Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

28/06/2023 - Indagini bancarie tra contraddittorio e vizi motivazionali

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Nell’ordinanza in commento la Suprema Corte ha affrontato il caso di un accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A. nei confronti di una società di capitali, basato sulle risultanze di indagini bancarie eseguite ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32. 

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PAROLE CHIAVE: accertamenti bancari - contraddittorio - motivazione - dichiarazione - indagini finanziarie


di Gianluca Procaccini

  1. Nell’ordinanza in commento, la Suprema Corte è nuovamente intervenuta sul tema delle indagini finanziarie, puntualizzando con chiarezza un principio particolarmente interessante circa l’obbligo, da parte del giudice di merito, di valutare in maniera analitica tutti gli elementi difensivi prodotti dal contribuente nella fase istruttoria, evitando un giudizio sommario. Il caso di specie riguarda una società a responsabilità limitata che, a seguito di una verifica condotta dalla Guardia di Finanza mediante il ricorso allo strumento investigativo delle indagini finanziarie di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, si era vista notificare un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato il reddito per un anno d’imposta per il quale la dichiarazione risultava omessa, recuperando la relativa I.Re.S., l’I.R.A.P. e l’I.V.A. Nel ricorso per cassazione presentato a fronte della decisione sfavorevole della Commissione tributaria regionale, il contribuente aveva sollevato una serie di eccezioni, facendo leva, in particolare, su due aspetti: il primo riguarda il mancato espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, con specifico riguardo ai tributi armonizzati (nel caso, l’imposta sul valore aggiunto) e il secondo, che ricalca le medesime censure del primo, ha ad oggetto la mancata compiuta motivazione circa il particolareggiato compendio documentale difensivo che era stato prodotto dalla società verificata, a fronte dei recuperi a tassazione, per dimostrare di disporre della “prova contraria”.
  2. Nell’affrontare il caso prospettato, la Suprema Corte, riprendendo un principio sancito a Sezioni Unite con la sentenza 9 dicembre 2015, n. 24823 e conformemente ribadito dalla giurisprudenza successiva, ha statuito che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto (cfr.  Vignarelli, Anche la Corte Costituzionale (Sent. 21 marzo 2023, n. 47) si esprime sull’essenzialità del contraddittorio endoprocedimentale (in nuce nella recente delega fiscale), in Riv. Tel. Dir. Trib., 2023, 2). Tale principio, tuttavia, vige a favore del contribuente, nella sostanza appena pronunciata, qualora questi abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. È dunque necessario dimostrare che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr.  Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics). Tale “obbligo” risulta vigente, in ogni caso, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre per quelli “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo (cfr.  Antico, Il contraddittorio endoprocedimentale necessario solo per i tributi armonizzati non è un succedaneo di quello da adesione, in Il Fisco, 2022, 36, 3481; Corasaniti, Il principio del contraddittorio nella giurisprudenza nazionale e dell’Unione Europea, in Dir. e Prat. Trib., 2016, 4). Tornando sul tema della necessità per il contribuente di superare la c.d. “prova di resistenza”, è opportuno evidenziare che tale circostanza è stata ulteriormente ribadita allorquando, con pronunce precedenti (cfr., tra le altre, Cass., 20 dicembre 2019, n. 34209), si è affermato, anzitutto, che la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni finanziarie acquisite non è subordinata al contraddittorio, in quanto l’invito a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari costituisce, per l’Ufficio, una mera facoltà e non un obbligo, non derivandone alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti. In esse, poi, è stato anche statuito che l’ispezione e la verifica nei locali destinati all’esercizio di un’attività e la successiva autorizzazione all’espletamento delle indagini bancarie ai sensi dell’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973, costituiscono procedimenti distinti. Pertanto, il termine dilatatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente trova applicazione solo se l’accertamento, oltre che sulle evidenze bancarie, sia fondato anche sulle risultanze della documentazione acquisita in sede di accesso, ferma restando, per i tributi armonizzati, la valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale alla luce della c.d. prova di resistenza (cfr. Cass., 30 giugno 2021, n. 18413). Si conferma dunque che, relativamente alle imposte armonizzate, il principio del contraddittorio non può escludersi per il semplice assunto che l’accertamento sia stato fondato esclusivamente su indagini bancarie (cfr.  Vignarelli, Il contraddittorio endoprocedimentale tra pronunce giurisprudenziali e scelte legislative “pro-fisco”, in Dir. Proc. Trib., 2020, 2, 211).
  3. Dal punto di vista pratico, il principio riguardante l’obbligatorietà del contraddittorio testé menzionato dalla Corte Suprema trova applicazione in un’effettività del contraddittorio stesso che si può concretizzare in maniera piena ed efficace solo al termine delle indagini e delle verifiche, ossia allorquando vi sia completa conoscenza del processo verbale di constatazione, perché solo in quel momento, e prima che l’Agenzia delle entrate emetta un atto impositivo, al contribuente deve essere data la possibilità di interloquire e chiarire la propria posizione a fonte delle risultanze investigative emerse (cfr.  Melis, Possibili interventi migliorativi sui principi di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento, in Il Fisco, 2023, 16, 1521; Logozzo, Temi di diritto tributario, Pisa, 2022, p. 28, Vignarelli, Collaborazione, buona fede ed affidamento nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria, in Dir. Prat. Trib., 2005, 3, 1). Tale obbligo, tuttavia, non si sostanzia nell’insorgenza, in capo all’Amministrazione finanziaria, di convocare e interloquire direttamente con il contribuente, soprattutto laddove dalle attività ispettive eseguite si possa evincere l’intenzione del contribuente di non contraddire sugli esiti della verifica. Si esplicita, bensì, in maniera concreta e fattuale, anche per quanto riguarda le imposte armonizzate, nel dispositivo sancito dal comma 7 dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000, ossia nel diritto del contribuente di comunicare, entro sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, osservazioni e richieste che saranno valutate dall’ufficio impositore prima dell’adozione di propri provvedimenti (cfr.  Perrone, Dalla Corte Costituzionale una possibile soluzione alla tormentata questione del contraddittorio endoprocedimentale tributario, in Dir. e Prat. Trib., 2017, 3, 921). In tale contesto, il contribuente potrebbe chiedere anche di essere sentito: sollecitazione che non costituisce un obbligo per l’Amministrazione finanziaria. Infatti, sia nel diritto nazionale che nella giurisprudenza comunitaria non è dato evincere un obbligo assoluto di audizione: anche l’interlocuzione per iscritto assicura e salvaguarda il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente. 
  4. Nella disamina del secondo motivo di doglianza, la Corte di Cassazione parte dalle censure mosse dalla ricorrente secondo cui il giudice regionale avrebbe confermato tout court l’avviso di accertamento senza valutare le giustificazioni addotte dalla società verificata su una pluralità di operazioni bancarie contestate. A parere del contribuente, la Commissione tributaria regionale si sarebbe limitata a considerare inattendibile la posizione fiscale della società per il riscontro delle “movimentazioni bancarie non giustificate”, invocando la presunzione legale di riconduzione a reddito dei versamenti e dei prelevamenti, “senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova”. Il giudice di nomofilachia, ritenendo fondato il motivo di ricorso, ha ripercorso il sentiero tracciato dalla giurisprudenza circa la valenza dell’accertamento fondato su dati bancari e i relativi strumenti difensivi posti a tutela del contribuente. Nello specifico, per dettato normativo e consolidata giurisprudenza, la presunzione sancita dall’art 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, consente all’Ufficio di riferire de plano a operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente, facendo salva la possibilità di quest’ultimo di fornire la prova contraria (cfr. Cass., 15 maggio 2013, n. 11624; 27 febbraio 2019, n. 5777). Viene a configurarsi, dunque, un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare con una prova non generica ma analitica, per ogni movimentazione finanziaria, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili a operazioni imponibili (cfr. Cass., 27 giugno 2011, n. 14041; 26 aprile 2017, n. 10249; 29 luglio 2016, n. 15857; 20 marzo 2019, n. 7758). Ciò che grava, in particolare, in capo al contribuente, a fronte delle risultanze bancarie addotte dall’Amministrazione finanziaria, è la analiticità della prova allegata, cui deve fare seguito una valutazione del giudice altrettanto analitica di quanto dedotto e documentato (cfr.  Vignarelli, Contraddittorio endoprocedimentale, sua violazione e rilevanza della c.d. “prova di resistenza”, in Riv. Tel. Dir. Trib., 2020, 1). La previsione di riconducibilità a operazioni economiche - conseguentemente imponibili per il contribuente - delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti correnti acquisiti, come sancito in materia di imposte dirette dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e, parallelamente, per l’imposta sul valore aggiunto dall’art. 51, comma 2, n. 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, costituisce presunzione legale relativa, che può essere contrastata dalla prova contraria offerta dal contribuente. Sotto tale profilo, al fine di garantire il più ampio rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva, nel processo che si instaura a seguito di accertamenti in cui è disposta l’inversione dell’onere probatorio, deve seguire, qualora il contribuente vi abbia correttamente adempiuto, un esame analitico da parte dell’organo giudicante, che non può pertanto limitarsi a giudizi sommari, privi di ogni riferimento alla massa documentale entrata nel processo (cfr.  Artuso – Bisnella, Appunti sugli accertamenti bancari ed in specie sulle presunzioni derivanti dai prelevamenti, in Dir. e Prat. Trib., 2018, 1, 20).
  5. Quale conseguente riflessione di carattere generale che prende le mosse dalle decisioni statuite dalla Suprema Corte con l’ordinanza in commento, rileva soffermarsi sull’assunto che, esclusa la documentazione extracontabile eventualmente reperita in sede di accesso fiscale, la ricostruzione della base imponibile, tanto ai fini delle imposte dirette quanto dell’imposta sul valore aggiunto, trova nella documentazione bancaria del contribuente un riferimento probatorio di prioritaria rilevanza (cfr.  Antico, Prevenzione e contrasto al tax gap: si punta sulle indagini finanziarie, in Il Fisco, 2019, 34, 3207). In tale contesto, tuttavia, l’incisività e l’invasività di uno strumento investigativo così penetrante sconta un limite di “resistenza” che consiste in un regime probatorio di tipo presuntivo, che può essere facilmente superato mediante il ricorso alla prova contraria da parte del contribuente. La linea guida dell’operare, infatti, è sempre costituita dall’immanente principio costituzionale di capacità contributiva (cfr.  Targhini, Il redditometro e l'abuso della presunzione di capacità contributiva, in Dir. e Prat. Trib., 2021, 3, 1311). In questo scenario, dunque, assume centrale rilevanza l’instaurazione del contraddittorio con il contribuente. Sul tema, sebbene, come argomentato nell’ordinanza in commento, l’obbligatorietà del contradditorio sia sancita solo in alcuni casi riguardanti particolari tipologie di tributi e di metodologie ispettive, la Guardia di Finanza, nelle istruzioni diramate con la Circolare 1/2018, ha focalizzato l’attenzione sull’importanza di un momento di confronto tra verificato e verificatore già nella fase esecutiva dell’ispezione e non esclusivamente alle battute finali. Si legge, infatti, nel manuale operativo in materia di contrato all’evasione e alle frodi fiscali, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, nazionale e comunitaria, che ha più volte affrontato il tema, che il contraddittorio endoprocedimentale avente a oggetto l’esame delle risultanze bancarie acquisite è sempre opportuno. Infatti, “…tenuto conto dell’indubbia utilità, ai fini istruttori, del coinvolgimento del contribuente ai fini della puntuale ricostruzione dell’obbligazione tributaria pure sulla base dei dati finanziari e considerato ulteriormente che non sussiste, di norma, alcun motivo ostativo, i militari devono comunque procedere, ordinariamente, a dar corso al contraddittorio. Ciò al fine di pervenire alla formulazione di proposte di riprese fiscali adeguatamente motivate, risultanti dalla valutazione degli effetti della presunzione legale alla luce della diversa situazione di ogni soggetto e di ogni attività economica, quale emergente non solo dalle altre risultanze dell’attività ispettiva ma anche dalla ricostruzione prospettata dal contribuente stesso, condivisibile o confutabile che sia, ma comunque certamente suscettibile di compiuto e doveroso esame”. 
  6. Infine, per quanto concerne l’importante principio affermato dalla Suprema Corte nell’ordinanza in commento circa l’obbligo di valutare in maniera analitica tutti gli elementi difensivi prodotti dal contribuente in sede di attività ispettiva fiscale, evitando di giungere a conclusioni generali e riassuntive che porterebbero quale conseguenza la statuizione di un giudizio sommario, giova in questa sede far rilevare che la successiva giurisprudenza di legittimità si è uniformata a tale spirito. Infatti, nelle ordinanze “gemelle” n. 9593 e n. 9595 del 7 aprile 2023, si parte dall’assunto che l’art. 32, D.P.R. n. 600 del 1973 e, specularmente, l’art. 51, D.P.R. n. 633 del 1972, prevedono una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni non attengono a operazioni imponibili. A ciò consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze. Su tali presupposti, dunque, al fine di superare la presunzione posta a carico dal contribuente dai citati articoli 32 e 51 dei rispettivi decreti, viene statuito che non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività. Circostanza che poi deve essere valutata in concreto prima dall’amministrazione e poi, eventualmente, dal giudice di merito (cfr.  Antico, Necessario l'ulteriore contraddittorio quando si è già svolto in sede di indagini finanziarie?, in Il Fisco, 2022, 20, 1913).