Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

16/01/2023 - La formalizzazione dell’istanza di rimborso all’interno della dichiarazione non consente la definitiva cristallizzazione del credito: l’Amministrazione finanziaria ha poteri temporalmente illimitati in occasione della richiesta di rimborso.

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

In tema di rimborso di un credito, la Corte di Cassazione conferma l’indirizzo interpretativo delle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., Sent. n. 21766/2021), decidendo che l’Amministrazione ha, sostanzialmente, poteri temporalmente illimitati, poiché può svolgere sempre le operazioni di controllo in occasione della richiesta di rimborso, e ciò a prescindere dal momento della formazione del credito. In tal senso, i termini di decadenza dall’accertamento riguardano le sole imposte dovute dal contribuente. Tuttavia, è logico sostenere che se questi intenda far valere la propria pretesa al rimborso deve assumersene l’onere probatorio. I Giudici di legittimità, per la fattispecie in esame, richiamano i principi enunciati nei precedenti orientamenti giurisprudenziali dalla stessa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., n. 21766/2021): “il credito che nasca dal coacervo delle poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti generatori, sicché non è sufficiente che sia esposto in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’amministrazione (Cass. n. 18427/12; n. 27580/18)”.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 24 marzo 2022, n. 9559) scarica file

PAROLE CHIAVE: diniego tacito di rimborso - decadenza - accertamento - crediti di imposta


di Maria Gaballo

1. L’ordinanza che si annota conferma la legittimità del diniego di rimborso oltre il termine di decadenza dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria. La pronuncia in esame ha ritenuto che è il contribuente che decide di chiedere il rimborso di un credito a distanza di anni dalla maturazione del diritto relativo, a scegliere, riportandolo a nuovo, di assegnare ad esso rilevanza, appunto ex novo, in ciascuna delle dichiarazioni successive nelle quali considera tale credito. Gli effetti preclusivi della decadenza dall’accertamento attengono alle sole imposte dovute. In definitiva, la Cassazione interviene in materia di diniego di rimborso, affermando che il credito che tragga origine dal coacervo delle poste detraibili che prevalgano sul debito, e che, quindi, eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti che lo determinano (“i fatti generatori”). Pertanto, non è sufficiente che esso sia indicato nella dichiarazione, né è necessario che il medesimo credito sia accertato dall’Amministrazione finanziaria. Per queste fattispecie, non ci sarebbe violazione degli artt. 36–bis, 40 e 43 del D.P.R. n. 600/73 e nemmeno del principio della certezza dei rapporti giuridici. L’ampliamento dei termini dell’accertamento sine die sarebbe legittimo nelle ipotesi dei controlli sui crediti.

In particolare, il Supremo Collegio rigetta la tesi della ricorrente partendo proprio dalla ratio delle norme in parola e dall’esame della loro funzione nel sistema dell’accertamento. Infatti, la tesi della Corte richiama l’orientamento già espresso in precedenza secondo cui “L’omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica della rispondenza alla realtà di quanto dichiarato (Cass., Sez. Un., n. 8500/21)”.

2. A breve distanza di tempo il Supremo Collegio si pronuncia, in senso conforme a Cass., Sez. Un., 25 marzo 2021, n. 8500 (in tema di oneri pluriennali), la quale aveva ritenuto che nell’ipotesi di contestazione di costi pluriennali per motivi differenti dall’errato computo del singolo rateo dedotto, la decadenza del potere di accertamento va verificata ad ogni singola annualità nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato in dichiarazione (Nel caso di specie, la scelta operata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è quella di limitare il significato della definitività, per ampliare, invece, quello della possibilità di agire dell’Agenzia delle Entrate; G. Fransoni, Le Sezioni Unite e la decadenza: una sentenza che farà danni, commento a Cass., SS.UU., 25 marzo 2021, n. 8500, in fransoni.it; L. Castaldi, Cass. S.U., 25 marzo 2021, n. 8500 e fattispecie reddituali a efficacia pluriennale. Sulla rilevanza del valore della stabilità dei rapporti e del consolidamento delle fattispecie impositive in materia tributaria, in giustiziainsieme.it; in tema si rinvia a Cass., 18 agosto 2022, n. 24880, in particolare, sulle perdite riportabili sempre accertabili nell’anno di utilizzo. I Giudici di legittimità tornano ad esaminare la questione del periodo di decadenza dall’accertamento di componenti e posizioni fiscali aventi validità pluriennali. G. Ingrao, Prime osservazioni su oneri pluriennali e accertamento dei ratei annuali: le Sezioni unite superano gli equivoci causati dalle sentenze del 2018 e 2019, ma ne creano di nuovi, nota a Cass. n. 8500/2021, in Riv. Dir. Trib., 3, 2021, II, 155 e ss.. Le Sezioni Unite affermano che i componenti di reddito che si manifestano in più periodi d’imposta possono essere contestati anche successivamente; in definitiva, non è necessario che essi siano accertati, a pena di decadenza, entro il termine per la verifica dell’anno in cui si sono inizialmente manifestati. Tutto ciò è consentito anche se l’Agenzia delle Entrate sia decaduta dal potere di rettifica dell’annualità di riferimento del componente de quo, cioè in cui il componente è sorto. La Corte, in tale occasione, ha scelto di seguire un’interpretazione che nega, in nuce, il valore della certezza del diritto, comportando l’esposizione dell’impresa all’indefinita azione di accertamento del Fisco. In tal senso, verrebbe introdotto nel nostro ordinamento il nuovo istituto dell’accertamento senza limiti di tempo, il c.d. accertamento in perpetuum, con conseguente obbligo di conservazione della documentazione contabile all’infinito. Così, per tali osservazioni si rinvia a G. Melis, Imprese, tributi giusti e certezza del diritto favoriscono investimenti, in Fortune Italia, 2022, 1-11).

Nella decisione in esame, la Corte conferma che i termini di decadenza dell’accertamento riguardano solo le imposte dovute dal contribuente. Differentemente, per i crediti, l’Amministrazione finanziaria ha, sostanzialmente, poteri illimitati nel tempo, in quanto può effettuare sempre le operazioni di controllo in occasione delle richieste di rimborso e ciò a prescindere da quando si forma il credito spettante al contribuente.

La controversia trae origine dalla sentenza della C.T.R. che rigettava l’appello principale proposto dalla contribuente e dall’Agenzia delle Entrate avverso la pronuncia della C.T.P. di Milano con cui era stato rigettato il ricorso della contribuente avente ad oggetto il silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di un credito Irpeg.

Il giudice d’appello rilevava che nel merito l’Ufficio aveva contestato la sussistenza del credito del quale era stato chiesto il rimborso ed, altresì, che la contribuente, al riguardo, non aveva fornito una adeguata prova producendo deleghe bancarie relative ai versamenti d’imposta. Un altro aspetto rilevato dai Giudici di secondo grado riguardava, invece, la formalizzazione dell’istanza di rimborso all’interno della dichiarazione. In tal senso, la Commissione tributaria di secondo grado circostanziava, inoltre, la questione alla circostanza che benché fosse decorso il termine stabilito per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Ufficio rimasto inerte ciò non aveva determinato la definitiva cristallizzazione del credito di cui si pretende il rimborso.

La Corte conclude per l’infondatezza dell’unico motivo, con il quale si censurava la violazione degli artt. 36-bis, 40 e 43 del D.P.R. n. 600/1973.

Il problema che si è trovato ad affrontare la Corte di Cassazione non è nuovo, ma è stato già discusso in tempi remoti.

Il tema è quello del diniego tacito e, in particolare, dell’ipotesi in cui l’Ufficio, nell’ambito dei rimborsi chiesti con istanza di parte, non si fosse espresso rispetto a tale richiesta. Tale fattispecie è, in realtà, assistita da una disciplina che collega la necessità di garantire i controlli con il rischio che l’inerzia dell’Amministrazione finanziaria sia, poi, pregiudizievole al richiedente. Si tratterebbe della fattispecie regolata dal secondo e terzo comma dell’art. 37, ma la formula più completa è data dalla lettura coordinata degli artt. 19 e 21 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (F. Paparella, Lezioni di diritto tributario, Parte generale, Padova, 2021, 330 -331).

Rigorosamente connesso al silenzio è il termine entro il quale l’Amministrazione può contestare la richiesta di rimborso. Questo è stato il tema che ha riguardato un ampio dibattito in passato. Il problema è stato risolto, da principio, dalla Corte, a Sezioni Unite, con la decisione n. 5069 del 2016, con la quale ha ammesso l’esercizio dei poteri dell’Amministrazione finanziaria anche oltre i termini di decadenza dell’azione di accertamento, con la precisazione che questi ultimi si applichino solo ai debiti tributari e non anche ai crediti del contribuente (F. Paparella, Lezioni di diritto tributario, Parte generale, op. ult. cit., 332).

3. Il termine per l’Amministrazione Finanziaria per contestare la richiesta di rimborso ha visto un approdo della questione, quasi più definito rispetto al passato, con la pronuncia che si è richiamata, la n. 5069/2016. Può, però, dirsi che un analogo ragionamento e, quindi, conclusione sia stata più controversa ai fini IVA, tanto che, successivamente, è stato sollecitato un ulteriore intervento delle Sezioni Unite, per valutare, ancora, i termini del dibatto intrapreso su questi aspetti della fattispecie (cfr. Cass., Ord. n. 15525/2020). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione erano state investite della questione se la decorrenza del termine di decadenza comporti o meno la cristallizzazione dei crediti e dei debiti dell’Amministrazione finanziaria, con conseguenti riflessi sul diritto al rimborso del contribuente.

Con la pronuncia n. 21766/2021, il Supremo Collegio, a Sezioni Unite, concludeva che il credito che ha origine dall’insieme delle poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistono i presupposti che lo generano, “i fatti generatori”. Pertanto, a sostegno di ciò, la Corte afferma che non è sufficiente che esso sia indicato in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’Amministrazione finanziaria (Così, si richiamano, anche, Cass., n. 18427/12; Cass., n. 27580/18).

In questi termini, la Corte ha negato che possa parlarsi di inerzia dell’Amministrazione, quanto piuttosto deve constatarsi che il legislatore ha voluto qualificarla, attribuendole il significato di rifiuto tacito, come tale impugnabile, come stabilito dall’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nella sentenza che si annota (Cass., n. 9559/2022), i giudici di legittimità chiariscono che il silenzio rifiuto funge da anello di congiunzione tra la procedimentalizzazione del diritto al rimborso e la sua tutela in sede giudiziale. Peraltro, la Corte ha fornito una soluzione in linea con quanto stabilito per i poteri istruttori dell’Amministrazione, ribadendo che “L’omesso esercizio del potere di controllo non determina, quindi, alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato (Cass., sez. un., n. 8500/21)”.

4. Il profilo sul quale l’ordinanza che si annota induce a ragionare è, potrebbe dirsi, unico: si tratta, innanzitutto, di distinguere ed approfondire la legittimità del diniego di rimborso affermata dal Supremo Collegio.

È pacifico in dottrina che i modelli teorici del rimborso siano stati condizionati dalle due esigenze che attraversano l’intera fase di attuazione del tributo. Da un lato, si discute degli interessi del contribuente, con una maggiore attenzione al rimborso dell’imposta non corrispondente, in tutto o in parte, al presupposto, e, dall’altro, si evidenziano gli interessi pubblici, costantemente riconosciuti dalla Corte Costituzionale, e per i quali si tutelano la stabilità, la certezza e la definitività dell’imposizione (F. Paparella, Lezioni di diritto tributario, Parte generale, op. cit., 324).

Nei procedimenti di rimborso acquista un ruolo peculiare la richiesta tramite la dichiarazione. Quest’ultima ha rilevanza anche ai fini del rimborso, poiché comporta la quantificazione dell’imposta, la liquidazione dell’obbligazione tributaria, nonché l’indicazione di ritenute subite, crediti d’imposta, acconti versati, o implica che possa mettersi in luce un diritto al rimborso del contribuente che presenta la medesima dichiarazione (G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2019, 207).

La dichiarazione, quindi, riproduce anche l’istanza di rimborso (la dichiarazione è, infatti, adibita, per di più, ad istanza di rimborso), nel caso di eccedenza a credito (G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, op. ult. cit., 207).

Il rimborso può, infatti, essere chiesto con la dichiarazione, oltreché ad istanza di parte o con rimborso d’ufficio (Sul rimborso d’imposta, F. Tesauro, Il rimborso dell’imposta, Torino, 1975; G. Tabet, Contributo allo studio del rimborso d’imposta, Roma, 1985; Id., Rimborso di tributi, in Enc. Giur. Treccani, XXVII, 1991; M.C. Fregni, Rimborsi dei tributi, in Dig. comm., 1996, 499; F. Paparella, Il rimborso dei tributi, in Diritto Tributario, a cura di A. Fantozzi,  Torino, 2013; M. Basilavecchia, Rimborso d’imposta, in Treccani, Diritto on line, 2014).

La modalità del rimborso richiesto con la dichiarazione permette al contribuente di chiedere la restituzione delle imposte pagate in eccesso in alternativa alla compensazione.

Di norma, quindi, il consolidarsi della dichiarazione dovrebbe condurre alla definitività del rimborso, quale conseguenza della stabilità del dichiarato. In tal senso, in dottrina si è osservato che, in questa logica, l’Ufficio che sia incorso in decadenza sia dal potere di liquidazione che da quello di accertamento sostanziale, non dovrebbe più avere la possibilità di sollevare, con un successivo atto di diniego, questioni ormai precluse dalla intervenuta decadenza (M. Basilavecchia, Rimborso d’imposta, op. ult. cit.. Con riferimento alla nozione di definitività dell’atto può dirsi che essa comporta che l’instabilità (rectius provvisorietà) degli effetti degli atti impositivi venga meno, in quanto l’accertamento non è stato impugnato nei termini, o il ricorso è inammissibile o è stato respinto con decisione passata in giudicato. In queste ipotesi, l’atto diventa definitivo, consolidandosi i suoi effetti come titolo della riscossione. In dottrina si è osservato che tale circostanza non generi una vicenda alla quale conseguono “effetti di nuovo tipo, ma solo dei riflessi dell’esaurimento del potere di ottenere l’annullamento dell’atto in sede giurisdizionale”, così, testualmente, si rinvia a G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, op. cit., 220; “Alla definitività è spesso ricondotto anche un effetto di incontestabilità della ricostruzione del fatto contenuta nell’accertamento, o di preclusione di diverse determinazioni del dovuto. Tuttavia, occorre osservare che codesta incontestabilità incontra vari limiti”).

In giurisprudenza si è concluso in senso opposto, e vale a dire che, soprattutto nelle ipotesi in cui il rimborso sia sospettato di concludere un disegno fraudolento, dovrebbe discutersi (rectius affermarsi) dell’irrilevanza della definitività del dichiarato, e ciò con l’intento di veder riconosciuto l’obbligo della corresponsione del rimborso, con una posizione in pericolosa antitesi con le ragioni della definitività (M. Basilavecchia, Rimborso d’imposta, in Treccani, Diritto on line, 2014).

In realtà, può sostenersi, come anche ribadito nella decisione in commento, che i rimborsi da dichiarazione siano naturalmente più “partecipi” (nel senso di inclusione) delle procedure applicative. Per questi rimborsi, tuttavia, il riconoscimento non è definitivo. In sostanza, l’approvazione del rimborso sia che discenda dall’atto dell’Ufficio, sia che consegua al processo tributario, non consacra l’intangibilità del dichiarato, rispetto al quale restano possibili i controlli formali e sostanziali successivi alla liquidazione, e dai quali può scaturire l’insussistenza, o anche la minore entità, del credito rimborsato (M. Basilavecchia, Rimborso d’imposta, in Treccani, Diritto on line, 2014).

5. Dall’indagine fin qui condotta si può concludere che l’intervento della giurisprudenza di legittimità si conferma nella fermezza delle precedenti affermazioni, in tema di diniego tacito di rimborso, con le quali la Corte è giunta, sembrerebbe, ad un più chiaro epilogo della questione riproposta più volte negli anni passati.

In tal senso, può dirsi legittimo il diniego di rimborso oltre il termine decadenziale per l’esercizio dell’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria.

La Corte sembrerebbe, così, sbilanciarsi rispetto ai precedenti indirizzi interpretativi, sostenendo che “Il credito di cui si discute, anche non dovuto, divenga incontrovertibile soltanto perché è indicato in dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell’azione impositiva”, presidiata dai principi costituzionali di cui agli artt. 23, 53 e 97 della Cost.. Di tali rischi sembra essere consapevole la Corte con l’ordinanza che qui si annota: “sul piano logico non è certo agevole costruire come titolo di un diritto, in quanto tale tendenzialmente stabile, la dichiarazione fiscale, fisiologicamente instabile, perché emendabile in ogni tempo”. Essa può certamente fungere da titolo giustificativo del versamento effettuato o, in caso di ipotesi di omesso versamento, da titolo per l’iscrizione a ruolo o, nell’evenienza che si configuri un’eccedenza a credito, da istanza di rimborso (Così, G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, op. cit., 207).

La Corte ha indicato, inoltre, l’essenzialità dell’onere probatorio: il contribuente che intende far valere la propria pretesa al rimborso deve assumersene l’onere probatorio.

Il principio enunciato dal Supremo Collegio sembra, quindi, essere saldo. Il ragionamento seguito dai giudici di legittimità è incentrato su questi due aspetti e può sintetizzarsi nei seguenti passaggi logici:

  1. gli effetti preclusivi della decadenza dall’accertamento riguardano soltanto le imposte dovute e non i crediti, stante che, peraltro, con tale argomentazione, non si scalfisce il principio di certezza del diritto;
  2. è il contribuente che decide di chiedere il rimborso di un credito, mediante la dichiarazione, scegliendo di assegnare ad esso rilevanza, ex novo, indicandolo successivamente nell’ambito del Modello Unico.

Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza che si annota, pertanto, appaiono pienamente condivisibili, innanzitutto, perché l’accertamento sine die sembrerebbe concesso all’Amministrazione finanziaria solo per i crediti e, potrebbe aggiungersi, anche per gli oneri pluriennali, come chiarito dalla Corte in occasione di altre decisioni. Diversamente, esso sarebbe, inesorabilmente, escluso per le imposte dovute.

Da qui risalterebbe l’instabilità della prima ipotesi, con l’emersione del carattere “mobile” della decadenza dell’accertamento, spostato oltre la normale tempistica prevista, rispetto alla “stabilità” della seconda circostanza, evidenziata nei termini di una maggiore certezza che, così, connoterebbe le imposte dovute (Sulla “decadenza mobile” correlata alla presenza di oneri pluriennali che si riflettono in un arco di tempo estremamente lungo, G. Ingrao, Prime osservazioni su oneri pluriennali e accertamento dei ratei annuali: le Sezioni unite superano gli equivoci causati dalle sentenze del 2018 e 2019, ma ne creano di nuovi, nota a Cass. n. 8500/2021, op. ult. cit., 155 e ss.).

In definitiva, in quest’ottica, l’interpretazione della Corte concorrerebbe, quasi, a segnalare una netta separazione tra le possibili fattispecie: da un lato, si percepisce, quindi, il controllo sulla pretesa tributaria, connotato da una peculiare e ben circoscritta “definitività”; dall’altro, il riscontro sui crediti e sugli oneri pluriennali, come dovrebbe del pari dirsi sulle agevolazioni, sarebbe segnato, di per sé, dal carattere più “indefinito” della fattispecie. Queste ultime, infatti, sarebbero intese dalla Corte come fattispecie più insidiose rispetto alle prime e ciò, di conseguenza, ne giustificherebbe la legittimità di un accertamento sine die effettuato dall’Amministrazione finanziaria.

Per questi aspetti, la dottrina ha osservato che la giurisprudenza di legittimità, talvolta, tuttavia, può arrecare gravi danni alla certezza del diritto, come è accaduto per il caso emblematico della sentenza n. 8500/2021, con la quale si è precisato che le Sezioni Unite, con riferimento ai termini di decadenza nell’ipotesi di oneri pluriennali, si sono pronunciate sostenendo che il termine di accertamento decorra dalla deduzione di ogni singolo rateo di ammortamento. La Corte, optando per questa soluzione, avrebbe, in nuce, contraddetto il valore della certezza del diritto, procrastinando illimitatamente l’accertamento e, quindi, ipotizzando per l’impresa un’indefinita azione di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria (G. Melis, Imprese, tributi giusti e certezza del diritto favoriscono investimenti, op. ult. cit., 1-11).

In conclusione, con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione procede nella sua opera di interpretazione dei principi e delle norme poste alla base dell’ordinamento giudiziario e tributario. In tale ottica, però, sarà, comunque, importantissimo che la stessa Corte sia sempre pronta a cogliere, insieme alla Corte Costituzionale ed al legislatore, le condizioni essenziali per tutelare la certezza del diritto (Corte Cost., n. 108/2019). Soltanto in tal modo possono concretizzarsi le esigenze di un’impresa “sana” che sappia creare ricchezza e che sia anche rappresentativa dello sviluppo economico del Paese.