Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

22/12/2020 - Cristallizzazione dei crediti Iva chiesti a rimborso e «disorientamento» nomofilattico

argomento: IVA - Legislazione e prassi

L’ordinanza in esame affronta la tematica, più volte oggetto di pronunce di legittimità, concernente la contestabilità del credito IVA chiesto a rimborso una volta intervenuta decadenza di cui all’art. 57, comma 1, DPR 633/1972.

PAROLE CHIAVE: rimborso credito iva - decadenza - prescrizione - cristallizzazione del credito


di Christian Califano

  1. L’ordinanza in esame affronta il controverso tema della contestabilità del credito IVA chiesto a rimborso una volta intervenuta la decadenza di cui all’art. 57, comma 1, DPR 633/1972. Nel caso di specie il credito IVA era stato indicato nella dichiarazione relativa all’anno 1998 e chiesto a rimborso solo nel 2007, quindi oltre il quarto anno successivo a quello in cui era stata presentata la dichiarazione; l’Amministrazione finanziaria aveva poi richiesto la documentazione attestante l’esistenza del credito d'imposta, tra cui i registri IVA e le fatture, intervenendo quindi in epoca successiva alla cd. “cristallizzazione” del credito, in modo non idoneo a consentire una proroga del termine decadenziale già maturato (cfr. Cass. n. 4616 del 26/02/2014; Cass. n. 6788 del 20/03/2009).
  2. I due profili controversi affrontati dalla Cassazione nell’ordinanza interlocutoria riguardano le differenti ipotesi in cui, da una parte, si possa considerare contestabile il credito chiesto a rimborso in ogni tempo e il termine decadenziale riguardi solo il potere di accertamento dell’Amministrazione e, dall’altra, le ipotesi in cui, invece, si possa ritenere che la decorrenza del termine decadenziale implichi, in ogni caso, la cristallizzazione del credito IVA, con ciò impedendo anche la contestazione del credito chiesto a rimborso. La Corte approccia le suddette argomentazioni riferendosi ai suoi tradizionali orientamenti (Cass. n. 8810 del 10/04/2013; Cass. n. 16768 del 09/08/2016), secondo cui il diniego di rimborso del credito IVA soggiace al termine di cui all’art. 57, DPR 633/1972, se il suddetto dipende dalla contestazione della sussistenza dell’eccedenza detraibile indicata dal contribuente (Cass. n. 8460 del 22/04/2005; Cass. n. 17969 del 24/07/2013), mentre non vi soggiace se, pacifica tale sussistenza, vengono contestati i requisiti per l’accesso al rimborso contemplati dall'art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass. n. 194 del 10/01/2004; Cass. n. 29398 del 16/12/2008; Cass. n. 8642 del 09/04/2009). Secondo il Giudice remittente, tuttavia, sussistono contrasti tra alcuni degli arresti citati ed il principio enunciato dalle Sezioni Unite (n. 5069 del 15/03/2016), secondo cui, in tema di rimborso, l’Amministrazione può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione anche qualora sia già decaduta dal suo potere di accertamento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non anche dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum” (principio che, secondo Cass. n. 25464 del 12/10/2018, non contrasta con l’art. 1 del I Protocollo addizionale CEDU, che garantisce tutela sul piano convenzionale dei soli crediti già accertati ed esigibili). Tale principio, come ricorda la Corte, è stato applicato anche in materia di IVA (Cass. n. 3096 del 01/02/2019); anche in tale caso, tuttavia, vi sono stati pronunciamenti in evidente distonia con l’orientamento tradizionale (Cass. n. 20122 del 25/07/2019). Le disarmonie del sistema erano già state, in ogni caso, evidenziate dalle Sezioni Unite (Cass. n. 5069 del 2016) in tutte le ipotesi in cui si consenta in ogni tempo all’Amministrazione di eccepire, oltre il termine di decadenza, la sussistenza di un credito tributario esposto in dichiarazione, con ciò precludendo il suo consolidamento (c.d. “cristallizzazione”). Secondo la dottrina (v. per tutti CARNEVALE, La dichiarazione tributaria in BASILAVECCHIA, DEL FEDERICO [a cura di], Bollettino della dottrina tributaria italiana, Torino, 2020, 58 e 59) invece, risulta pacifico che il contribuente, in sede di impugnazione, possa sempre rettificare in melius la propria dichiarazione, anche una volta decorso il termine per presentare l’istanza di rimborso; il punto è stato ripreso e precisato dalle Sezioni Unite (n. 13378 del 30/06/2016 in materia di dichiarazione integrativa e, recentemente, Cass., n. 21665 dell’08/10/2020, § 4.2) secondo cui tale principio, in ragione del valore non negoziale o dispositivo della dichiarazione fiscale, deve essere considerato di portata generale. Di talché, se al contribuente è consentito, in ogni tempo, di eccepire in sede contenziosa l’errore commesso in sede dichiarativa, è ragionevole consentire, secondo il Giudice remittente, che analoga eccezione possa essere avanzata dall’Amministrazione in sede di rimborso, anche se siano scaduti i termini per l’accertamento, qualora il contribuente chieda il pagamento di crediti d’imposta inesistenti. A supporto dell’iter argomentativo dell’ordinanza interlocutoria sono stati poi richiamati i principi elaborati dalle Sezioni Unite Cass. n. 16692 del 06/07/2017 in tema di condono fiscale (art. 9, L. n. 289/2002; sul punto emergono anche i recenti arresti Cass., n. 21379 del 06/10/2020 e Cass., n. 22471 del 16/10/2020), ove è stato ritenuto che la preclusione all’accertamento da parte dell'Amministrazione riguardi i soli debiti fiscali e non anche i crediti d’imposta vantati nei confronti dell’Erario che, invece, restano soggetti ad un eventuale accertamento (conformi, Cass. n. 32257 del 13/12/2018; Cass. n. 716 del 15/01/2019). Viene dunque riconosciuta, in sede nomofilattica, la legittimità della diversità di trattamento.
  3. Il conclusivo passaggio che giustifica l’opportunità, per il Giudice remittente, di trasmettere gli atti al Primo Presidente della Cassazione, riguarda la specificità dell’IVA rispetto agli altri tributi, trattandosi di risorsa propria dell’UE. In particolare, e nel rispetto del principio di neutralità dell’IVA, riconoscere la possibilità, per l’Amministrazione, di contestare in ogni tempo l’esistenza del credito, condurrebbe ad una lesione di tale principio, incidendo sul corretto funzionamento del meccanismo dell’assolvimento e della detrazione. Come, inoltre, condivisibilmente posto in luce, la previsione di una disciplina (tendenzialmente) unitaria per i rimborsi di tutti i tributi risponde ad esigenze di chiarezza e funzionalità di sistema; occorrerà dunque verificare in concreto se la dedotta specificità dell’IVA giustifichi effettivamente la sussistenza di differenti modalità di rimborso. Sotto altro profilo, procrastinare l’incertezza sull’esistenza dei crediti tributari (indeterminatezza che proprio il termine di decadenza, differente per le diverse imposte, ha lo scopo di evitare), impedendo che il contribuente sia soggetto senza limiti di tempo all’azione accertatrice dell’Amministrazione, potrebbe incidere in maniera considerevole anche sulla circolazione dei crediti IVA (come segnalato ex multis in dottrina da MULEO, Commento al decreto sulle semplificazioni: (D.Lgs. n. 175 del 2014), Torino, 2015, 52 ss.; RANDAZZO, Questioni introno al rimborso IVA e dichiarazione, in trib., 2015, 4, 351 ss.; BASILAVECCHIA, Cessazione di attività e termini per il rimborso IVA, ivi, 2011, 10, 864 ss.).
  4. L’ordinanza in commento ha indubbiamente il merito (ed il coraggio) di mettere in luce il “disorientamento” nomofilattico della Cassazione con riferimento a quelle “disarmonie” che incidono sul sistema dell’Iva, che costituisce risorsa propria dell’UE e al cui funzionamento sovrintendono meccanismi che non possono ammettere deroghe.

Ciò che appare, tuttavia, curioso è che il Giudice remittente, pur dando atto di controvertere su meccanismi applicativi di una risorsa propria dell’UE, omette di considerare la giurisprudenza che si è formata in sede comunitaria. In particolare, la sentenza CGCE n. 835/2018, ha stabilito l’illegittimità delle norme nazionali in materia di Iva che impediscono, o rendono eccessivamente difficoltosa, la possibilità di rettificare e chiedere a rimborso l’imposta erroneamente addebitata in fattura, poiché contrarie alle direttive europee che regolamentano il sistema comune dell’Iva, nonché ai principi di neutralità fiscale, di effettività e di proporzionalità. Il punto 28 della suddetta sentenza afferma, infatti, che il principio di neutralità dell’Iva impone che l’imposta indebitamente fatturata possa essere rettificata senza che gli Stati membri possano subordinare tale regolarizzazione al “potere discrezionale” dell’amministrazione fiscale.

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha, inoltre, ricordato come il principio di neutralità dell’Iva consente al soggetto passivo che si sia reso conto di un errore, di porvi rimedio in tempo utile anche successivamente allo spirare dei termini per ricorrere (cfr. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010, 187 ss. e CALIFANO, Il diritto al rimborso del tributo in contrasto con il diritto europeo non tutela l’affidamento del contribuente che si attiva oltre il termine decadenziale, in Rass. Dir. Civ., 2016, 1, 282 ss.); qualora infatti lo stesso venga a conoscenza di elementi, anche già sussistenti al tempo dell’accertamento, tali da consentirgli l’esercizio del diritto alla detrazione, potrà sempre rettificare le operazioni erroneamente fatturate e chiedere il rimborso dell’Iva assolta, purché ciò avvenga nei termini decadenziali previsti dalla normativa nazionale (CGCE 11.03.2013, Rusedespred, C-138/12, punto 27). Di talché verrebbe da aggiungere che, quando le posizioni creditorie e debitorie sono speculari, non si può mai arrivare ad indebito arricchimento (1442 Cod. Civ.).

Qualche ulteriore riflessione è doverosa in punto all’altrettanto curiosa circostanza che la Cassazione, pur nell’ampia disamina ricostruttiva, abbia omesso di menzionare il disposto di cui all’art. 2, comma 8 bis del DPR n. 322/1988 che disciplina la dichiarazione Iva e che, successivamente alle modifiche intervenute nel 2007, stabilisce che anche le dichiarazioni integrative, pro o contro il contribuente, possono essere presentate non oltre i termini stabiliti dall'art. 57 del DPR. n. 633/1972.

Certamente la creazione di un doppio binario di matrice giurisprudenziale per cui i termini decadenziali trovano applicazione solo per l’attività di accertamento di un credito dell’amministrazione mentre, relativamente alla contestazione circa l’esistenza di un debito dell’Erario, non opera alcun termine decadenziale, consentirebbe all’Ufficio di negare la restituzione del credito senza termini. Si verrebbe a creare, in tal modo, una differenziazione di trattamento tra i contribuenti con dichiarazione annuale a debito, garantiti dalle norme decadenziali, e contribuenti con dichiarazione annuale a credito, che resterebbero indefinitamente soggetti all’azione di controllo dell’Amministrazione a cui verrebbe, inoltre, riconosciuta la facoltà di negare i rimborsi eccependo la mancata prova del credito.

Il rischio della creazione di principi di matrice giurisprudenziale (e non legislativa), che non trovano esatta collocazione nel sistema normativo, è quello del loro mutamento con il variare degli arresti; circostanza che, nel caso di specie, ha di fatto condotto la Cassazione a disporre l’ordinanza di rinvio. L’auspicio è dunque che la Corte di Cassazione, quando sarà chiamata a pronunciarsi a Sezioni Unite faccia corretta applicazione non solo dei corretti principi procedimentali ma anche di quelli di natura sostanziale che, in materia di Iva, sono stabiliti dalla Corte di Giustizia (questa volta sì, ed a buon diritto, principi di matrice giurisprudenziale).