Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

25/04/2023 - La motivazione quale requisito indefettibile dell'autotutela (nota a)

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

L’Amministrazione Finanziaria deve espressamente indicare le ragioni logico-giuridiche in virtù delle quali abbia ritenuto di emettere un nuovo avviso di accertamento in sostituzione del precedente, nell’esercizio del potere di autotutela sostitutiva. La motivazione, essendo un requisito di validità originaria dell’atto tributario, non può essere sanata ex post solo in sede contenziosa.

» visualizza: il documento (CTR Campania, sent. 3 giugno 2022, n. 4700) scarica file

PAROLE CHIAVE: autotutela sostitutiva - motivazione - spese di lite


di Marta Mazzanti

1. La vicenda esaminata. La Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Campania, con la sentenza n. 4700/2022 del 03 giugno 2022, si è pronunciata in tema di autotutela sostitutiva e motivazione. Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente un primo avviso di accertamento e soli due mesi dopo, notificava un ulteriore atto impositivo, per il medesimo anno di imposta, recante la dicitura “il presente atto annulla e sostituisce quello notificato in data 1/2/2010”. La parte impugnava entrambi gli avvisi dinanzi la Magistratura Tributaria di primo grado competente per territorio, la quale definiva i giudizi con due autonome sentenze. Con la prima il GT accoglieva parzialmente il ricorso e con la seconda dichiarava il non luogo a provvedere, essendo già intervenuta la pronuncia di merito. La società appellava separatamente le sentenze ottenendone l’integrale riforma. La CGT di II grado della Campania assegnava carattere sostitutivo al secondo avviso di accertamento, dichiarava la cessata materia del contendere con riguardo al primigenio giudizio afferente il primo avviso e la nullità dell’atto per difetto motivazionale in riferimento al secondo, non riscontrando i nuovi elementi in virtù dei quali l’Ufficio aveva annullato il primo atto, così sostituendolo. Quest’ultima pronuncia veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate innanzi la Suprema Corte di Cassazione. I giudici di legittimità, con ordinanza n. 23097/2020, accoglievano il ricorso, ritenendo erronea la sentenza appellata nella parte in cui aveva fatto discendere il vizio motivazionale dalla qualificazione dell’atto impugnato come accertamento integrativo ex 43, co. 3 DPR 600/73, laddove, invece, avrebbe dovuto indagare sul diverso piano delineato dall’art. 2 quater D.L. 564/1994 in tema di autotutela. La contribuente riassumeva il giudizio innanzi la Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Campania che, con sentenza n. 4700/2022, accoglieva le doglianze della parte, dando dapprima atto del passaggio in giudicato della statuizione di cessata materia del contendere concernente il primo atto impositivo e, si profondeva, poi, sul potere di autotutela sostitutiva e sulla sua necessaria motivazione. La Corte Tributaria adita ha espresso il principio in virtù del quale, nell'impiego del potere di autotutela, l’Amministrazione Finanziaria è tenuta ad indicare espressamente le ragioni per le quali abbia ritenuto di emettere un nuovo avviso in funzione sostitutiva del precedente e le difese svolte nel processo dall’Ufficio non concorrono ad integrare una debole motivazione.

2. L’autotutela sostitutiva ed i contorni di legittimità del ritiro in autotutela. L’autotutela (sull’istituto si veda B. PATRIZI – G. MARINI, accertamento con adesione, conciliazione ed autotutela, Milano, Giuffré, 1999; B. AIUDI, La correzione dell’atto impugnato in sede di autotutela, in Bollettino tributario d'informazioni, 2019, 9, pp. 655-658; V. FICARI, Autotutela e riesame nell’accertamento tributario, Milano, 1999; P. RUSSO, Riflessioni e spunti in tema di autotutela nel diritto tributario, in trib., 3/1997, p. 559) è il potere della pubblica amministrazione di provvedere all’annullamento d’ufficio degli atti illegittimi o infondati e, nell’ordinamento tributario, è espressamente disciplinata dall’art. 2 quater D.L. 30 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656 e dal D.M. di attuazione 11 febbraio 1997, n. 37. Essa si configura come potere di annullamento, ma anche di revoca e di rinuncia all’imposizione (A. BUSCEMA, Autotutela: profili procedimentali e processuali dell'attività di riesame e sospensione degli atti illegittimi, in Finanza e Fisco, n. 3, 2009, p.270) e può operare ex officio o ad istanza di parte, al fine di realizzare l’interesse pubblico per la cui tutela il provvedimento è stato emanato. In ambito tributario siffatto potere è vincolato ed è posto a presidio del principio di capacità contributiva (in dottrina sull’art. 53 Cost. si rimanda a E. DE MITA, Principi di diritto tributario, Milano, 2000; ID., Capacità contributiva senza propaganda, in Diritto e pratica tributaria,2020, fasc. 2, pagg. 560-561; F. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Padova, 1973; G. MARONGIU, Il principio di capacità contributiva nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Diritto e Pratica tributaria, 1985, I, pag. 6; A. FEDELE, Attualità o declino del principio di capacità contributiva, in Rivista di diritto tributario, 2002, pag. 33) e del principio di buon andamento ed imparzialità della P.A. (in dottrina sull’art. 97 Cost. cfr. M. TRIVELLIN, Il principio di collaborazione e buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2008; E. DELLA VALLE, Affidamento e certezza nell’ordinamento tributario, Milano, 2001; G. MARONGIU, Lo Statuto e la tutela dell’affidamento e della buona fede, in Riv. dir. trib., 3/2008, pag. 165) e, va inoltre raccordato, con il principio di legalità e buona fede cui deve attenersi la P.A. nel proprio agere (Sul dovere di buona fede cfr. A. PIRAS, Discrezionalità amministrativa, in Enciclopedia del diritto, vol. XIII, Milano, 1964, pag. 67). Considerato che gli atti emessi dall’Amministrazione Finanziaria sono sempre vincolati ogni volta che l’atto tributario emesso risulti viziato per violazione di legge o per ingiustizia del prelievo, l’Ufficio ha il dovere di provvedere attraverso l’istituto dell’autotutela. L’esercizio di tale potere può condurre alla mera eliminazione dal mondo giuridico del precedente atto (cd. autotutela eliminatoria), così che il potere del soggetto pubblico si esaurisce nella semplice rimozione del provvedimento considerato non più idoneo a soddisfare l’interesse collettivo o, alla sua eliminazione e contestuale sostituzione con un atto nuovo, corretto dai vizi (cd. autotutela sostitutiva), nel rispetto dei limiti della decadenza dall’esercizio della potestà impositiva e del giudicato sostanziale (E. CASETTA, manuale di diritto amministrativo, Milano, 2017). Tale rimedio sostitutivo ha contenuto positivo (A. NATALINI, Autotutela ed annullamento in malam partem: senza reviviscenza automatica, necessario un nuovo atto impositivo. Nota a Cass. n. 25055 del 08 ottobre 2019, in Iltributario.it, 2019) e determina l’eliminazione degli effetti dell’atto con efficacia ex tunc, ma non implica la consumazione del potere impositivo sicché, rimosso l’avviso di accertamento illegittimo o infondato, l’Amministrazione Finanziaria, ove ne sussistano i presupposti, conserva la potestà impositiva (Cass. n. 16115 del 20 luglio 2007; Cass. n. 14377 del 20 giugno 2007). I limiti di tale potere risiedono nel divieto o elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato, nel decorso del termine decadenziale fissato per l’accertamento e per la notifica dei relativi atti, nonché nel diritto di difesa del contribuente e nel divieto di doppia imposizione (Cfr. Cass. n. 31467 del 03 dicembre 2019; Cass. n. 11114 del 16 luglio 2003; Cass. n. 12661 del 17 giugno 2016; Cass. 14219 del 08 luglio 2015). Nel caso di specie, la CGT di II grado della Campania, chiamata a pronunciarsi sul se l’atto impositivo fosse espressione del potere di autotutela, ha evidenziato che l’art. 2 quater D.L. 564/1994, individua quale presupposto del potere di autotutela quello relativo alla “illegittimità” o “infondatezza” dell’avviso precedentemente emesso, di cui deve darsi conto nella motivazione del provvedimento. Tuttavia, nel caso in esame la motivazione non valorizzava le ragioni poste a sostegno dell’emissione del nuovo atto emesso in funzione sostitutiva.

3. La differenza tra autotutela sostitutiva ed accertamento integrativo. Il potere di autotutela sostitutiva va smarcato da quello, ben diverso, che consente all’Amministrazione Finanziaria di integrare un precedente atto di accertamento (cd. accertamento integrativo), che presuppone la “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, distinguo non tenuto ben presente dalla sentenza annotata. L’autotutela opera in presenza di un errore commesso dall’Amministrazione Finanziaria, che inficia l’avviso di accertamento richiedendo, quale condizione necessaria, l’eliminazione del precedente atto illegittimo o infondato e differisce dal potere d’integrazione dell’atto impositivo il quale, invece, presuppone, l’esistenza di un precedente valido atto di imposizione, non potendo porsi alcun problema di integrazione rispetto ad un atto nullo (Si veda G. PALUMBO, La differenza tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo. Nota a Cass. civ. sez. trib. 7 settembre 2018, n. 21822, in it, fasc. 22 novembre 2018. In giurisprudenza la distinzione tra autotutela sostitutiva ed accertamento integrativo è stata ripresa da Cass. n. 12814 del 27 settembre 2000; Cass. 24620 del 10 ottobre 2006; Cass. 937 del 16 gennaio 2009; Cass. 21719 del 20 ottobre 2011). In materia di imposte dirette, l’art. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 prevede che, fino alla scadenza dei termini stabiliti per la notificazione, “l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti e i fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte”. (Per approfondimento si veda E. ARTUSO, Sul requisito della novità degli elementi posti a base dell’accertamento integrativo, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 4, 2018. In giurisprudenza cfr. Cass. n. 27565 del 30 ottobre 2018; Cass. n. 26191 del 18 ottobre 2018; Cass. n. 18175 del 06 giugno 2022). Analogamente, in materia di imposta sul valore aggiunto, l’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che, sempre fino alla scadenza dei termini per l’accertamento, le rettifiche delle dichiarazioni possono essere integrate o modificate, mediante la notificazione di nuovi avvisi ed in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. La sopravvenienza di nuovi elementi legittima il ricorso all’avviso di accertamento integrativo allorché l’Ufficio, successivamente all’emissione dell’atto impositivo originario, venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento dell’emissione dell’avviso di accertamento originario (Per approfondimento si rimanda a I. BUSCEMA, Nuovi elementi fattuali, sconosciuti al momento della emissione dell’avviso originario, giustificano l’accertamento integrativo. Nota a Cass. civ., sez. trib.,15 gennaio 2016, n. 576, in Diritto e Giustizia, fasc. 5, 2016; V. FICARI, Brevi note sul riesame di un avviso di accertamento in sede di autotutela parziale, in Rivista trimestrale di diritto tributario, 1, 2015, pagg. 205-209). Il generale potere di autotutela non è, dunque, condizionato dalla “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” bensì dai limiti oggettivi e temporali della mancata formazione del giudicato sull’atto oggetto di annullamento d’ufficio e dalla mancata scadenza del termine finale per l’esercizio del potere di accertamento previsto dalla singola legge d’imposta.

4. Il giudizio motivazionale. La Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Campania ha affermato che l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio annulli e sostituisca l’atto impositivo precedente non configura un corretto utilizzo del potere/dovere di autotutela, qualora rechi la mera dicitura “il presente atto annulla e sostituisce quello precedente”, senza fornire alcuna indicazione in merito alle ragioni per le quali abbia ritenuto di emettere un nuovo avviso di accertamento in sostituzione di quello precedente né, afferma il G.T., ai fini motivazionali, rilevano le deduzioni svolte solamente in sede contenziosa dall’Amministrazione Finanziaria. L’art. 7 dello Statuto dei diritti del Contribuente, rubricato “Chiarezza e motivazione degli atti” impone l’obbligo motivazionale degli atti dell’A.F. secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, mediante l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Ufficio. La motivazione è presidio di legittimità e correttezza dell’azione amministrativa e deve fornire tempestivamente all’interessato i necessari elementi conoscitivi, al fine di approntare una corretta difesa (Cass. civ., Sez. trib., 12 luglio 2006, n. 15842; Cass. civ., Sez. trib., 27 novembre 2006, n. 25064; Cass. civ., Sez. trib., 30 ottobre 2009, n. 23009). L’impianto motivazionale ha la duplice finalità di consentire al contribuente di conoscere le ragioni della pretesa, per potersi adeguatamente difendere in sede contenziosa e di garantire, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, l’osservanza delle norme sul procedimento e sulla formazione dell’atto amministrativo. (Per una approfondita disamina sul requisito motivazionale si veda G. FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova, 2005, pag. 342; C. CALIFANO, La motivazione degli atti tributari, Bologna, 2008, pag. 295; R. MICELI, La motivazione degli atti tributari, in VV., Lo Statuto dei diritti del contribuente, a cura di A. FANTOZZI e G. FEDELE, Milano, 2005, pag. 296; F. RUSSO, Integrazione ed illustrazione postuma della motivazione dell'avviso di accertamento, in Tax News, 01, 2022, pagg. 61 - 89; ID., Vizi di motivazione e onere della prova nell’avviso di accertamento fondato sul PVC a carico di terzo, in Il Fisco, 16, 2019, pagg. 1529-1530). È stata tradizionalmente sostenuta l’impossibilità per l’Amministrazione Finanziaria di modificare o integrare la motivazione dell’atto impositivo una volta che lo stesso sia stato notificato al contribuente in ragione del c.d. divieto della motivazione successiva nel corso del processo (Cfr. Cass. Sez. Trib., n. 11284 del 07 aprile 2022). L’obbligo motivazionale, ha affermato recentemente la Suprema Corte di Cassazione, è un requisito dell’atto che “deve essere soddisfatto ab origine”, in quanto ad esso intrinseco (Cfr. Cass. n. 2039 del 25 gennaio 2022). Su tale solco, si pone la sentenza della CGT Campana in commento, che coglie nel segno nella parte in cui esclude la possibilità di integrare la motivazione in corso di lite illustrando, solo negli atti del processo, le ragioni ampliative della parte motiva. A più riprese si è dubitato della valenza sanante del ricorso, ovvero della sua attitudine salvifica dell’atto impugnato (M. NUSSI, L’attività di supplenza del giudice tributario oltre i limiti dell’atto impositivo (nuovi paradossi nell’accertamento del reddito di società di persone), in GT - Riv. giur. trib., 2011, pag. 1053 ss.; F. TESAURO, Elusione fiscale, Introduzione, in Giur. it., 2010, pag. 1724; A. FEDELE, Assetti negoziali e forme d’impresa tra opponibilità, simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, pag. 1123 ss.; S. MULEO, Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla materia del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, pag. 506 ss.; R. LUPI, Motivazione e prova nell’accertamento tributario, con particolare riguardo alle imposte dirette ed all’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, pag. 299 ss.). Sovente, accade che a fronte dell’eccezione di insufficienza motivazionale eccepita da parte ricorrente, l’Amministrazione Finanziaria si precipiti, solamente in fase giurisdizionale, a meglio argomentare nei propri scritti difensivi. La possibilità di integrare ex post la motivazione non sembra abbia avuto seguito da parte della dottrina tributaria (Cfr. G. FRANSONI – P. RUSSO – L. CASTALDI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 2016, pag. 227), essendo la motivazione elemento imprescindibilmente correlato all’esternazione dei presupposti giustificativi dell’esercizio del potere, per cui non integrabile successivamente (P. BORIA, Diritto tributario, Torino, 2016, pag. 456). Il giudizio motivazionale è un requisito di validità originaria dell’atto tributario e la sua sufficienza deve essere valutata dal giudice di merito, alla luce di un giudizio ex ante, basato esclusivamente sulla oggettiva idoneità degli elementi enunciati nella motivazione dell’atto impositivo a consentire, ex se, l’esercizio effettivo del diritto di difesa. Va esclusa, dunque, la possibilità di integrare ex post la motivazione degli atti dell’Amministrazione Finanziaria in quanto, le ragioni che lo sorreggono fanno corpo con il provvedimento stesso, formando con esso un unicum inscindibile e costituendone una parte essenziale ed indefettibile. Vale la pena soffermarsi brevemente sulla distinzione tra motivazione e prova (In dottrina, sulla differenza tra motivazione e prova si veda C. CALIFANO, L’approdo (forse) definitivo della Cassazione in tema di motivazione degli atti e di formazione della prova nel processo, in Rivista di Diritto Tributario, fasc. 5, 2022, pagg. 593 ss.), concetti talvolta erroneamente confusi perché il nostro linguaggio giuridico usa il termine polisemico “prova” per indicare fenomeni tra loro differenti (F. GALLO, La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione. Motivazione e prova nell’accertamento tributario: l’evoluzione del pensiero della Corte, in Rass. trib., n. 4/2001, pag. 1088; F. RUSSO, Integrazione ed illustrazione postuma della motivazione dell'avviso di accertamento, op.cit.). La prova, al contrario del requisito motivazionale, che è elemento indefettibile dell’atto impositivo la cui sussistenza va valutata ex ante, non è un elemento proprio dell’avviso di accertamento poiché rappresenta la dimostrazione della fondatezza della pretesa impositiva che, eccezion fatta per i casi di contraddittorio anticipato, avviene direttamente in fase contenziosa (Cfr. R. LUPI, Motivazione e prova nell’accertamento tributario, in Rivista di diritto finanziario, 1987, pag. 282). Se l’atto impositivo è affetto da un vizio motivazionale, la produzione in giudizio della prova non assume valenza sanante ma consente, al più, solo lo scrutinio del G.T. sul se, nell’avviso di accertamento, siano state o meno trasposte le parti necessarie alla comprensione delle ragioni della pretesa (Cass. civ., Sez. V, ord., 21 febbraio 2018, n. 4180), non essendo idonea a salvare l’atto impugnato dal vizio di motivazione.

5. Conclusioni. Il principio espresso dalla sentenza in esame appare pienamente condivisibile, in quanto eleva la motivazione a requisito fondamentale dell’autotutela sostitutiva. Ogni qualvolta l’Amministrazione Finanziaria sostituisca un atto impositivo illegittimo o infondato con un altro privo di tale vizio, è essenziale che il nuovo avviso di accertamento sia dotato di un’adeguata motivazione, idonea a far comprendere al contribuente le ragioni in virtù delle quali il primigenio atto sia stato sostituito da quello successivo, in piena conformità con i principi costituzionali afferenti il la capacità contributiva (art. 53 Cost.), l’imparzialità della P.A. (art. 97 Cost.), il giusto processo (art. 111 Cost.) ed il diritto di difesa del contribuente (art. 24 ). La sentenza si apprezza nella parte in cui, nell’affrontare il tema sempre attuale del requisito motivazionale degli atti tributari, afferma che non è possibile integrare la motivazione degli atti impositivi, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, solamente in sede giurisdizionale. In materia processual tributaria, la motivazione costituisce l’essenza del petitum e della causa petendi, ovvero il perimetro dell’analisi entro il quale il G.T. è chiamato ad emettere la propria decisione e ricopre la duplice funzione di demarcare l’ambito delle contestazioni proponibili dall’Ufficio nel giudizio di merito e, di consentire al contribuente di conoscere l’an ed il quantum della pretesa tributaria. Semmai dovesse accordarsi all’Amministrazione Finanziaria la possibilità di integrare la motivazione in sede contenziosa, si produrrebbe l’effetto indesiderato di negare il diritto di difesa del contribuente, il quale verrebbe privato della possibilità di contraddire l’ulteriore presupposto di fatto, poiché vincolato ai motivi dedotti in ricorso (Cfr. Cass. n. 7649/2020, depositata il 02.04.2020). Alla luce di quanto sin ora argomentato, è censurabile il comportamento dell’Amministrazione Finanziaria teso ad estendere la motivazione dell’atto impositivo in sede contenziosa, in aperta violazione con l’art. 7 L. 212/00. La pronuncia, oltre ad affermare l’inammissibilità di una motivazione postuma dell’avviso di accertamento, esplora orizzonti parzialmente nuovi in ambito d’illegittimità dell’esercizio d’autotutela sostitutiva priva di adeguato corredo motivazionale, apparendo coerente e condivisibile nelle sue argomentazioni, ma non nel punto in cui ha compensato le spese di lite, avendo accolto integralmente il gravame, in violazione dell’art. 15, co. 2, D.lgs. 546/92 (per un approfondimento critico sull’evoluzione del quadro normativo: S. LOI, Annullamento in autotutela di un atto impositivo illegittimo e principio “victus victori”, in GT – Riv. giur. Trib., 2016, n. 7, 630 ss.; M. INGROSSO, Le spese della lite tributaria, in Dir. proc. Trib., 2016, n. 1, 29 ss; F. RUSSO, Le spese processuali nel processo tributario, in Il Fisco, 2009, 12, pag. 1898 ss.). Secondo il tenore della norma, le spese di giudizio possono essere oggetto di compensazione, in tutto o in parte, nei soli casi di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni espressamente motivate. La locuzione chiusa e di stretta interpretazione “gravi ed eccezionali ragioni”, introdotta con il D.lgs. 156/2015, intende restringere il campo della compensazione richiamando il Giudice ad una maggiore attenzione nel decidere sulle spese di lite, mediante una formula puntuale e calzante al caso concreto, non ritenendosi sufficiente una locuzione generica come quella utilizzata nel caso di specie “l’originalità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese di giudizio” (Cass. n. 29211 del 21 dicembre 2020; Cass. n. 27186 del 27 novembre 2020; Cass. n. 8272 del 29 aprile 2020). La Corte di legittimità ha avuto modo di affermare con la pronuncia n. 7273 del 13 aprile 2016 che “il processo tributario è in linea generale ispirato, … al principio di responsabilità per le spese del giudizio … secondo cui la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese…”, salvo il potere di compensazione nei soli casi espressamente indicati dalla legge. Nel caso in esame, la Corte avrebbe dovuto condannare l’Agenzia delle Entrate alla refusione delle spese di lite, in quanto non si verte in ipotesi di soccombenza reciproca, essendo stata integralmente accolta la domanda di annullamento del contribuente, né sono state evidenziate le eventuali gravi ed eccezionali ragioni, tali da legittimare l’operata compensazione. Nonostante la Suprema Corte di Cassazione abbia reiteratamente censurato l’atteggiamento riottoso delle Corti di Giustizia Tributarie (Cfr. Cass. n. 7489/2020), la sentenza annotata appare congruamente motivata con riferimento all’oggetto della lite, peccando, nel finale, sul giudizio afferente le spese processuali.