, solo laddove esista una concreta e circostanziata necessità di procedere in via eccezionale, secondo il principio di proporzionalità che caratterizza le misure cautelari e più in generale l’intero ordinamento.

  1. Ma è in chiave europea che emergono le maggiori perplessità, costituite dalla significativa incidenza dei “fermi” sul diritto alla detrazione, meccanismo necessario per assicurare la neutralità del tributo, principio fondamentale del­l’IVA.

Nella situazione attuale, assistiamo alla continua implementazione di sistemi “alternativi” di applicazione dell’imposta (reverse charge, split payment, etc.), derogatori del sistema ordinario, che comportano una situazione di credito strutturale per i soggetti passivi che operano nei settori ove tali sistemi vengono adottati. Ciò comporta la centralità dell’istituto del rimborso, quale alternativa fisiologica alla detrazione dell’IVA, che tali soggetti, ovviamente, non possono esercitare.

Rispetto a tale peculiare meccanismo, non pare in linea con il diritto del­l’Unione Europea l’introduzione di limitazioni così significative al principio di neutralità dell’IVA.

Difatti, la giurisprudenza della Corte di Giustizia (vincolante non solo per i giudici nazionali, ma anche per l’autorità amministrativa) ha stabilito il principio in base al quale le misure cautelari, che alterino il funzionamento del complesso meccanismo giuridico che tutela la neutralità dell’IVA, sono ammissibili solo nella misura in cui sia assicurato il bilanciamento dell’interesse fiscale alla riscossione con i principi europei di effettività e di proporzionalità.

Il principio di effettività garantisce che il procedimento nazionale non privi di effetto l’applicazione della disciplina dell’IVA regolata dalla Direttiva: secondo la Corte di Giustizia, “i requisiti richiesti dall’ordinamento interno non devono essere congegnati in modo da rendere praticamente impossibile o estremamente difficoltoso l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico del­l’Unione Europea” (CGUE, 15 marzo 2007, causa C-35/05, Reemtsma Cigaretten Fabriken; da ultimo, CGUE 26 aprile 2017, causa C-564/15, Tibor Farkas).

Il principio di proporzionalità si sostanzia in una valutazione di adeguatezza dei mezzi adottati rispetto al fine perseguito, nel senso che le norme nazionali non possono pregiudicare i diritti del contribuente fondati su norme europee (a titolo di esempio, secondo CGUE, 21 gennaio 2010, causa C-311/08, SGI, la proporzionalità non consente l’utilizzo di strumenti “eccessivamente gravosi” a tutela della riscossione).

Con particolare riguardo a tale ultimo profilo, la Corte di Giustizia (18 dicembre 1997, procedimenti riuniti C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, Molenheide e A.) ha evidenziato che il carattere “automatico” del fermo amministrativo del rimborso IVA non è conforme al principio di proporzionalità se “la necessità e l’urgenza sono presunte in modo inoppugnabile” (quindi se esso opera automaticamente) e se al soggetto passivo non è riconosciuta la possibilità di richiedere la sostituzione della misura cautelare con la prestazione di una cauzione o di una garanzia bancaria “limitata nel tempo e non eccessivamente gravosa”.

  1. Applicando i principi europei, non pare dunque fondata la prassi da ultimo adottata da parte dell’Amministrazione finanziaria di richiedere “automaticamente” una garanzia sine die per i carichi pendenti, relativi anche ad altri tributi (IRPEF, IRES, IRAP, etc.), oltre alla normale garanzia a termine prevista dall’art. 38-bis, D.P.R. n. 633/1972: doppia garanzia per il rimborso dell’IVA!

Tale conclusione deve ritenersi ulteriormente rafforzata alla luce della impossibilità pratica di ottenere una fideiussione senza termine (così la recente sentenza della C.T.P. Milano n. 895/2017 del 31 gennaio 2017), contratto di cui già sotto il profilo civilistico è dubbia la validità, attesa la sua durata indeterminata e indeterminabile (Cass., 28 marzo 2017, n. 7884: “Non è pensabile che si costituisca a favore dell’A.f. un’obbligazione di garanziache comincia a decorrere in un dato momento ed è destinata a durare per un tempo imprecisato”).

Il fermo contabile previsto dal R.D. 2440/1923 e la sospensione dei rimborsi di cui al D.Lgs. 472/1997 si pongono con riguardo all’IVA quali “seconde” misure di garanzia, che l’Amministrazione finanziaria impone sempre più di frequente per concedere i rimborsi IVA ai contribuenti. Tale prassi viola i principi di effettività e di proporzionalità così come sopra individuati, ponendosi in aperto contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.

Sostiene l’Amministrazione (e la giurisprudenza ad essa favorevole) che le due garanzie avrebbero funzioni diverse; quella prevista dal citato art. 38-bis, garantisce per l’ipotesi che il credito chiesto a rimborso si riveli insussistente, mentre quella relativa al fermo garantisce la possibilità di operare la compensazione con i controcrediti dell’Amministrazione.

Il paradosso a cui si giunge è il seguente: in spregio al generale diritto di compensazione di cui all’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, que­st’ultimo non può opporre in compensazione all’imposta iscritta a ruolo dal­l’Amministrazione (o all’avviso di accertamento esecutivo) propri crediti di imposta certi, liquidi ed esigibili, mentre l’Amministrazione può bloccare discrezionalmente per un tempo indeterminato i rimborsi IVA in attesa di una “possibile” compensazione, con crediti anche di natura diversa, all’esito di un giudizio definitivo (o di un condono, v. art. 11, D.L. n. 50/2017).

E poi si invoca la chimera della parità di trattamento!