argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
L’Ordinanza di rimessione 30 luglio 2019, n. 20494 alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione pone in evidenza una questione di pregnante «attualità applicativa» e conseguente alla corretta qualificazione della natura giuridica della cartella di pagamento. Il punto controverso si focalizza sulla necessità di chiarire se la cartella di pagamento debba considerarsi alla stregua del «momento conclusivo» dell’iter di formazione del titolo esecutivo, oppure (e diversamente) se ad essa vada attribuita la qualificazione di «atto complesso», finalizzato alla contemporanea notificazione al contribuente tanto del titolo esecutivo, quanto del precetto dell’esecuzione forzata. Il pronunciamento in rassegna – alla data odierna in attesa di pubblicazione – trae origine dall’analisi del regime di solidarietà dipendente tra società di persone (s.n.c.) e socio, laddove la soluzione del quesito anzidetto incide non solo in termini di differente modulazione delle «facoltà processuali» esperibili dal «contribuente-notificatario» – in sede di impugnazione giurisdizionale della cartella di pagamento – ma anche in ordine all’ipotesi di estensione in capo ai soci della responsabilità patrimoniale per debiti tributari imputabili esclusivamente alla società de qua.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 30 luglio 2019, n. 20494)PAROLE CHIAVE: riscossione tributaria - cartella di pagamento - società di persone - responsabilità solidale
di Filippo Castagnari
Il tenore letterale dell’art. 2304 c.c. dispone che “i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”. Di conseguenza, l’Ente impositore (i.e. Agenzia delle Entrate – controricorrente) affermava nel giudizio di merito che “il beneficium excussionis riguarda la fase della riscossione coattiva dell’imposta, e non la notifica della cartella di pagamento, la quale si pone rispetto ad essa come atto prodromico (diversamente dall’avviso di mora che segue alla notifica della cartella esattoriale e che svolge, in primo luogo, la funzione di atto equivalente al precetto nel processo di esecuzione forzata: cfr., tra le altre, Cass. 13483/07; Cass. 5003/07, Cass. n. 7000/03)”.
Il collegio remittente dà atto che la giurisprudenza della Suprema Corte sul punto si è evoluta sino a condensare due distinti approcci sistematici; secondo un primo orientamento ultradecennale consolidatosi sino al 2016, “in tema di società in nome collettivo, il beneficio d’escussione disciplinato dall’art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, consentendo al creditore di procedere coattivamente a carico del socio a condizione di aver infruttuosamente agito sui beni sociali, sicché non osta all’emissione e alla notifica al socio stesso, quale coobbligato solidale nella società, di una cartella di pagamento, configurandosi quest’ultima non come atto esecutivo, ma conclusivo di un iter strumentale alla formazione del titolo esecutivo e all’esercizio dell’azione forzata (cfr.: Cass. n. 15713 del 12/8/2004; Cass. Sez. 6-5 n. 1040 del 16/1/2009; Cass., Sez. 6-5 n. 15966 del 29/7/2016)”. Difatti, argomenta il giudice di legittimità, l’art. 2304 c.c. non impedisce al creditore sociale di agire “in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (Cass. Sez. 1, sentenza n. 13183 del 26/11/1999)”.
Siffatte statuizioni muovono dall’assunto in base al quale il complesso delle norme regolatrici la riscossione dei tributi ex d.P.R. n. 602 del 1973 conduce a considerare “jus receptum il principio secondo cui la cartella di pagamento non può essere considerata atto esecutivo […] ma è piuttosto l’atto conclusivo dell’iter che conduce alla formazione del titolo esecutivo prodromico all’esercizio dell’esecuzione forzata (Cass. ord. 12494 del 16/6/2016; Cass., ord. 12839 del 22/6/2015; Cass. 25764 del 5/12/2014), e preannuncia l’esercizio dell’azione esecutiva, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2304 c.c. che disciplina il beneficium excussionis relativamente alla sola fase esecutiva”.
Successivamente, a partire dal 2017, taluni arresti della Suprema Corte sembrano avallare un differente e contrapposto criterio interpretativo della fattispecie in argomento, volto ad affermare che “in caso di ricorso al procedimento mediante ruolo, legittimamente il contribuente può opporre il beneficium excussionis allorquando riceva la notificazione della cartella, con la conseguenza che l’iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficium excussionis è illegittima e tale illegittimità si riverbera sulla notificazione della cartella, determinandone un vizio proprio (Cass., Sez. 5, n. 4959 del 27/2/2017, seguita da Cass., Sez. 5, n. 23260 del 27/9/2018 e da Cass., Sez. 5 n. 2878 del 31/1/2019)”.
In relazione a quanto espresso al punto sub a), il giudice remittente ne rimarca il sopravvenuto superamento ad opera della sentenza della Corte cost. 31 maggio 2018, n. 114, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 57, comma 1, lett. a, d.P.R. n. 602 del 1973 “nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c.”.
D’altronde, afferma la Consulta, “l’impossibilità di far valere innanzi al giudice dell’esecuzione l’illegittimità della riscossione mediante opposizione all’esecuzione, essendo ammessa soltanto l’opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’art. 24 cost. e nei confronti della pubblica amministrazione dall’art. 113 cost., dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva”. Pertanto, stante l’impossibilità di eccepire il beneficium excussionis in sede di impugnazione della cartella di pagamento, deve ammettersi la facoltà del contribuente di far valere tale situazione giuridica quale condizione di procedibilità dell’azione esecutiva ai sensi dell’art. 615 c.p.c., attraverso l’instaurazione del corrispondente giudizio secondo forme e procedure ammesse dal codice di rito.
In ordine al punto sub b) il collegio remittente segnala che, sebbene la cartella di pagamento inglobi necessariamente anche una prima intimazione ad adempiere l’obbligazione tributaria in essa condensata, ciò non dovrebbe costituire motivo necessario né sufficiente a far sí che il beneficio di preventiva escussione precluda irrimediabilmente al creditore sociale di munirsi del relativo titolo esecutivo. Diversamente, si introdurrebbe un trattamento deteriore ai danni dell’Ente creditore, non legittimato a munirsi preventivamente di siffatto titolo esecutivo (dovendo attendere l’esito dell’escussione coattiva dei beni della società) da far valere nei confronti del socio illimitatamente responsabile, sia a fini cautelari che di pronta esecuzione nel caso di incapienza del patrimonio sociale.
Le disposizioni anzidette – la prima di carattere processuale, la seconda sostanziale – concorrono a definire gli elementi costitutivi di ogni azione esecutiva: titolo esecutivo, atto di precetto e atto tipico dell’esecuzione forzata (i.e. pignoramento).
La cartella di pagamento contempla sia la qualità di titolo esecutivo che di atto di precetto, intimando al contribuente (notificatario della stessa) di adempiere l’obbligazione ivi sancita entro il termine stabilito, senza il necessario ricorso all’ulteriore notifica di un diverso atto destinato ad affermare “l’intimazione di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non minore di dieci giorni […] con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà a esecuzione forzata” (art. 480 c.p.c.). Ai sensi dell’art. 21, comma 1, d.lg. n. 546 del 1992 la cartella di pagamento acquista essenzialmente il valore di atto attraverso cui il ruolo è portato a conoscenza legale del destinatario, costituendo quest’ultimo in via assorbente il titolo esecutivo su cui si fonda la riscossione forzata (ai sensi dell’art. 49, comma 1, primo periodo, d.P.R. n. 602 del 1973).
Di conseguenza, la cartella di pagamento contiene l’intimazione diretta al contribuente di versamento delle somme in debenza (segnatamente dettagliate nel ruolo) entro il termine di sessanta giorni successivi alla notifica della cartella medesima (art. 50, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973), pena l’attivazione delle procedure relative all’adozione di atti tipici dell’esecuzione forzata senza la necessaria notificazione al contribuente di un «avviso di mora». Infatti, l’art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602 del 1973 cosí statuisce: “se l’espropriazione non è iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, l’espropriazione stessa deve essere preceduta dalla notifica, da effettuarsi con le modalità previste dall’articolo 26, di un avviso che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni”, ponendo un vincolo stringente alla notifica al contribuente del c.d. “avviso di mora” (rectius “avviso di intimazione ad adempiere”), rappresentato dal decorso di piú di un anno dall’avvenuta notifica della cartella di pagamento.
La notifica della cartella di pagamento e del ruolo in essa contenuto costituisce il momento dell’attuazione coattiva della pretesa fiscale sancita nel provvedimento amministrativo presupposto (i.e. avviso di accertamento). Difatti, la funzione pubblicistica di sollecita, certa e perequata ripartizione del carico tributario tra i consociati (v. amplius FALSITTA, Manuale di diritto tributario – Parte Generale, Milano, 2017, p. 14 ss.) impone il riconoscimento, in seno al procedimento tributario e agli atti che in esso assolvono la finalità di portare a conoscenza del contribuente una determinata e motivata pretesa erariale, del carattere dell’esecutorietà del provvedimento stesso (v. CALIFANO, La motivazione degli atti impositivi, Torino, 2012, p. 28 ss. e SACCHI MORSIANI, L’esecuzione delle pretese amministrative, Padova, 1977, p. 137 ss.).
Esecutorietà che, secondo la costante tradizione amministrativistica, si identifica come “il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza dover rivolgersi preventivamente ad un giudice allo scopo di ottenere l’esecuzione forzata” (cfr. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017, p. 159 ss.) e costituisce un aspetto qualificante (in chiave pubblicistica) dell’atto d’imposizione (cfr. RUSSO, L’accertamento tributario nel pensiero di Enzo Capaccioli: profili sostanziali e processuali, in Riv. dir. trib., n. 6/2010, p. 16 ss.).
Differenti prospettive interpretative non sembrano potersi individuare, ancorché si tenesse in adeguata considerazione la concentrazione della riscossione nell’accertamento attraverso l’istituzionalizzazione ex art. 29, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 conv. con modif. in l. 30 luglio 2010, n. 122 del c.d. «accertamento impoesattivo» (cfr. FALSITTA, o.u.c., p. 374 ss.). La concentrazione della fase dell’accertamento e della riscossione in un unico atto non è, di per sé solo, idoneo a produrre una commistione fra le due distinte attività (l’una impositiva e l’altra riscossiva), che tali rimangono seppur ravvicinate e «compresse» in un unico provvedimento (cfr. LA ROSA, Riparto delle competenze e “concentrazione” degli atti nella disciplina della riscossione, in Riv. dir. trib., n. 6/2011 e CARINCI, Prime considerazioni sull’avviso di accertamento “esecutivo” ex DL n. 78/2010, in Riv. dir. trib., n. 2/2011).
In ipotesi di solidarietà dipendente – ai fini dell’adempimento dell’obbligazione tributaria e con riferimento alla presunta posizione deteriore attribuita al Fisco in caso di impedimento alla notifica della cartella di pagamento al socio di s.n.c. (in difetto della previa escussione del patrimonio sociale) – la dottrina ha osservato che “la prassi è di notificare l’avviso di accertamento a chi ha realizzato il presupposto d’imposta e di rivolgersi al coobbligato dipendente utilizzando direttamente gli atti della riscossione. Comportamento che non vìola formalmente il diritto di difesa di tali soggetti che possono comunque impugnare l’atto per contestare l’esistenza e la misura del debito oltre la sussistenza della stessa responsabilità, ma che impone una difesa estremamente difficile perché su atti privi di motivazione e direttamente esecutivi” (cfr. PURI, I soggetti, in FANTOZZI [a cura di], Diritto tributario, Milano, 2012, p. 459; similmente, CARINCI, La riscossione a mezzo ruolo nell’attuazione del tributo, Pisa, 2008, p. 336; FRANSONI, L’esecuzione coattiva a carico dei debitori diversi dall’obbligato principale, in Rass. trib., 2011, p. 823 ss. e D’ANDREA, Responsabilità dei soci di snc e debiti tributari, in Dir. prat. soc., 2008, p. 14 ss.). Ed invero, “per costante giurisprudenza di questa Corte la responsabilità solidale ed illimitata dei soci per i debiti della società di persone, prevista dall’art. 2291 c.c., è operante anche nei rapporti tributari (Cass. n. 17225 del 2006), con la conseguenza che il socio di una società in nome collettivo bene può essere destinatario della pretesa tributaria anche quando questa si riferisca alla società, individuata dalle norme tributarie quale unico «soggetto passivo d’imposta», rispondendo il socio solidalmente dei debiti tributari di quest’ultima, a nulla rilevando che sia rimasto estraneo agli atti di accertamento ed impositivi finalizzati alla formazione del ruolo” ha recentemente ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza 25 maggio 2018, n. 13113 (orientamento avvalorato anche dalla giurisprudenza di merito: ex multis cfr. C.T.R. Lazio, Sez. XXXV, sentenza 9 giugno 2017, n. 3352).
Ciò posto, sembra potersi suggerire la seguente soluzione applicativa: l’Agente della Riscossione potrà procedere a duplice notificazione della cartella di pagamento tanto al «soggetto passivo d’imposta–obbligato principale» (i.e. Alfa s.n.c.), quanto al «soggetto coobbligato dipendente» (i.e. Tizio), il quale sarà chiamato ad adempiere previa dimostrazione, da parte dell’Agente, dell’infruttuosa escussione del patrimonio sociale.
L’atteggiamento critico espresso su taluni articoli di stampa specializzata, con riferimento al caso in trattazione, ritiene “indubbio che il beneficium excussionis si possa, anzi, si debba opporre dinanzi al giudice tributario allorquando si riceva notificazione della cartella: è in quel momento e in quella sede che il contribuente ha titolo per contestare la sussistenza della condizione posta al Fisco per agire esecutivamente contro di lui” (BUSCEMA, Il responsabile solidale può far valere il beneficio della preventiva escussione del debitore principale con l’impugnazione della cartella, in Diritto&Giustizia, 2019, p. 3 ss. e piú recentemente, senza assunzione di posizioni esplicite sul punto IORIO, Cartelle, alle Sezioni unite i rapporti di solidarietà, in Quotidiano del Fisco – Il sole 24 ore, 31 luglio 2019).
A ben vedere, il socio riceve la notificazione della cartella di pagamento come mero atto volto a legittimare la posizione dell’Agente della Riscossione ai fini di un’eventuale azione esecutiva nei suoi confronti, soggètta alla condizione di efficacia della preventiva ed infruttuosa escussione del patrimonio sociale.
Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte “l’interesse ad agire, previsto quale condizione dell’azione dall’art. 100 c.p.c. […] va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che, senza il processo e l’esercizio della giurisdizione, l’attore soffrirebbe un danno” (Cass., Sez. III civ., sentenza 4 maggio 2004, n. 8465). Interesse che, nel caso di specie, si attualizza non al momento della notifica della cartella di pagamento, bensí nel successivo ed eventuale compimento di un atto tipico della riscossione forzata volto ad incidere il patrimonio personale del socio.
Né a conclusioni differenti potrebbe condurre l’obiezione derivante dall’insorgenza del termine di decadenza perentorio di sessanta giorni successivi alla notifica della cartella di pagamento per impugnare la stessa, pena il definitivo consolidamento della pretesa fiscale ivi contenuta (cfr. art. 21, d.lg. n. 546 del 1992). Quest’ultima ha avuto piena manifestazione nell’avviso di accertamento (o nel diverso atto impositivo notificato ex ante), atto necessariamente prodromico alla cartella di pagamento (che ha valore ai fini della riscossione e non della costituzione del debito tributario), salvo il caso in cui l’impugnazione della cartella di pagamento è mezzo di accesso alla tutela giurisdizionale contestando nel merito la legittimità della pretesa fiscale, a causa della mancata notificazione dell’atto presupposto, ai sensi dell’art. 19, comma 3, d.lg. n. 546 del 1992 (Cass., Sez. Un. civ., sentenze 5 giugno 2017, nn. 13913 e 13916; in dottrina cfr. RASI, La giurisdizione, gli atti impugnabili e l’oggetto del processo tributario in MELIS, Manuale di diritto tributario, Torino, 2019, p. 512 ss. e TESAURO, Manuale del processo tributario, Torino, 2014, p. 206 ss.).