Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/01/2021 - Contratti simulati e patti ordinati all’evasione del tributo: la Cassazione “commina” la sanzione della nullità.

argomento: Principi generali e fonti - Giurisprudenza

Secondo la Cassazione il patto “occulto” di maggiorazione del canone di locazione di immobili commerciali deve ritenersi insanabilmente nullo perché la sua causa concreta è contraria a norma imperativa tributaria

PAROLE CHIAVE: locazione di immobili commerciali - registrazione - causa concreta - nullità - norme Imperative


di Susanna Cannizzaro

  1. Con la sentenza n. 22126 del 13 ottobre 2020 la Cassazione (sez. III) interviene su un tema molto delicato ossia l’interferenza tra regole fiscali e civilistiche, rispetto ad una ipotesi peculiare.

Nel caso di specie le parti avevano stipulato un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ad uso commerciale che prevedeva inizialmente un canone in una certa misura e una durata contrattuale inferiore a quella legale. Sin dall’inizio del rapporto il locatore aveva preteso il versamento di una somma superiore a quella pattuita e, alla scadenza prevista nel contratto -  ancorché da ritenersi illegittima - era stato stipulato un nuovo accordo funzionale a fissare l’importo del canone mensile in misura pari a quello effettivamente richiesto e percepito dal locatore in forza degli accordi verbali intercorsi sin dall’inizio del rapporto locatizio.

Al di là dei motivi che sorreggono la decisione in concreto adottata, l’interesse che la pronuncia desta riguarda in realtà una questione che non assume rilievo determinante nell’economia del provvedimento giurisdizionale, ma che la Cassazione richiama ed affronta esaminando una delle censure mosse (ancorché tale censura risulti assorbita per effetto dell’accoglimento di uno dei motivi). Si tratta della sorte del contratto dissimulato che preveda un canone maggiore, nel caso in cui le parti abbiano simulato un contratto di locazione con canone inferiore registrandolo regolarmente.

Il passaggio più interessante della pronuncia riguarda appunto l’orientamento che viene richiamato per evidenziare che in tali casi il contratto dissimulato è affetto da un vizio genetico della causa che lo rende nullo perché contrario a norme imperative.

  1. Occorre ricordare in proposito che la Cassazione a Sezioni Unite, in tempi recenti ( SS.UU. 6882/2019), chiamata a pronunciarsi sul rapporto tra il precetto costituzionale di cui all’art. 53 e l’esercizio della libertà negoziale, si è espressa a favore della validità della clausola che faccia carico al conduttore di ogni tassa, imposta od onere relativo ai beni locati, tenendo conseguentemente manlevato il locatore. Sul punto i giudici di legittimità sono giunti a configurare le diverse pattuizioni come articolazioni della disciplina del canone relative all’unico contratto e, dunque, a riconoscere al “patto sull’imposta” la funzione di integrare la misura del canone di locazione escludendo pertanto la nullità del patto stesso a causa della contrarietà all’art. 53, pur riconosciuto quale norma imperativa (cfr. in tema CLÒ, La validità dei patti d’accollo delle imposte gravanti sugli immobili concessi in locazione, Riv. trim. dir. trib., 2020, 175 ss.; LAMICELA, Validità del patto di traslazione del carico fiscale, tra omissioni e ambiguità fuorvianti, Giur. It., 2019, 2087 ss.; MASTROIACOVO, Divieto dei patti sull’imposta e “Critica della ragion pratica”, Riv. dir. trib. suppl. online, 5 agosto 2019; Cfr. anche l’ordinanza di rimessione Cass., 28437/2017, in Corriere Giur., 2018, 478 ss. con nota di RIZZUTI, Accordi di traslazione fiscali e contratti di locazione, 484 ss; CARINCI, Legittimità del ‘‘patto sull’imposta’’: la S.C. torna su una questione risalente ma che non sembra trovare pace, Corr. giur., 2019, 488 ss., Rumine, Traslazione degli oneri fiscali, corrispettività delle prestazioni ed equilibrio economico: la parola alle Sezioni unite, in GiustiziaCivile.com, 2018).

D’altro canto, i giudici di legittimità si sono espressi anche su un altro profilo in relazione alla forza precettiva delle norme tributarie nei rapporti fra privati.

Per meglio comprendere la portata delle pronunce richiamate nella sentenza in commento si deve preliminarmente ricordare che la previsione di cui all’art. 1 comma 346 L. 311/2004 reca espressamente la sanzione della nullità per i contratti di locazione non registrati (cfr in generale sul tema Fedele, Ritorna un’antica questione: è legittimo disporre la nullità degli atti per omessa registrazione, Riv. dir. trib. 2010, 3 ss.). La Suprema Corte, già occupatasi dell’argomento (Cass. SS.UU., n. 18213/2015), è tornata sul punto nel precedente qui richiamato (Cass., SS.UU. n. 23601/2017, annotata da BUSET, La locazione non registrata tra definitività e provvisorietà dell'inefficacia, Nuova giur. civ. comm., 2018, 363 ss.; CUFFARO, Contratto di locazione e nullità per mancata registrazione: si peccas, pecca fortiter, Corr. Giur., 2018, 1098 ss.; GIGLIOTTI, Riflessi civilistici della (mancata) registrazione del contratto di locazione, tra nodi problematici ed esigenze di sistema, I contratti, 2018, 25 ss.).  In quest’ultimo arresto il giudice di legittimità distingue la fattispecie della omessa registrazione totale del contratto, che darebbe luogo, ad una ipotesi di “nullità testuale (successiva) per inadempimento”, sanabile attraverso una registrazione tardiva, da quella della stipulazione di un patto occulto e non registrato di maggiorazione del canone, che, in ragione del ritenuto contrasto con norma imperativa tributaria, comporterebbe una nullità virtuale insanabile. Nullità non idonea a travolgere l’intero rapporto ma solo il contratto dissimulato rimasto “occulto”.

In altri termini, ragionando come fa la Corte, nel caso in cui parte del canone rimanga occulto per effetto dell’accordo simulatorio si determinerebbe un vizio della causa concreta dell’atto dissimulato, in quanto tale atto sarebbe funzionale a sottrarsi all’obbligo generale di registrazione integrale e fedele dei contratti di locazione e, dunque, ad occultare al fisco materia imponibile, non solo per il tributo di registro, ma anche in relazione all’imposizione reddituale.

Tentando una sintesi la Cassazione parrebbe ritenere che:

  • il patto di “traslazione” palese dell’onere dell’imposta sul soggetto non obbligato non sia affetto da nullità;
  • la mancata registrazione del contratto di locazione in cui il canone sia fedelmente indicato non comporti nullità insanabile, essendo possibile la registrazione successiva;
  • il patto con il quale entrambe le parti si accordino per evadere il fisco sottraendo alla registrazione l’atto nel quale si prevede il canone maggiorato, sia insanabilmente nullo.

Si tratta di ipotesi naturalmente diverse, ma in relazione alle quali la giurisprudenza si è trovata a dover effettuare una valutazione circa la forza precettiva dell’art. 53 ed eventuali sue interferenze sugli atti espressivi di autonomia privata.

  1. Ebbene, la sanzione più grave (la nullità insanabile), viene applicata nel solo caso del patto ordinato all’evasione (laddove il canone, seppur parzialmente, emergeva anche ai fini fiscali) invocando l’obbligo generale di registrazione discendente da una esplicita previsione tributaria, ossia individuando un radicamento positivo per la comminatoria della nullità dal quale però tale sanzione non si ricava esplicitamente. Ed in effetti il giudice di legittimità non fa riferimento alla nullità testuale prevista dall’art. 1 comma 346 citato, ma al fatto che tale previsione sia volta a rafforzare l’obbligo della registrazione già imposto dalle norme tributarie introducendo, in caso di inottemperanza, una conseguenza incidente nei rapporti tra privati. In quanto svolge tale funzione, la norma che da quella previsione si trae deve considerarsi, secondo il giudice di legittimità, imperativa e il principio ivi fissato dev’essere applicato anche nel caso in cui l’atto sia stato posto in essere prima dell’entrata in vigore della previsione che dispone espressamente la nullità.

In definitiva, a parere della Suprema Corte i patti od assetti negoziali della specie in considerazione, poiché contrastanti (in quanto preordinati all’evasione) con più generali valori sono considerati invalidi sulla base di una specifica scelta normativa risultante da una disposizione che direttamente prevede, in ragione della tutela di quel valore, l’invalidità dell’atto. Ma d’altro canto, proprio in base al fatto che il legislatore mostra di voler tutelare un dato valore imponendo nullità civilistiche per la violazione di norme fiscali, si rinviene un più generale limite all’esercizio dell’autonomia negoziale laddove essa venga esplicata per il perseguimento di interessi che si pongano con quei valori in contrasto (cfr. Cass. SS.UU.18213/2015 che propugna il carattere imperativo - rilevante anche a fini civilistici- della norma tributaria “l’imposizione e il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore della collettività).

Bisogna però ricordare, che l’indirizzo assunto nelle pronunce qui richiamate, si pone in contrasto da un lato, con l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale affinché una norma possa essere qualificata come “imperativa”, è «necessario che essa sia di carattere proibitivo, e sia posta, altresì, a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico. Caratteri, questi, certamente non ravvisabili nelle norme tributarie, in quanto esse sono poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e, in linea di massima, non pongono divieti, ma assumono un dato di fatto quale indice di capacità contributiva» (cfr. Cass. 11351/2001; e anche Cass 11598/1995). D’altro canto l’assunto della Cassazione qui sinteticamente illustrato,  si pone in conflitto con la tesi, da tempo prospettata in dottrina, secondo la quale le singole norme, rinvenibili nella disciplina di numerosi tributi, che vietano, o comunque considerano invalidi od inefficaci, in determinate ipotesi, atti dell’autonomia negoziale, più che considerarsi ispirate ad un principio di normale “inferenza” delle norme fiscali sul libero esplicarsi dell’autonomi negoziale, si giustificano in ragione di particolari esigenze di contrasto all’evasione (Cfr. sul punto, anche per i riferimenti, CANNIZZARO, Sugli effetti di pattuizioni di somme al netto delle imposte, in Riv. dir. trib., II, 2006, 362 ss.; CANNIZZARO - FEDELE - MASTROIACOVO, Autonomia privata e distribuzione dell’onere del tributo, Studi e Materiali, 2007, 441-442).

  1. Occorre ancora evidenziare che in alcuni dei casi in cui la Corte si è pronunciata sulla validità/invalidità di clausole negoziali preordinate all’evasione, si trattava di valutare gli effetti della clausola sui normali meccanismi impositivi e la comminatoria di nullità espresse o comunque ricavate per contrasto con previsioni tributarie assurte al rango di norme imperative (in primis l’art. 53) è risultata funzionale a “riportare in asse” tali meccanismi, in qualche modo deviati attraverso l’esercizio dell’autonomia negoziale ( CANNIZZARO - FEDELE - MASTROIACOVO, Autonomia privata e distribuzione dell’onere del tributo, cit. 431, spec. note n. 2 e 3; in giurisprudenza cfr. Cass. SS. UU. 6386/1981). In altre ipotesi, nelle quali, in assenza di una norma antielusiva, si era tentato il richiamo agli articoli 1344 e 1418 del codice civile per invocare la nullità di negozi che realizzavano un risparmio di imposta, la giurisprudenza si è invece mostrata decisamente contraria a riconoscere natura imperativa alle norme tributarie e a ritenere nulli i negozi stipulati (Cass. 11351/2001; Cass. 3979/2000; in precedenza, ex multis, Cass. 4024/1981).
  2. Nel caso in considerazione la ragione del richiamo all’imperatività delle norme tributarie appare ancora diversa. Il fisco si troverà infatti privato del prelievo altrimenti dovuto sul reddito derivante dalla corresponsione del maggior canone effettivamente pattuito, poiché la declaratoria di nullità del patto occulto darà causa alla ripetizione delle somme già incassate dal locatore per effetto dello stesso patto ( per il profilo reddituale Cass. 7709/2017 secondo la quale devono essere esclusi dalla base imponibile i canoni locativi ove sia stata accertata la nullità del contratto di locazione; in relazione all’imposta di registro, anche laddove si ammettesse l’obbligo di registrazione di un contratto già annullato ai sensi dell’art. 38 del Tur, si deve notare che la giurisprudenza ha più volte escluso l’imputabilità del vizio alle parti, ammettendo conseguentemente il loro diritto al rimborso, in caso di contrarietà dell’atto a norme imperative, atteso che in tali ipotesi il vizio può sussistere indipendentemente dalla loro volontà e conoscenza cfr. Cass. 4145/1980; Cass. 3203/1976; Cass. 2392/1977; Cass. 2275/1973). La comminatoria di nullità, dunque, risponderà unicamente ad una funzione para-sanzionatoria sul piano civile, senza contribuire minimamente al riequilibrio degli interessi (fiscali) violati.  Ragionando diversamente, ossia riconoscendo efficacia al patto che preveda la corresponsione del maggior canone pur dopo la registrazione, ancorché tardiva, l’interesse in contrasto al quale l’accordo è stato stipulato verrebbe soddisfatto. La sottoposizione dell’atto alla registrazione, infatti, farebbe emergere l’accordo e con esso materia imponibile, consentendo anche di azionare i meccanismi per l’accertamento e l’esazione del tributo evaso.
  3. In definitiva la soluzione cui la Corte addiviene non sembra realmente idonea a perseguire compiutamente gli interessi che essa ritiene siano salvaguardati dalla complessa disciplina sul tema. In realtà la pronuncia pare unicamente volta ad enucleare (attraverso un impervio percorso argomentativo) una regola che sopperisca all’assenza - nella materia delle locazioni non abitative - di una disposizione analoga a quella recata dall’art. 13 della L. n. 431 del 1998 (che al comma 1 recita: «È nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato», consentendo al conduttore di chiedere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte), sulla quale si era già pronunciata  , SS.UU., n. 18213 del 2015 ritenendo nullo il solo patto occulto di maggiorazione pur in presenza della registrazione tardiva.