argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, in relazione all’eccezione del beneficium excussionis sollevata dal socio coobbligato sussidiario nel giudizio tributario avente ad oggetto una cartella di pagamento relativa al debito fiscale di una società in nome collettivo, stabilisce che la sussistenza di uno stato di liquidazione e scioglimento della società debitrice non fa venire meno l’onere della prova di preventiva escussione del patrimonio societario.
» visualizza: il documento ()PAROLE CHIAVE: beneficio d’escussione - onere della prova - cartella di pagamento - scioglimento
di Lorenzo Pennesi
La sentenza annotata, a questo proposito, si inserisce nel solco del vivace dibattito giurisprudenziale relativo alle chances difensive vantate dal socio rispetto alla notifica di una cartella di pagamento afferente alla posizione fiscale della società.
Si tratta di una fattispecie sulla quale è intervenuta di recente, con una attenta ricostruzione delle problematiche sottese, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 28709 del 16 dicembre 2020, alle cui condivisibili conclusioni la pronuncia qui in commento si ispira (per un approfondimento si veda MERCURI, Sul beneficium excussionis in relazione a debiti tributari nei rapporti fra società di persone e soci secondo le Sezioni Unite, in Riv. Dir. Trib. Online, 2021).
Invero, la vicenda in esame trae origine dalla notifica di una cartella di pagamento ad un socio di una s.n.c. posta in stato di liquidazione, in forza di un rapporto di coobbligazione solidale conseguente al mancato versamento, da parte dell’impresa societaria, dell’imposta unica sulle scommesse.
La Suprema Corte viene chiamata a giudicare, tra le varie questioni sollevate dal ricorrente, sulla legittimità della scelta operata dai giudici di merito di negare il beneficio di preventiva escussione al socio in ragione della fase di liquidazione e scioglimento in cui versava la società, equiparata di fatto ad una condizione di incapienza patrimoniale.
In specie, nelle società semplici, ove è impossibile per il creditore sociale constatare la consistenza patrimoniale dell’impresa, il beneficio di preventiva escussione risulta attenuato; il creditore ha facoltà di aggredire direttamente il socio e quest’ultimo può paralizzare l’azione esecutiva del creditore solo “in via di eccezione”, con l’indicazione dei beni della società su cui indirizzare l’azione esecutiva.
Diversamente, nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice, ove vige un più stringente regime di pubblicità, il beneficio di preventiva escussione assume contorni netti giacché il creditore è ex lege obbligato, in via preventiva, a escutere tale patrimonio, ad eccezione dei soli casi in cui sia desumibile, da circostanze oggettive e comprovate, che l’aggressione si rivelerebbe infruttuosa, in tutto o in parte.
Il tema è stato oggetto di un acceso contrasto giurisprudenziale, incentrato sulle specificità della procedura di riscossione tributaria rispetto alla ordinaria esecuzione civilistica (si veda, a tal proposito, RANDAZZO, Alle Sezioni Unite il nodo sulla riscossione del socio per il tributo della società di persone, in Corr. Trib., 2020, 90).
Il nodo del problema era rappresentato dalla difficoltà di ammettere l’eccezione relativa al beneficio di preventiva escussione, tipicamente correlato all’opposizione alla fase esecutiva ex art. 615 c.p.c., nell’ambito del giudizio di impugnazione della cartella di pagamento la cui notifica, come noto, non rappresenta un atto dell’esecuzione in senso stretto (rispetto a tale ultimo profilo, si rimanda a ODOARDI, Il processo esecutivo tributario, Roma, 2012).
Se per un primo indirizzo, in realtà dominante, il beneficium excussionis atterrebbe esclusivamente alla fase esecutiva e non dovrebbe rientrare nella cognizione del giudice tributario, per un altro orientamento, più recente, tale beneficio dovrebbe invece di essere opposto all’Agente della riscossione nella prima difesa utile e già, quindi, nel giudizio di impugnazione della cartella di pagamento, conformemente alle limitazioni temporali previste dalla legge per veder riconosciuta la nullità degli atti procedimentali (per il primo orientamento, si veda Corte Cass., Sez. V, 16 giugno 2016, n. 12494; per il secondo, Corte Cass., Sez. V, 27 settembre 2018 n. 23260).
L’impasse è stato superato dalla citata sentenza n. 28709 del 16 dicembre 2020, pronunciata a Sezioni Unite, ove i giudici di legittimità hanno stabilito il diritto del coobbligato sussidiario di avvalersi di un ampio fascio di strumenti difensivi nei confronti del credito tributario espresso dalla cartella di pagamento, non essendo tollerabile che egli debba attendere il primo atto dell’esecuzione – abitualmente, il pignoramento – prima di poter reagire alla pretesa fiscale azionata dall’Agente della riscossione.
Ciò, nella prospettiva adottata dalle Sezioni Unite, in quanto il socio illimitatamente responsabile è obbligato per i debiti sociali (e, quindi, anche fiscali) al pari della società, trattandosi di una obbligazione definita “da posizione”, che scaturisce direttamente dalla legge (in dottrina, sulla responsabilità fiscale del socio, BASILAVECCHIA, Ruolo di imposta, in Enc. Dir., 1989).
L’ente impositore ha quindi facoltà di notificare l’atto impositivo solo alla società, non esistendo alcuna necessità di instaurare un simultaneus processus con i soci, i quali saranno destinatari, ai sensi dell’art. 25 del d.p.r. n. 602/1973, della successiva cartella di pagamento o dell’intimazione di pagamento, recante il ruolo reso esecutivo nei confronti dell’obbligato principale ed efficace anche verso i debitori sussidiari.
Da questo schema operativo, tipico della procedura di riscossione tributaria, consegue che, solo attraverso la tempestiva impugnazione della cartella o dell’intimazione di pagamento (e quindi del ruolo ivi indicato), il socio ha facoltà di contestare, per la prima volta, il diritto dell’Agente della riscossione di procedere ad esecuzione forzata.
Tale contestazione, secondo le Sezioni Unite, deve così assumere una ampiezza in grado di garantire al socio una tutela piena e completa, analoga a quella cui avrebbe diritto in un contenzioso di natura prettamente civilistica, stante l’esigenza - costituzionalmente rilevante in ogni branca dell’ordinamento giuridico - di salvaguardare una eventuale indebita invasione della sfera giuridica personale.
Il socio può avvalersi delle medesime difese di cui gode sul piano civilistico, potendo eccepire non solo l’inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo, ovvero del credito in esso cristallizzato, ma anche l’improcedibilità dell’azione esecutiva, per non aver l’Amministrazione finanziaria preventivamente escusso il patrimonio proprio della società personale (si veda sul tema, in chiave critica circa l'applicazione del beneficio nella riscossione tributaria, PAPARELLA, Spunti in tema di azioni esecutive e questioni processuali nella solidarietà tributaria con particolare riferimento al beneficio di escussione, in Dialoghi di dir. trib., 2006, 20; più di recente, VENTRELLA, L’opponibilità del beneficium excussionis da parte del socio (sin) dalla notifica della cartella di pagamento. Il chiarimento delle Sezioni Unite, tra natura processuale del beneficio e inquadramento sostanziale del procedimento (impo)esattivo, nel prisma della responsabilità del socio di società personale, in Dir. prat. trib., 2021, 1837 ss.).
In specie, ed è l’aspetto che assume maggiore rilievo nelle considerazioni sviluppate dalla sentenza qui annotata, il baricentro della questione si sposa proprio sul piano dell’onus probandi, facente capo al creditore procedente (e quindi all’Amministrazione finanziaria) a norma del disposto dell’art. 2304 c.c.
Si ricorda, a tal proposito, che il creditore procedente non ha affatto l’obbligo di dar luogo, in ogni caso, alla preventiva escussione della società debitrice, ben potendo astenersi da questa attività ove vi siano indici certi circa l’incapienza del patrimonio sociale.
Invero, il regime di pubblicità che connota il tipo societario della società in nome collettivo pone il creditore nella condizione di poter saggiare, anche mediante una mera interrogazione del Registro imprese, la solidità patrimoniale dell’impresa debitrice e così evitare, in presenza di una conclamata condizione di dissesto finanziario, l’esperimento di dispendiose e inutili azioni esecutive verso la società (VIDIRI, Sull’ambito applicativo del beneficium excussionis nelle società di persone, in Giust. civ., 1994, I, 1820).
Senonché è proprio l’esatta individuazione dell’indice di incapienza patrimoniale a rappresentare una res dubia per l’interprete, non rivenendosi nella legge alcun riferimento di diritto positivo che possa risultare utile a meglio definirne il perimetro e la consistenza.
Sul punto, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha costantemente mostrato di preferire una ripartizione dell’onere della prova estremamente rigida tra Fisco e contribuente, richiedendo al creditore procedente di fornire una prova certa e oggettiva, sul piano fattuale, in ordine alla dichiarata insufficienza dei beni sociali nel soddisfacimento del debito fiscale (CARINCI, La riscossione nei confronti dei soci dei debiti della società alla prova del “beneficium excussionis”, in Corr. Trib., 2016, 2913).
La mera dichiarazione di fallimento dell’impresa, in questa prospettiva, è stata reputata inidonea a rappresentare un “indice certo di incapienza patrimoniale”, sulla scorta che, per effetto dei privilegi riconosciuti al Fisco e della consistenza dello stato attivo del bilancio fallimentare, l’impresa potrebbe essere comunque in grado di estinguere l’obbligazione tributaria; analogamente, anche l’infruttuoso esperimento di un singolo atto di esecuzione forzata, come nel caso di un pignoramento presso terzi, è stato ritenuto non rilevante per escludere il beneficio di preventiva escussione giacché l’impresa societaria ben potrebbe disporre di altri cespiti di valore (si veda, ex multis, Corte Cass., Sez. IV., 03 marzo 2011, n. 5136).
Ne consegue che, al fine di escutere in via diretta il patrimonio personale del socio, l’onus probandi incombente in capo all’Amministrazione finanziaria si rivela sensibilmente elevato, attestandosi su prove materiali connotate da un massimo grado di attendibilità.
In questa prospettiva, è da reputarsi prova adeguata, ad esempio, l’esibizione da parte del creditore procedente dello stato passivo elaborato in sede di procedura concorsuale e risultante dagli accertamenti del giudice fallimentare, dal quale emerga una marcata condizione di dissesto finanziario, ostativa a qualsivoglia soddisfazione del carico debitorio ovvero la definitiva cancellazione della società dal Registro imprese (così, Corte Cass., Sez. V, 17 marzo 2021, n. 7545).
Si tratta di una valutazione del tutto condivisibile se sol si riflette sulla funzione svolta dalla procedura di liquidazione societaria che, come noto, costituisce lo strumento elaborato dalla legge per procedere alla definizione dei rapporti giuridici pendenti dell’impresa collettiva, finalizzata alla sua dismissione, una volta che sia intervenuta una causa di scioglimento (FIMMANO’, Cancellazione ed estinzione delle società di persone, in Riv. Not, 2013, 279).
In specie, attraverso la predetta procedura, muta il fine sostanziale cui tende l’assetto societario, non più rappresentato dal lucro d’impresa ma dalla estinzione, con funzione satisfattiva, dei rapporti giuridici pendenti, così da addivenire alla successiva cancellazione dal Registro imprese.
Ne consegue, come è dato desumere implicitamente dalle argomentazioni della Suprema Corte, che la procedura di liquidazione non coincide con una conclamata condizione di dissesto, tale da escludere il beneficio di preventiva escussione, giacché tale stato può essere assunto anche da una società che si trovi in bonis ma che, per diverse ragioni, viene condotta alla cessazione dell’attività d’impresa (ad esempio per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto sociale).
Peraltro, anche ove la liquidazione della società sia giustificata da una condizione di crisi finanziaria, non appare legittimo - sic et simpliciter - ritenere che vi sia una condizione di incapienza patrimoniale, ben potendo la società disporre di sufficienti risorse economiche, ovvero di cespiti materiali, per estinguere le obbligazioni contratte.
Appare quindi corretta la soluzione adottata dalla sentenza in commento, ove si ritiene non rispettato l’onere della prova da parte dell’Amministrazione finanziaria che, lungi dal dimostrare l’impossibilità di realizzare il credito in capo alla società, si è limitata ad addurre la mera esistenza di uno stato liquidatorio.
Quest’ultimo non rappresenta infatti una fase patologica della vita societaria, dalla quale desumere l’inconsistenza patrimoniale dell’impresa collettiva, costituendo al contrario un momento fisiologico, peraltro puntualmente disciplinato, di definizione ed estinzione dei rapporti obbligatori pendenti (in termini analoghi COTTINO, WEIGMANN, Le società di persone, in Società di persone e consorzi, in Tratt. Cottino, III, Padova, 2004).
Confermata dunque l’esperibilità del beneficium excussionis nel giudizio di impugnazione avverso una cartella di pagamento, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per offrire un importante e condivisibile chiarimento in ordine alla ripartizione dell’onere della prova tra creditore e debitore rispetto al beneficio di preventiva escussione del patrimonio societario, dando evidenza di come l’Amministrazione finanziaria, ove voglia invadere in via diretta ed immediata la sfera patrimoniale personale del socio di una s.n.c., sia chiamata ad esibire prove solide ed evidenze fattuali in ordine alla incapienza patrimoniale dell’obbligato principale
Appurato che incombe in capo all'Amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare l'impossibilità di agire in via esecutiva sul patrimonio del debitore principale, è lecito domandarsi come tale prova possa essere offerta nell'ambito della cartella di pagamento che, oltre ad essere sovente il primo ed unico atto notificato al socio coobbligato, è notoriamente connotata da una struttura snella e sintetica, di primo acchito (apparentemente) inidonea a veicolare la prova di cui si è dinanzi discusso.
A questo proposito, come confermato dalla dottrina e, a più riprese, dalla più recente giurisprudenza di legittimità, preme evidenziare che anche la cartella di pagamento soggiace all'obbligo di motivazione di cui all'art. 7 di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, il quale deve essere debitamente adattato al grado di conoscenza che il contribuente possiede rispetto al credito che viene fatto valere con tale atto e alla sua azionabilità in sede di esecuzione coattiva (così Corte Cass., Sez. V, 24 ottobre 2019, n. 27271; Corte Cass., Sez. V, 05 novembre 2021, n. 31960 con commento di MICELI, La motivazione della cartella di pagamento sugli interessi e il valore dell'effettività giuridica, in Giustizia Insieme, 2022).
Pertanto, pur essendo pacifico che la cartella di pagamento non debba ripercorrere le argomentazioni poste alla base dell'atto impositivo da cui trae origine il credito tributario, essa dovrà nondimeno trasmettere al contribuente tutte le informazioni utili a valutare la legittimità del credito azionabile, in specie se riferite ad elementi o circostanze non esposte nell'atto previamente notificato (al debitore principale).
Ne consegue che è proprio l'impianto motivazionale della cartella di pagamento notificata al socio di una s.n.c. a dover accogliere, seppur in maniera concisa, la prova della preventiva escussione del patrimonio societario o della sua incapienza, essendo questa la sede più opportuna, in un'ottica di effettiva tutela degli interessi del contribuente e delle sue chances difensive, in cui illustrare le ragioni poste alla base dell'agire amministrativo.