argomento: IVA - Giurisprudenza
La Suprema Corte ha ritenuto assolto l’obbligo di motivazione della cartella di pagamento, notificata al cessionario ai sensi dell’art. 60-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, nel caso in cui sia stata preceduta da una comunicazione “informale” contenente le ragioni della pretesa dell’Amministrazione finanziaria.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord 10 giugno 2022, n. 18707)PAROLE CHIAVE: riscossione - solidarietā passiva - cartella di pagamento - motivazione - omesso versamento - valore normale
di Lucrezia Mazzonetto
1. L’ordinanza commentata affronta un caso in cui l’Amministrazione finanziaria notificava, ai sensi dell’art. 60-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, una cartella di pagamento ad un cessionario di automobili, richiedendo il versamento dell’IVA dovuta in relazione agli acquisti effettuati ad un prezzo inferiore al valore normale.
Il contribuente impugnava la cartella di pagamento ricevuta, contestando l’omessa motivazione della pretesa nei suoi confronti e la lesione del proprio diritto di difesa.
In particolare, il contribuente riteneva che l’Amministrazione non gli avesse esposto le ragioni per le quali il prezzo pattuito fosse inferiore al valore normale e non gli avesse permesso di fornire la prova contraria in quanto, prima della notifica della cartella, non gli era stato comunicato nulla.
Nei primi due gradi di giudizio le doglianze del contribuente venivano accolte.
L’Agenzia delle Entrate, pertanto, proponeva ricorso per cassazione invocando – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c. – la violazione dell’art. 60-bis, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 2728 e 2697 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Più precisamente, l’Ufficio contestava che i giudici di merito avevano omesso di considerare che la notifica della cartella di pagamento impugnata, in realtà, era stata preceduta da una comunicazione trasmessa al contribuente, con la quale si informava che, in applicazione dell'art. 60-bis cit., ove la cedente non avesse adempiuto al pagamento dell’IVA accertata, si sarebbe provveduto ad iscrivere a ruolo l'importo nei confronti del cessionario, a titolo di responsabilità solidale.
2. Come noto, l’art. 60-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 disciplina una fattispecie di solidarietà del cessionario per il versamento dell’IVA dovuta dal cedente.
Si tratta di una norma introdotta per contrastare le frodi IVA c.d. “carosello” e per rafforzare il credito erariale. Infatti, fermo restando il diritto alla detrazione per il cessionario dell’imposta pagata al cedente, l’IVA relativa a talune operazioni risulta dovuta, per l’intero importo, da due distinti soggetti passivi.
La norma citata trova applicazione al verificarsi congiunto delle seguenti condizioni:
Qualora anche solo una delle condizioni sopra indicate non si verifichi, l’art. 60-bis non si applica e il cessionario non può essere ritenuto obbligato in solido per il versamento dell’IVA non versata dal cedente [Circ. n. 10, 16 marzo 2005, p. 70, sul punto si veda DI COLA C., Commento all’art. 60-bis, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, Breviaria Iuris, Tomo IV, Padova, 2011, p. 554; BERNARDO M., SBARAGLIA G., Contrasto alle frodi IVA: misure alternative alla solidarietà d’imposta, in Il Fisco, 2018, p. 235; DITOLVE N., Frodi IVA e norme di contrasto: alcune considerazioni sull’art. 60-bis del D.P.R. n. 633/1972. ‘Solidarietà nel pagamento dell’imposta’, in Il Fisco, 2005, pag. 5518 ss.].
3. L’art. 60-bis trova il proprio presupposto nell’articolo 21, comma 3, dell’abrogata Direttiva 77/388/CEE (c.d. VI Direttiva), ora articolo 205, Direttiva 2006/112/CE, che consente agli Stati membri di individuare una persona diversa dal debitore dell'imposta come responsabile in solido per il versamento dell'imposta.
In argomento, la Corte di Giustizia Europea ha statuito che una normativa che prevede una solidarietà passiva in capo al cessionario è compatibile qualora quest’ultimo «era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare, che la totalità o parte dell'IVA dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o qualsiasi altra prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata» (sent. 11 maggio 2006, causa C-384/04).
Dunque, nel caso di specie, l’art. 60-bis può ritenersi compatibile con il suddetto art. 21, laddove il prezzo della cessione, particolarmente favorevole per l’acquirente, costituisca un ragionevole motivo per dubitare dell’effettivo versamento, da parte del cedente, dell’IVA dovuta [sul punto si veda Cass. sent. n. 877/2019 e n. 30989/2021, secondo le quali non è necessario che l’Amministrazione dimostri la colpevole ignoranza del cessionario della frode, ma è sufficiente che sussistano «comportamenti incauti del cessionario»; v. anche CTR Lombardia sent. n. 1843/2021].
4. Tuttavia, la Corte europea ha precisato che «una tale normativa deve rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario». Di qui le criticità del citato art. 60-bis, in particolare delle relative modalità di applicazione, oggetto dell’ordinanza in commento.
Infatti, nel caso in esame, il contribuente contestava l’omessa motivazione della cartella impugnata e la lesione del proprio diritto di difesa, poiché l’Amministrazione si sarebbe limitata a notificargli l’atto esattivo senza fornirgli alcuna spiegazione delle ragioni della pretesa nei suoi confronti.
Al contrario, l’Ufficio riteneva assolto l’onere della motivazione in quanto, prima della notifica, era stata trasmessa una comunicazione con la quale si informava della circostanza che avrebbe generato la solidarietà passiva in capo all’acquirente.
In sostanza, si tratta di comprendere se una simile comunicazione sia da ritenersi sufficiente per considerare assolto l’obbligo di motivazione della pretesa erariale e, quindi, legittima la cartella di pagamento notificata.
5. Da una prima lettura della norma, si rileva che per la sua applicazione non è richiesto alcun adempimento preliminare a carico dell’Ufficio [per questo motivo, l’art. 60-bis viene giudicato da GIOVANARDI A., Le frodi iva. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, p. 237, una «disposizione palesemente modellata sulle esigenze dell’amministrazione»]. Stando così le cose, nel caso in cui sia stato omesso il versamento dell’IVA dal venditore, sarebbe sufficiente quindi che l’Agenzia determini il valore normale dell’operazione effettuata. Laddove questo risulti superiore al prezzo pattuito tra le parti, allora sarebbe legittima la richiesta di pagamento dell’IVA al cessionario, obbligato in solido [la determinazione del valore normale deve avvenire sulla base dei criteri stabiliti dall’art. 14 del D.P.R. n. 633 del 1972. Sul punto si veda Circ. n. 41/2005; Cass. n. 877/2019 e n. 13425/2017; C.T.R. Toscana, Sez. XXXI, n. 504 del 20 febbraio 2017].
Se l’importo effettivamente pagato al venditore è inferiore al valore normale determinato dall’Ufficio, al fine di escludere la responsabilità solidale, l’acquirente potrà dimostrare la congruità del prezzo pagato e, dunque, l’erroneità della stima dell’Amministrazione finanziaria, o le ulteriori specifiche ragioni alla base del ridotto prezzo dell’operazione.
Ed il prezzo particolarmente favorevole dovrà trovare ragione alla luce di circostanze “oggettivamente rilevabili” e quanto più generalizzate. In sostanza, non potrà trattarsi di uno sconto ad personam riservato al singolo acquirente [sul punto si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 25425/2022: «il cessionario potrà fornire la prova contraria dimostrando la plausibilità del minor corrispettivo: o perché il prezzo è analogo a quello costantemente pattuito dal cessionario nelle precedenti transazioni con il cedente, o perché anche altri operatori del mercato praticano proprio quel prezzo o altro simile»; similmente v. anche Cass. n. 877/2019, n. 878/2019 e n. 13425/2017; la prassi, per esempio, ha riconosciuto come circostanza “oggettivamente rilevabile” una campagna promozionale pubblicizzata dal venditore - Circ. n. 6 del 13 febbraio 2006, p. 19; in dottrina, si rinvia a GIOVANARDI A., Le frodi iva. Profili ricostruttivi, Torino, 2013, p. 234-239, che, alla luce delle difficoltà del cessionario di fornire la suddetta prova contraria, pone dei dubbi sulla compatibilità dell’art. 60-bis con il principio comunitario di proporzionalità].
6. Ritornando all’iter procedimentale di applicazione dell’art. 60-bis, nell’ordinanza in commento la Suprema Corte ha statuito che «nel caso in cui l'amministrazione finanziaria, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, notifichi all'acquirente la cartella di pagamento a titolo di responsabilità solidale, la stessa non deve essere preceduta da alcuna attività accertativa nei suoi confronti, non essendo il suddetto acquirente il soggetto passivo d'imposta» (v. anche Cass. n. 25425/2022; n. 12489/2021; n. 222/2020; n. 8857/2019; n. 31057/2018; n. 17171/2018).
Perciò l’unico soggetto passivo rimane il cedente, mentre il cessionario, pur non realizzando il presupposto dell’imposta, è obbligato in solido al pagamento dell’importo dovuto [DI COLA C., Commento all’art. 60-bis, in AA.VV., Commentario breve alle leggi tributarie, Breviaria Iuris, Tomo IV, Padova, 2011, p. 554, parla di una responsabilità in capo al cessionario di tipo “para–sanzionatorio”]. Di conseguenza, verso il cessionario l’Amministrazione dovrà limitarsi all’emissione della cartella di pagamento a titolo di responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 60-bis, responsabilità che è esclusa sul piano delle sanzioni, che rimangono dovute unicamente dal venditore (Circ. n. 10, 16 marzo 2005, p. 71).
Stando così le cose, quindi, il diritto alla difesa – anche sotto il profilo della congruità del prezzo – può essere esercitato dall’acquirente solo in sede di riscossione, impugnando la cartella di pagamento.
7. Ora, la notifica della cartella di pagamento al cessionario, ancorché in applicazione all’art. 60-bis, non può prescindere dal rispetto dell’obbligo di motivazione.
Nel caso di specie, come già sottolineato, l’Amministrazione riteneva di aver adempiuto all’obbligo di motivazione poiché la notifica della cartella era stata preceduta dall’invio di una comunicazione alla società acquirente, nella quale si informava che, in relazione all’IVA dovuta per le cessioni effettuate nei suoi confronti, era stato emesso un avviso di liquidazione nei confronti del venditore e che, in caso di omesso versamento, avrebbe trovato applicazione l’art. 60-bis, alla luce dell’inferiorità del corrispettivo pattuito al valore normale del bene, oggetto di ulteriori spiegazioni nella comunicazione inviata.
La Suprema Corte ha accolto le doglianze dell’Ufficio, in senso contrario ad entrambe le pronunce dei giudici di merito, ed ha statuito che «l'amministrazione assolve al suddetto onere – ossia l’onere di motivazione della cartella - quando, pur non essendo obbligata, ha fatto precedere la notifica da una comunicazione che contenga gli elementi idonei a rendere consapevole il cessionario della circostanza dell'omesso versamento di quanto dovuto dal cedente e delle ragioni per cui il prezzo di acquisto è inferiore a quello normale».
Pertanto, con la comunicazione trasmessa preventivamente dall’Amministrazione è stato ritenuto assolto l’onere di motivazione della cartella di pagamento impugnata.
8. La Suprema Corte, dunque, ha avallato una prassi discutibile, secondo cui una cartella di pagamento potrebbe essere notificata anche se non motivata, purché sia stata preceduta da una comunicazione – si badi, informale e non impugnabile – con la quale si informava il contribuente delle ragioni della successiva cartella.
Alla luce di quanto esposto, l’iter procedurale di applicazione della norma presenta quindi due profili di criticità:
Sarebbe quindi opportuna una revisione della normativa da parte del legislatore, che rafforzi la tutela dei diritti del cessionario, in particolare del diritto alla difesa e di partecipazione al procedimento amministrativo. Ciò potrebbe realizzarsi introducendo l’obbligo di notifica – e non di semplice invio – di un atto formale e motivato, prodromico alla successiva cartella di pagamento