Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

28/07/2023 - Estinzione della società di capitali ed intrasmissibilità delle sanzioni tributarie agli ex-soci

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 30011/2022, torna a pronunciarsi sulla intrasmissibilità delle sanzioni tributarie in capo agli ex-soci della società di capitali estinta, confermando il principio di diritto secondo cui “a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l'intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall’art. 2, comma 2, del detto decreto, nonché, in materia societaria, con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003”. Si rilevano, con il presente commento, talune criticità delle premesse argomentative della Corte fondate sulla ferma applicazione del principio personalistico alle persone giuridiche, nonché la possibile strumentalizzazione del principio di diritto affermato per sottrarsi alle pretese sanzionatorie.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 13 ottobre 2022, n. 30011) scarica file

PAROLE CHIAVE: sanzioni tributarie - intrasmissibilità - ex socio - società estinta


di Mariagiulia Trapanese

La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, si pone nel solco di un orientamento ormai consolidato sulla intrasmissibilità delle sanzioni tributarie in capo agli ex-soci della società di capitali estinta, confermando il principio di diritto affermato per la prima volta, con una fugace motivazione, dall’ordinanza del 7 aprile 2017, n. 9094 (GUIDARA, L’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi e la sua riferibilità alle estinzioni delle società, in Riv. dir. trib., II, 2017, pag. 339), poi richiamato da successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ. 19 aprile 2018, n. 9672, Cass. civ. 20 ottobre 2021, n. 29112, con nota di GUIDARA, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e “intra vires” dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, in GT - Riv. giur. trib, 7/2019, pag. 616; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, in Il Nuovo diritto delle società, 3/2022, pag. 503).

La controversia traeva origine dalla verifica condotta su di una società di capitali, di cui la società ricorrente era socia al 50%, nei cui confronti era stato accertato l’omesso versamento IVA ed erano state comminate le relative sanzioni; il conseguente avviso di accertamento veniva notificato alla società quando era stata già cancellata dal registro delle imprese, nonché ai due unici soci ed al liquidatore. La società ricorrente, per quanto di interesse ai fini del presente commento, impugnava la decisione del giudice di seconde cure che, oltre a riconoscere la responsabilità per l’imposta dovuta in qualità di ex-socio al 50%, imputava a quest’ultima anche le pretese sanzionatorie.

I giudici di legittimità, accogliendo il ricorso limitatamente a tale motivo, richiamano il principio di diritto secondo cui “a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibili ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l'intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dall'art. 2, comma 2, del detto decreto, nonché, in materia societaria, con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito con modificazioni in L. n. 326 del 2003, che ha introdotto la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie (Cass., 7 aprile 2017, n. 9094), salvo ipotesi di corresponsabilità” (tra i primi commenti, cfr. RANDAZZO, Non è trasmissibile al socio la sanzione tributaria della società di capitali estinta - Il carattere afflittivo della sanzione tributaria della società di capitali esclude, in caso di estinzione, la sua trasmissione ai soci: le ragioni di condivisione dell’indirizzo della Cassazione, in GT - Riv. giur. trib, 1/2023, p. 28).

  1. Il percorso motivazionale della pronuncia in epigrafe presenta due aspetti di interesse: in primo luogo, la decisione fa espresso riferimento ai differenti principi cui risponde il fenomeno “successorio” avente ad oggetto l’imposta evasa, secondo il novellato art. 2495 c.c., che si pone a tutela del ceto creditorio, rispetto alla disciplina sanzionatoria tributaria, improntata sul modello penalistico e, dunque, sulla responsabilità personale del trasgressore; in secondo luogo, aggiunge – rispetto al citato principio di diritto – un’ulteriore considerazione che confermerebbe la pienezza del principio personalistico anche con riguardo alle persone giuridiche. Ed invero, la Corte evidenzia che, indipendentemente da quanto previsto con la riforma del 2003, che dunque non avrebbe indebolito il suddetto impianto, già la precedente disciplina di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 472/97 richiedeva la specifica verifica della imputazione personale della sanzione, finanche in capo al soggetto che rivestiva il “ruolo di vertice nell’organizzazione societaria” nei cui confronti non si veniva a determinare un “sistematico riconoscimento di responsabilità sanzionabile” (come affermato dalla recente giurisprudenza cui si rinvia, Cass., 25 febbraio 2021, n. 5164). Tale principio, pertanto, avrebbe giustificato già di per sé l’impossibilità di imputare al mero “socio”, che mai ha rivestito un ruolo direttivo nell’ambito societario, la responsabilità dell’illecito tributario e l’irrogazione della relativa sanzione. Già da tali brevi argomentazioni si può rilevare la confusione e sovrapposizione di discipline e di principi presente nell’attuale assetto sanzionatorio tributario relativo agli enti, anche determinato dal “doppio binario” che è conseguito dalla riforma del 2003 (MARONGIU, Le sanzioni amministrative tributarie: dall’unità al doppio binario, in Riv. Dir. Trib., 1/2004, p. 373).

L’orientamento è stato confermato da una successiva pronuncia che aggiunge altresì la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione sulla intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, ex-soci, affermando che “appare irrilevante che la questione in esame sia stata proposta dal contribuente per la prima volta in appello, considerato che quella della intrasmissibilità agli eredi delle sanzioni tributarie rappresenta una questione rilevabile d’ufficio dal giudice, poiché attiene alla fattispecie costitutiva del diritto dell’Erario di irrogare le stesse” (Cass. Civ. 22 novembre 2022, n. 34273, vd. RANDAZZO, Non è trasmissibile al socio la sanzione tributaria della società di capitali estinta, cit.).

  1. Le premesse argomentative della Corte trovano le proprie basi, in primo luogo, nella riforma della disciplina sanzionatoria tributaria del 1997 che, abbandonando il sistema duale sovrattassa/pena pecuniaria, avente una natura ibrida (SAMMARTINO – COPPA, Sanzioni tributarie, in Enc. Dir., 1989, pag. 433 e ss.; DEL FEDERICO, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993; CORDEIRO GUERRA, Illecito tributario e sanzioni amministrative, Milano, 1996), ha improntato l’intero sistema sanzionatorio sullo stampo penalistico, caratterizzato dalla natura afflittiva e punitiva della sanzione e fondato sul principio della responsabilità personale del trasgressore. L’intrasmissibilità agli eredi, difatti, rappresenta un diretto corollario della natura personale della responsabilità per violazioni tributarie, codificata dall’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997 (GUIDARA, L’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi e la sua riferibilità alle estinzioni delle società, cit.).

In secondo luogo, si fondano sul rinnovato art. 2495 c.c., ad opera della riforma organica del diritto societario attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, come poi interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, che attribuisce alla cancellazione dal registro delle imprese efficacia costitutiva dell’estinzione della società, a cui segue un fenomeno “successorio”, a titolo universale, in capo ai soci. Il novellato art. 2495 c.c., difatti, dispone che “approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese”; al comma secondo, nel disciplinare i rapporti passivi pendenti, prevede che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei  confronti dei liquidatori, se il  mancato  pagamento  è  dipeso  da  colpa  di questi”.

La Suprema Corte, pertanto, applicando fermamente il principio personalistico alle società di capitali e ricostruendo il fenomeno estintivo in termini successori (vd. le recenti riflessioni di DEOTTO – LOVECCHIO, Responsabilità dei soci delle società di capitali al bivio tra fenomeno successorio e obbligazione personale, in il fisco, n. 29/2022, p. 2819), ha ritenuto applicabile analogicamente la previsione di cui all’art. 8 del detto decreto, che sancisce la intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi.

  1. Il principio di cui all’art. 8 del D.Lgs. n. 472/97 è riferibile alle persone fisiche, mancando diversamente un riferimento normativo per l’ipotesi dell’estinzione della persona giuridica. Ed invero, nel momento in cui tale previsione fu introdotta, non vi era una concreta esigenza di prevedere un precipuo riferimento alla “morte” degli enti in quanto, da un lato, le società “restavano in vita” fino a quando pendevano nei propri confronti situazioni giuridiche soggettive; dall’altro, le sanzioni tributarie erano imputabili direttamente in capo all’autore dell’illecito.

Tale lacuna è stata colmata dalla giurisprudenza che, sin dalla citata pronuncia del 2017, ha operato un’interpretazione analogica dell’art. 8 ritenendolo applicabile anche all’ipotesi di estinzione della società (di capitali) a seguito della cancellazione della stessa dal registro delle imprese, muovendo dalla natura punitiva ed afflittiva della sanzione, fondata sul principio di responsabilità personale della violazione.

Una parte della dottrina ha condiviso tale posizione in quanto, facendo derivare dalla cancellazione della società un fenomeno successorio a titolo universale, secondo i principi di teoria generale  in primis civilistici devono ritenersi trasferibili in capo agli eredi tutte le situazioni di carattere patrimoniale suscettibili di valutazione economica restando, invece, escluse dalla successione le situazioni giuridiche di carattere personale, tra cui devono essere ricomprese le sanzioni aventi natura afflittiva (GUIDARA, Società di capitali estinte: responsabilità automatica e “intra vires” dei soci, ma non per le sanzioni tributarie, cit.; BASILAVECCHIA, Modalità di accertamento della responsabilità del liquidatore, in Corr. trib., 3/2021, pag. 235).

Altra parte della dottrina ha ritenuto trasmissibili agli eredi, ex-soci, anche le sanzioni irrogate in capo alla società estinta relativizzando lo stesso principio personalistico applicato alle persone giuridiche (GIOVANNINI, Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 1/2022, pag. 122; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, cit., p. 513 ss.), nonché ricostruendo la responsabilità del socio sulla falsariga della “obbligazione di garanzia” (così, GIOVANNINI, ult. cit., secondo cui “l’obbligazione di garanzia, in diritto civile, vive fino a quando vive l’obbligazione alla quale accede, indipendentemente dalle vicende che possono interessare il soggetto cui questa si riferisce”).

  1. Una prima criticità dell’apparato motivazionale della pronuncia in commento riguarda innanzitutto la ferma applicazione del principio personalistico alle persone giuridiche. Difatti, già nel sistema sanzionatorio tributario degli “enti” delineato nel 1997, per attenuare la dicotomia tra il soggetto passivo del tributo nei cui confronti si riflettevano i vantaggi economici dell’illecito ed il soggetto che subiva le conseguenze punitive dello stesso, il principio personalistico ha subito una graduale mitigazione con l’introduzione di ipotesi di responsabilità solidale dell’ente, ricostruite nei termini della solidarietà dipendente, nonché di previsioni quali l’accollo dell’obbligazione sanzionatoria, la responsabilità esclusiva dell’ente oltre la soglia prevista in caso di difetto di dolo o colpa grave, la sopravvivenza della obbligazione alla morte dell’autore materiale, la responsabilità del cessionario dell’azienda.

Con la riforma del 2003 (art. 7 del D.L. n. 269/2003), poi, il Legislatore, anche influenzato dall’introduzione della nuova forma di responsabilità “amministrativa da reato” dell’ente ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, ha inteso superare, soprattutto per le strutture imprenditoriali complesse, lo schema propriamente personalistico di imputazione delle sanzioni, preferendo concentrare le stesse in capo al “contribuente avvantaggiato” dell’illecito (in senso critico, GALLO, L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, in Rass. trib., 2005, pag. 11; CORDEIRO GUERRA, Il principio di personalità, in GIOVANNINI (diretto da), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, II, Milano, 2016, p. 1448).

Muovendo da tale premessa, non sembrerebbe corretto ragionare sulla base dell’applicazione “pura” del principio personalistico alla persona giuridica e, dunque, estendere alla stessa il diretto corollario della intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi, che si riferisce precipuamente alle persone fisiche (GIOVANNINI, Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo sul futuro, in Dir. prat. trib., 1/2022, pag. 122; MARZO, Note in tema di estinzione delle società con personalità giuridica e intrasmissibilità delle sanzioni tributarie, cit., p. 513 ss.). Occorrerebbe diversamente porre l’attenzione su colui che ha tratto vantaggio dall’illecito che, nel caso della persona giuridica, è il patrimonio sociale; ed è lo stesso patrimonio sociale – diretto beneficiario economico dell’illecito, ma di certo non autore dello stesso – che nel momento in cui la società viene messa in liquidazione, viene ripartito tra i soci sulla base del bilancio di liquidazione. Non sembrerebbe, pertanto, sovversivo dei principi che informano il sistema della responsabilità degli enti personificati prevedere la responsabilità dei soci di adempiere all’obbligazione di pagamento della sanzione pecuniaria irrogata con il medesimo patrimonio sociale, nei limiti di quanto ricevuto in virtù del bilancio di liquidazione.

  1. Tali riflessioni trovano ulteriore fondamento se si pensa alla potenziale strumentalizzazione della ricostruzione operata dalla ordinanza in commento mediante lo scioglimento “volontario” della società. Come osservato già da autorevole dottrina all’indomani dell’introduzione della previsione di cui all’art. 7, comma 1, D.L. n. 269/2003, la totale “irresponsabilità” degli autori delle violazioni può indurre gli stessi ad escogitare “liberamente e consapevolmente le più artificiose ingegnerie economico-finanziarie, senza subire alcuna conseguenza negativa” (GALLO, L’impresa e la responsabilità per le sanzioni amministrative tributarie, cit.). La giurisprudenza di legittimità, difatti, è intervenuta sul punto riconoscendo la “diretta responsabilità dell’autore dell’illecito” laddove lo stesso sia compiuto a proprio beneficio e la società costituisca un mero schermo (LA FERLA, Le sanzioni amministrative in materia tributaria Disposizioni generali. Parte prima (2011-2021), in Dir. Prat. Trib., 3/22, pag. 1049, il quale osserva che in tal caso non si potrà neanche discutere di trasmissibilità o meno della sanzione ai soci, essendosi ribaltati i termini soggettivi dell’imputazione).

Secondo un ragionamento speculare, far conseguire alla cancellazione della società la “generale impunità” rispetto all’illecito tributario commesso espone al concreto rischio di far dipendere dalla mera volontà dei soci la sottrazione alle conseguenze sanzionatorie tributarie.

Si rinvengono, in tal senso, spunti di riflessione in una recente pronuncia della Cassazione penale in tema di responsabilità dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001, secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese della società non comporta l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato e la contestuale trasmissione della relativa responsabilità in capo ai soci (INGRAO, L’estinzione delle società di capitali e le imposte evase tra la riscossione coattiva sui soci, lo stimolo all’adempimento spontaneo e l’inesorabile perdita di gettito tributario, in Riv. trim. dir. trib., 3/2022, pag. 554). La stessa è di particolare rilievo in quanto, superando il principio di responsabilità personale dell’ente, che nel modello sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 231/2001 è ancor più definito rispetto al sistema sanzionatorio tributario, la Suprema Corte ha ritenuto trasmissibili ai soci le sanzioni irrogate in capo all’ente a seguito della sua estinzione (Cass. Pen. sez. IV, 22 febbraio 2022, n. 9006, con nota di BIANCHI, Reato degli enti collettivi - Processo penale all’ente “morto”: fictio iuris e vulnerazioni (sostanziali) dei principi, in Giurisprudenza Italiana, 7/22, p. 1712; ARDIZZONE, Cancellazione della società dal registro delle imprese e vicende modificative dell’ente: una inammissibile ipotesi di analogia in malam partem, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 3-4/2022, p. 675).  

Ai fini argomentativi è opportuno, altresì, rinviare brevemente all’indirizzo interpretativo superato da tale pronuncia in materia penale (Cass. Pen. sez. II, 10 settembre 2019, n. 41082), in cui i giudici di legittimità sebbene avessero ritenuto non applicabile l’art. 2495 c.c. all’obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 231/2001, hanno effettuato una differenziazione tra le ipotesi di cancellazione patologica e fraudolenta della società dalla “fisiologica estinzione” della stessa (nel caso di specie, a seguito della chiusura della procedura fallimentare).

Anche alla luce degli spunti di riflessione offerti dalle pronunce in tema di responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato, trovano supporto le rilevate criticità del principio di diritto affermato, se si tiene in considerazione la potenziale strumentalizzazione dello stesso. Si prenda ad esempio il caso in cui una società sia stata ripetutamente inadempiente agli obblighi tributari ed i soci decidano “volontariamente” di procedere allo scioglimento e messa in liquidazione della società ex art. 2484, n. 6, c.c., prima che l’atto impositivo e di contestazione delle sanzioni sia stato notificato alla stessa, come avvenuto nella controversa in esame. In tale fattispecie, le pretese tributarie e le relative sanzioni tributarie potranno essere accertate e contestate nei confronti della società di capitali estinta ai sensi dell’art. 28, comma IV, D.Lgs. n. 175/2014, ma, in virtù dell’orientamento giurisprudenziale esaminato, per le stesse non potrà rispondere nessuno, neppure lo stesso patrimonio sociale ripartito in sede di liquidazione.