Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

20/06/2023 - Sull'imputabilità della sanzione amministrativa tributaria all'amministratore, anche di fatto, nelle società con personalità giuridica

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ha ribadito il suo orientamento in tema di imputabilità delle sanzioni amministrative tributarie all’amministratore (di fatto) di società con personalità giuridiche. La Cassazione ha confermato che l’art. 7 del d.l. n. 269 del 30 settembre 2003 prevede l’irrogazione delle sanzioni amministrative solamente alla persona giuridica. Tale disposizione, tuttavia, non opera se la società è stata costituita per mascherare una realtà fattuale in cui l’amministratore di fatto è il beneficiario materiale delle violazioni contestate. Pertanto, in tale ipotesi, l’amministratore risponde direttamente delle sanzioni irrogate. Sul punto, i giudici di legittimità si focalizzano sul criterio del beneficio dell’evasione, senza attribuire la dovuta rilevanza ai requisiti necessari per rendere inoperante l’art. 7, d.l. n. 269/2003. Inoltre, non chiariscono se, per l’imputazione diretta della sanzione, l’amministratore deve essere l’unico beneficiario della violazione, ovvero se i beneficiari diretti possono essere altri soggetti oltre l’amministratore.

» visualizza: il documento (Cass. civ., sez. trib., ord. 6 giugno 2022, n. 18116) scarica file

PAROLE CHIAVE: illeciti tributari - amministratore di fatto - principio personalistico - imputabilità della sanzione amministrativa


di Giuseppe Farcomeni

1. Nell’ordinanza in commento è ribadito l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di riferibilità delle sanzioni amministrative tributarie alla persona giuridica. Il giudizio aveva ad oggetto un avviso di accertamento riguardante la rideterminazione di IRES, IRAP ed IVA, con contestuale irrogazione delle sanzioni amministrative. L’avviso in questione è stato notificato sia alla persona giuridica, nel frattempo cessata, che al relativo amministratore di fatto. Nello specifico, posto che l’art. 7, d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, prevede l’irrogazione delle sanzioni amministrative solamente nei confronti della persona giuridica, la Suprema Corte ha specificato che non può realizzarsi un concorso nella violazione in capo all’amministratore di fatto sulla base dell’art. 9, d.lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997, poiché il già menzionato e successivo art. 7 dispone l’applicabilità delle norme del d.lgs. n. 472/1997 solo se compatibili. Tale interpretazione, però, non esclude che l’amministratore di fatto risponda direttamente delle sanzioni ove la società sia stata costituita artatamente e a fini illeciti per mascherare una realtà giuridica nella quale l’amministratore è il beneficiario materiale delle violazioni contestate. Ricorrendo tale ipotesi, secondo la Corte, “la persona fisica che ha agito per conto della società è, al contempo, trasgressore e contribuente”; dunque l’ente è un mero schermo fittizio, costituito nel solo interesse dell’amministratore. Secondo i giudici di legittimità, l’art. 7, d.lgs. n. 269/2003 non opera in situazioni del genere, poiché il fatto regolamentato dalla norma è la violazione compiuta dall’amministratore nell’interesse della persona giuridica, nel presupposto che sussista quindi una distinzione tra trasgressore e contribuente.

2. La pronuncia della Suprema Corte offre lo spunto per riflettere innanzitutto sui requisiti necessari per identificare la figura dell’amministratore di fatto delle società, per poi concentrarsi sulle circostanze in base alle quali l’irrogazione della sanzione può avvenire nei confronti dell’amministratore, anche di fatto, di una società con personalità giuridica, superando il disposto dell’art. 7 d.l. n. 269/2003. Nella decisione in commento i giudici di legittimità hanno chiarito che la società era gestita, in concreto, da un amministratore di fatto, ovvero da un soggetto che agiva come proprietario delle quote dell’ente, senza che vi fosse alcuna forma di controllo o di supervisione da parte degli organi a ciò deputati all’interno della società. In passato, la Cassazione ha chiarito che l’amministratore di fatto è colui che, anche se privo di un’investitura formale, è inserito nella gestione della società e ne condiziona le scelte operative. Inoltre, l’ingerenza gestoria non deve esaurirsi nello svolgimento di atti eterogeni ed occasionali, ma deve avere i caratteri della sistematicità e della completezza (Cass. civ., sez. I, 1° marzo 2016, n. 4045). È stato sostenuto come l’utilizzo della nozione di amministratore di fatto, in ambito di illeciti tributari, abbia le sue radici nel diritto penale, nel quale la necessità di contrastare gli abusi all’interno dell’ente spinge a dare prevalenza alla situazione sostanziale (di fatto), rispetto a quella formalmente risultante (Mezzetti E., Ronco M., Soggetti e responsabilità individuale collettiva, in Diritto penale dell’impresa, 2ª ediz., Zanichelli, Bologna, 2009). Sul punto, l’art. 2639 c.c. prevede, per i reati societari, che il soggetto formalmente titolare della funzione è equiparato a colui che esercita in modo continuativo e significativo i poteri inerenti a quella funzione. Tale meccanismo di imputazione, tipico dell’ambito penalistico, sembrerebbe trovare applicazione anche in materia di illeciti amministrativi tributari. In ogni caso è doveroso precisare che se, da un lato, l’art. 11 del d.lgs. n. 472/1997 individua espressamente, per gli enti privi di personalità giuridica, la responsabilità solidale dell’amministratore anche di fatto, dal tenore letterale dell’art. 7, d.l. n. 269/2003, potrebbe invece desumersi l’esclusiva riferibilità della sanzione alla persona giuridica, a prescindere dalla presenza di un interesse o di un vantaggio della persona fisica che ha commesso l’illecito. Ciò posto, in presenza di un illecito amministrativo tributario relativo al rapporto fiscale di società o enti con personalità giuridica, occorre soffermarsi sulle circostanze fattuali che eventualmente consentono di imputare le conseguenze dell’illecito non già alla società ma all’amministratore, sia “di fatto” che “di diritto”, non riscontrandosi, a tal fine, alcuna differenza tra le due figure, come potrebbe apparire prima facie dalla lettura dell’ordinanza. L’impianto normativo sulle sanzioni amministrative tributarie è basato sul principio personalistico, ovvero sulla riferibilità della sanzione alla persona che ha commesso o concorso a commettere l’illecito (art. 2, comma 2, d.lgs. n. 472/1997). È fondamentale, dunque, individuare correttamente il soggetto al quale è ascrivibile la condotta illecita. In dottrina si è affermato che le sanzioni amministrative tributarie hanno una natura punitiva e preventiva, poiché la loro entità pecuniaria cagiona un sostanziale depauperamento del soggetto al quale sono irrogate e, al contempo, rappresenta un deterrente nei confronti della collettività dei contribuenti che comprendono, in tal modo, il disvalore sociale che deriva dalla commissione dell’illecito tributario, contraria al disposto dell’art. 53 Cost. (si vedano, nell’alternarsi dei sistemi normativi in tema di sanzioni amministrative tributarie, Coppa D. – Sammartino S., voce Sanzioni tributarie, in Enc. dir., 1989, 478 ss.; Del Federico L., Introduzione alla riforma delle sanzioni amministrative tributarie: i principi sostanziali del D. Lgs. n. 472/1997, in Riv. dir. trib., 1999, I, 107 ss.; Falsitta G., Confusione concettuale e incoerenza sistematica nella recente riforma delle sanzioni tributarie non penali, in Riv. dir. trib., 1998, I, 475 ss.; Giovannini A., Sui principi del nuovo sistema sanzionatorio non penale in materia tributaria, in Dir. prat. trib., 1997, I, 1188 ss.). L’ingente entità della misura sanzionatoria, in linea con la funzione punitiva, ha consentito di attribuire alle sanzioni amministrative tributarie una natura sostanzialmente penale, che rende necessario il rispetto del principio del cd. ne bis in idem “sostanziale”. In particolare, se l’autore della violazione è sottoposto ad un processo penale per la medesima condotta che ha causato l’irrogazione della sanzione amministrativa, occorre applicare necessariamente il principio di specialità, previsto dall’art. 19, d.lgs. n. 74 del 2000, in forza del quale prevarrà la norma speciale (ovvero quella penale), tranne nel caso in cui non intervenga una sentenza penale di assoluzione (Carinci A., Il principio di specialità nelle sanzioni tributarie: tra crisi del principio e crisi del sistema, in Rass. trib., 2015, 499 ss.; Flick G.M., Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane su un tema europeo, in Rass. trib., 2014, 939 ss.; Maiello V., Doppio binario sanzionatorio, ne bis in idem e reati tributari, in Giur. comm., 2017, II, 348 ss.). L’attuale struttura del sistema normativo prevede, in punto di irrogazione e imputabilità della sanzione, una differente disciplina a seconda che la violazione sia commessa da una persona fisica o da un ente sprovvisto di personalità giuridica, ovvero da una persona giuridica. Per meglio comprendere come si configura il cd. doppio binario del sistema sanzionatorio, occorre fare riferimento all’art. 11 del d.lgs. n. 472/1997, in base al quale, quando la violazione è commessa dal dipendente o dal rappresentante di una persona fisica, ovvero dal dipendente, dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto di una società o ente con o senza personalità giuridica, si configura la responsabilità solidale dell’autore dell’illecito e dell’ente nell’interesse del quale ha agito. Senza effettuare alcun coordinamento, il legislatore ha introdotto il più volte menzionato art. 7 d.l. n. 269/2003, che stabilisce, per gli enti e le società dotati di personalità giuridica, l’esclusiva riferibilità delle sanzioni amministrative tributarie alla persona giuridica, nonché l’applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472/1997 solo se compatibili (v., di recente, Alfano R., Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020, 62 ss., ove riferimenti bibliografici). Si è dibattuto, a lungo e con differenti approdi ermeneutici, sul portato dell’introduzione di tale disposizione. Secondo una parte della dottrina, l’art. 7 individuerebbe nella persona giuridica un soggetto di diritto autonomamente capace di essere destinatario di sanzioni e di compiere illeciti amministrativi. In particolare, tale disposizione sancirebbe una forma di presunzione di riferibilità assoluta della sanzione tributaria alla persona giuridica per condotte compiute per suo conto, a prescindere dalla presenza di un beneficio che derivi dal comportamento illecitamente tenuto dall’autore materiale (v. di recente, anche per riferimenti bibliografici, Ronco S. M., Limiti alla riferibilità della sanzione alla persona giuridica, principio del beneficio e rilievo dell’autore materiale: considerazioni e prospettive di riforma, in Riv. dir. trib., 2018, 595 ss.). Ricorrerebbe, in altri termini, un’ipotesi di immedesimazione organica tra ente e organo e, pertanto, anche se materialmente fosse l’amministratore a porre in essere la condotta contra ius, l’art. 7 permetterebbe di imputare all’ente medesimo la commissione dell’illecito. Tale imputazione sarebbe giustificata proprio dal fatto che il vantaggio economico della violazione ricade sull’ente, che soddisfa l’interesse di un illecito risparmio di imposta. Difatti, se, da un lato, la violazione è commessa dall’organo, dall’altro, il soggetto beneficiario è l’ente, configurabile quale centro di aggregazione autonoma di responsabilità sanzionatoria (Giovannini A., Sanzione tributaria e persona giuridica: appunti per una riforma, in Rass. trib., 2013, 509 ss.; Giovannini A., Sulle sanzioni amministrative tributarie: uno sguardo al futuro, in Dir. prat. trib., 2022, 1, 122 ss.). Seguendo un diverso indirizzo, dovrebbero ritenersi compatibili con il richiamato art. 7 le norme del d.lgs. 472/1997 che stabiliscono la sanzionabilità della persona fisica, tra le quali rientrano quelle sul concorso di persona (art. 9) e sull’autore mediato (art. 10). In questa prospettiva, l’art. 7 non introdurrebbe un sistema che conferisce alla persona giuridica la responsabilità della commissione di un illecito (come avviene nel caso della responsabilità amministrativa degli enti – d.lgs. n. 231/2001), ma si limiterebbe ad attribuire all’ente “il mero adempimento dell’obbligo sanzionatorio a fronte del riscontro di un beneficio indistinto ottenuto in seguito alla commissione di una violazione da parte di un soggetto diverso” (Tundo F., I nebulosi confini dell’ascrizione del carico sanzionatorio alla persona giuridica, in Riv. giur. trib., 2019, 2, 123 ss.). Secondo questa teoria, l’art. 7 non individuerebbe alcuna forma di immedesimazione organica tale da rendere l’ente responsabile in via diretta della condotta illecita. Ne consegue che sarebbero compatibili con l’art. 7 in argomento le norme del d.lgs. n. 472/1997 sull’imputabilità (art. 4), sulla colpevolezza (art. 5) e sulle cause di non punibilità (art. 6). Difatti, colui che commette la violazione è il trasgressore, mentre il beneficio della violazione è attribuito all’ente, ma quest’ultimo non ha un’autonoma capacità di commettere illeciti (Tundo F., op. cit., 125 ss.).

Ebbene, la Suprema Corte sembra condividere quest’ultima interpretazione quando afferma che, nel caso delle persone giuridiche, l’art. 7 regolamenta ipotesi dove si configura una differenza tra trasgressore e contribuente, ovvero la circostanza in cui l’amministratore, sulla base del mandato conferito, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica. Diversamente, nel caso in cui la società di capitali sia stata costituita in modo fittizio e con finalità illecite, è l’amministratore (anche di fatto), quale persona fisica, a rispondere della sanzione, in quanto ha tratto benefici personali dalla commissione dell’illecito. Tale situazione fattuale determina la non operatività del disposto dell’art. 7, con la conseguente responsabilità diretta dell’amministratore. L’interpretazione accolta dalla Cassazione non sembra essere pienamente in linea con il dettato normativo e, in particolare, con il comma 1 dell’art. 7, d.l. n. 269 del 2003, il quale, nello stabilire che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica, sembra escludere che possano essere irrogate sanzioni pecuniarie ad altri soggetti che rivestono incarichi nell’ente. È, dunque, necessario chiedersi entro quali limiti il beneficio ottenuto attraverso l’illecito possa consentire di imputare la sanzione all’autore materiale, invece che alla persona giuridica.

3. La Suprema Corte, per superare il dato normativo di cui all’art. 7 d.l. n. 269/2003 e al fine di evitare che alcune condotte illecite restino impunite, ha affermato che l’esclusiva riferibilità della sanzione alla persona giuridica non opera nel caso in cui la persona fisica ha beneficiato materialmente della violazione contestata e non ha agito nell’interesse della persona giuridica. Tale interpretazione sembra andare oltre il testo dell’art. 7, d.l. n. 269/2003, dove è assente qualsiasi riferimento al fatto che la sanzione fiscale debba gravare sul soggetto che ha beneficiato effettivamente della violazione. La Legge delega n. 80, del 7 aprile 2003 - Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale, aveva previsto espressamente tale principio (art. 1, comma 1, lett. l) – “la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione”), con lo scopo di sanzionare ogni forma di vantaggio indebito derivante dall’evasione fiscale; tuttavia, il legislatore ha ritenuto di non inserire questa precisazione nel disposto normativo di cui al d.l. n. 269/2003. È opportuno precisare che, con il termine beneficio, si intende individuare il vantaggio economico che la persona fisica ha ottenuto dalla violazione. Ne consegue che, ricorrendo tale circostanza, l’ente non trae alcuna utilità economica dall’illecito compiuto dall’amministratore (anche di fatto), che ha perseguito esclusivamente un interesse proprio (Tundo F., I nebulosi confini dell’ascrizione del carico sanzionatorio alla persona giuridica, in Riv. giur. trib., 2019, 2, 123 ss.). A tal riguardo, si è sostenuto che il vantaggio economico dell’evasione è l’elemento che permette di considerare contra ius la condotta dell’ente. Pertanto, laddove lo schermo sociale della persona giuridica rappresenta un modo per compiere illeciti dei quali trae beneficio soltanto la persona fisica, è necessario individuare delle tecniche di tutela efficaci, per impedire un utilizzo abusivo della struttura societaria. Ciò per non consentire che il vantaggio economico, da intendersi quale risparmio riferito al tributo evaso, ovvero quale profitto della violazione, resti impunito. Difatti, potrebbe affermarsi, utilizzando la terminologia propria della confisca penale (art. 240 c.p.), che il minor tributo dichiarato possa considerarsi alla stregua di profitto della trasgressione (Giovannini A., Sanzione tributaria e persona giuridica: appunti per una riforma, in Rass. trib., 2013, 509 ss.). In proposito la Cassazione, nella differente materia del sequestro preventivo ex art. 322 c.p., ha affermato che la condizione essenziale per poter procedere al sequestro finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli amministratori della società, è l’im­possibilità, anche transitoria e reversibile, di poter apprendere il profitto diretto tra i beni nella disponibilità della società, percettrice del vantaggio fiscale e quindi del profitto diretto del reato (cfr., Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2015, n. 41072). Sicché, la Cassazione sembra valorizzare in diverse circostanze il concetto di riferibilità diretta e univoca del vantaggio fiscale, quale discrimine per far ricadere sulla persona giuridica le conseguenze delle condotte illecite in ambito tributario.

4. Da quanto sin qui affermato emerge che, nell’interpretazione giurisprudenziale, il disposto di cui all’art. 7 d.l. n. 269/2003 non opererebbe nel caso in cui l’ente sia stato costituito in modo fittizio per mascherare una realtà in cui le condotte sociali siano poste in essere nell’interesse dell’amministratore (anche di fatto), al quale dovranno imputarsi le relative sanzioni. Ebbene, pur condividendo il senso di giustizia insito nell’imputare la sanzione al soggetto che materialmente ha conseguito un indebito vantaggio fiscale mediante la violazione di norme tributarie, non si può sottacere che un utilizzo indiscriminato e generalizzato della cd. teoria del beneficio può condurre ad uno svuotamento del portato della previsione dell’art. 7, che ha lo scopo di riferire la sanzione alla persona giuridica. Occorrerebbe dunque, innanzitutto, verificare con attenzione se nel caso concreto siano presenti tutti i requisiti probatori necessari per dimostrare che la società costituisce una finzione giuridica e un mero schermo. Una tale indagine probatoria consentirebbe di osservare come nelle società a ristretta base sociale sovente si configura una realtà fattuale in cui è riscontrabile la presenza di un soggetto che amministra la società nel proprio interesse e utilizza la struttura dell’ente per conseguire dei benefici personali illeciti. Diversamente, nelle società di grandi dimensioni, spesso anche quotate nel mercato azionario, difficilmente può esistere una situazione in cui l’ente sia amministrato da un soggetto nel proprio esclusivo interesse. Non si può dubitare, infatti, sulla circostanza che tali società sono dotate di diversi meccanismi e di organi di controllo che impediscono, in radice, tale eventualità. Inoltre, i soggetti che gestiscono l’ente sono, generalmente, estranei alla compagine sociale, sicché si manifesta una totale autonomia tra coloro che amministrano l’ente e i soci che partecipano alla ripartizione degli utili. In altre occasioni, la Cassazione ha espresso un orientamento maggiormente in linea con il dettato normativo, in quanto ha chiarito che, per rendere inoperante l’art. 7, d.l. n. 269/2003, devono essere dimostrati elementi che consentono di escludere totalmente la vitalità della società. In particolare, è necessario acquisire un quadro indiziario che provi come gli obiettivi illeciti dell’amministratore (anche di fatto) siano assorbenti rispetto a quelli di altri soggetti. In altri termini, non è sufficiente che l’amministratore sia uno dei beneficiari dell’attività illecita della società, bensì è necessario che la società sia stata costituita con il solo fine di coprire le attività illecite dell’amministratore (Cass. civ., sez. trib., 23 gennaio 2023, n. 1946). Nel caso in commento, la Cassazione non sembra aver chiarito adeguatamente quali sono i requisiti che in concreto devono sussistere per rendere inoperante l’art. 7, d.l. n. 269/2003, limitandosi ad affermare acriticamente che la sanzione deve essere imputata alla persona fisica che ha commesso la violazione nel proprio interesse e per trarre un beneficio personale. Pertanto, ferma restando la rilevanza delle difese spiegate nei giudizi di merito, che, dal contenuto della pronuncia in commento, non emergono adeguatamente, occorre in conclusione rilevare che la Suprema Corte si è dimostrata poco accorta nell’individuare presupposti oggettivi idonei ad integrare i casi in cui l’amministratore (anche di fatto) risponde della sanzione relativa al rapporto fiscale proprio di società con personalità giuridica. Difatti, il criterio del beneficio, sic et simpliciter, si presta a possibili abusi applicativi, poiché i giudici raramente chiariscono come debba atteggiarsi il beneficio che deriva dalla violazione affinché la sanzione sia imputata all’amministratore. Sul punto, sarebbe necessario che l’Amministrazione finanziaria allegasse adeguati elementi probatori al fine di dimostrare che l’unico beneficiario dell’attività illecita della società sia l’amministratore (anche di fatto). Diversamente, nel caso in cui i beneficiari effettivi della violazione siano direttamente o indirettamente, anche altri soggetti, come i soci, la sanzione non dovrebbe essere imputata all’amministratore, dovendosi escludere che la società sia stata costituita con l’unico fine di occultare le attività di quest’ultimo.