Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

05/10/2020 - La sopravvivenza ai fini fiscali delle società cancellate dal registro delle imprese: nel dubbio, sempre pro fisco?

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Non è irragionevole né discriminatoria la previsione che l’estinzione di una società di capitali ex art.2495 c.c. abbia effetto dopo 5 anni dalla richiesta di cancellazione.

» visualizza: il documento (Corte Costituzionale 8 luglio 2020 n.142) scarica file

PAROLE CHIAVE: cancellazione registro imprese - sopravvivenza ai fini fiscali - interesse fiscale - art.28 D.Lgs. n.175/2014 - estinzione società


di Valerio Ficari

  1. La commissione tributaria provinciale di Benevento ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art.28, quarto comma del D.Lgs. 21 novembre 2014 n.175; la disposizione è stata ritenuta costituzionale con argomenti difensivi non sempre coincidenti tra Avvocatura di Stato e Giudicante.
  2. L’ordinanza di rimessione aveva ben colto due profili di dubbia costituzionalità.

Il primo è la disparità di trattamento causata dall’art.28 del D.Lgs. n.175 del 2014 tra creditori sociali privati e creditore erariale attraverso il differimento dell’efficacia dell’estinzione della società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese tale da disporre l’efficacia estintiva per il Fisco solo “trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione” mentre per i privati l’estinzione coinciderebbe con la cancellazione

Il secondo riguarda l’eccesso di delega: il contenuto della disposizione prevista nel decreto delegato nulla avrebbe a che vedere con la finalità di semplificazione e di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita come indicato nella delega di cui alla legge 11 marzo 2014 n.23.

  1. La difesa sostenuta dall’Avvocatura di Stato, lungi dallo sviluppare l’argomento della prevalenza dell’interesse alla sopravvivenza dello Stato dal punto di vista finanziario come, invece, ha fatto la Corte Costituzionale, si è concentrata sui seguenti elementi.
  2. Da un lato, l’Avvocatura introduce l’eccessiva gravosità dell’attività di controllo fiscale (diversa, ovviamente, dall’impatto finanziario) causata dai termini come una conseguenza inaccettabile dal punto di vista costituzionale.

Si teorizza, quindi, un livello di gravosità eccessivo e, di conseguenza, a contrario si evoca la necessità che la legge garantisca un potere di accertamento non gravoso.

In assenza di ulteriori argomentazioni sul punto si può ipotizzare che la eccessività della gravosità evocata dall’Avvocatura esprima la preoccupazione che l’efficacia della norma indubbiamente valida per i creditori privati non sia tollerabile per l’Agenzia delle Entrate per una (implicitamente assunta ma non dimostrata) diversità di posizioni che il diritto positivo, nella sua interpretazione, dovrebbe garantire.

Si potrebbe, però, anche ritenere che l’indicata intollerabilità si colleghi non tanto alla garanzia della funzione pubblica accertativa quanto alla (anch’essa non palesata) consapevolezza che l’efficienza (e non la natura del credito) del creditore erariale sia diversa da quella del creditore provato e che, dunque, per una differente realtà di partenza la “minore efficienza” in termini di controllo e reazione all’inadempimento giustificherebbe la diversità di trattamento nell’individuazione del termine ad quem, nonostante la diversa consistenza di risorse impiegabili, evidentemente maggiori per il creditore pubblico.

L’intollerabilità della differenziazione è, addirittura, poggiata su fondamenti costituzionali: per l’Avvocatura, infatti, la diversità di regime, se non garantita, addirittura potrebbe impedire all’A.F. di svolgere la sua ordinaria attività “nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento” (sic ipse  scrivit).

Fra le specifiche ragioni e caratteristiche del modus operandi dell’Agenzia delle Entrate che renderebbero troppo breve il termine si cita quella di evitare “un dispendio di risorse non sempre giustificato” che potrebbe, addirittura, pregiudicare l’”efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa” poiché gli uffici che dovrebbero “concentrare le proprie attività di controllo in un tempo assai ridotto”: tale esiguità temporale (cioè il lasso temporale di reazione previsto dalla legge per i creditori privati) sarebbe, quindi, l’elemento idoneo a giustificare la ragionevole differenziazione sebbene lo stesso certo non può ritenersi espressivo di un’attuale efficienza ex art.97 Cost.

  1. Dall’altro lato, il secondo dubbio attinente alla violazione dell’art.76 Cost. viene opposto dagli avvocati erariali ritenendo che in concreto il contenuto dell’art.28 oggetto del sindacato rientri nella finalità di “revisione degli adempimenti che risultino di scarsa utilità” di cui alla legge delega in quanto essa finalità sarebbe perseguibile anche mediante la “definizione di una disciplina unitaria degli atti dell’amministrazione finanziaria” cui apparterrebbe (ma sul punto la tesi è del tutto apodittica) anche la disciplina temporale dell’efficacia (costituiva ma non per il Fisco) della cancellazione.

Addirittura ci si spinge fino a ipotizzare che un istituto civilistico (l’efficacia costitutiva della cancellazione e l’estinzione automatica del soggetto societario) “sarebbe di ostacolo all’attività di controllo e accertamento dell’amministrazione tributaria” e che tale ostacolo dovrebbe essere rimosso distinguendo le regole a seconda della natura privata o pubblica del creditore e della sua pretesa: solo in questo modo, prosegue l’avvocatura erariale, si garantirebbe “il raggiungimento di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita”(sic!); in modo ancora più chiaro: solo la differenziazione del credito tributario da quello privato può garantire equità, trasparenza e crescita, affermazione che al tempo della crisi post corona virus palesa evidenti connotati di derisione dei contribuenti.

Si collega l’innegabile “rafforzamento” del potere di accertamento (che in termini relativi significa differenziazione rispetto a quello degli altri creditori) derivante dal termine di cui all’art.28  all’intento di “razionalizzazione di alcuni strumenti di contrasto ai fenomeni di frode ed evasione fiscale” senza dimostrare (e di tale omessa dimostrazione la Corte Costituzionale si sarebbe dovuta accorgere) in quale termini i cinque anni di più servano per la lotta all’evasione ,altrimenti perseguita con una comunque prescritta ex art.97 Cost. tempestività ed efficienza dell’azione di controllo e di monitoraggio delle cancellazioni.

Seguendo questa tesi l’Agenzia delle entrate non sarebbe un qualsiasi creditore e, quindi, non dovrebbe verificare se il proprio debitore societario sia in liquidazione e cancellato o prossimo, probabilmente, alla cancellazione.

Inoltre, sempre sulla linea difensiva, si aggiunge la pretesa esigenza di garantire una equivalenza del termine del controllo di società non liquidate con quello per le società liquidate e cancellate dal registro delle imprese, assumendo in modo ancora una volta poco chiaro che le due situazioni siano comparabili e che la loro diversa disciplina sotto il profilo temporale non causerebbe una illegittima differenziazione, a nulla rilevando la circostanza che per le seconde la liquidazione (civilistica) farebbe venir meno alcuni necessari presupposti giuridici (sia oggettivi che soggettivi) necessari per il controllo stesso.

 

  1. A fronte di queste osservazioni nel contraddittorio ante decisum, la Corte Costituzionale nell’affrontare il punto dell’eccesso di delega esclude una violazione dell’art.76 Cost. (sulla violazione della delega, tra gli altri, anche MULEO in IntroduzioneVV. Commento al decreto sulle semplificazioni (D.Lgs. n.175 del 2014) (a cura di Muleo), Torino, 2015,XVI; FICARI La disciplina delle società estinte: il profilo dei termini di accertamento (art.28, commi 4 e 6), ivi,130 e ss.) ritenendo che l’introduzione di una disciplina ad hoc per il creditore tributario di una società cancellatasi dal registro delle imprese in palese differenziazione con le regole (a questo punto solo) civilistiche  si collochi nei legittimi spazi riconosciuti al legislatore delegato; in particolare, la norma delegata dovrebbe essere “coerente” alla “ratio della delega”, ne dovrebbe rappresentare “un coerente sviluppo” se non “anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante”.

Per la Corte il contenuto dell’art.28, comma quarto del D.Lgs. n.175/2014, rispetto ai principi fissati negli artt.1, comma 1 lettere a) e c) e 3, comma 1, lett.a) della legge n.23 del 2014 sarebbe effettivamente inteso a uniformare la disciplina delle obbligazioni tributarie, a razionalizzare i poteri amministrativi anche con riguardo alla efficacia e validità degli avvisi di accertamento, alla razionalizzazione e sistematizzazione della disciplina dell’attuazione dell’obbligazione, il tutto al fine di garantire “uniformità e chiarezza nella definizione delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei contribuenti e delle funzioni e dei procedimenti amministrativi”.

La natura innovativa non sembra, invece, avere alcuna vocazione a razionalizzare l’esistente corpus normativo dell’obbligazione tributaria, tantomeno a perseguire auspicabili finalità di uniformità (peraltro non comprendendosi nella sentenza l’oggetto e il parametro della conformazione) e chiarezza.

E’ chiara l’adesione della Corte Costituzionale all’esigenza di “sopperire alle divergenze tra la disciplina civilistica e la struttura e le finalità specifiche del controllo tributario” la cui causa sarebbe da rinvenire nelle difficoltà che la disciplina civilistica (pur “funzionale a garantire tempi brevi e certi della cancellazione e della realizzazione dei conseguenti effetti”) arrecherebbe ai “controlli” e alle “azioni di recupero fiscale” i cui tempi sarebbero diversi da quelli fissati dall’art.2495 c.c..

Altrimenti inteso: i termini di controllo non possono essere sostanzialmente abbreviati di fronte a società cancellate perché, si legge, il maggior tempo a disposizione per l’accertamento è esso stesso una regola che “agevola la definizione delle situazioni giuridiche soggettive passive e attive del contribuente”….  ove per agevolazione si deve, però, intendere in questo caso una misura sfavorevole al debitore contribuente (sic!).

Si trascura, però, di considerare che è il dies a quo il vero parametro di riferimento di un’azione amministrativa efficiente ai sensi dell’art.97 Cost. e, si aggiunge, anche giusta ex art.53 Cost. e non il dies ad quem….come sostenuto….così facendo, come già evidenziato, si presupporrebbe una inefficienza cronica dell’Agenzia delle Entrate (ma non è così) tale da rendere non abbreviabile il termine entro il quale agire.

La Corte Costituzionale sembra, quindi, presupporre che l’Agenzia delle Entrate sia (ancora ?) inefficiente, non riesca a svolgere la sua doverosa azione di accertamento se non a ridosso della scadenza né a monitorare (come qualsiasi altro creditore) l’avvenuta estinzione giuridica del contribuente al fine di una tempestiva reazione.

Avrebbe, peraltro, meritato sviluppi argomentativi nell’autorevole giudicato il riferimento alle modalità di notifica agli eredi ex art.65, quarto comma del DPR n.600/1973; anzi, si palesa una contraddizione: se, infatti, la norma delegata fosse idonea a garantire una esistenza solo pro Fisco, aver scritto che la norma delegata consenta “di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente” e sia così “coerente con il sistema tributario complessivamente considerato” significa ammettere che il destinatario dell’azione è un successore del contribuente (gli eredi in un caso ma i soci/amministratori/liquidatori dall’altro) e non il contribuente stesso cioè la società cancellata.

Il richiamo, all’art.65, infatti, avrebbe giustificato l’attribuzione alla norma di non altro significato se non quello di prevedere la notifica dell’avviso di accertamento intestato alla società cancellata anche ai soci, quale allegato di quello singolare, con il quale chiedere il pagamento delle imposte pro quota salvo le ipotesi di cui all’art.36 del DPR n.602/1973 nelle quali la richiesta potrebbe estendersi fino a quanto distribuito o assegnato).

Il richiamo al sistema tributario (evocato in modo del tutto indefinito, peraltro) avrebbe, quindi, dovuto portare ad altra conclusione.

 

  1. L’autorevole pronunzia lascia, quindi, sopresi alla luce di quanto ebbe a scrivere anche la Corte di Cassazione quando rilevò come gli articoli della legge delega (artt.1 e 7) impediscano di introdurre differenziazioni di disciplina e rendano difficile far comprendere nel loro ambito una regolamentazione della notifica di atti impositivi che certo non costituisce uno degli “adempimenti superflui”, passibili di “revisione” e di eliminazione, menzionati dalla suddetta legge di delegazione” (Cass. 2 aprile 2015 n.6743 sub §2.3. tra l’altro in Riv.trim.dir.trib., 2015, 1009 e ss. con nota di FICARI La cassazione mette un freno alla sopravvivenza “retroattiva” ai fini tributari delle società cancellate dal registro delle imprese e di G. NICCOLINI I disagi del diritto commerciale di fronte all’art.28, comma 4, D.Lgs. 21 novembre 2014, n.175 in materia di cancellazione delle società dal registro delle impresecosì Cass. 6743/2015 cit.).

 

  1. Nell’affrontare, peraltro brevemente, il secondo dubbio di legittimità costituzionale, la Corte Costituzionale enfatizza la prevalenza dell’interesse al “regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (per alcuni approfondimenti vedi le diverse opere di BORIA tra cui, da ultima, La dialettica costituzionale del fenomeno tributario in Dir.prat.trib., 2004, 987 e ss.).
    • La non equiparabilità “fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie” è basata sulla “particolarità dei fini e dei presupposti” delle obbligazioni tributarie funzionali alla “garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato”.

La specialità dell’obbligazione tributaria, per la Corte Costituzionale, si fonderebbe sulla funzionalizzazione del relativo gettito la cui maggiore certezza, probabilità ed effettività garantirebbe la sopravvivenza finanziaria dello Stato.

E’ vero che la preminenza dell’interesse di garantire “il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (nel lessico di Corte Costituzionale 13 marzo 1974 n.67 in Dir.fall., 1974, II, 589 e ss.) ha giustificato in passato una ponderazione degli interessi dei creditori privati e dell’interesse fiscale tale da rendere più energica l’efficacia esecutiva degli atti impositivi; si è, però opposta la necessità che qualsiasi beneficio accordato dalla legge all’Erario non possa dare luogo ad una alterazione del principio sostanziale del par condicio (già INIZITARI Degli effetti del fallimento per i creditori in AA.VV. Commentario Scialoja – Branca (a cura di Bricola – Galgano – Santini), Bologna, 1988, 32; sulla subordinazione dell’interesse alla rapida e certa riscossione dei tributi alle regole di accertamento concorsuali e al principio generale della par condicio creditorum PAPARELLA Gli effetti della soppressione del ruolo e del nuovo accertamento esecutivo ai fini dell’ammissione al passivo fallimentare dei crediti fiscali in AA.VV. I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali in Trattato delle procedure concorsuali (a cura di Ghia – Piccininni – Severini), vol.VI, Torino, 2012, 648 il quale ribadisce come il credito fiscale sia assoggettato alle regole comuni a tutti i creditori (p.662); FANTOZZI Considerazioni generali sul rapporto tra norme tributarie e norme fallimentari e sul giudizio di valore tra par condicio creditorum, interesse fiscale ed altri interessi pubblici diffusi fiscali in AA.VV. I reati nelle procedure concorsuali. Gli adempimenti fiscali, cit.op.loc.cit., 14 sulla condivisibile prevalenza del principio della par condicio creditorum sulle ragioni erariali quando si raggiungano esiti decisionali a seguito di votazioni collettive; adde FICARI,  La disciplina delle società estinte: il profilo dei termini di accertamento cit., spec.135 e nota 10 per citazioni).

La sentenza in esame si adagia, inoltre, sul solco del precedente (Corte Cost. 2 maggio 2018 n.18 tra l’altro in Riv.trib.dir.trib., 2018, 417 e ss. con nota critica di DI SIENA La Corte costituzionale ed il regime della responsabilità fiscale in caso di scissione: la specialità della materia tributaria preserva lo status quo nonché in Rass.trib., 2018, 699 e ss. con nota congiunta di MELIS – MONTANARI Sulla responsabilità nelle operazioni di scissione parziale ) in cui si è giustificata la specialità della disciplina tributaria; nel caso richiamato, la diversa responsabilità tributaria in presenza di una scissione societaria con l’esigenza che una responsabilità solidale non limitata per la società beneficiaria meglio garantirebbe l’alimentazione della “finanza pubblica” assicurando “il prescritto equilibrio di bilancio tra entrate e spese, elevato a vincolo costituzionale dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale)” considerando che la “sostenibilità della finanza pubblica e la stabilità finanziaria costituiscono altresì vincoli europei a seguito del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012.

In questa visione si dovrebbe, allora, ritenere che de futuro tutte le disposizioni attuative dell’obbligazione tributaria ben potrebbero dare luogo a differenziazioni di situazioni giuridiche fra rapporti inter privatos e rapporti giuridici tributari.

Si deve, per contro, richiamare la solida teorizzazione dottrinale secondo cui gli istituti e le norme proprie dei rapporti obbligatori privatistici siano da considerarsi a livello sistematico una regola e non un’eccezione (così FEDELE L’art.8  dello Statuto dei diritti del contribuente in Riv.dir.trib., 2001, 912 e ss. cui si aggiunga, tra gli atri e da ultimo, MELIS Manuale di diritto tributario, Torino, 2020, 231 e ss.; dall’applicabilità de plano della disciplina civilistica prendeva le mosse, addirittura, la stessa Corte Costituzionale nella sentenza sulla incostituzionalità della c.d. supersolidarietà); la tesi di ammettere una applicazione in via analogica della disciplina civilistica (cfr. FREGNI Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, 173) porterebbe sì agli stessi risultati della tesi dell’automatismo salvo, appunto, i casi in cui la lacuna non esista per la presenza di una norma tributaria dal pur dubbia legittimità costituzionale.

Un esplicito segnale si rinviene, peraltro, nell’art.8, terzo comma della l.212/2000 che vieta che si possano stabilire o prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario fissato dal codice civile; se le disposizioni dello Statuto sono attuative “degli artt.3,23,53 e 97 della Costituzione” e “costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario” si dovrebbero ritenere inderogabili i vincoli civilistici …salvo espressa deroga ex art.1, primo comma della stessa legge n.212.

All’esigenza di una verifica di compatibilità ove la norma tributaria speciale sia presente non osta, si aggiunge, la copertura della riserva di legge e, in particolare, la circostanza che l’obbligazione tributaria nasca al verificarsi del presupposto previsto dalla legge e non alla notifica dell’atto impositivo (come sembra quasi far intendere la sentenza); a parità di momento di nascita dell’obbligazione, la presenza della norma tributaria diversa richiede il superamento di un giudizio di ragionevolezza e proporzionalità (cfr. anche MELIS (MONTANARI) Sulla responsabilità, cit.,  713) al quale si dedicheranno le successive osservazioni.

  • Muovendo oltre, anche se fosse possibile una differenziazione essa dovrebbe, comunque, essere ragionevole (sull’utilità del principio della ragionevolezza per valutare la legittimità di deroghe alla par condicio creditorum sotto il profilo dell’art.3 Cost. tra gli altri NOCERA La proposta di concordato minore tra categorie civilistiche e regole operazionali in VV. La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (a cura di Pellecchia e Modica), Pacini ed., 2020, 212; in generale anche MIGLIACCIO Parità di trattamento e concorso dei creditori, Napoli, 2012, passim; ABRIANI – LEOZAPPA Sul principio della par condicio creditorum nelle procedure concorsuali in AA.VV. Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi (a cura di Paparella), Milano, 2014,49 e ss.; per una remota sentenza Cass. sez. I 4 maggio 1994 n.4324).

Ma è, effettivamente, ragionevole tale differenziazione ?

Per la Corte la risposta è “si” in quanto la differenziazione garantirebbe il “regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” che sarebbe pregiudicata dalla diretta applicazione della normativa civilistica.

Anche se si volesse valorizzare l’esigenza di sopravvivenza come valore prevalente (ma così non è), diversamente da altri casi in cui la dichiarazione di incostituzionalità avrebbe avuto effetti finanziari (si tratta, ad es., del paradigma della c.d. Robin hood tax salvata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 11 febbraio 2015 n.10 attraverso il differimento temporale degli effetti dell’incostituzionalità) in quello de quo non era quantificabile l’impatto finanziario e, quindi, tale interesse non avrebbe potuto essere apprezzato nei menzionati termini risolutivi (sulla necessità di un effettivo pericolo finanziario anche MONTANARI (MELIS) Sulla responsabilità, cit., 718).

Una più diffusa indagine sul puntuale bilanciamento tra il pareggio di bilancio di cui la sopravvivenza finanziaria statale è conseguenza e gli altri valori costituzionalmente tutelati anch’essi vincolo per il legislatore tributario (sulla generale necessità anche MONTANARI (MELIS) Sulla responsabilità, cit., 716 cui si rinvia anche per citazioni; in generale vedi BORIA Il debito pubblico italiano e la politica di rigore finanziario: riprendere le forze per un piano di rilancioin Riv.trim.dir.trib., 2014, 15 e ss.) avrebbe potuto portare a ritenere irragionevole che, per garantire la tutela dell’interesse finanziario statale, non solo si deroghi alla disciplina civilistica ma, in realtà, si proroghino anche gli effetti delle sue stesse disposizioni solo pro Fisco dando luogo non ad una fictio iuris ma ad una vera e propria sopravvivenza di situazioni giuridiche attive e (soprattutto) passive.

Nel caso, però, degli effetti della cancellazione (che,  in ipotesi, potrebbe anche riguardare una società scissa) la differenziazione interviene su due piani: quello del termine di accertamento del credito; quello, asistematico e distonico, della conservazione solo pro Fisco di tutta una serie di oneri, obblighi e responsabilità soggettive che altrimenti cesserebbero in toto con l’avvenuta cancellazione.

Più chiaramente, come è stato osservato (FICARI La disciplina delle società estinte, cit., 131 e ss.), perché la sopravvivenza operi è, comunque, necessario neutralizzare alcune norme civilistiche e ritenere ancora esistente un patrimonio (ma allora non vi potrebbe essere liquidazione), una sede (ma allora non si potrà restituire l’immobile locato o venderlo), una responsabilità soggettiva in assenza di proseguimento di funzioni anche di altra rilevanza tributaria (es. non vi è alcuna dichiarazione tributaria da presentare) con prorogatio degli incarichi; per non parlare, poi, del problema di legittimazione che si pone quando fosse da notificare l’avviso di accertamento ed occorra individuare il luogo ed il soggetto destinatario ma, conseguentemente, anche il soggetto legittimato all’impugnazione (se l’originario amministratore venisse a mancare dopo la cancellazione si dovrebbe, per assurdo, immaginare un nuovo amministratore ?) (su tali problemi diffusamente NICCOLLINI I disagi del diritto commerciale, cit., 1025 ma anche, da ultimo, GUIDARA La successione nelle situazioni soggettive tributarie, Padova, 2018, 110 e ss.).

  • Resta, quindi, forte la convinzione di una disparità di trattamento e di un’irragionevolezza intrinseca della misura che si rivela inadeguata e non proporzionale rispetto alle finalità di tutela (anche) dell’interesse erariale (in generale cfr. ANTONINI Il principio di stretta proporzionalità nel sindacato costituzionale delle leggi tributarie: potenzialità e limiti in Rass.trib., 2015, 1064 e ss.; G.MOSCHETTI Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nell’evoluzione del diritto tributario, Padova, 2015, passim); in particolare, è stato del tutto trascurato dal giudice remittente che la proporzionalità della equiparazione (e, quindi, la non proporzionalità della nuova misura) è garantita dal potere dell’Agenzia delle Entrate di agire nei confronti dei liquidatori, amministratori e soci della società debitrice estinta in base al disposto dell’art.36 del DPR n.602/1973 (su cui, per tutti, RAGUCCI La responsabilità tributaria dei liquidatori di società di capitali dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n.175/2014 in AA.VV. Commento al decreto sulle semplificazioni (D.Lgs. n.175 del 2014) (a cura di Muleo), cit., 140 e ss.)

La tutela così delineata si rivela sproporzionata non tanto per la nobilità del fine quanto per l’incoerenza dello strumento (lasso temporale in questo caso) che si intenderebbe garantire; non si può, infatti, certo ritenere che il creditore erariale  sia un soggetto debole per minori mezzi di tutela preventiva e cautelare né di controllo considerando gli ampi poteri che gli uffici hanno di monitoraggio e aggressione patrimoniale; ne conseguirebbe la non necessità di garantire una simile tutela rafforzata del credito tributario (per analoghe considerazioni con riguardo alla normativa sulle scissioni anche MELIS (MONTANARI) Sulla responsabilità, cit., 702 e ss.).

Peraltro l’irragionevole discriminazione opera anche a danno di un altro creditore pubblico, quello previdenziale, i cui poteri sono sostanzialmente allineati a quelli dei creditori privati (lo osserva, seppur in relazione alla disciplina della responsabilità tributaria nelle scissioni, anche DI SIENA La Corte costituzionale, cit., 436)

Infine, tale non proporzionalità ben sia deducibile ed eccepibile in un nuovo giudizio anche nella (sola) prospettiva comunitaria, in ragione della maggiore sensibilità della Corte di Giustizia per la proporzionalità dello strumento di azione amministrativa rispetto al fine pubblico.

 

  1. La chiave di lettura intravista ma persa dalla Corte Costituzionale.

Come accennato, nella sentenza oggetto di commento la Corte Costituzionale vede ma non afferra la soluzione: nel §3.9 (all’interno sorprendentemente delle considerazioni sull’eccesso di delega) si richiama la disciplina della efficacia notifica agli eredi fatta “impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio” del de cuius  salva la comunica da parte dei medesimi di altro indirizzo.

Orbene, leggendo la sentenza la Corte si è avvicinata ad affermare che la tutela (anche) dell’interesse erariale sia raggiungibile semplicemente ammettendo che a fronte della cancellazione della società di capitali (mutatis mutandis equivalente al decesso della persona fisica) l’avviso di accertamento per periodi di imposta anteriori alla cancellazione sia notificato ai soci quali eredi della società debitrice…ma non lo ha detto espressamente.

Qualora lo avesse fatto, avrebbe dovuto sviluppare la tesi alternativamente dichiarando fondata la questione oppure interpretabile la disposizione de qua nel senso della mera sopravvivenza non della società ma dei suoi debiti in capo ai soci cui notificare l’avviso societario (per gli sviluppi di tale tesi cfr. sempre GUIDARA anche da ultimo in La Corte Costituzionale esclude la sopravvivenza fiscale delle società estinte in corso di pubblicazione in Riv.trim.dir.trib. il quale, se non errriamo, ritiene che la Corte abbia così inteso legittimare una notifica presso la sede sociale di un avviso intestato alla società ma impugnabile dai soli soci in virtù di un fenomeno successorio ex lege).

Per quanto il testo letterale dell’art.28 non consenta tale forma di interpretazione, ad ogni buon conto si sarebbe dovuto aggiungere a tale ipotetica altra statuizione una dettagliata illustrazione del titolo giuridico di coinvolgimento dei soci (successione ex lege ?) e della limitazione della loro responsabilità per gli anni anteriori e, per i due anni precedenti, forse anche ex art.36, terzo comma del DPR n.602/1973.

Senza introdurre una (nuova) deroga regola comune della responsabilità limitata, l’art.28 sarebbe salvabile ammettendo che la sua unica funzione sia quella di legittimare la notifica dell’atto intestato alla società anche ai soci mantenendo fermo l’originario indirizzo della sede sociale pur nella innegabile estinzione della società, fino a cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese (amplius per questa tesi in GUIDARA La successione nelle situazioni soggettive tributarie, Padova, 2018, 117 e ss. il quale condivisibilmente sottolinea la pessima fattura redazionale della norma).