Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

07/04/2023 - Concordato preventivo, omesso versamento Iva e penale responsabilità

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione risolve le possibili interferenze tra gli strumenti di gestione della crisi d’impresa e l’inadempimento penalmente rilevante valorizzando l’effettività della tutela penal-tributaria, anche a scapito della par condicio creditorum. Così, la domanda di ammissione al concordato preventivo, di per sé, non scrimina l’omesso versamento Iva, salvo che il Tribunale fallimentare abbia negato l’autorizzazione al pagamento del debito fiscale richiesta dall'interessato. Tale orientamento suscita riserve di rango sistematico circa la salvaguardia della coerenza e non contraddittorietà dell’ordinamento.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., sent. 18 marzo 2022, n. 9248) scarica file

PAROLE CHIAVE: concordato preventivo - omesso versamento Iva - responsabilità penale


di Giuseppe Giovanni Scanu

1. In primo luogo occorre brevemente ripercorrere la vicenda in esame. Il giorno 2 maggio 2018 una s.r.l. in crisi di liquidità propose ricorso per concordato preventivo “in bianco” riservandosi il deposito del piano di ristrutturazione del debito nel termine stabilito dal Tribunale fallimentare che, in via provvisoria, dispose che per i pagamenti superiori alla soglia di 50.000,00 euro sarebbe stata necessaria l’autorizzazione giudiziale. Il piano, comprendente anche una proposta di transazione fiscale, è stato depositato il 29 novembre 2018; quindi, una volta valutata la fattibilità giuridica (e non anche economica) del piano, il 26 giugno 2019 Tribunale fallimentare dispose l’ammissione della società alla procedura concorsuale valorizzando il promesso apporto di finanza esterna. Nelle more del procedimento di composizione della crisi, il 27 luglio 2018 la società presentò telematicamente il modello IVA 2018 per l’anno 2017 ove liquidata in 521.440,00 euro l’imposta dovuta e non versata nei termini in assenza di liquidità. Da qui, sulla base della notizia di reato riconducibile al delitto di cui all’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74 del 2000 contestata all’amministratore unico, scaturì la richiesta dell’inquirente di emissione del decreto di sequestro preventivo e, in accoglimento della richiesta, in data 8 luglio 2021 il GIP dispose il vincolo reale finalizzato alla confisca diretta delle somme di denaro nella disponibilità della società e, in via subordinata, della confisca per equivalente dei beni riconducibili all’indagato fino a concorrenza delle imposte evase. Con ordinanza del 29 luglio 2021, il Tribunale del riesame annullò il vincolo reale per insussistenza del fumus commissi delicti del reato contestato riconoscendo l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p., con ciò aderendo a quell’orientamento minoritario secondo cui l’effetto inibitorio al pagamento dei debiti anteriori e, tra questi, anche delle esposizioni nei confronti dell’erario, è ricavabile già dal combinato disposto di cui agli articoli 167 e 168 della L.F. senza necessità di alcun provvedimento specifico da parte del Tribunale fallimentare. La Cassazione accolse invece il ricorso del Procuratore della Repubblica sul rilievo che la scriminante dell’adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell’autorità di cui all'art. 51 c.p. sia apprezzabile soltanto là dove il provvedimento del tribunale, che abbia vietato o comunque non autorizzato la richiesta di pagamento dei suddetti debiti avanzata da parte dell'interessato, sia intervenuto prima della scadenza del termine per il versamento delle imposte rilevante a fini penali.

2. Il focus sul quale si incentra la questione all’esame della Suprema corte attiene al rapporto di interferenza (o, meglio, di prevalenza) tra il versante penale-tributario, qui riconducibile all’omesso versamento Iva ex art. 10-ter, e quello concorsuale della composizione della crisi d’impresa, riguardante gli effetti del piano concordatario che contenga anche una proposta di “transazione fiscale” sulla sussistenza del reato fiscale. Prima di soffermarci sulle possibili interazioni tra i diversi ambiti e di interrogarsi sulla coerenza e tenuta del sistema, è opportuno delimitare il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento. Quanto al versante penale-tributario, il reato di omesso versamento IVA è un tipico reato “da riscossione” che si sostanzia nell’omesso pagamento, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, dell’imposta autoliquidata in dichiarazione; in particolare, si tratta di un delitto:

i) omissivo proprio, poiché nonostante il richiamo al pronome indefinito chiunque, il reato può essere commesso soltanto dai soggetti passivi tenuti al versamento dell’Iva ex artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 633/1973;

ii) punibile a titolo di dolo generico, configurabile anche nella forma del dolo eventuale (v. Cass. Pen., 18 agosto 2015 n. 34927), consistente nella mera rappresentazione e consapevolezza del mancato adempimento all’obbligo di versamento, cosicché il dolo specifico d’evasione esula dalla cornice dell’elemento psicologico;

iii) di tipo istantaneo, per cui il reato si consuma alla scadenza del termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, con conseguente irrilevanza del pagamento successivamente intercorso;

iv) la cui sussistenza è condizionata dal superamento di una soglia di punibilità, circostanza che rappresenta l’elemento costitutivo del reato e non una mera condizione di punibilità. Ciò comporta che anche le soglie devono essere investite dal dolo (Sul punto, tra le tante, Cass. 19 febbraio 2016 n. 6710; Cass. SS.UU., 15/1/2001, n. 35 e ancora Cass. SS.UU.  12 settembre 2013, n. 37424 e, in tal senso, anche la relazione governativa di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 al punto 3.1.2. Per una ricognizione sulla fattispecie ex art. 10-ter cfr., CHECCACCI, I reati con condotta di omesso adempimento all’obbligo tributario, in GIOVANNINI-DI MARTINO-MARZADURI, (a cura di), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Milano, 2016, 733 e ss., e ivi, 754 e ss.). Seppur rimasto estraneo al percorso motivazionale in esame, un ruolo centrale – quasi di snodo, direi, nelle interazioni tra concordato con falcidia e penale responsabilità – è assunto dall’art. 13, comma 1 del D.Lgs. n.74/2000 ove stabilito che il pagamento integrale del debito prima dell’apertura del dibattimento, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, «anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso» – ivi compresi anche gli strumenti di “ristrutturazione del debito” previsti dalla disciplina della crisi d’impresa – costituisce causa di non punibilità in relazione, tra le altre, all’ipotesi delittuosa ex art. 10-ter. Occorre poi considerare che, proprio in funzione dell’operatività della causa di non punibilità, se prima dell’apertura dibattimentale fosse ancora in corso la rateizzazione del debito concessa al contribuente – evenienza che di regola si accompagna alla proposta transattiva di falcidia del debito tributario – è consentito alla parte di poter estinguere il debito residuo entro il termine di tre mesi, salva la facoltà di un’unica proroga per ulteriori tre mesi che il giudice penale può concedere, ferma la sospensione dei termini di prescrizione (art. 13, comma 3, Lgs. n.74/2000). Spostandoci ora sull’altro versante, il perimetro d’interesse rintracciabile nella disciplina concorsuale della crisi d’impresa è innanzitutto riconducibile agli articoli 167, comma 2 e 168 della L.F. i quali, rispettivamente, stabiliscono che durante la procedura di concordato preventivo il debitore conserva l’amministrazione dei beni e la disponibilità dell’esercizio d’impresa, pur sotto la vigilanza del commissario giudiziale (c.d. “spossessamento attenuato”; v. Cass. Pen. 28 aprile 2020 n. 13092), salva l’inefficacia rispetto ai creditori anteriori al concordato degli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza l’autorizzazione del giudice delegato. Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che travalica l’ordinaria amministrazione ogni atto idoneo a pregiudicare i valori dell’attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori (cfr., Cass. 29 maggio 2019, n. 14713). Da qui, la conclusione che il pagamento del debito tributario da parte dell’imprenditore in concordato preventivo, e sorto precedentemente, sia annoverabile tra gli atti di straordinaria amministrazione. D’altro canto, dalla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino a che il concordato preventivo non sia stato omologato, i creditori anteriori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari (c.d. clausola “automatic stay”). Val la pena anche ricordare che l’art. 216, comma 3, L.F. vieta i pagamenti preferenziali in violazione della par condicio creditorum e li sanziona penalmente. Infine, l’art. 184 L.F. dispone la retroattività degli effetti del decreto di omologa – e, quindi, la “cristallizzazione” del patrimonio del debitore – al momento dell’iscrizione del ricorso nel registro delle imprese per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione (Sul punto, cfr., TINELLI, Il regime fiscale del concordato preventivo, in PAPARELLA (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, 2013, Milano, 855 e ss. ed, ivi, 891; MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, 2011, Torino, 111 e ss.). Sulla scorta di questo contesto normativo, la giurisprudenza prevalente, nel cui solco si pone la sentenza in esame (e pure, da ultimo, Cass. pen. sez. III, 24 gennaio 2023, n. 2858), si è fin qui orientata nell’affermare che la presentazione dell’istanza di ammissione al concordato (sia esso “in bianco” che con deposito del piano) di per sé non fa venir meno la punibilità dell’omesso versamento dei debiti tributari il cui termine di scadenza sia successivo al deposito della domanda, e ciò anche qualora sia poi seguito l’adozione del relativo decreto di ammissione alla procedura da parte del tribunale fallimentare (v., ex multis, Cass. Pen., sez. III, 5 febbraio 2020, n.13327; Cass. pen., 4 febbraio 2016, n. 12912; Id., 24 aprile 2013, n. 39101; Id., 14 maggio 2013, n. 44283). In quest’ottica, la rimproverabilità penale è recessiva nel solo caso in cui l’imprenditore in stato di crisi sia stato destinatario di un ordine del giudice che abbia vietato (o non autorizzato) l’adempimento dei debiti (anche fiscali) sorti antecedentemente alla proposta di concordato, il cui effetto inibitorio scrimina ex art. 51 c.p. la condotta dell’omesso pagamento (cfr., Cass. Sez. 3, 20 febbraio 2020, n. 13628). Nel caso in cui la scadenza per il versamento IVA dovesse intervenire dopo l’omologazione del concordato ex art. 181 L.F., appare ragionevole ritenere che nessun reato potrà essere contestato, fatta salva l’integrale estinzione del debito tributario – così come falcidiato e oggetto di dilazione – nel rispetto dei ristretti termini previsti dall’art. 13, terzo comma, del D.Lgs. n. 74/2000. Infine, è da segnalare un diverso orientamento minoritario che esclude la punibilità per omesso versamento nel caso in cui l’ammissione al concordato preceda la scadenza per il versamento dell’IVA, con ciò valorizzando la portata automatica della clausola di salvaguardia posta dall’art. 168 L.F. alla cui previsione di inibitoria delle azioni esecutive dei creditori si aggiunge, quale corollario, il corrispondente divieto in capo all’imprenditore in crisi di adempiere spontaneamente alcuni debiti a scapito di altri, altrimenti alterandosi la consistenza del patrimonio nel periodo intercorrente tra la presentazione del ricorso e l’omologazione del concordato (cfr. Cass. Sez. III, 2 aprile 2019, n. 36320 e Cass. pen., 12 marzo 2015, n. 15853).

3. La sentenza risolve l’interferenza fra gli strumenti di composizione della crisi e la rimproverabilità penale per l’omesso versamento dell’IVA in favore della specialità dell’obbligazione tributaria enfatizzando l’effettività della tutela penale che assiste l’inadempimento agli obblighi tributari, e ciò anche a detrimento della par condicio creditorum. L’argomento pare provare troppo se si considera che la disciplina concorsuale e quella penale-tributaria condividono la tutela del medesimo bene giuridico: l’interesse fiscale all’incameramento dei tributi – seppur nell’inferiore misura risultante dalla falcidia (e dilazione) del debito ormai consolidato – la cui sostenibilità per l’imprenditore e la maggior appetibilità per le casse erariali, rispetto all’alternativa liquidatoria, è stata asseverata da un professionista terzo nell’ambito del piano concordatario contenente anche la proposta di “transazione fiscale”. La questione, va da sé, rileva nel caso in cui la parte falcidiata dell’imposta non valga a incidere sulla configurabilità della soglia di punibilità (e, quindi, sulla sussistenza del reato) e il pagamento del debito residuo sia ancor in corso di rateizzazione. Appare invero contraddittorio che, da un lato, col concordato con falcidia l’ordinamento ammetta il pagamento parziale dei tributi ma, cionondimeno, persegua la rimproverabilità penale là dove i tempi della dilazione di pagamento mal si concilino con quelli del giudizio penale. Così, la distonia temporale tra il procedimento concorsuale e quello penale rischia di rendere, di fatto, inoperanti le misure premiali in spregio al divieto del bis in idem; e ciò per circostanze, come la fissazione dell’udienza dibattimentale da parte del Tribunale penale e la scansione del procedimento concordatario rimesso al giudice fallimentare, che esulano dalla disponibilità della parte. Fin qui, la giurisprudenza costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3 cit., sollevate con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. evidenziando i limiti delle ordinanze di rimessione per indeterminatezza ed ambiguità del petitum non avendo chiarito il giudice a quo per quali specifiche ipotesi andrebbe prevista la possibilità di accordare un più ampio arco temporale che scavalchi il termine semestrale, né se tale proroga debba dirsi facoltativa od obbligatoria e la durata temporale della stessa (cfr., Corte cost. ord. n. 256/2017 e n. 126/2019; sul punto, DELLA VOLPE, La (seconda) questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3, d.lgs. 74/2000: tra esigenze di coerenza dell’ordinamento e attuazione del principio di sussidiarietà della pena, in Giurisprudenza penale, consultabile in www.giurisprudenzapenale.com). Da ultimo, anche la Corte di cassazione ha dichiarato manifestamente infondata la medesima questione relativa agli artt. 3, 24 e 97 Cost. ribadendo che la scelta del legislatore non è irragionevole atteso che il termine massimo di sei mesi è rivolto a garantire in tempi brevi l’esito del processo, ragion per cui la Corte costituzionale dovrebbe altrimenti individuare discrezionalmente un diverso termine per il pagamento (cfr., Cass. pen., 10 ottobre 2022, n. 38098 resa proprio in relazione alla fattispecie ex art. 10-ter). Tale antinomia non potrà essere risolta se non attraverso una modifica legislativa che consenta la sospensione del giudizio per un termine più ampio che contemperi l’esigenza di una celere definizione con la possibilità di adempiere l’obbligazione tributaria nel rispetto della tempistica del piano di dilazione ritenuto congruo dalla stessa amministrazione dalla cui segnalazione è scaturita la notizia di reato. Peraltro, dal tenore della sentenza in esame non è dato apprezzare in che termini il piano concordatario regolasse la falcidia dei tributi né i tempi della dilazione. Al contempo, il divieto di assolvere debiti sorti prima della proposta di concordato non discende tanto da un ordine del giudice quanto, semmai, dalla clausola “automatic stay” ricavabile dal combinato disposto degli articoli 161, comma 5, 167, 168 e 184 della L.F.; ed invero, nel caso in esame, il tribunale stabilì che per i pagamenti superiori alla soglia di cinquantamila euro sarebbe stata necessaria l’autorizzazione giudiziale. Al riguardo, con l’introduzione del nuovo codice della crisi d’impresa si assiste invece a un capovolgimento di prospettiva: il congelamento delle azioni individuali dei creditori non sarà più un effetto automatico della proposizione della domanda di concordato preventivo ma non potrà che conseguire da un provvedimento giudiziale che individui specifiche “misure di protezione” del patrimonio, a condizione che l’imprenditore in crisi ne abbia formulato richiesta già con la domanda di accesso al concordato (v. art. 54, comma 2, D.Lgs., n. 14/2019; cfr., BACCAGLINI-CALCAGNO, Le misure protettive e cautelari nel CCII, in (a cura di) DE SIMONE-FABIANI-LEUZZI, Studi sull’avvio del Codice della crisi, di prossima pubblicazione e consultabile in www.dirittodellacrisi.it). Ecco allora che al tradizionale “doppio binario” penale-tributario se ne aggiunge un terzo – quello concorsuale della crisi d’impresa – che va a intersecarsi e induce ad interrogarsi sulla tenuta della coerenza del sistema nel suo complesso, considerata la natura pubblicistica del controllo giurisdizionale, assai pregnante incentrandosi proprio sulla fattibilità economica (e non solo giuridica) del piano attestato (cfr., da ultimo sul punto, TRAPANESE, Il percorso di “oggettivizzazione” della transazione fiscale: la centralità della “convenienza economica” e la giurisdizione del giudice ordinario fallimentare, in Riv. Trim. dir. Trib., 2022, 367 e ss.; FICARI, Gli “interessi” pretensivi del contribuente: dagli “strumenti” di collaborazione e partecipazione alle “definizioni consensuali”, in Riv. Trim. dir. Trib., 2022, 59 e ss.). La sensazione è che – attraverso la confisca penale (e del sequestro preventivo a questa preordinato) – si scorga la funzione servente svolta dal sistema sanzionatorio penale-tributario a tutto vantaggio del creditore erariale, in luogo del principio di sussidiarietà che dovrebbe invece accompagnare la sanzione penale, almeno con riferimento ai reati di omesso versamento (Sulle possibili ricadute degli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa sulla configurabilità della responsabilità penale per violazioni tributarie, si rinvia ai contributi di CIPOLLA, Crisi economica e configurabilità del reato di omesso versamento IVA, in Giur. Comm., 2020, 166 e ss.; MATTEVI, Il reato di omesso versamento iva e la procedura di concordato preventivo “con riserva”: aperture e ripensamenti della cassazione alla luce del principio di non contraddizione dell'ordinamento, in Cass. Pen., 2019, 909 e ss.; GIANONCELLI, Concordato preventivo, spossessamento attenuato e responsabilità penale per omesso versamento, in Riv. Dir. Fin. e Sc. Fin., fasc.3, 2020, 67 e ss.). Appare senz’altro auspicabile un più attento bilanciamento tra l’interesse fiscale ex art. 53 Cost. e l’interesse, altrettanto collettivo, sotteso alla gestione della crisi d’impresa (a salvaguardia del livello occupazionale e della concorrenzialità del tessuto imprenditoriale ex artt. 1,4, 35 e 41 Cost.) e, al contempo, consentire al debitore impegnato nella dilazione di pagamento di poter beneficiare della declaratoria di non punibilità in ossequio al principio, questo pure di rango costituzionale, dell’effettività del diritto di difesa vieppiù nel giudizio penale.