Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

12/12/2023 - Sulla autonoma proponibilità della domanda di risarcimento del danno per lite temeraria nel processo tributario

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La domanda di risarcimento del danno per lite temeraria può essere proposta, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dal contribuente nei confronti della amministrazione finanziaria innanzi al giudice tributario nell’ambito del giudizio avente ad oggetto la domanda principale di annullamento dell’atto amministrativo. Tuttavia, qualora non sia oggettivamente possibile articolare la domanda di risarcimento nel giudizio di merito, è consentita la proposizione della stessa in un giudizio autonomo.   

» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, Sez. VI – 5, ord. 13 settembre 2022, n. 26920) scarica file

PAROLE CHIAVE: risarcimento del danno, lite temeraria, giurisdizione competente, proponibilità della domanda, giudizio di merito


di Francesco Garganese

1. Il giudice tributario è legittimato a pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno proposta, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., dal contribuente contro l’Amministrazione finanziaria.

Tale principio, in realtà non nuovo nella giurisprudenza di legittimità e merito, è stato ribadito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 26920/2022, decisione che mostra, però, interessanti profili di novità. Difatti, secondo l’ordinanza che si annota, è possibile ritenere non solo che il giudice tributario possa conoscere la domanda risarcitoria del privato nello stesso giudizio di merito concernente l’impugnazione dell’atto amministrativo, ma anche che ciò possa avvenire in un giudizio autonomamente incardinato.

La vicenda esaminata dal Supremo collegio scaturiva dalla proposizione di un ricorso innanzi al giudice tributario con cui il contribuente aveva richiesto il risarcimento dei danni morali e materiali asseritamente subiti a causa dell’emissione, da parte di un Ufficio dell’Amministrazione finanziaria, di un avviso di accertamento sintetico, dichiarato illegittimo con sentenza definitiva resa in un precedente e separato processo tributario.

Mentre all’esito del giudizio di primo grado la domanda di risarcimento veniva dichiarata inammissibile, perché ritenuta proposta in assenza dei presupposti applicativi dell’art. 96 c.p.c., in grado di appello, il gravame del contribuente veniva rigettato sulla motivazione che la tutela apprestata dal codice di rito avverso il comportamento processuale di una delle parti non può essere azionata in una sede diversa da quella in cui viene fatta valere la domanda principale, ossia quella concernente il merito della pretesa tributaria.

In sede di legittimità, invece, la Suprema Corte, richiamando un precedente orientamento delle Sezioni Unite in materia di esecuzione non tributaria, ha accolto il ricorso del contribuente, affermando che la domanda di risarcimento per lite temeraria, qualora non sia materialmente proponibile in sede di cognizione, può essere fatta valere nell’ambito di un successivo autonomo giudizio. Così statuendo, la Corte ha riconosciuto il diritto del contribuente di proporre innanzi al giudice tributario una autonoma domanda di risarcimento svincolata dall’impugnazione dell’atto amministrativo tributario.    

L’ordinanza che si annota assume quindi una portata fortemente innovativa che, peraltro, si contrappone al formalismo tipico del processo tributario che, ai sensi dell’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992, impone, a pena di inammissibilità, l’introduzione del giudizio con ricorso avverso uno specifico atto e con l’indicazione dei relativi motivi di impugnazione.

Per tali ragioni, l’ordinanza n. 26920/2022 merita di essere esaminata non tanto nel punto in cui riconosce il diritto del contribuente a domandare nel processo tributario il risarcimento dei danni per il comportamento processuale illegittimo dell’Amministrazione finanziaria, quanto piuttosto nel punto in cui, riconoscendone la proponibilità in via autonoma, pone degli obiettivi dubbi di coerenza con la struttura impugnatoria del processo tributario.

2. L’esame della pronuncia in commento impone una preliminare, seppur breve, digressione sul contenuto dell’art. 96 c.p.c. che, rubricato “responsabilità aggravata”, introduce nel codice di rito civile una specifica azione di risarcimento contro chi abbia agito in giudizio con la consapevolezza (mala fede) ovvero ingiustificabile ignoranza (colpa grave) che le argomentazioni difensive addotte siano del tutto prive di fondamento (palese insostenibilità), proposte per mere finalità dilatorie e in ogni caso temerarie (tra i primi commenti in materia, Chiovenda, La condanna nelle spese giudiziali, Torino, 1901, 89; C. Calvosa, La condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 389).

In tale ipotesi, la disposizione processual civilistica sancisce, al primo comma, che, su istanza di parte, il giudice può condannare la parte soccombente che abbia agito in giudizio con mala fede o colpa grave, oltre che al pagamento delle spese di lite, al risarcimento dei danni da liquidarsi, anche d’ufficio, con la sentenza che decide il merito della controversia.

Il secondo comma della medesima disposizione prevede, invece, una fattispecie diversa, ossia la possibilità per il giudice di condannare al risarcimento dei danni la parte che, agendo senza la normale prudenza (colpa lieve), abbia assunto una delle iniziative processuali ivi elencate di tipo cautelare o esecutivo.

Infine, il terzo comma dell’art. 96 c.p.c. dispone che, in ogni caso, quando pronuncia sulle spese di lite, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata. Fattispecie quest’ultima che, similarmente a quella del quarto comma relativa al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, sembra distinguersi dalle prime due per assumere natura sanzionatoria-punitiva piuttosto che risarcitoria tout court. Del resto, essendo slegata dalla domanda di parte ed ancorandosi al pronunciamento sulle spese di lite, tale condanna non è condizionata all’esistenza e alla prova di un danno cagionato alla controparte (cfr. Cass. civ., 11 febbraio 2014, n. 3003).  

Al contrario, per le ipotesi di cui ai commi 1 e 2, costituisce presupposto applicativo della condanna, oltre la integrale soccombenza della parte contro cui la domanda è proposta, la prova che quest’ultima abbia agito in giudizio con la consapevolezza o colpevole ignoranza dell’infondatezza delle proprie ragioni ed abbia causato, in conseguenza di ciò, un danno economicamente valutabile.  

Difatti, sebbene il dettato normativo non lo preveda espressamente, la responsabilità aggravata di cui ai primi due commi dell’art. 96 c.p.c. si sostanzia in una forma speciale di responsabilità aquiliana o extracontrattuale, disciplinata dall’art. 2043 c.c., della quale ne conserva i presupposti applicativi (tra questi l’onere del soggetto istante di provare l’an e il quantum del danno subito).   

L’istituto della responsabilità aggravata ha trovato ingresso nell’ordinamento tributario ad opera dell’art. 15, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 546/1992, che in tema di spese del giudizio, a far data dal 2016, prevede espressamente l’applicabilità al processo tributario delle disposizioni contenute all’art. 96, commi 1 e 3, c.p.c.

Tuttavia, anche prima delle modifiche introdotte al decreto sul processo tributario dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, non sembravano sussistere ragioni per escludere l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. (ivi incluso il suo comma 2) al processo tributario, in virtù del generale rinvio alle norme del codice di rito civile posto dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.

Sebbene la responsabilità aggravata sia circoscritta all’agire processuale delle parti in contesa, nel diritto tributario essa presenta evidenti correlazioni con l’operato amministrativo dell’organo impositore, risultando indubitabile che la condotta processuale di quest’ultimo tragga la sua causa genetica nella preventiva adozione di un atto amministrativo oggetto di impugnazione da parte del contribuente. Non a caso, nella ordinanza in commento, la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che può dar luogo, appunto, alla successiva instaurazione di un processo in cui l’Ufficio amministrativo insista per la conferma del proprio operato. Si pensi, ad esempio, all’iscrizione a ruolo di somme oggettivamente non dovute ovvero all’assunzione di misure cautelari e all’avvio di azioni esecutive sulla base di titoli dichiarati in precedenza illegittimi dal giudice tributario.

In tutti quei casi in cui sia, dunque, dimostrabile da parte del contribuente che il soggetto pubblico abbia capziosamente o negligentemente agito in giudizio per la conservazione di una pretesa illegittima ovvero infondata, il giudice tributario, in presenza dei citati presupposti applicativi, può condannare l’Ufficio amministrativo al risarcimento del danno che il privato asserisca di aver subito. Quest’ultimo potrebbe essere patrimoniale, quantificabile nel pregiudizio economico che il contribuente abbia subito a seguito della “temeraria” resistenza in giudizio dell’Ufficio amministrativo, ovvero anche non patrimoniale, sussumibile nella non facile qualificazione di un patimento fisico o psicologico, per avere il contribuente dovuto necessariamente agire in giudizio per il riconoscimento delle proprie ragioni (in tal caso l’ammontare del danno potrebbe essere liquidato dal giudice in via meramente equitativa).

Ebbene, l’ordinanza della Suprema Corte n. 26920/2022, dopo aver brevemente descritto i tratti peculiari dell’istituto della responsabilità aggravata, ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. al processo tributario anche con una domanda autonoma, rinviando al giudice di merito la decisione in ordine alla richiesta di risarcimento dei danni asseritamente subiti dal contribuente a seguito del lungo iter processuale che lo stesso aveva dovuto affrontare per ottenere l’annullamento della pretesa tributaria.

3. L’ammissibilità nel processo tributario della domanda di risarcimento per lite temeraria, ancor prima della sua positivizzazione, è stata spesso riconosciuta da dottrina (v. Glendi, Postilla, in Giur. trib., 2009, 1000; G. Consolo, Le spese processuali e la responsabilità per lite temeraria davanti ai giudici tributari ed amministrativi: riflessioni indotte dalla altalenante giurisprudenza della Corte Costituzionale,in Giur. cost., 1998, I, 3504; A. Marcheselli, Risarcimento del danno per omesso ritiro in autotutela degli atti illegittimi: presupposti e limiti operativi della applicazione di un principio generale, in Giur. trib., 2009, 38; F. Pepe, Osservazioni in tema di risarcimento danni da «lite temeraria» ed asserito difetto di giurisdizione tributaria, in Dir. prat. trib., 2010, 705) e giurisprudenza (tra le prime Cass. civ., Sez. V, 20 dicembre 2006, n. 27266. In sede di merito, si veda invece Comm. trib. reg. Lazio, Sez. V, 8 ottobre 2007, n. 291; Comm. trib. reg. Puglia, Sez. IX, 13 luglio 2007, n. 80; Comm. trib. reg. Campania, Sez. I, 30 dicembre 2003, n. 973; Comm. trib. prov. Milano, Sez. XXXVI, 28 marzo 2003, n. 31; Comm. trib. prov. Cosenza, Sez. I, 26 agosto 1999, n. 179). Ciò ha consentito di superare alcune obiezioni che, specialmente presso le Corti di merito, l’istituto ha talvolta subito (cfr. Comm. trib. reg. Umbria, Sez. III, 28 maggio 2009, n. 21) ed ha, come detto, indotto anche il legislatore tributario a prevedere espressamente, all’interno dell’art. 15, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 546/1992, l’applicabilità al processo tributario delle disposizioni contenute all’art. 96, commi 1 e 3, c.p.c.

Del resto, anche esigenze di economia processuale e di coerenza del sistema impongono che, con riferimento a vicende afferenti gli atti amministrativi tributari, a pronunciarsi sulla (ulteriore) domanda di risarcimento debba essere lo stesso giudice competente a decidere nel merito la domanda principale di annullamento dell’atto.

Tali esigenze sono state illustrate, seppur sinteticamente, dalla Suprema Corte nell’ordinanza in commento, laddove i giudici di legittimità, richiamando altri precedenti arresti, hanno evidenziato non solo che nessun giudice può valutare la temerarietà della lite meglio di quello chiamato a pronunciarsi sulla domanda principale, ma anche che la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata alla decisione di merito da comportare il rischio, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto di giudicati.

In effetti, ove si propendesse per argomentazioni differenti, maggiormente incentrate sull’oggetto della domanda di risarcimento (che attiene ad un diritto soggettivo), si dovrebbe individuare nel giudice ordinario quello competente a pronunciarsi sulla temerarietà della condotta. Ma ciò, oltre ad essere non coerente con il dettato dell’art. 96 c.p.c., potrebbe appunto determinare esiti differenti tra il giudizio principale di merito e quello concernente la sola domanda di risarcimento.

A ben vedere, quindi, il giudice incaricato di decidere la controversia nel merito può ritenersi quello naturale a decidere anche l’ulteriore connessa domanda sulla temerarietà della controversia perché trattasi di decisione, da assumere tra le stesse parti, che attiene, evidentemente, alla condotta che queste stesse parti hanno assunto nel corso del medesimo giudizio. Del resto, il giudice incaricato di decidere il merito della controversia conosce (o dovrebbe conoscere) meglio di chiunque altro le ragioni per cui il giudizio è sorto, il tipo di condotta processuale assunta dalle parti, le argomentazioni di fatto e di diritto per cui una di esse è risultata soccombente ed, infine, l’eventuale ingiustificata insistenza di una delle parti a coltivare un processo altrimenti evitabile.

È per queste ragioni che la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice chiamato a decidere la domanda principale di merito sia quello certamente più idoneo a pronunciarsi anche sulla temerarietà della condotta, peraltro con una unica decisione, atteso che la condotta da sindacare è proprio quella tenuta dalle parti dinanzi a detto giudice. Trattasi, in altri termini, di una competenza funzionale che trae giustificazione nel carattere “endoprocessuale” dell’illecito compiuto e che, pertanto, sarebbe illogico derogare anche al fine di prevenire l’inutile proliferazione di giudizi sulla medesima fattispecie.

Analoga conclusione è riscontrabile, del resto, anche nella giurisprudenza amministrativa, la quale, ben prima di quella tributaria, ha costantemente riservato a sé stessa la cognizione sulla domanda di risarcimento per lite temeraria, laddove proposta nell’ambito del giudizio di merito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26 giugno 2000, n. 3631; Tar Veneto, Sez. I, 19 febbraio 2000, n. 637).

4. Il punto sicuramente più interessante della ordinanza n. 26920/2022 è, però, quello concernente l’ammissibilità nel processo tributario della domanda di risarcimento anche al di fuori del giudizio di merito, ossia nell’ambito di un autonomo processo instaurato ad hoc dal contribuente al solo fine di domandare la condanna dell’Ufficio amministrativo per responsabilità aggravata.

Giova ribadire, infatti, che, nel caso di specie, la domanda di risarcimento non era stata proposta dal contribuente nello stesso giudizio instaurato per ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento, bensì nell’ambito di un successivo e distinto processo, incardinato dal privato dopo la definizione di quello di merito al solo fine di ottenere il ristoro dei danni morali e materiali asseritamente subiti in conseguenza della emanazione dell’atto impositivo (annullato dal giudice tributario nel giudizio presupposto).

Orbene, le ragioni che hanno indotto la Suprema Corte ad annullare con rinvio la sentenza di appello, che aveva ritenuto inapplicabile in via autonoma la tutela apprestata dall’art. 96 c.p.c. nel processo tributario, risiedono nell’impossibilità materiale per il contribuente di azionare la domanda di risarcimento nel giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto di accertamento.

In particolare, era stato evidenziato dal contribuente che le regole sul processo tributario (quelle del D.P.R. n. 636/1972), applicabili ratione temporis ad entrambi i gradi di merito, escludevano espressamente l’applicazione degli articoli da 90 a 97 del codice di procedura civile. Sicché, trattandosi di controversia incardinata prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 546/1992, il contribuente aveva rilevato la propria oggettiva impossibilità a domandare l’accertamento della responsabilità aggravata dell’Ufficio nel giudizio di merito.

Ebbene, sul punto, la Corte di cassazione ha concluso che, ove non sia materialmente possibile proporre la domanda di risarcimento nel giudizio di merito, ne è consentita, unicamente in questa ipotesi, la proposizione nell’ambito di un giudizio autonomo, quale forma estrema di tutela del privato. Il principio in esame è stato affermato facendo richiamo di altri precedenti della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite (cfr. Cass., Sez. Un., 21 settembre 2021, n. 25478 e Cass. civ., Sez. VI-3, 31 dicembre 2021, n. 42119).

Conseguentemente, ravvisando nella vicenda esaminata una ipotesi di obiettiva impossibilità per il contribuente di chiedere la condanna dell’Ufficio per responsabilità aggravata nel giudizio di merito – appunto perché ad esso non era temporalmente applicabile l’istituto di cui all’art. 96 c.p.c. – i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del contribuente, cassando con rinvio la sentenza di appello nel punto in cui aveva negato l’autonoma proponibilità della domanda di risarcimento per lite temeraria nel processo tributario.

Tale conclusione sembrerebbe giustificarsi in ragione della tutela processuale che deve essere sempre garantita al privato per la difesa dei propri diritti.

Tuttavia, in una fattispecie così peculiare, ci si sarebbe aspettato uno sforzo maggiore della Suprema Corte nel motivare la proponibilità autonoma nel processo tributario della domanda di risarcimento per responsabilità aggravata. Ciò sia perché il richiamato pronunciamento delle Sezioni Unite n. 25478/2021 concerne una vicenda processuale non tributaria, diversa da quella che sembrerebbe aver dato origine alla domanda di risarcimento nel caso esaminato, e sia perché, soprattutto, il processo tributario presenta delle peculiarità su cui sarebbe stato opportuno quanto meno soffermarsi ad argomentare.

Sorvolando momentaneamente su tale ultimo aspetto, si ritiene che il richiamo del pronunciamento delle Sezioni Unite n. 25478/2021 non sia esaustivo ai fini che qui interessano, concernendo detta decisione una fattispecie non coincidente con quella sottoposta all’esame dei giudici di legittimità nell’ordinanza qui in commento.

Si tenga presente, anzitutto, che nella vicenda sottoposta all’esame delle Sezioni Unite si disquisiva della proponibilità di una autonoma domanda di risarcimento, ex art. 96, comma 2, c.p.c., per temerarietà dell’azione esecutiva promossa tra soggetti privati; fattispecie differente da quella oggetto della ordinanza n. 26920/2022 che, invece, è relativa alla responsabilità dell’Amministrazione finanziaria di cui al primo comma dell’art. 96 c.p.c. (tanto si rinviene nella descrizione dello svolgimento del processo).

Ciò posto, nella vicenda al vaglio delle Sezioni Unite, la proponibilità in via autonoma della domanda di risarcimento per responsabilità aggravata è descritta come extrema ratio a cui il privato può ricorrere in assenza di altri strumenti di tutela. In particolare, le Sezioni Unite hanno evidenziato che ove sia possibile proporla nel giudizio di cognizione, che è quello in cui il titolo dell’esecuzione si forma, la domanda deve essere formalizzata in detta sede; al contrario, qualora detto giudizio sia già concluso o esistano preclusioni processuali per il privato, la domanda deve essere proposta nella successiva fase processuale innanzi al giudice dell’opposizione all’esecuzione. Infine, quando sussista una preclusione anche in sede di opposizione all’esecuzione, potrà essere consentita la proponibilità della stessa in un giudizio autonomo.  

Orbene, con riferimento al caso in esame, tali argomentazioni, se da una parte consentono di riconoscere la proponibilità della domanda di risarcimento per lite temeraria in maniera autonoma e distinta dal giudizio di merito, dall’altra, non implicano però la automatica devoluzione al giudice tributario della decisione su detta domanda autonoma. Anzi, la soluzione offerta dalle Sezioni Unite indica che laddove l’azione per responsabilità aggravata venga proposta da una delle parti nell’ambito di un procedimento di opposizione all’esecuzione, ai sensi del comma 2 dell’art. 96 c.p.c., la domanda debba essere incardinata presso il giudice dell’esecuzione. E sempre dinanzi al giudice dell’esecuzione dovrebbe essere incardinata la domanda laddove si discuta di titoli esecutivi stragiudiziali, quali normalmente sono gli atti amministrativi tributari (si pensi all’avviso di accertamento esecutivo), così come chiarito dalle stesse Sezioni Unite nella medesima sentenza n. 25478/2021.

In definitiva, il richiamo dell’orientamento delle Sezioni Unite giustifica la proponibilità della domanda ex art. 96, c.p.c. al di fuori della sua (normale) proposizione nel giudizio di merito, ma non è funzionale a chiarire, con riferimento alle controversie incardinate contro gli uffici impositori, le ragioni per cui ritenere competente il giudice tributario a decidere sulla sola domanda di risarcimento.

5. In effetti, in materia di risarcimento, la competenza funzionale ed esclusiva del giudice tributario, così come prima illustrata, è logica in ragione della cumulabilità di due distinte domande (quella di annullamento dell’atto e quella per responsabilità aggravata) con riferimento alle quali è possibile sostenere una sorta di connessione necessaria.

Il punto è, però, che laddove tali domande vengano proposte in giudizi separati, la connessione viene inevitabilmente a mancare e il giudice tributario si trova nella stessa identica situazione in cui si troverebbe qualsiasi altro giudice a dover sindacare la condotta assunta da una delle parti in un pregresso processo. In detta ipotesi, infatti, il giudice tributario non può conoscere il comportamento assunto dalle parti nel primo processo semplicemente perché detta condotta non è stata dinanzi a lui tenuta. Si verifica, in altri termini, una situazione in cui, a differenza di quella in cui le domande di merito e risarcimento sono prospettate cumulativamente, l’apporto del giudice tributario non è funzionale all’accertamento dell’illecito extracontrattuale.

È indubbio, infatti, che la mera domanda di risarcimento per responsabilità aggravata concerne l’accertamento di un diritto soggettivo che, salvo i casi delle liti da rimborso, è ordinariamente precluso al giudice tributario. Tanto è vero che, in materia di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. (dunque non della fattispecie speciale di responsabilità aggravata), la giurisprudenza di legittimità ha spesso indicato il giudice ordinario competente a pronunciarsi sulla domanda del contribuente (tra le tante, Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2020, n. 2090; Cass. civ., Sez. Un., 23 novembre 2015, n. 23834; Cass. civ., Sez. Un., 29 aprile 2008, n. 10826; Cass. civ., Sez. Un., 16 aprile 2007, n. 8958).

Ciò impone di giustificare in qualche altro modo la proponibilità della domanda di risarcimento per lite temeraria innanzi alla giurisdizione tributaria laddove essa venga avanzata in forma autonoma e separata rispetto alla domanda di annullamento dell’atto.

Al riguardo, si talvolta è cercato di motivare tale attribuzione, riconducendo la domanda in esame all’ambito delle controversie “accessorie” che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, rientrano nell’oggetto della giurisdizione tributaria (sul punto F. Pistolesi, Le nuove materie devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in Giur. imp., 1999, 1498; A. Giovannini, Processo tributario e risarcimento del danno (sulla pienezza ed esclusività della giurisdizione speciale), in Riv. dir. fin., 1999, I, 126; F. Pepe, La responsabilità aggravata dell’Amministrazione finanziaria per “temerarietà della lite” (art. 96 c.p.c.), in P. Rossi (a cura di), La responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria, Milano, 1999, 297. Contra G. Tinelli, Manuale del processo tributario, Torino, 2016, 25; L. Del Federico, La giurisdizione, in F. Tesauro (a cura di), Il processo tributario, Torino, 1998, 55).

Tale qualificazione non è, però, stata condivisa dalla giurisprudenza di legittimità, che in passato ha voluto circoscrivere l’accessorietà della controversia al tributo ovvero, meno frequentemente, all’atto amministrativo oggetto di impugnazione. In particolare, sono stati qualificati accessori gli aggi dovuti all’esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori e - seppur in maniera non sempre univoca - anche il maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224, secondo comma, c.c. (Cass. civ., Sez. Un., 16 aprile 2007, n. 8958).

Nel tentativo, quindi, di legittimare l’attribuzione alla giurisdizione tributaria delle domande di risarcimento proposte in via autonoma in quanto “accessorie”, interessanti appaiono le argomentazioni esposte dalla Corte Costituzionale nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204. Con tale pronunciamento, è stata fatta salva l’attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione in tema di risarcimento del danno, superando la regola del doppio giudizio (ordinario ed amministrativo) quale presupposto di attuazione del principio costituzionale del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. In tal modo, nell’ottica della Consulta, il privato potrebbe concentrare dinanzi ad un unico giudice ogni esigenza di tutela avverso l’esercizio della azione amministrativa, da intendersi in ottica omnicomprensiva.

In effetti, ipotizzare una forma di tutela unica ed alternativa a quella del “doppio binario” tra giurisdizione ordinaria e speciale sembrerebbe maggiormente ragionevole e funzionale al diritto di difesa del privato.  

La possibilità, quindi, di attuare una interpretazione adeguatrice dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, coerente con le esigenze di tutela e del giusto processo di cui il contribuente necessita, dovrebbe a questo punto ammettersi quanto meno per quelle domande risarcitorie che siano la conseguenza dell’esecuzione di un atto amministrativo impugnato, per quanto nell’ambito di un giudizio presupposto.

Qui il concetto di accessorietà, in maniera forzata, dovrebbe ravvisarsi nel collegamento tra l’adozione di un atto amministrativo (palesemente illegittimo o infondato), l’instaurazione del processo per l’annullamento dell’atto (in cui abbia luogo l’ingiusta condotta processuale dell’Ufficio) e la successiva autonoma domanda di risarcimento del privato. In difetto di tale sequenza, non sembra possibile ravvisare l’esistenza di una domanda accessoria attratta alla cognizione del giudice tributario e la giurisdizione competente dovrebbe ragionevolmente individuarsi in quella ordinaria, così come evidenziato in un altro recente arresto delle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 21 dicembre 2022, n. 37445).

Ma anche laddove si volessero in tal modo superare le incertezze di ordine sostanziale nella vicenda qui in trattazione, restano pur sempre quelle di ordine formale la cui violazione è sanzionata processualmente.

Invero, appare comunque non facile ipotizzare di introdurre in via autonoma dinanzi al giudice tributario una domanda di risarcimento del danno se solo si considera che il D.Lgs. n. 546/1992, come già evidenziato, ai sensi del combinato disposto degli articoli 18 e 19, legittima espressamente l’instaurazione della lite mediante un modello impugnatorio e non ammette atto introduttivo diverso dal ricorso che, a pena di inammissibilità, deve recare tra gli altri l’indicazione dell’atto opposto e i motivi di censura del medesimo.

Ebbene, tutte le problematiche sin qui esposte non sono state chiarite dalla Corte di cassazione nell’ordinanza n. 26920/2022 in quanto il Collegio si è limitato a convalidare, seppur quale modalità estrema di tutela, l’autonoma proponibilità della domanda di risarcimento per responsabilità aggravata dinanzi al giudice tributario, applicando tout court alla fattispecie la soluzione offerta dalle Sezioni Unite in un contesto processuale evidentemente non comparabile.

Proprio per questo, se si vuole riconoscere al giudice tributario l’autorità di offrire piena tutela al contribuente anche sul fronte dei diritti soggettivi e si intende adottare, in conseguenza di ciò, un “ammodernamento” del rito tributario, funzionale non solo a vagliare la legittimità degli atti impositivi, ma anche a sindacare il rapporto collaborativo tra Amministrazione finanziaria e contribuente, non può che auspicarsi un intervento legislativo idoneo a modificare espressamente le norme concernenti l’oggetto e le modalità di introduzione della domanda nel medesimo processo. Ciò consentirebbe, del resto, di concentrare sotto l’egida del giudice tributario ogni forma di tutela pretesa dal privato contro l’operato del fisco e, in materia risarcitoria, superare quella non facile distinzione, da ultimo proposta proprio dalle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. civ., Sez. Un., 21 dicembre 2022, n. 37445), di ritenere competente il giudice tributario solo laddove la domanda del privato segua una precedente lite tributaria ed il giudice ordinario in tutti gli altri casi.

Sino ad allora pare obiettivamente difficile legittimare la autonoma proposizione innanzi al giudice tributario di una domanda di risarcimento del danno contro un soggetto pubblico al di fuori del giudizio di annullamento dell’atto amministrativo tributario (in tal senso G. Corasaniti, La giurisdizione sulle azioni di responsabilità nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2008, II, 505; E. Marello, La giurisdizione delle commissioni tributarie, in F. Tesauro (a cura di), Codice commentato del processo tributario, Torino, 2016, 47).