Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

09/12/2022 - Compenso degli amministratori indeducibile se non determinato prima della prestazione delle funzioni

argomento: IRES - Giurisprudenza

Nel ribadire l’indeducibilità dei compensi degli amministratori non stabiliti nello statuto, e non accordati dall’assemblea, la Cassazione puntualizza che l’eventuale delibera deve intervenire prima dello svolgimento delle funzioni di gestorie, poiché in difetto va negato il carattere di certezza di tali costi.

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PAROLE CHIAVE: imposte sui redditi - compensi degli amministratori - costi - indeducibilitā - certezza


di Edgardo Marco Bartolazzi Menchetti

  1. La sentenza in commento si pronuncia, per quanto qui di interesse, sul già dibattuto tema della deducibilità, da parte di una società di capitali, dei compensi corrisposti ai propri amministratori. Il caso esaminato si caratterizza in quanto attiene emolumenti assegnati sulla base di una delibera assembleare intervenuta anteriormente alla materiale erogazione degli emolumenti, ma successivamente alla prestazione dell’opera gestoria.

La giurisprudenza tributaria si è fin qui occupata di casi in cui tali compensi venivano corrisposti senza che ciò fosse autorizzato da una previsione statutaria, o da una decisione dell’assemblea (ad esempio, Cass., sez. trib., sent. 20 febbraio 2020, n. 4400, annotata da A. Manzitti, Ancora sulla indeducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori senza formale delibera, in Riv. Telematica di diritto tributario, 2020), nonché di situazioni in cui l’erogazione delle stesse spettanze era stata autorizzata soltanto indirettamente, in sede di approvazione del bilancio (Cass., sez. trib., sent. 28 ottobre 2015, n. 21953, su cui M. Nussi, Ancora incertezze e contraddizioni della Suprema Corte sulla deducibilità del compenso agli amministratori, in Giur. Trib., 2016, 137 e ss.). In tali circostanze, il componente di reddito riferito ai compensi in parola viene considerato indeducibile per difetto del requisito di certezza richiesto dall’art. 109, comma 4, T.U.I.R. poiché si assume sostenuto in assenza di un valido titolo giuridico. L’art. 2389 c.c. postula infatti l’esistenza di una delibera o di una previsione statutaria, che stabiliscano il compenso spettante agli amministratori.

La particolarità del caso considerato risiede quindi nel fatto che una delibera per fissare i compensi dovuti agli amministratori era stata effettivamente adottata, tuttavia si riferiva alle spettanze relative all’opera gestoria già prestata in anni precedenti, la cui retribuzione sarebbe stata così stabilita in via postuma.

La discrasia tra il momento di prestazione dell’opera utile alla società e quello in cui il conseguente costo era sostenuto non avrebbe peraltro posto questioni di imputazione temporale, visto che l’art. 95, comma 5, T.U.I.R. prevede espressamente la deduzione per cassa dei compensi spettanti agli amministratori, “nell’esercizio in cui sono corrisposti”.

La Cassazione ha tuttavia ritenuto il costo indeducibile, rilevando che “i compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili se non previamente deliberati [..] atteso che la specifica delibera assembleare costituisce la fonte dell’obbligazione patrimoniale”. Sembrerebbe così sancito il principio per cui gli emolumenti spettanti agli amministratori di società di capitali, per essere dedotti, dovrebbero sempre essere stabiliti prima che sia prestata l’opera gestoria, conclusione che non trova riscontri nel dato normativo, e si risolve in una interpretazione ultra legem, difficilmente giustificabile.

  1. L’orientamento di cui si è dato conto si fonda sugli approdi della giurisprudenza civile (principalmente, Cass., Sez. Unite, sent. 29 agosto 2008, n. 21933, su cui Petrazzini, Compenso degli amministratori e assemblea sociale: l’intervento delle Sezioni Unite, in Giur. It., 2009, 1185 e ss.), unanime nell’indicare che l’erogazione di compensi in favore degli amministratori in difetto delle condizioni contemplate nell’art. 2389 c.c. (previsione statutaria o delibera espressa) deve ritenersi illecita, come anche testimoniato dalla precedente previsione, nell’art. 2630, comma 2, c.c., di un reato, ora depenalizzato, per la percezione di emolumenti non deliberati.

La stessa regolamentazione, in quanto inerente il funzionamento delle società, è peraltro considerata espressiva di una norma imperativa, dettata anche nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica (Sez. unite, sent. n. 21933/2008, cit.). Non è quindi legittimo che la percezione del compenso da parte degli amministratori avvenga con una delibera “implicita” in quella di approvazione del bilancio nel quale tale costo sia contemplato. Tale delibera sarebbe infatti insanabilmente nulla, secondo l’art. 1418 c.c.

  1. Muovendo dalle conseguenze che la giurisprudenza civile assegna alla corresponsione di compensi in difetto di previa delibera, e in particolare dalla veduta natura di norma imperativa della previsione dell’art. 2389 c.c., la giurisprudenza tributaria (Cass., sez. trib., sent. 7 marzo 2014, n. 5349 e n. 21953/2015, cit.) è giunta a ritenere che l’erogazione di compensi agli amministratori senza il rispetto della disciplina del codice civile renderebbe il corrispondente componente negativo di reddito d’impresa indeducibile. In particolare, in conseguenza della violazione dell'art. 2389 c.c. come sopra interpretato, il costo connesso ai compensi non deliberati degli amministratori viene considerato privo del requisito di certezza, richiesto dall’art. 109 del T.U.I.R. Questa situazione non potrebbe essere superata, e l’indeducibilità del costo permarrebbe, anche laddove fossero documentate l’avvenuta prestazione dell’attività manageriale e l’effettiva corresponsione delle competenze dovute, giacché continuerebbe a difettare un valido titolo giuridico per giustificare tale componente (Cass., sent. n. 5349/2014 e n. 21953/2015, citate).
  2. La dottrina si è mostrata molto critica rispetto alla limitazione, da parte della giurisprudenza, della deducibilità dei compensi degli amministratori di società di capitali. Notevole opposizione ha suscitato un primo indirizzo (Cass., sez. trib., sent. 13 agosto 2010, n. 18702), pronunciatosi sulla normativa anteriore alla riforma dell’IRES del 2003, che aveva addirittura ritenuto tali componenti sempre indeducibili per le società di capitali (in tema, Paparella, L'indeducibilità dei compensi degli amministratori delle società di capitali secondo una recente ordinanza della Corte di cassazione: una evidente (ma evitabile) svista giurisprudenziale, in Riv. Dir. Trib., 2010, II, 631; G. Fransoni, L'indeducibilità dei compensi agli amministratori e i "nonsense" fiscali, in Corr. trib., 2010, 2853; M. Procopio, La (in)deducibilità dei compensi dovuti agli amministratori: la sconcertante tesi della Cassazione, in Dir. Prat. Trib., 2010, 10827).

Già in quella sede veniva fatto rilevare che il costo connesso ai compensi degli amministratori possiede natura e caratteristiche coerenti con tutti i principi generali del reddito d’impresa, e pertanto, in difetto di deroghe, anch’esso andrebbe ritenuto deducibile sol perché evidenziato nel conto economico, in virtù del principio di dipendenza del reddito d’impresa dalle scritture contabili sancito nell’art. 83 del T.U.I.R. (F. Paparella, L’indeducibilità, cit.).  Tale obiezione vale certamente anche con riferimento alla giurisprudenza che considera indeducibile il compenso erogato in difetto di valido impegno giuridico della società secondo l’art. 2389 c.c., dato che la validità della situazione civilistica sottesa ai costi d’impresa non costituisce elemento della fattispecie per la loro deduzione (in questi termini, M. Nussi, Ancora incertezze e contraddizioni della Suprema Corte sulla deducibilità del compenso agli amministratori, in Giur. Trib., 2016, 138; più in generale, sul tema, G. Gaffuri, La rilevanza della nullità contrattuale in diritto tributario, in Boll. Trib., 2006, 455). Ciò è peraltro confermato dalla giurisprudenza citata nella sentenza in commento, che espressamente indica che la preclusione alla deduzione dei costi relativi ai compensi degli amministratori non può configurarsi come conseguenza immediata della violazione della legge civile (Cass., sent. 21953/2015).

La dottrina, inoltre, ha evidenziato che l’effettiva prestazione di attività gestoria da parte dell’amministratore in esito a valida nomina farebbe sorgere comunque, in capo a tale ultimo soggetto, un diritto soggettivo al compenso (F. Paparella, L’indeducibilità, cit.; M. Nussi, Ancora incertezze, cit., 138). Tale assunto è condiviso dalla giurisprudenza, che sostiene una presunzione di onerosità dell’incarico (di recente, Cass., sez. VI-1, ord. 3 ottobre 2018, n. 24139 e Cass., sez. lav., sent. 21 giugno 2017 n. 15382). Ne consegue che, dal punto di vista civile, eventuali profili di invalidità del titolo fondante il diritto al compenso dell’amministratore potrebbero riguardare soltanto l’entità di tale corrispettivo.

  1. La mancata assunzione di una delibera inerente i compensi degli amministratori prima che questi ultimi siano immessi nelle loro funzioni non può pertanto essere considerata sufficiente ad escludere tout-court la deducibilità di tali costi. Il fatto a cui la deducibilità del componente negativo è subordinata andrebbe più correttamente individuato nella necessità che esso sia determinato prima della sua contabilizzazione, per cassa, ai sensi dell’art. 95, comma 5 T.U.I.R. Alla situazione oggetto della sentenza in commento sembra infatti analogo il caso in cui l’amministratore, dopo aver prestato la propria attività, agisca per ottenere la determinazione giudiziale del proprio compenso, ove è il provvedimento giudiziale a determinare la nascita, in capo alla società amministrata, dell’obbligazione di pagamento (come evidenziato da Beghin, L’indeducibilità dei compensi corrisposti agli amministratori di società in assenza di previa delibera dell’assemblea dei soci: un lampante caso di accanimento terapeutico generatore di nuovi “estrogeni tributari”, in Riv. Dir. Trib., 2013, II, 499). Nel caso appena citato, come in quello che qui si commenta, le competenze degli amministratori sarebbero versate sulla base di un titolo preesistente al momento del pagamento, anche se successivo alla prestazione di gestione. In tale situazione non pare difettare la certezza del componente di reddito, sussistente ove esso non possa essere posto in dubbio, in termini di esistenza del suo titolo giuridico (A. Fantozzi – F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2019, 108) e del corrispondente obbligo, o vincolo (G. Falsitta, Manuale di diritto tributario – parte speciale, Padova, 2018, 383).

Infine, per negare la deduzione non potrebbe essere invocata neppure la disciplina in tema di abuso del diritto, visto che è stato espressamente indicato che l’erogazione dei  compensi agli amministratori in difetto di una previa delibera non può considerarsi una fattispecie abusiva (Cass., sent. n. 21953/2015).

  1. A fronte di quanto sopra, può quindi concludersi che dal fatto che la delibera di determinazione dei compensi degli amministratori intervenga in un momento successivo alla prestazione delle loro funzioni non può derivare un difetto di certezza del componente negativo in esame. La sentenza in commento deve pertanto essere valutata criticamente ove sembra indicare che la deducibilità del costo in discorso andrebbe negata allorché esso non sia giuridicamente certo, in tutti i suoi elementi, fin da prima che gli amministratori prestino la loro opera gestoria (come si desume dalla conclusione per cui “i compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili se non previamente deliberati”). Un tale principio non si trae, infatti, dalla normativa, ma neppure dalla giurisprudenza che la decisione richiama, considerato che sia in ambito civile (Sez. Unite, sent. n. 21933/2008, cit.) che tributario (Cass., sentt. nn. 5349/2014 e 21953/2015, citt.) è espressamente fatta salva la possibilità di determinare i compensi spettanti agli amministratori addirittura in sede di approvazione del bilancio, pur con le prescrizioni già indicate.

Sembra quindi che l’interpretazione manifestata nella sentenza in commento derivi da una indebita e asistematica estensione dei precedenti indirizzi, sorretta da ragioni di cautela fiscale.

Avallando l’interpretazione della Cassazione, si nega infatti la deducibilità di un costo effettivamente sostenuto ed imputato a conto economico, correlato ad un’attività effettiva comunque voluta dai soci (come attesta la avvenuta nomina degli amministratori) e in ogni caso utile per lo svolgimento dell’attività di impresa, quindi inerente.

Le possibilità che la deduzione censurata nella sentenza in commento si riveli foriera di un effettivo danno per l’Erario appaiono peraltro molto limitate, considerato che, ai sensi dell’art. 51 T.U.I.R., gli stessi emolumenti, nel medesimo esercizio in cui costituiscono un costo per la società erogante, divengono reddito imponibile per gli amministratori percipienti.

Non resta pertanto che auspicare che l’estremizzazione delle logiche di cautela adottate circa la deducibilità dei compensi degli amministratori, evidenziata nella decisione in commento, possa infine essere oggetto di ripensamento.