Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

29/06/2020 - La cassazione conferma l’impossibilità di riqualificare la cessione di “fabbricato” in vendita di “terreno edificabile”

argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza

Le cessioni di fabbricati ultraquinquennali non danno luogo a plusvalenza imponibile: tuttavia in caso di riqualificazione dell’atto in termini di cessione di “terreno edificabile” la plusvalenza medesima diventa tassabile. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 23409/2018, è però tornata a ribadire che la cessione di un fabbricato non può essere riqualificata in cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria, neanche laddove il venditore abbia presentato domanda di concessione edilizia per la demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato. Le azioni accertative degli uffici, nonostante l’orientamento del giudice di legittimità, restano ancorate a tale prassi, finendo per pregiudicare gravemente la certezza del diritto ed il legittimo affidamento dei contribuenti. La peculiare fattispecie prevista dalla lettera b) dell’art 67 del TUIR ha, invece, più che mai necessità di essere interpretata rigorosamente, alla luce tanto della volontà del legislatore che l’ha introdotta quanto della sua assoluta singolarità nel variegato quadro delle plusvalenze immobiliari.

PAROLE CHIAVE: redditi diversi - plusvalenze immobiliari - terreno edificabile


di Filippo Passagnoli

 

  1. Con ordinanza n. 23409/2018 la Cassazione è tornata a riflettere su una fattispecie che ricorre non di rado nella pratica degli affari di natura immobiliare e che trae il proprio spunto dalla cessione a titolo oneroso, da parte di un soggetto che agisce al di fuori dell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, di un immobile da cui ha conseguito una plusvalenza. Plusvalenza che il Giudice di legittimità ritiene non tassabile, secondo una rigorosa applicazione del vigente art. 67 del TUIR.

Nel caso risolto dalla Corte, il contenzioso verteva sull’omessa dichiarazione di una plusvalenza in relazione alla vendita, avvenuta nell’ottobre del 2008, di un terreno edificabile e sovrastante fabbricato, cessione poi rettificata con atto notarile, tramite il quale l’oggetto della compravendita veniva riqualificato come “villino con annessa corte”.

Nel momento in cui, però, il campo di osservazione non venga limitato alla cessione del fabbricato, costituente l’oggetto formale dell’atto pubblico di trasferimento, ma esteso all’intento, emergente dall’atto medesimo, di sfruttare le ulteriori potenzialità edificatorie del terreno rispetto alle volumetrie già esistenti, si può comprendere la ragione per cui l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate ha accertato la tassabilità, quale reddito diverso, della plusvalenza conseguita, in applicazione dell’art. 67 lett. b) ultima parte del TUIR. Questa norma dispone la tassazione (in via separata) “in ogni caso delle plusvalenze derivanti dalla cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

 

  1. Come noto, la prassi della riqualificazione immobiliare è deflagrata a far data dalla Risoluzione del 22 ottobre 2008, n. 395/E, in cui l’Agenzia, rispondendo all’interpello di un contribuente, ha sostenuto che l’inserimento dei fabbricati all’interno di un’area oggetto di un Piano di Recupero, da cui discenda la possibilità di ampliare le cubature esistenti, fa sì che oggetto della compravendita non possano essere considerati i fabbricati, “oramai privi di effettivo valore economico, ma, diversamente, l’area su cui gli stessi insistono, riqualificata in relazione alle potenzialità edificatorie in corso di definizione”.

Da quel momento in poi, gli Uffici si sono sentiti a vario titolo legittimati a riqualificare quelle cessioni che, per vari motivi, potessero lasciare trapelare l’intenzione dei contraenti di considerare quale reale oggetto della cessione non il fabbricato, magari oggetto di futura demolizione, ma la potenzialità edificatoria sottostante ad esso (e, quindi, l’area edificabile).

Nel caso recentemente esaminato dalla Corte, la demolizione del fabbricato poco dopo l’avvenuta compravendita ed il fatto che l’acquirente fosse una società edile destinataria di un permesso di costruire (ottenuto nel giugno del 2008), erano stati interpretati dall’Amministrazione finanziaria quali indizi di una diversa volontà delle parti.

Ciò posto, la previsione di legge, già dal mero dato letterale, è però chiara nel prevedere la tassazione, ai fini delle imposte sui redditi, delle sole cessioni di aree edificabili (terreni).

Del resto, che questa fosse l’intenzione del legislatore si evince anche dalla relazione di accompagnamento della Legge n. 413/1991: la ratio ispiratrice dell’art. 81 (attuale art. 67) del TUIR è quella di tassare la “manifestazione di forza economica”, conseguente al “fatto oggettivo” della “avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica dei terreni”, e non derivante da un’attività produttiva (o speculativa) del proprietario o, addirittura, del futuro proprietario dei beni oggetto della cessione.

Già nel 2014 il Giudice di legittimità, con due leading cases (sentenze nn. 4150 e 15629), delineò i confini della vicenda, precisando che la cessione di un fabbricato, pur se poi demolito, non può essere riqualificata come cessione di area edificabile, dal momento che l’art. 67, comma 1, lett. b) è chiaro nel fare riferimento alla sole cessioni di terreni edificabili, quindi non ancora edificati (G. GAVELLI – M. TARGHINI – R. LUPI, La Cassazione conferma che, ai fini della plusvalenza, il fabbricato resta tale, benché poi demolito, in Dialoghi tributari, 3, 2014, pp. 294 ss.; M. DAMIANI, La tassazione delle plusvalenze da cessione di immobili da demolire o con ulteriori potenzialità costruttive, in GT – Rivista di giurisprudenza tributaria, 7, 2014, pp. 618 ss.).

 

  1. Le condivisibili riflessioni della Cassazione sono state confermate e sviluppate nella recente ordinanza n. 23409; anche in questa occasione la Corte ha seguito una precisa direzione: ha ribadito la ratio oggettiva del legislatore del 1991 e l’esclusiva centralità della “avvenuta destinazione edificatoria in sede di pianificazione urbanistica”.

Da questo assunto discenderebbero poi tutta una serie di corollari che l’Amministrazione finanziaria, nell’espletamento della propria attività accertativa, non può certo ignorare. Il primo principio che si ricava consiste nella regola per cui la distinzione fra “edificato” e “non ancora edificato” è alternativa e non ammette terze soluzioni.

In secondo luogo, si ricava il principio per cui la cessione di un edificio non può essere riqualificata quale cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la volumetria del lotto su cui insiste.

Ne deriva, ulteriormente, il principio per cui la pattuizione fra le Parti di demolire e ricostruire, anche con ampliamento di volumetria, non può essere riqualificata come cessione di terreno edificabile.

Infine, si ricava che il potere generale dell’Amministrazione di riqualificare un negozio giuridico in ragione dell’operazione economica sottesa trova un limite nell’indicazione di carattere tassativo del legislatore, che nella specie ha previsto due regimi fiscali differenti per la cessione di edifici e di terreni edificabili (del resto, eventuali attività, poste in essere dal contribuente, di lottizzazione o comunque di esecuzione di opere tese a rendere un terreno edificabile, sono riconducibili alla fattispecie sub lett. a) dell’art. 67).

Questa netta presa di posizione reca un indiscusso pregio: la giurisprudenza di legittimità, con il proprio contributo ermeneutico, è riuscita infatti a delimitare in modo chiaro la controversa fattispecie della cessione dei “terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria”. Diversamente operando si sarebbero continuati a presentare scenari sempre più incerti.

 

  1. Residua tuttavia, pur una volta scolpita la portata della disposizione, qualche perplessità a livello sistematico. Perché il terreno edificabile genera plusvalenze imponibili anche oltre il quinquennio dall’acquisto ed il fabbricato no? Il problema si pone a priori, sul piano delle scelte di politica fiscale.

La ricostruzione dei tratti essenziali delle “plusvalenze immobiliari” (G. TINELLI - S. MENCARELLI, Lineamenti giuridici dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 2007, pp. 193 ss.) evidenzia alcune incoerenze: dal punto di vista della capacità contributiva (che deve sempre sottendere al prelievo) ciascuna fattispecie prevista dalle prime due lettere dell’art. 67 manifesta idoneità alla contribuzione, derivante da incrementi di ricchezza realizzati tramite la cessione di un cespite immobiliare; tuttavia, assai diverso è il modo di atteggiarsi del presupposto. Nell’ipotesi di cui alla lett. a) il plusvalore rileva in quanto connesso ad un’attività del soggetto (appunto lottizzazione, costruzione, vendita); nelle ipotesi riconducibili alla lett. b) prima parte, il plusvalore rileva solo se realizzato entro un preciso lasso temporale, con esclusione dei beni pervenuti in successione; infine, nell’ipotesi di cui alla lett. b) ultima parte, il plusvalore rileva sempre, quali che siano la provenienza del cespite, il periodo temporale di riferimento e l’attività del soggetto. Con quest’ultima disposizione, il legislatore ha finito così per evocare una peculiare ipotesi di “reddito entrata” (B. GRIZIOTTI, I concetti giuridici dogmatici di reddito di ricchezza mobile e di capacità contributiva, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 1940, pp. 13 ss.; A. FEDELE, Profili dell’imposizione dei plusvalori patrimoniali nell’ordinamento italiano, in AA.VV., L’imposizione dei plusvalori patrimoniali, Milano, 1970, p. 154).

È facile rendersi conto, allora, che le scelte legislative in materia risultano poco coerenti e ragionevoli: la radicalità della norma introdotta nel 1991 con riguardo ai terreni edificabili, sicuramente ispirata da esigenze di gettito e non da coerenza sistematica, ha finito per frantumare la logica delle scelte impositive (R. CORDEIRO GUERRA, L’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef), in P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2002, p. 8).

Sarebbe auspicabile, dunque, un’opera di adeguamento sistematico della fattispecie in questione, in modo tale da uniformarla al paradigma reddituale, sicuramente preponderante nel quadro delle plusvalenze immobiliari (ed in generale, nell’ordinamento), del “reddito prodotto” (E. VANONI, Osservazioni sul concetto di reddito in finanza, in Opere giuridiche, II, Milano, 1962, p. 361; C. BERLIRI, Appunti sul concetto di reddito nel sistema dell’imposta mobiliare, in Rivista italiana di diritto finanziario, 1939, I, p. 11).