Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

26/02/2021 - L’operatività dell’istituto del ravvedimento operoso successivo alla notifica di un processo verbale di constatazione contenente la contestazione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti di cui all’art. 2 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74

argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi

La recente estensione alle fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del medesimo decreto, ha riproposto i dubbi operativi relativi all’utilizzo dell’istituto del ravvedimento successivo alla notifica di un processo verbale di constatazione. Alla luce di questa ulteriore modifica normativa, non appare più sostenibile quell’interpretazione di prassi amministrativa che nega l’operatività del ravvedimento nei casi di condotte fraudolente.

PAROLE CHIAVE: ravvedimento operoso - PVC - dichiarazione fraudolenta


di Michele Rossi

L’art. 39, co. 1, lett. q-bis) del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 convertito con modificazioni dalla Legge 19 dicembre 2019, n. 157, ha esteso la non punibilità di cui all’art. 13, comma 2 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 alle fattispecie della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e della dichiarazione fraudolenta medianti altri artifici.

L’estensione delle fattispecie di non punibilità va ad integrare quella disciplina secondo cui, i reati previsti dal suddetto art. 13 sono estinti se l’autore, prima di avere avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o di qualsiasi attività di accertamento o di procedimenti penali, abbia provveduto mediante ravvedimento operoso o anche tramite presentazione della dichiarazione omessa, all’integrale pagamento dei debiti tributari compresi di sanzioni ed interessi.

Nel caso in cui, invece, il pagamento di cui sopra avvenga in un momento successivo all’inizio di un’attività istruttoria amministrativa o giurisdizionale, ma comunque antecedente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’art. 13-bis, comma 1, del medesimo decreto, prevede un’attenuante della pena che può arrivare fino alla metà della sanzione edittale. In pari misura, il comma secondo del medesimo art. 13-bis, subordina l’operatività dell’istituto processuale del patteggiamento all’integrale pagamento degli importi dovuti, nonché all’esercizio del ravvedimento operoso.

Alla luce di questa estensione delle cause di non punibilità, si pone ancora una volta la questione inerente all’operatività in tale ambito normativo del ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

Nel caso che qui interessa, ci si interroga in particolare in merito all’operatività del ravvedimento operoso successivo alla notifica di un processo verbale di constatazione contenente la contestazione di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti.

Sul punto, l’amministrazione finanziaria, con la circolare del 10 luglio 1998 n. 180 ha di fatto sempre negato la facoltà di riconoscere l’operatività del ravvedimento i tutti quei casi in cui fosse contestato non già un errore colposo, bensì una condotta fraudolenta che, inevitabilmente, è contraddistinta dal rendere maggiormente gravoso il lavoro dei verificatori relativamente alla sua scoperta. Alla base di questa impostazione, si è sempre fatto riferimento alla lettera dell’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e, in particolar modo, al fatto che tutte le fattispecie ivi disciplinate si fondano sull’esistenza di un precedente “errore” sicché, al ricorrere fra l’altro della fattispecie della 

dichiarazione fraudolenta mediante l’uso fatture per operazioni inesistenti, non si riteneva possibile che fosse stato commesso un semplice “errore”, o tantomeno una “omissione”, da parte di chi abbia emesso o utilizzato una fattura a fronte di un’operazione inesistente. Di conseguenza, una simile interpretazione del lemma “errore”, limita di fatto l’ambito di operatività del ravvedimento esclusivamente a quelle condotte prive della volontarietà della condotta. Sta di fatto che, l’impossibilità per l’amministrazione finanziaria di riconoscere l’operatività del ravvedimento operoso finalizzato alla rimozione di “errori” suscettibili di fraudolenza, non trova alcun supporto in nessuna previsione normativa esplicita (In argomento v., in particolare: Melis, La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario, Rass. Trib., 2016, 3, 589. Bonifacio, I reati tributari (2016 - 2019) parte seconda, Dir. e Prat. Trib., 2020, 2, 752. Allegretti, L’emendabilità di errori e omissioni della dichiarazione in sede contenziosa, Dir. e Prat. Trib., 2018, 2, 736. Gallo, La verifica fiscale tra poteri autoritativi e diritti di partecipazione, Rass. Trib., 2019, 3, 465. Fransoni, La dichiarazione fra orientamenti amministrativi e giurisprudenziali, Rass. Trib., 2016, 4, 973. Carinci, Il principio di specialità nelle sanzioni tributarie: tra crisi del principio e crisi del sistema, Rass. Trib., 2015, 2, 499. Mazza, I controversi rapporti fra processo penale e tributario, Rass. Trib., 2020, 1, 233).

Il Decreto fiscale collegato alla Legge di bilancio 2020 (D.L. n. 124/2019), avendo introdotto la possibilità di conseguire la non punibilità penale mediante il ravvedimento operoso di tipo preventivo anche per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture o altri artifici, ha cambiato notevolmente il quadro normativo di riferimento. Questo perché il legislatore, disciplinando gli effetti penali del ravvedimento delle condotte fraudolente tanto antecedentemente, quanto successivamente alla formale conoscenza dell'avvio delle indagini, ne ha esplicitamente avallato la sua operatività anche e soprattutto per quanto riguarda il versante amministrativo sicché, mediante tale istituto, è oggi possibile sanare tutte quelle violazioni fiscali di carattere amministrativo integranti i delitti di dichiarazione fraudolenta di cui agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 74/2000.

Se infatti col decreto fiscale il legislatore ha esteso anche ai delitti di cui agli artt. 2 e 3, D.Lgs. n. 74/2000 la causa di non punibilità precedentemente limitata solamente ad alcune fattispecie, così ritenendo sufficiente ad attenuare il disvalore dell'illecito anche relativamente a gravi condotte di frode punite con una pena fino ad otto anni di reclusione, il tardivo pagamento dei tributi, anche nelle forme del ravvedimento effettuato in una fase successiva all’inizio di specifiche attività istruttorie, deve essere ritenuto pienamente operativo in ragione di una necessaria e ragionevole coerenza sistemica che deve necessariamente sussistere fra l’ambito penale e quello amministrativo.

Di conseguenza e, in base quanto precedentemente riferito, appare in maniera abbastanza univoca l’intenzione del legislatore di utilizzare l’ambito tracciato dal diritto penale in un’ottica che vede l’esercizio dell’azione penale quale componente funzionale a specifici interessi di esazione erariale.

Ad ulteriore riprova di ciò, è necessario considerare che il sistema sanzionatorio operativo in ambito tributario, è chiaramente ispirato ai principi generali di diritto penale per cui, se il ravvedimento è un istituto mutuato da tale ambito normativo, deve necessariamente mutuarne lo spirito dimodoché, l’errore di cui parla l’art 13 del D.Lgs. 472/97, possa essere interpretato non già esclusivamente rispetto alla sua forma colposa, bensì come difformità rispetto al paradigma normativo di riferimento.

A ciò si aggiunga che, l’estensione per determinati reati operata dall’art.13-bis dell’operatività delle circostanze attenuanti a seguito di ravvedimento operoso intervenuto successivamente ad accessi, ispezioni e verifiche su dichiarazione fraudolenta, va inquadrata all’interno di un più ampio e mutato contesto dei rapporti fra amministrazione finanziaria e contribuente.

Ed infatti, la possibilità per il contribuente di ravvedersi successivamente alla notifica di un PVC al cui interno venga contestata una condotta inquadrabile all’interno degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000, va vista quale necessaria contropartita dell’estensione sempre maggiore delle facoltà riconosciute al contribuente in tema di contraddittorio.

È noto infatti come, con particolare riguardo alle facoltà concesse successivamente alla notifica di un PVC, al contribuente venga riconosciuta la possibilità di depositare delle memorie esplicative mediante le quali poter esercitare o, ulteriormente integrare, il proprio diritto difesa nei confronti dell’amministrazione procedente.

Di conseguenza, se al contribuente sono riconosciute tutte le facoltà per esercitare il proprio diritto di contraddittorio e, se le medesime facoltà sono giustamente tutelate dal termine dei sessanta giorni dalla notifica del medesimo PVC, allo stesso contribuente deve necessariamente essere riconosciuta la facoltà di riconoscere la propria condotta dolosa mediante l’esercizio del ravvedimento che, in questa sede, assume una natura giuridica latamente confessoria.  In quest’ottica, se il contribuente può scegliere fra difendersi o ammettere le proprie colpe, l’aver “confessato” l’esistenza di una condotta di reato comporta chiaramente che tanto gli organi amministrativi, quanto quelli giurisdizionali, saranno facilitati nell’esercizio delle loro funzioni limitandone al minino i relativi oneri, sicché il riconoscimento di un’attenuante rappresenta il giusto vantaggio che il legislatore riconosce nei confronti di colui che, tenendo un comportamento collaborativo, ha evitato lunghe e defatiganti attività accertative tanto amministrative, quanto giudiziarie.

Ed infatti, ragionando in questi termini, può apparire in maniera maggiormente completa la ratio del ravvedimento operoso che, se da un lato può nella peggiore delle ipotesi attenuare la condanna dell’autore del reato, dall’altro rappresenta in pari misura uno strumento di protezione del soggetto passivo del reato rispetto all’integrità del bene giuridico tutelato. Se la persona offesa dal reato è l’erario, come si può negare l’operatività di un simile strumento a sua difesa?

A ben vedere, infatti, la tutela di tale bene giuridico tutelato, consistente nella salvaguardia dell’integrità delle ragioni erariali, è tenuta particolarmente in considerazione dal legislatore che, nel costruire le singole fattispecie di reato, preferisce utilizzare la struttura dei reati di pericolo rispetto a quelli di evento, anticipando così la relativa tutela al rischio concreto della lesione delle proprie ragioni creditorie.

Quanto precedentemente affermato, risulta essere comunque compatibile col principio dell'autonomia che, pur regolando i rapporti fra i due ambiti normativi che qui interessano, deve essere ragionevolmente temperato nell’ottica di una nuova valutazione degli istituti di diritto penale che tendono sempre più a svolgere una funzione non solamente ed esclusivamente repressiva.

Volendo concludere, la meticolosa interpretazione letterale della prassi amministrativa non appare più coerente col mutato quadro normativo che, da un lato, utilizza gli istituti di diritto tributario per incentivare in maniera sempre più vigorosa tutte quelle forme di compliance del contribuente e, dall’altro, impiega le fattispecie di diritto penale, in ragione dei benefici penali riconosciuti all’imputato, quale strumenti volti non già a sanzionare determinate condotte delittuose, bensì  quali meccanismi di politica fiscale orientati al concreto e materiale conseguimento della riscossione delle proprie ragioni creditorie.