Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

10/05/2023 - La legittimazione processual-tributaria del contribuente per debiti pregressi alla sentenza dichiarativa di fallimento

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Il contribuente fallito – oggi assoggettato a liquidazione giudiziale in virtù delle nuove disposizioni in materia – non perde la qualità di soggetto passivo del rapporto d’imposta e, in virtù di questo, non può essergli negata la legittimazione processuale in ambito tributario, tenuto conto delle conseguenze cui è esposto sul fronte sanzionatorio. Allo stato è prevista una legittimazione straordinaria e succedanea del contribuente che nasce solo in caso di inerzia della curatela. Sulla qualificazione dell’inerzia degli organi procedurali e, dunque, sulla legittimazione del fallito, esistono opposti orientamenti. Si auspica che le Sezioni unite, investite della querelle, adottino un indirizzo interpretativo estensivo, tale da legittimare l’impugnazione del contribuente ogni volta in cui il curatore ometta di ricorrere alla tutela giurisdizionale.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 25 agosto 2022, n. 25373) scarica file

PAROLE CHIAVE: fallimento - legittimazione processuale del contribuente - inerzia della curatela


di Antonia Cuccurullo

1. Il fatto. La fattispecie oggetto dell’annotata ordinanza della Suprema Corte, n. 25373 del 25 agosto 2022, concerne la legittimazione straordinaria del contribuente fallito ad impugnare atti afferenti debiti insorti prima della dichiarazione di fallimento, ma notificati successivamente ad essa. La vicenda origina dall’impugnazione di due avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2002 e 2004, precedenti alla dichiarazione di fallimento, con i quali l’Agenzia delle Entrate disconosceva costi non documentati e recuperava l’IVA. Il fallito, socio accomandatario e responsabile solidale della società di persone oggetto di recupero, rivendicava la propria legittimazione straordinaria ad impugnare, stante l’inerzia della curatela fallimentare. La Commissione Tributaria Provinciale adita dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di capacità di agire del fallito e in secondo grado il contribuente otteneva lo stesso esito, poiché il giudice del gravame non riteneva esservi stata inerzia del curatore, bensì una ponderata valutazione di rinunciare all’azione operata dal giudice delegato, di qui il vizio dell’azione proposta. Il contribuente ricorreva in cassazione per violazione dell’art. 24 Cost. e degli artt. 43 L. Fall. e art. 19, D.lgs. 546/1992, evidenziando la riferibilità dell’atto impositivo a crediti concorsuali insorti prima della dichiarazione di fallimento, per cui doveva validamente ritenersi soggetto passivo del rapporto d’imposta e, di conseguenza, legittimato ad agire in costanza di fallimento. Osservava il ricorrente che la soggettività passiva d’imposta non veniva meno all’atto della dichiarazione di fallimento. Sotto altro profilo, il contribuente considerava che l’inerzia del curatore ad impugnare gli atti impositivi relativi a crediti concorsuali genera automaticamente la legittimazione straordinaria del soggetto dichiarato fallito.

La Suprema Corte, dopo una compiuta ricognizione degli opposti orientamenti giurisprudenziali sul tema, ritenendo la questione della legittimazione straordinaria e succedanea del contribuente, di massima e particolare importanza, ha rimesso la causa al Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rinviare la questione alle Sezioni Unite.

2. Gli opposti orientamenti della Corte di Cassazione. Il tema relativo alla legittimazione processuale del contribuente ad impugnare gli atti impositivi notificati in costanza di fallimento, ha visto nel tempo succedersi opposti orientamenti, evidenziati dalla pronuncia annotata.

Il dibattito giurisprudenziale muove dalla pregiudiziale considerazione per cui, in presenza della procedura, il fallito non perde la soggettività passiva d’imposta (Cass. civ. sez. V del 24 febbraio 2006, n. 4235), pur verificandosi lo spossessamento dei beni (G. MELIS – M. GOLISANO, La portata soggettiva del giudicato tributario reso nell’ambito del fallimento, in Modulo24 Contenzioso tributario, 9 maggio 2022, n. 3, pag. 6; F. BRIZZI, Gli effetti patrimoniali del fallimento per il fallito e le novità introdotte dalla riforma fallimentare, in Studi e ricerche di scienze umane e sociali, a cura di R. DELLE DONNE, Napoli, 2014). La dichiarazione di fallimento non muta lo status soggettivo del contribuente in riferimento agli autonomi periodi d’imposta già conclusi, nei quali egli rivive la qualità di contribuente, titolare del lato passivo del rapporto d’imposta, contrapposto al Fisco, soggetto attivo, con un legame che la sentenza dichiarativa di fallimento non ha attitudine a spezzare (M. MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, Giappichelli Editore, Torino, 2011, in Studi di diritto tributario, Collana diretta da Giuliano Tabet e Francesco Tesauro; Cass. civ. sez. Trib. Del 30 settembre 2021, n. 26506; Cass. sez. civ. del 30 maggio 2020, n. 10108; Cass. civ. Sez. Trib. del 30 aprile 2014, n. 9434; Cass. civ. sez. Trib. del 24 febbraio 2006, n. 4235).

Tanto ciò è vero che, sia nel caso in cui l’amministrazione finanziaria emetta un atto impositivo quando il contribuente è in bonis e detto atto venga impugnato prima della declaratoria di fallimento, sia se l’atto impositivo sia emesso quando la sentenza dichiarativa del fallimento intervenga prima della decorrenza dei termini per l’impugnazione, sia, infine, se l’atto venga emesso e notificato, ed è questo il caso trattato dalla pronuncia in commento, dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, ma concerne anni d’imposta anteriori a detta dichiarazione, il soggetto passivo della pretesa tributaria, dal punto di vista sostanziale, è sempre il contribuente fallito (E. F. RICCI, Lezioni sul fallimento, Volume II, Milano, 1998; B. QUATRARO – S. D’AMORA, Il curatore fallimentare, Milano, 1999; Circolare AE n. 26/E del 22 marzo 2002, par. 4; Risoluzione AE n. 171/E del 5 giugno 2002).

Dal punto di vista processual-tributario, il contribuente fallito si identifica quale valida parte ricorrente, perché egli non perde la soggettività passiva del rapporto d’imposta.

Nel caso in cui l’accertamento tributario inerisca ad un presupposto d’imposta anteriore alla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, o nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, l’atto impositivo deve essere notificato non solo al curatore, in virtù della partecipazione di detti crediti al concorso, ma anche al contribuente, il quale, siccome soggetto passivo del rapporto d’imposta, è eccezionalmente abilitato ad impugnarlo, nel caso di inerzia degli organi concorsuali (Cass. 30 aprile 2014, n. 9434; cfr. M. CONIGLIARO, Difesa del contribuente insolvente dinanzi al Fisco: chiaro interesse ad agire ma opaca legittimazione processuale, in Il fisco, n. 47-48/2022, pagg. 4553-4558).

La legittimazione dell’imprenditore è di carattere eccezionale poiché, se egli resta in ogni caso soggetto passivo d’imposta e, come tale, dal punto di vista processual-tributario, identificabile quale parte ricorrente, la legge fallimentare, per converso, stabilisce precise limitazioni alla legittimazione ad agire del fallito, in favore della curatela.

Gli artt. 43 L. Fall. e 143 D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 prevedono che, nelle controversie anche in corso, relative ai rapporti di diritto patrimoniale del debitore, compresi nella liquidazione giudiziale, sta in giudizio il curatore. Di conseguenza, se il fallito conserva, la titolarità passiva del rapporto d’imposta, perde la legitimatio ad processum (M. CONIGLIARO, Difesa del debitore insolvente dinanzi al Fisco: chiaro interesse ad agire ma opaca legittimazione processuale, in Il fisco, 47-48/2022, pagg. 4553-4558; Id., Legittimazione processuale del fallito: vi sono ancora vere ragioni per considerarla residuale?, in Il fisco, n. 20/2017, pag. 1951).

La dichiarazione di fallimento, dunque, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta la perdita della capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, che diventa appannaggio del solo curatore. A questa regola fanno eccezione solo due casi, ossia, l’ipotesi in cui il fallito agisca per la tutela di diritti strettamente personali (art. 46, L. Fall.; art. 146 C.C.I.) e quella in cui, pur trattandosi di rapporti patrimoniali, la curatela sia rimasta inerte, manifestando indifferenza nei confronti del giudizio (R. GIORGETTI, Natura relativa della perdita della capacità processuale del fallito, nota a Cass., 5 marzo 2003, n. 3245, in Fallimento, 2003, 10, 1083 ss.; M. MAURO, Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell’ordinamento italiano, in Revista de Estudios Juridicos, 2012, 12, 1 ss.; Id., La legittimazione attiva a stare in giudizio nelle liti di rimborso Iva in pendenza della liquidazione giudiziale (già fallimento), in Rivista telematica di diritto tributario, 2020, 1, 227 ss.; Cass. Civ. sez. lav. 5.12.2019, n. 31843; Cass. N. 31313 del 2018; Cass. N. 7448 del 2012; Cass. N. 10146 del 1998).  

In quest’ultimo caso, si parla di legittimazione processuale straordinaria del fallito, di tipo suppletivo-residuale, attinente le controversie di natura tributaria, in presenza di un curatore assente od inerte (per la qualificazione della legittimazione processuale del fallito nei termini di legittimazione “di tipo suppletivo”, v. Cass. civ., 18 febbraio 1999, n. 1359; Cass. civ. 24 dicembre 2009, n. 27346; Cass. civ., 3 aprile 2003, n. 5202, in Il fallimento, 2004, 6, 639 e ss., con nota di A. CAPOCCHI, Capacità processuale del fallito e contenzioso tributario; Cass. civ., 17 giugno 2010, n. 14624; Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 7448; Cass. civ., 11 ottobre 2012, n. 17367).

L’indagine della Corte ha avuto ad oggetto quest’ultimo profilo, ovvero la legittimazione del debitore a ricorrere alla tutela giurisdizionale avverso atti impositivi che, astrattamente, impattano sullo stato passivo del fallimento e tendono ad incrementare la massa dei creditori concorrenti sul ricavato dell’attivo ripartibile.

Secondo la Corte, poiché con la dichiarazione di fallimento si trasferisce in capo al curatore la legittimazione a far valere rapporti di diritto patrimoniale che spettavano al debitore, il contribuente è, in generale, privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie relative a rapporti patrimoniali concernenti il fallimento, ad eccezione delle due ipotesi sopra richiamate (Cass. civ. del 13.10.2021, n. 27902; E. SOLLINI, Fisco e Fallimento, Aspetti tributari delle procedure concorsuali dopo la riforma (d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), Maggioli Editore, 2008).

L’interesse del contribuente ad azionare la tutela giurisdizionale verso gli atti impositivi è, però, differente rispetto a quello della curatela (G. M. CIPOLLA, Efficacia vincolante del giudicato tributario nella procedura fallimentare, in Giurisprudenza commentata, 2019, 1, 62 ss.) poiché, se quest’ultima è interessata a proporre opposizione solo ove il contenzioso possa astrattamente incidere sulla ripartizione dell’attivo tra i creditori concorsuali, il contribuente insolvente ha un interesse derivante anche da riflessi di carattere sanzionatorio (S. SAIJA, Legittimazione processuale del fallito e termini per impugnare, in Crisi e risanamento, n. 19/2016, pag. 14) che potrebbero discendere dall’ammissione del credito tributario, il quale aggraverebbe la sua posizione debitoria ove il maggior credito finisse con l’essere valorizzato dal curatore nella relazione al giudice delegato (art. 33 L. Fall; art. 130 C.C.I.). Tale circostanza è astrattamente idonea, anzi, a tramutarsi in un’imputazione penalmente rilevante, stante il disposto degli artt. 43, comma 2, L. Fall. e 143, comma 2, D.lgs. 14/2019 (M. BASILAVECCHIA, Ribadita la legittimazione attiva della società fallita, in Corr. Trib., 2008, 1, 53 ss.; Cass. 9434/2014; Cass. sez. I, 14 maggio 2012, n. 7448; Cass. n. 2910/2009; Cass., n. 5671/2006; Cass. sez. V, 14 maggio 2022, n. 6937).

Non solo, se torna in bonis, il fallito che non si è difeso vede consolidata la pretesa impositiva e sanzionatoria nei suoi confronti.

Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 11 maggio 2017, n. 11618), la legittimazione straordinaria in capo al contribuente fallito sorge in caso di inerzia tout court del curatore (R. ROSAPEPE, Effetti nei confronti del fallito, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BUONOCORE – A. BASSI, coordinato da G. CAPO – F. DESANTIS– B. MEOLI, vol. II, Padova, 2010, pagg. 231-266), ciò implica che l’eventuale difetto di legittimazione del contribuente può essere eccepito solo dal curatore fallimentare, sul presupposto che quest’ultimo non sia rimasto inerte, ma abbia scientemente ritenuto di non adire la tutela giurisdizionale (F. BRIGHENTI, Ancora incertezze sulla legittimazione del fallito a impugnare gli atti del fisco, in Norme e Tributi Mese, 7 maggio 2019, n. 5, pagg. 110-119; Id., Atti impositivi: la legittimazione a impugnare nelle procedure concorsuali, in Norme e Tributi Mese, 7 dicembre 2017, n. 12, pagg. 110-120).

Secondo tale impostazione il difetto di legittimazione processuale del fallito ha natura relativa e non assoluta, perché non può essere fatto valere né dal resistente né dal giudice, avendo come esclusiva finalità quella di evitare una sovrapposizione tra l’iniziativa del curatore e quella del fallito (Cass. civ. del 30 giugno 2021, n. 26506; Cass. sez. V, 16 aprile 2007, n. 8990). Di conseguenza il contribuente, in costanza di fallimento, non deve dimostrare preventivamente il proprio interesse ad agire, salvo l’intervento in giudizio del curatore.

Non ricorre, invece, inerzia degli organi della procedura, quando il disinteresse del fallimento si sia manifestato successivamente alla proposizione da parte di questi di un giudizio che, in un momento posteriore, gli organi della procedura fallimentare abbiano ritenuto non opportuno proseguire. L’inerzia qui non si verifica, perché l’abbandono del procedimento è frutto di una valutazione degli organi procedurali ed è esclusa la legittimazione succedanea del contribuente (Cass. 7791/2006).

Secondo un opposto orientamento non v’è inerzia in qualunque caso ci sia stata una valutazione da parte del curatore di non coltivare la tutela giurisdizionale avverso l’atto impositivo o di rinunciarvi in via preventiva (Cass. sez. V, 26 novembre 2021, n. 36894; Cass. sez. V, 16 novembre 2021, n. 34529; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2021, n. 28973). In tali ipotesi, ove il curatore abbia omesso di adire la tutela giurisdizionale, non per inerzia tout court ma per esplicita negativa valutazione, il ricorso proposto dal contribuente, avverso crediti il cui presupposto sia insorto prima della dichiarazione di fallimento, è inammissibile per difetto di legittimazione ad agire (Cass. sez. V, 20 maggio 2021, n. 13800; Cass. sez. VI, 15 aprile 2021, n. 9953; Cass. sez. VI, 18 febbraio 2020, n. 4105).

Così opinando, l’inerzia non rileva, come secondo il primo orientamento, se il curatore abbia omesso tout court di adire la tutela giurisdizionale, ma solo se il mancato ricorso al giudizio sia frutto di un totale disinteresse all’azione (G. DI GENNARO, La legittimazione processuale del fallito avverso gli atti d’imposizione tributaria, in Il fisco, n. 36/2014, pag. 3560 ss; Cass. n. 6937/2022; Cass. 19 febbraio 2000, n. 1901; Cass. 11 luglio 1995, n. 7561, in Foto it., Rep., 1995 voce Tributi in genere, n. 1143; Cass., 17 marzo 1995, n. 3094, in Corr. Trib., n. 18/1995, pag. 1274, nonché in Il fisco, n. 21/1995, pagg. 5108-5109, con commento di R. BORRI, I limiti della capacità processuale del fallito in materia tributaria, pagg. 5109-5111). Occorrerà quindi, di volta in volta, valutare se la mancata instaurazione della litispendenza sia frutto di una ponderata valutazione (A. PORRACCIOLO, Solo il curatore è legittimato a stare in giudizio, in Il Sole 24 Ore, 13 gennaio 2014, pag. 26). In quest’ultimo caso, il contribuente sarebbe onerato sempre, ex ante, di dimostrare la propria legittimazione processuale.

Se l’inerzia rileva solo ed esclusivamente in caso di totale disinteresse all’impugnazione, il difetto di legittimazione del contribuente ad impugnare non è più rilevabile dal solo curatore, ma può essere sollevato anche d’ufficio.

In questo modo si nega, in termini generali, la legittimazione straordinaria del debitore in caso di apertura della procedura concorsuale e di fisiologico operare degli organi fallimentari. Infatti, il curatore che non intende promuovere l’iniziativa giurisdizionale non si fa generalmente autorizzare alla non azione, ma si limita esclusivamente a sottoporre la propria valutazione al vaglio degli organi.

Seguendo il ragionamento appena proposto la legittimazione del contribuente è subordinata esclusivamente a comportamenti non virtuosi degli organi fallimentari con la conseguenza che sono pregiudicati i contribuenti insolventi che si trovano di fronte ad un curatore “attento” agli atti impositivi mentre sono favoriti quei contribuenti che, in analoga situazione, sono rappresentati da curatori più “disattenti” (M. CONIGLIARO, Difesa del debitore insolvente dinanzi al Fisco: chiaro interesse ad agire ma opaca legittimazione processuale, op. cit.). Non pare che i margini di difesa possano rimanere avvolti in questo cono d’ombra.

3. Soluzioni de iure condito. La soluzione che appare condivisa dalla pronuncia in commento è quella per cui il fallito abbia, in ogni caso di inerzia del curatore, la legittimazione ad processum avverso gli atti notificati dall’Amministrazione. Tale interpretazione è certamente più garantista rispetto a quella che relega la legittimazione del contribuente alla sola ipotesi di totale disinteresse all’opposizione (G. RUGOLO, “Inerzia consapevole” e “inerzia dimenticanza”: la legittimazione del fallito ad impugnare gli atti impositivi al vaglio (forse) delle Sezioni Unite, in Dir. Trib., 3 gennaio 2023).

Va poi considerato che i limiti alla legittimazione processuale del soggetto fallito sono esclusivamente normati dalla legge fallimentare (oggi Codice della Crisi d’Impresa, D.Lgs. 14/2019), poiché non esiste nella disciplina tributaria una disposizione costruita a specchio dell’art. 143, D.lgs. 14/2019. Anche per questo, non può negarsi né l’interesse né la legittimazione ad agire del contribuente fallito in ambito tributario.

Questa limitazione di fatto disciplinata in ambito squisitamente fallimentare, apparirebbe distopica in campo tributario vista la persistenza del rapporto d’imposta in capo al contribuente e l’interesse alla tutela giurisdizionale, che rientra tra i diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento (art. 24 e 53 Cost.).

Il contribuente appare sempre legittimato all’impugnazione degli atti notificati in vigenza di fallimento afferenti anni d’imposta antecedenti alla dichiarazione di apertura della procedura, in particolare quando l’atto impositivo verta su aspetti squisitamente fattuali, come ad esempio indici di evasione forieri di emersione di reddito occulto. Questi ultimi, essendo estranei al patrimonio di informazioni del curatore, sono conosciuti solo dal contribuente, unico soggetto a poter consapevolmente adire il giudice speciale.

Se il recupero verte su aspetti esclusivamente fattuali, come nell’ipotesi in cui l’atto impositivo sia di natura extracontabile, non può prescindersi dall’apporto del contribuente per la costruzione della difesa processuale perché gli elementi costitutivi di taluni accertamenti non risiedono in valutazioni o questioni giuridiche, ma su aspetti probatori e fattuali che solo l’intervento del contribuente può chiarire con efficacia.

Diversamente, nel caso in cui il recupero discenda da accertamenti di tipo strettamente contabile e aderenti alla tenuta dei libri e registri obbligatori, il curatore fallimentare, facendo accesso alla documentazione e verificando la legittimità dell’imposizione, può operare una ponderata valutazione ad impugnare l’atto notificato, che esplica pur sempre effetti nella sfera soggettiva del contribuente.

4. Prospettive de iure condendo. Tenuto conto che la soggettività passiva d’imposta, dopo la sentenza di apertura del fallimento, permane in capo al contribuente, non può negarsi la legittimazione processuale del fallito in ogni caso di inerzia del curatore e non solo nell’ipotesi in cui l’inerzia si risolva in una mera disattenzione.

Si auspica perciò un intervento del legislatore volto a garantire la tutela della sfera giuridica del contribuente, così da non lasciarla in balia dell’operato solutorio della curatela fallimentare.

In questo senso, fermo l’esercizio dell’azione in capo al curatore, appare opportuno prevedere un obbligo d’informazione che egli debba garantire al fallito, erudendolo delle contestazioni concernenti gli anni d’imposta previgenti alla sentenza di fallimento e condividendo le valutazioni condotte sulla eventuale impugnabilità dell’atto impositivo.

Il legislatore potrebbe prevedere una potestà all’impugnazione del contribuente che non sia solo succedanea e residuale rispetto a quella degli organi della procedura, bensì concorrente, immaginando, ad esempio, un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra il fallito e la curatela fallimentare a garanzia della posizione patrimoniale del contribuente che, si ribadisce, non perde la titolarità dei rapporti patrimoniali in virtù del fallimento.

In mancanza, sebbene la soluzione non sarebbe totalmente appagante, si potrebbe immaginare un litisconsorzio facoltativo, con meccanismi di garanzia d’informazione del contribuente fallito circa la natura della causa pendente che lo riguarda, tali da provocarne l’intervento volontario adesivo.

In tale ultima ipotesi non sarebbe raggiunto l’obiettivo di favorire un’impugnazione consapevole, ma quantomeno verrebbe garantito che il processo si svolga col patrimonio di allegazioni più ampio possibile a rappresentare le questioni dibattute innanzi al giudice speciale.

La prima ipotesi non è peregrina, ma confortata da un interessante filone giurisprudenziale di merito, secondo cui il fallito mantiene la titolarità alla legittimazione processuale tributaria, esercitabile in concorrenza a quella della curatela e non solo in subordine al disinteresse alla lite da parte di quest’ultima (Comm. trib. reg. Puglia, sez. XIV, 4 novembre 2011, n. 108; in dottrina, per utili approfondimenti, cfr. S.A. ZENATI, La legittimazione ad impugnare gli avvisi di accertamento, in GT – Riv. Giur. Trib., n. 6/2006, pagg. 500-503; M. MONTANARI, Sulla pretesa legittimazione processuale tributaria del contribuente fallito, in GT – Riv. Giur. Trib., n. 2/2002, pagg. 166-173)

5. Conclusioni. Tirando le fila del ragionamento, la pronuncia annotata rappresenta chiaramente gli orientamenti contrastanti sulla legittimazione del contribuente fallito rispetto gli atti impositivi.

Il focus dell’ordinanza verte sul significato attribuibile all’inerzia e muove dagli opposti orientamenti della Suprema Corte, tra i quali, il meno iniquo appare quello che qualifica l’inerzia come mancata azione tout court e non come mera disattenzione del curatore. In quest’ultimo caso, verrebbe ad essere irrimediabilmente compresso lo spazio di tutela del contribuente, posto che non è chiarito come e quando vada accertata l’inerzia del curatore e quando assuma quei connotati tali da giustificare certamente la legittimazione suppletiva del fallito. Non esiste, allo stato, un’ipotesi di inerzia qualificata.

La pronuncia fa sorgere una serie di dubbi poiché non chiarisce alcuni profili che, probabilmente, avrebbero meritato più ampia trattazione e che presumibilmente saranno sviscerati successivamente alle valutazioni del Primo Presidente. L’ordinanza non spiega se l’atto impugnato dal contribuente è stato notificato solo al fallimento o anche all’imprenditore fallito, né chiarisce, in qualsiasi modo intesa, come va indagata l’inerzia ed entro quanto tempo.

Infatti, poiché il curatore ha la possibilità di impugnare l’atto fino allo scadere del sessantesimo giorno utile, il contribuente sarebbe esposto ad una situazione di incertezza fino all’ultimo momento idoneo a proporre l’impugnazione, con la conseguenza che non avrebbe la possibilità di difendersi compiutamente, data l’inevitabile contrazione temporale.

Sul tema si attende il doveroso intervento delle Sezioni Unite a chiarimento dei dubbi sollevati, augurandosi che voglia riconoscere la generale legittimazione del contribuente ad impugnare l’atto tributario a prescindere dall’inerzia degli organi fallimentari, data la persistenza dell’interesse ad agire, connesso al mantenimento della soggettività passiva anche in vigenza di fallimento.