Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
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13/06/2022 - Illegittimità della procedura di liquidazione automatizzata delle imposte risultanti dall’applicazione della normativa in materia di società di comodo

argomento: IRES - Giurisprudenza

La Suprema Corte ha ritenuto illegittima l’emissione di una cartella di pagamento, a seguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, volta a contestare le maggiori imposte determinate in applicazione della normativa sulle cd. società di comodo, nel caso di mancato superamento del test di operatività.

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PAROLE CHIAVE: controllo automatizzato - cartella di pagamento - societa di comodo - test di operatività


di Ernesto Marco Bagarotto

  1. L’ordinanza, 29 dicembre 2021, n. 41480 affronta un caso in cui l’Amministrazione finanziaria ha adottato la procedura disciplinata dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 (cd. controlli automatizzati) per richiedere maggiori imposte determinate in applicazione della normativa sulle cd. società di comodo (o società non operative), contenuta nell’art. 30 della L. n. 724/1994, ad un contribuente che non aveva superato il cd. test di operatività.

Il contribuente impugnava la cartella di pagamento ricevuta, contestando, tra le altre cose, l’illegittimità della procedura seguita dall’Amministrazione finanziaria, ritenendo che questa avrebbe potuto muovere la propria contestazione solamente mediante avviso di accertamento.

Nei primi due gradi di giudizio le doglianze del contribuente venivano respinte.

Il contribuente, pertanto, proponeva ricorso per cassazione invocando – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

  1. Come noto, l’art. 30 della L. n. 724/1994 prevede che si considerino non operative le società che – assumendo i dati medi dell’esercizio e del biennio precedente – conseguono componenti positivi di reddito inferiori a quelli risultanti dall’applicazione di indici percentuali, ricompresi tra il 2% ed il 15%, al valore degli asset In caso di mancato superamento di tale “test di operatività”, lo stesso art. 30 introduce la presunzione che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore all'ammontare della somma degli importi derivanti dall'applicazione, ai valori dei citati asset, di ulteriori indici percentuali, ricompresi tra l’1,50% ed il 12%, nonché talune limitazioni in materia di riporto e compensazione delle posizioni di credito IVA.

Si tratta di una norma che – nonostante la possibilità di fornire la prova contraria, anche mediante istanza di interpello – è stata fortemente criticata, in particolare alla luce del meccanismo di funzionamento dell’istituto, incentrato sull’applicazione di coefficienti rigidi, del tutto inidonei a stimare il reddito effettivo del contribuente (per tutti, vd. TOSI L., Le società di comodo, Padova, 2009, part. p. 10 e NUSSI M., La disciplina impositiva delle società di comodo tra esigenze di disincentivazione e rimedi incoerenti, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2010, p. 491).

  1. Considerata la semplicità del meccanismo regolato dall’art. 30 della L. n. 724 del 1994 (come visto, incentrato sull’applicazione di indici percentuali ai valori di bilancio) in taluni casi, come quello oggetto della pronuncia commentata, l’Amministrazione finanziaria ha richiesto al contribuente le maggiori imposte derivanti dall’applicazione del citato art. 30, non mediante l’ordinaria procedura accertativa, bensì attraverso un controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. In tali casi, dunque, il contribuente si vedeva recapitare, prima, un avviso bonario contenente l’invito ad autoregolarizzare la propria posizione e, poi, una cartella di pagamento sinteticamente motivata, con la richiesta delle maggiori imposte conteggiate sul reddito minimo determinato ai sensi dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994.
  2. A tal proposito, si deve ricordare che l’art. 36-bis prevede che la procedura automatizzata sia applicabile per: a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili e delle imposte; b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte risultanti dalle precedenti dichiarazioni; c) ridurre le detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni; d) ridurre le deduzioni dal reddito esposte in misura superiore a quella prevista dalla legge; e) ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione; f) controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti delle imposte dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta.

Tali fattispecie riguardano dati oggettivi che non richiedono l’effettuazione di particolari sforzi interpretativi, concretizzandosi nella correzione di errori di calcolo [lettere a) e b)], nel recupero delle deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta indicati per importi che superano i limiti massimi stabiliti dal legislatore [lettere c) d) ed e)] e nella richiesta delle imposte dichiarate ma non versate [lett. f)].

Ebbene, alla luce della specialità della procedura regolata dall’art. 36-bis e della minor tutela che questa garantisce al contribuente, si ritiene che le ipotesi sopra elencate siano tassative [il punto è pacifico sia in dottrina sia in giurisprudenza: tra i molti, vd. DE MITA E., Peggio del «solve et repete»: paghi e non hai tutela, in Boll. trib., 1988, p. 1080; MARONGIU G., Le iscrizioni a ruolo non precedute da accertamento e le pesanti, pratiche conseguenze, in Dir. prat. trib., 1993, II, p. 60 ss; LA ROSA S., Accertamento tributario, in Digesto disc. priv. (sez. comm.), I, cit., p. 8; SCHIAVOLIN R., Limiti di applicabilità dell’art. 36 bis, D.P.R. n. 600/1973, in Riv. giur. trib., 1994, p. 1167. In giurisprudenza vd. l’ordinanza della Corte Costituzionale 7 aprile 1988, n. 430 e le sentenze della Corte di Cassazione 20 novembre 1989, n. 4958; 25 settembre 1990, n. 9692; 1° marzo 1991, n. 2174; 29 marzo 1996, n. 2958; 12 settembre 1997, n. 9031; 17 luglio 1999, n. 7593; 17 marzo 2000, n. 3119; 2 novembre 2005, n. 21274; 19 luglio 2006, n. 16512; 15 giugno 2007, n. 14019; 6 agosto 2008, n. 21176].

  1. Così stando le cose, non può ritenersi legittima l’adozione della procedura automatizzata per accertare maggiori redditi a seguito del mancato superamento del cd. test di operatività. Ed infatti, solamente nell’ambito dell’ordinaria procedura accertativa è possibile appurare la sussistenza di prove contrarie e, in particolare, di «oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento» dei componenti positivi richiesti per superare il test di operatività (art. 30, comma 4-bis, della L. n. 724/1994). Ciò vale a maggior ragione se si considera che la natura presuntiva del meccanismo regolato dal citato art. 30 rende (al pari di quanto avviene in materia di studi di settore, in particolare a seguito delle note sentenze della Corte di Cassazione a SS.UU. 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637, 26638) fondamentale l’attivazione del contraddittorio anticipato, con conseguente obbligo di specifica motivazione nel provvedimento impositivo in caso di mancato accoglimento degli elementi giustificativi eventualmente addotti dal contribuente in tale sede. E la procedura “naturale” affinché sia possibile seguire un simile iter è quella ordinaria, che si conclude con l’emissione di un avviso di accertamento.
  2. È, perciò, pienamente condivisibile l’ordinanza commentata, che ha accolto il ricorso del contribuente, evidenziando che l’emissione di una cartella di pagamento ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 è ammissibile solo se «fondata su un controllo meramente cartolare», «solo se l'importo scaturisca da un controllo meramente formale dei dati forniti dallo stesso contribuente o da una mera correzione di errori materiali o di calcolo, ma non quando … presuppone la risoluzione di questioni giuridiche», come accade nel caso in cui il contribuente non superi il cd. test di operatività.
  3. Come già rilevato in passato dalla stessa Suprema Corte, infatti, il risultato dell’applicazione del meccanismo regolato dal citato art. 30 della L. n. 724/1994 costituisce un dato “meramente presuntivo”, rispetto al quale il contribuente può fornire la prova contraria e «dimostrare l'esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto» (così Cass., 29 dicembre 2020, n. 29734; nello stesso senso vd. Cass., 12 dicembre 2016, n. 25472).
  4. Del resto, la stessa ordinanza ha dato atto che l’Amministrazione finanziaria avrebbe “preannunciato” un annullamento in autotutela (poi non perfezionatosi), anche alla luce di un atto di indirizzo interno (direttiva n. 8/2013, del 12 febbraio 2013) che invitava ad abbandonare le «controversie instaurate avverso cartelle di pagamento emesse dagli uffici a seguito di controllo automatizzato delle dichiarazioni per recuperare le imposte dovute sul reddito "minimo" delle società "non operative"", sul rilievo che "la contestazione relativa all'omesso adeguamento al reddito "minimo" deve trovare la sua naturale sede nella fase di accertamento e non in quella di liquidazione della dichiarazione"».
  5. Si può perciò confidare che l’Amministrazione abbandoni definitivamente l’utilizzo della procedura “automatizzata” per le contestazioni in materia di società di comodo.

Non resta ora che sperare in un nuovo intervento del legislatore – più incisivo rispetto a quello che ha fatto seguito alla delega contenuta nell’art. 12 della L. n. 23 del 2014, con cui era stata richiesta la «revisione, razionalizzazione e coordinamento» della normativa in argomento – che renda la disciplina in materia di società di comodo maggiormente ragionevole e selettiva.