Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

22/09/2022 - Le Sezioni Unite legittimano l’apertura di borse previo consenso libero ed informato del contribuente. Ma un obiter dictum lascia aperta la via ad un’eccezione di costituzionalità

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto legittima l’apertura, previo consenso libero ed informato del contribuente, di borse rinvenute all’interno degli spazi ove l’amministrazione finanziaria effettua il primo accesso finalizzato all’apertura di una verifica fiscale: l’autorizzazione del pubblico ministero è dunque richiesta solo in caso di apertura coartata, materialmente o mediante prospettazione di sanzioni successive. Tuttavia, la stessa sentenza ricorda in un obiter dictum che la giurisprudenza costituzionale – in linea con quella di Strasburgo – ritiene che i beni abitualmente portati sulla persona godono del regime di maggiore garanzia previsto dall’art. 13 Cost. e dunque una loro apertura richiederebbe sempre una giurisdizionalizzazione dell’intervento, anche quando si ottiene un consenso dell’avente diritto. L’autore suggerisce dunque di sollevare un’eccezione di costituzionalità della norma, per violazione del parametro interposto dell’art. 8 della Convenzione EDU, nella parte in cui essa prevede il ricorso del pubblico ministero solo in presenza di un’azione coattiva da parte dei verificatori.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., SS.UU., sent. 2 febbraio 2022, n. 3182) scarica file

PAROLE CHIAVE: autorizzazione del procuratore della Repubblica - accesso fiscale - aperture di borse


di Samuel Bolis

1. Le Sezioni Unite civili hanno risolto le questioni interlocutorie rimesse dalla V Sezione (ord. 26 ottobre 2020 – 22 aprile 2021, n. 10664, per un primo commento si veda Caminale, Il bilanciamento tra interesse fiscale e tutela del contribuente nel caso di aperture coattive di borse, plichi sigillati e simili in carenza di autorizzazione, in dir. trib., 27 ottobre 2021) riferite all’efficacia sanante del consenso del contribuente all’apertura di borse e simili rinvenute in sede di primo accesso per l’avvio di una verifica fiscale, in quanto tali temi, come vedremo, avevano nel recente passato maturato difformi posizioni giurisprudenziali. In particolare, la preminente questione da dirimere era riferita al grado di tutela da attribuire alle libertà aventi rilevanza costituzionale nell’alveo dei rapporti tra Fisco e contribuente con riferimento all’invasività dei poteri di accesso attribuiti ai verificatori da parte dell’ordinamento interno.

In sede di accertamento, infatti, l’Amministrazione Finanziaria – sia nella sua componente civile che in quella militare – può ricorrere con discrezionale imperio a variegati strumenti di ispezione e di ricerca della documentazione contabile ed extracontabile, funzionali alla successiva compiuta quantificazione dell’imposta dovuta: dalle modalità più blande (l’invio di questionari o di lettere di invito alla compliance, l’acquisizione di documentazione bancaria) si può giungere a quelle più invasive dell’autodeterminazione personale (l’accesso presso la sede d’affari o, addirittura, il domicilio del contribuente).

È anche data la possibilità di procedere, sempre durante la fase del primo accesso, a perquisizioni personali ed all’apertura coattiva di “pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili”; in queste ultime situazioni, però, l’art. 52 co. 3 del d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, prevede che “è in ogni caso necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina”. La ragione di tale previsione di legge è da ricercare nel fatto che quando l’esercizio dei poteri istruttori della pubblica amministrazione è destinato ad incidere su posizioni soggettive costituzionalmente garantite – i.e.: la libertà personale (art. 13 Cost.), l’inviolabilità del domicilio (art. 14 Cost.) e la segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.) (sul rapporto tra i poteri d’indagine invasivi e le libertà inviolabili si veda Viotto, I poteri d’indagine dell’Amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002) – è necessario ricorrere al vaglio di un’autorità terza ed indipendente che operi in funzione di garanzia. A completare il quadro delle guarentigie di colui che è sottoposto a verifiche fiscali, interviene infine lo Statuto dei diritti del contribuente – l. 27 luglio 2000, n. 212 – il cui art. 12 co. 2 introduce un obbligo di informazione del soggetto verificato, prevedendo espressamente che: “quando viene iniziata la verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche”.

Entrando nel vivo del tema, la più rilevante questione da sciogliere è dunque quella riferita a quale sia il livello ed il grado di tutela apprestato dal sistema interno ai diritti che entrano in gioco in caso di apertura di borse del contribuente in sede di accesso eseguito al fine di avviare una verifica fiscale, e la compatibilità di detto sistema con i canoni costituzionali ed europei. Risolto tale nodo, bisogna quindi interrogarsi sul valore da attribuire all’accondiscendenza del contribuente in ordine ad una limitazione dei suddetti diritti fondamentali e quale rilevanza abbia l’effettivo ricevimento della informazione circa la facoltà di farsi assistere da un professionista. Infine, si rende necessario valutare l’utilizzabilità in sede giurisdizionale della documentazione acquisita con inosservanza degli obblighi di garanzia a tutela del contribuente riconosciuti dalla disciplina in esame.

Su questi temi la giurisprudenza di legittimità aveva nel tempo assunto posizioni apparentemente divergenti. Per quanto concerne la questione della rilevanza del consenso prestato dal contribuente, un primo orientamento, minoritario, riteneva che i superiori principi costituzionali innanzi richiamati non possono in alcun modo essere derogati per effetto della consegna spontanea della documentazione custodita in una borsa, ove solo si consideri che essa non può “rendere legittimo un accesso operato al di fuori delle previsioni legislative e, comunque, perché l’eventuale consenso o dissenso dello stesso contribuente all’accesso, legittimo od illegittimo che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico non essendo richiesto e/o preso in considerazione da nessuna norma di legge” (così, da ultimo, Cass. civ., V Sez., ord. 11 aprile 2018 – 6 giugno 2018, n. 14701).

Un secondo orientamento, a dire il vero maggioritario, riteneva invece che l’autorizzazione del procuratore della Repubblica sia obbligatoria “soltanto nei casi di apertura coattiva, come testualmente recita la norma – e non anche quando l’attività di ricerca si svolga con la collaborazione del contribuente” (così Cass. civ., V Sez., ord. 17 novembre 2010 – 5 febbraio 2011, n. 2804), anche quando il consenso promana da un soggetto terzo, come ad esempio un dipendente della verificata (Cass. civ., V Sez., ord. 19 aprile 2018 – 4 ottobre 2018, n. 24306). Addirittura è stata ritenuta legittima l’acquisizione di documentazione quando essa interviene a seguito di un’apertura di borse avvenuta “non spontaneamente, comunque volontariamente” (Cass. civ., V Sez., ord. 15 settembre 2020 – 19 gennaio 2021, n. 737; sul tema si veda in ultimo Borgoglio, Utilizzabile dal Fisco la pen drive rinvenuta nella borsa aperta su richiesta, ma senza autorizzazione del P.M., in Il fisco, 2021, p. 870), ovvero quando l’apertura avvenga a seguito di una espressa richiesta da parte del personale dell’Amministrazione Finanziaria.

Seguendo tale interpretazione giurisprudenziale, il consenso del contribuente – sia esso espresso o tacito, inteso come mancata contestazione in sede di chiusura del processo verbale di constatazione – consentirebbe dunque di superare la mancanza dello strumento di garanzia (il controllo dell’autorità giudiziaria) specificatamente previsto dalla normativa in esame.

3. Le Sezione Unite, pur interpellate a rendere una pronuncia ai sensi dell’art. 374 co. 3 c.p.c., non hanno tuttavia ravvisato un effettivo contrasto tra i due indirizzi innanzi sommariamente ripercorsi: secondo la ricostruzione da esse elaborata, infatti, tali differenti posizioni si occuperebbero di fattispecie diverse e diversamente disciplinate dal legislatore. In particolare, i precedenti individuati con riguardo al primo indirizzo attengono ad ipotesi di perquisizioni personali o presso il domicilio del contribuente senza autorizzazione del pubblico ministero, rispetto alle quali il legislatore fiscale non ha appunto preso in considerazione il presupposto della mancata cooperazione del contribuente. Il suo consenso rileva invece nelle ipotesi contemplate dall’art. 52 co. 3 sopra richiamato che nel qualificare come coattiva l’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e simili rende necessaria l’autorizzazione del pubblico ministero. Così ricostruita l’ipotesi qui in esame, l’apertura coattiva si differenzia nettamente tanto dall’attività di perquisizione personale, pure presa in considerazione dal medesimo terzo comma dell’art. 52, quanto dalle altre potestà normate dallo stesso art. 52 in ragione del rilievo nel primo caso connesso alla cooperazione del contribuente.

Con la sentenza in commento, infatti, le Sezioni Unite individuano nell’art. 14 co. 3 Cost. il fondamento della riserva di legge che disciplina i poteri istruttori dei verificatori nel corso dell'accesso; in particolare  si rileva – § 5.19 – il fatto che in tema di “accertamenti ed ispezioni, il legislatore costituzionale abbia equiparato la materia fiscale a quelle incidenti su sanità e incolumità pubblica, di evidente e primaria rilevanza sociale, rende palese il particolare valore attribuito alla materia fiscale dal costituente, che ha appunto demandato al legislatore fiscale di regolarne presupposti e modalità in modo autonomo rispetto alle garanzie previste in tema di libertà personale”.

Ciò premesso, gli ermellini fissano – § 6.25 – in ordine al libero consenso del contribuente il seguente principio di diritto: “in tema di accertamento delle imposte, l'autorizzazione del procuratore della Repubblica all’apertura di pieghi sigillati, borse, casseforti e mobili in genere (…) è richiesta soltanto nel caso di ‘apertura coattiva’, e non anche ove l’attività di ricerca si svolga con il libero consenso del contribuente”. In ordine, invece, al consenso informato i giudici statuiscono – § 7.18 – il principio di diritto seguente: “ai fini della valida espressione del consenso alla apertura della borsa non è necessario che il contribuente sia stato informato della sussistenza di una previsione di legge che, in caso di sua opposizione, consente l’apertura coattiva solo previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, non rinvenendosi un obbligo in tal senso nell'art. 52 d.p.r. n. 633 del 1972 e neanche nella l. 212 del 2000, art. 12 co. 2”.

Ça va sans dire, il consenso non solo deve essere liberamente espresso ma esso deve addirittura da ritenersi mancante – o meglio, invalido – là dove determinato da coazioni implicite o ambientali: indotte cioè dalle modalità in concreto utilizzate dai verificatori e costituite, ad esempio, dalla minaccia di conseguenze sfavorevoli in caso di mancata consegna.

La questione, tuttavia, non è stata affatto definitivamente risolta.

Infatti, la Corte, pur riunita nel suo più autorevole consesso, rammenta in un laconico obiter dictum – § 5.13 ss. – l’ipotesi in cui la borsa oggetto di ispezione costituisce un elemento intrinsecamente collegato e posto a stretto contatto con la persona. In questo caso si deve infatti necessariamente applicare la ben più pregnante garanzia apprestata dall’art. 13 Cost. in tema di libertà personale. Tuttavia gli ermellini limitano successivamente – § 6.13 – la portata di tale garanzia solo al caso in cui la borsa sia indossata dal contribuente, e non anche quando essa venga semplicemente rinvenuta, in sede di accesso, negli spazi commerciali della verificata. In quest’ultimo caso non si applicherebbe il regime maggiormente garantistico apprestato dall’articolo 13 bensì quello reso dall’articolo 14 della Carta Costituzionale.

Rimane dunque scoperta tutta la casistica delle situazioni nelle quali la borsa, abitualmente indossata sulla persona, sia stata solo momentaneamente riposta e quindi rivenuta in sede di accesso negli spazi commerciali. Tale evenienza non è un caso di scuola ma proprio la situazione al centro della vicenda dell’ordinanza di rimessione alla Sezioni Unite che ha portato alla sentenza in commento e rappresenta una realtà che nella prassi quotidiana si verifica assai frequentemente e che riverbera – ove solo si pensi all’ingente mole di documenti digitalizzati che possono essere contenuti in supporti fisici facilmente riponibili in una borsa – un rilevante impatto sul successivo accertamento amministrativo.

È bene infatti ricordare che la dottrina è concorde nel ritenere come nel campo delle perquisizioni il termine “persona” non viene utilizzato come sinonimo di “corpo umano” ma si estende a tutti quegli oggetti – come abiti, borse, portafogli – che vengono adoperati nella vita di relazione sociale (ex aliis, Bargis, voce Perquisizione, in Dig. disc. pen., IX, 1995, p. 490). Dunque l’ispezione per finalità amministrativo-tributarie di una borsa altro non è altro che una perquisizione personale.

Ciò è stato chiarito senza ombra di dubbio dalla stessa Consulta (Corte cost., sent. 25 marzo 1987, n. 88, in Il Foro italiano, 1988, parte I, p. 381) secondo la quale “i contenitori portatili che ‘come mezzi di trasporto’ (…) trovano diretta copertura nelle garenzie dell'art. 13 Cost., sono soltanto quelli che attengono alla sfera della libertà personale, e perciò quelli che abitualmente sono portati sulla persona (come portafogli, portamonete etc.) o ad immediato contatto di essa (come borse, borselli e borsette): mentre dalle garenzie dell'art. 14 Cost. sono poi esclusi i mezzi di trasporto diversi da autovetture, roulotte etc. che non possono rientrare nel concetto costituzionalistico di ‘domicilio’.

Se la borsa costituisce dunque una estensione della persona in quanto è abitualmente indossata, una sua ispezione dovrebbe sempre essere assistita dalle medesime garanzie previste in sede di perquisizione personale per la quale la Suprema Corte ha ritenuto in ogni caso necessaria una preventiva autorizzazione del procuratore della Repubblica ovvero dell’autorità giudiziaria più vicina (Corte Cass., Sez. V, sent. 05 luglio 2005 – 19 ottobre 2005, n. 20253). Si noti che la Corte per intendere a quali contenitori portatili debba essere esteso lo standard più elevato delle garanzie utilizza l’avverbio abitualmente con ciò intendendo – chiaramente – di voler ricomprendere anche quelli che sono solo occasionalmente o temporaneamente deposti. A riprova della correttezza di tale interpretazione è opportuno ricordare come anche la Cassazione penale – in sede di valutazione di una condotta integrante il delitto di perquisizione personale abusiva ex art. 609 c.p. – ha esteso le garanzie del segreto professionale alla borsa di un legale riconoscendo che essa “costituisce una sorta di ‘proiezione spaziale’ di un ufficio legale, con la conseguenza che devono osservarsi, nel sottoporla a perquisizione, le guarentigie previste dall'art. 103 c.p.p., per i locali degli uffici dei difensori” (Corte Cass., Sez. V penale, sent. 15 dicembre 2016 – 20 febbraio 2017, n. 8031).

Da quanto innanzi detto deriva l’inutilizzabilità degli elementi probatori acquisiti come conseguenza dell’inviolabilità della “libertà personale” solennemente consacrata nell’art. 13 Cost., per il cui secondo comma “non è ammessa forma alcuna (...) di ispezione o perquisizione personale (...) se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”. Il consenso dell’avente diritto, infatti, non sanerebbe l’illegittimità dell’atto perché la mancata opposizione del perquisito non equivale ad un consenso alla perquisizione personale né rende quest’ultima legittima qualora essa venga operata al di fuori delle previsioni legislative; ad ogni modo è bene ribadire che l’eventuale consenso o dissenso del contribuente stesso alla perquisizione, legittima od illegittima che sia, è del tutto privo di rilievo giuridico, non essendo richiesto o preso in considerazione da nessuna norma di legge.

4. A sommesso parere di chi scrive, i principi di diritto distillati dalla Suprema Corte – pur all’apparenza ancorati ai solidi principi assiologici sanciti della Carta costituzionale – non appaiono però coerenti con una lettura della norma interna che sia convenzionalmente orientata.

I principi di diritto elaborati dalla Corte di Cassazione non sono infatti coerenti con l’evoluzione giurisprudenziale assunta in materia tributaria dalla Corte di Strasburgo. Anche se questa materia non rientra propriamente nel campo di applicazione della Convenzione (Corte EDU, Grande Camera, sent. 12 luglio 2001, ric. 44759/98, Ferrazzini c. Italia, §§ 23-31), la Corte di Strasburgo ha tuttavia riconosciuto il diritto di ogni individuo ad un equo processo anche nell’ambito di un’istruttoria tributaria: del resto è significativo che tale riconoscimento sia avvenuto proprio in un caso inerente un accesso domiciliare eseguito per l’apertura di una verifica fiscale (Corte EDU, III Sez, sent. 21 febbraio 2008, ric. 18497/03, Ravon c. Francia, per un cui commento si veda Marcheselli, La Cedu nel caso Ravon contro Francia: il problematico rapporto tra accessi e verifiche fiscali e giusto processo, in Riv. Giur. Trib., 2008, p. 746). In occasione di quel leading case, la Corte ritenne ammissibile il ricorso in quanto riconobbe il carattere “civile” della controversia – e dunque attratto nell’alveo dell’art. 6 co. 1 della Convenzione – in quanto concernente il diritto all’integrità ed all’inviolabilità del domicilio garantito dall’art. 8 della Convenzione, compromesso proprio dall’accesso per fini fiscali (sul tema, Perrone, Art. 6 della Cedu, diritti fondamentali e processo tributario: una riflessione teorica, in Riv. dir. trib., 2013, p. 919).

Poiché tale diritto può essere derogato, secondo il dettato della Convenzione, solo in presenza di una riserva di legge e secondo un criterio di proporzionalità, la Corte nel tempo ha avuto modo di chiarire che: le persone che subiscono una ispezione domiciliare devono ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, in fatto come in diritto, sulla regolarità della decisione che prescrive l’ispezione e, se del caso, sulle azioni intraprese sul suo fondamento; il ricorso esperibile deve consentire, in caso di contestazione di irregolarità, sia di prevenire la continuazione delle operazioni, sia, nei casi in cui l’operazione considerata irregolare abbia già avuto luogo, di fornire all’interesse un opportuno rimedio; infine, l’accessibilità del ricorso deve essere certa ed il controllo giurisdizionale deve avvenire entro un termine ragionevole (Corte EDU, sent. Ravon, cit. § 28; Corte EDU, V Sez, sent. 21 dicembre 2010, ric. 29408/2008, Société Canal Plus e a. c. Francia, § 40; Corte EDU, V Sez, sent. 21 dicembre 2010, ric. 29613/2008, Compagnie des gaz de pétrole Primagaz c. Francia, § 28; Corte EDU, V Sez, sent. 2 ottobre 2014, ric. 97/2011, Delta Pekárny a.s. c. Repubblica ceca, § 87).

Detto in altri termini, i contribuenti devono poter adire un organo terzo ed indipendente per ottenere una decisione sulla legittimità dell’agire dell’amministrazione finanziaria (Corte EDU, sent. Ravon, cit. § 27). Nella dimensione giuridica italiana tale organo potrebbe, di primo acchito, essere individuato nel procuratore della Repubblica, seguendo dunque la procedura tracciata dall’art. 52 co. 3 cit. che prevede come egli sia chiamato a rilevare preventivamente la presenza di quei gravi indizi di violazioni tributarie che, essi soli, possono legittimare una così forte ingerenza nella dimensione privata del contribuente.

Ma a ben vedere, nemmeno l’affidamento della valutazione al pubblico ministero potrebbe essere ritenuto adeguato dal Giudice di Strasburgo. La Corte EDU ha infatti avuto modo di affermare che proprio la legislazione italiana non prevede un controllo giurisdizionale ex ante sulla legalità e sulla necessarietà di una perquisizione, quantomeno in ambito penale; tale mancanza dovrebbe essere compensata da altre garanzie di natura tale da controbilanciare le imperfezioni legate all’emissione e, eventualmente, al contenuto dell’ordine di perquisizione. In concreto, la Corte ha osservato come la legislazione nazionale italiana non prevede un simile controllo ex ante nel quadro delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari. Non è infatti previsto che il pubblico ministero che emette un decreto di perquisizione chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione, e non è prevista alcuna forma di impugnazione del provvedimento se ad esso non consegue un sequestro di documentazione (Corte EDU, I Sez., sent. 27 settembre 2018, ric. 57278/11, Brazzi c. Italia, §§ 43 ss., per un commento Carrer, Il controllo effettivo sul mandato di perquisizione: l’Italia non passa l’esame CEDU, in Giurisprudenza penale web, 10 dicembre 2018). La giurisprudenza testè citata concerne il caso di una perquisizione penale per evasione fiscale ordinata dalla procura lo stesso giorno in cui era stata avviata un’indagine penale nei confronti del ricorrente a seguito di un tentativo delle autorità inquirenti di effettuare ricerche nell’ambito di un controllo fiscale amministrativo; la perquisizione, in quel caso, non aveva permesso di raccogliere prove a carico del contribuente ed il procedimento è stato successivamente archiviato dal giudice per le indagini preliminari che non ha minimamente esaminato né la necessità né la legittimità  del decreto di perquisizione, essendosi limitato ad accogliere la domanda del procuratore di chiudere il procedimento. Per porre un rimedio a tale vulnus il Parlamento ha delegato il Governo ad introdurre – ai sensi dell’art. 1 co. 24 della l. 27 settembre 2021, n. 134 – nel codice di procedura penale il diritto dell’indagato, e dei soggetti terzi comunque interessati, di proporre opposizione al giudice per le indagini preliminari avverso il decreto di perquisizione cui non consegua un provvedimento di sequestro.

Ma, mutatis mutandis, ciò si verifica anche nel caso degli accessi domiciliari per finalità tributarie autorizzate dal procuratore che non esitano nella contestazione di una maggiore imposta dovuta. L’atto emesso dal procuratore ha, infatti, natura amministrativa (Corte cass., Sez. V, ord. 19 settembre 2017 – 11 ottobre 2017, n. 23824), ma è sindacabile da parte del giudice tributario quanto al suo contenuto solo nel caso in cui dalla verifica fiscale – che è atto endoprocedimentale – dovesse originarsi un atto autonomamente impugnabile (Corte cass., Sez. V, sent. 11 giugno 2009 – 16 ottobre 2009, n. 21974).

Nella presente questione rilevano, però, anche profili di diritto eurounitario, stante l’applicazione della potestà de qua anche all’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto (sul punto si veda Bolis, “Obiettiva connessione tra illeciti amministrativi e reati tributari: una soluzione alla vexata quaestio del ne bis in idem?”, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, pp. 383-432). È infatti ormai pacifica l’applicazione dei diritti contemplati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione al processo tributario (da ultimo Cass. civ., VI Sez., ord. 9 - 28 settembre 2020, n. 20358) una cui eventuale limitazione è sì legittima, in virtù dell’art. 52 co. 1 della Carta, ma solo a condizione che essa sia prevista dalla legge e rispetti “il contenuto essenziale di detti diritti e libertà”. Inoltre, queste limitazioni devono rispettare anche il principio di proporzionalità e possono essere introdotte “solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” (sul tema, Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’I.V.A. Europea, Pisa, 2012).

Così argomentando, al contribuente dovrebbe essere in ogni caso riconosciuta la facoltà di eccepire la violazione dei propri diritti fondamentali, rimettendo al giudice tributario la cognizione incidentale della liceità del mezzo di prova adoperato dall’amministrazione finanziaria per acquisire gli atti a sostegno dell’accertamento (sul punto, Miscali M., Documentazione illecitamente acquisita e tutela giurisdizionale nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 2012, p. 759).

5. In conclusione, la pronuncia delle Sezioni Unite in commento pare non riconoscere un’adeguata tutela al contribuente che subisce, nonostante il proprio consenso, l’apertura di borse e simili abitualmente portate sulla propria persona da parte dell’amministrazione finanziaria, in sede di primo accesso per l’avvio di una verifica fiscale.

Un’interpretazione convenzionalmente orientata del terzo comma dell’art. 52 del decreto I.V.A. imporrebbe infatti l’intervento di un vaglio giurisdizionale, sia ex ante che ex post intervento, circa la necessarietà e la proporzionalità di un’ispezione amministrativa che quando si estende ad un bene così intimamente connesso all’individuo diviene a tutti gli effetti una perquisizione personale.

Qualora tale interpretazione conforme non fosse tuttavia possibile – poiché il testo di legge prevede espressamente che il pubblico ministero intervenga solo in presenza di un’apertura coattiva – non rimane che sollevare una questione di costituzionalità per vagliare il necessario bilanciamento tra i due primari valori costituzionali in gioco, la libertà personale e l’interesse fiscale, coerentemente con la giurisprudenza europea in materia. Infatti “le norme della CEDU, nell’interpretazione loro attribuita dalla Corte di Strasburgo, costituiscono norme interposte ai fini della verifica del rispetto dell’art. 117, co. 1, Cost.: con la conseguenza che, ove il giudice ravvisi un contrasto, non componibile per via di interpretazione, tra una norma interna e una norma della Convenzione, egli non può disapplicare la norma interna, ma deve sottoporla a scrutinio di costituzionalità in rapporto al parametro dianzi indicato” (Corte Cost., sent. 7 marzo 2011, n. 80, per un commento Cannizzaro, Diritti "diretti" e diritti “indiretti”: i diritti fondamentali tra Unione, CEDU e Costituzione italiana, in Il diritto dell'Unione Europea, 2012, p. 23).