Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

26/01/2022 - La compensazione delle spese di giudizio del processo tributario

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La normativa tributaria in tema di spese di lite stabilisce il generale principio di responsabilità per le spese del processo nonché il criterio della soccombenza per la imputazione delle stesse. Allo stesso modo, tuttavia, riconosce il potere del giudice di effettuare la compensazione, potere che, però, è condizionato dalla sussistenza di precise condizioni, che devono essere obbligatoriamente indicate nella motivazione della sentenza.

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PAROLE CHIAVE: spese di lite - compensazione delle spese di lite - soccombenza


di Anna Rita Ciarcia

La sentenza in commento riconosce ulteriormente la possibilità, per il giudice tributario, di dichiarare compensate le spese della lite giudiziale anche nei casi di soccombenza totale di una delle parti in causa.

Nel caso esaminato, con unico motivo di ricorso in Cassazione, il contribuente contestava la sentenza della CTR che aveva accolto integralmente il suo appello ma aveva disposto la compensazione delle spese.

Tale fattispecie è regolata dall’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, rubricato spese di giudizio (F. Corda, Le spese giudiziali nel processo tributario, in Dir. e prat. trib., n. 4/2018, 1539).

L’articolo è stato oggetto di una modifica legislativa nel 2015 (con il D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015 sono stati incrementati i commi: l’articolo prima era composto dai commi 1, 2 e 2-bis ed oggi dai commi da 1 a 2-octies) che ha previsto l’eliminazione  del richiamo espresso all’art. 92 c.p.c., cristalizzandone, comunque, i medesimi principi (C. Glendi, La nuova normativa sulle spese nel processo cautelare non ha applicazione retroattiva - Problematiche contingenti e riflessioni sistematiche sulla nuova disciplina della decisione sulle spese nel giudizio cautelare tributario, in GT – Riv. giur. trib., n. 3/2016, 240).

La norma statuisce chiaramente, al comma 1, che la parte soccombente deve rimborsare la controparte del giudizio in base a quanto liquidato in sentenza (G. Marini, La condanna alle spese nel processo tributario. Compensazione delle spese in caso di soccombenza dell’erario, in Riv. trim. dir. trib., n. 3/2019, 577).

Ciò implica che sarà compito del giudice tributario stabilire il giusto “valore” da rimborsare.

Il secondo comma, oggetto del presente approfondimento, prevede che le spese processuali “possono essere compensate in tutto o in parte dalla Commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate” (C. Glendi, C. Consolo e A. Contrino, Abuso del diritto e novità nel processo tributario: commento al D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e al D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 156, Torino, 2016, 434).

La compensazione, dunque, deroga all’ordinario principio della soccombenza (A. Marcheselli, In mancanza di soccombenza reciproca la compensazione delle spese va esplicitamente motivata in sentenza, in Corr. trib., n. 11/2014, 875).

Il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass., sez. VI - 5, ord. del 28 ottobre 2021, n. 30446).

Con riferimento al regolamento delle spese, in caso di ricorso in Cassazione, il sindacato della Corte può solo accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (F. Graziano, La Cassazione “frena” l’utilizzo eccessivo della compensazione delle spese nel processo tributario, in Corr. trib., n. 10/2015, 773).

In via preliminare si evidenzia come, dal tenore della norma (“possono”), si comprende quindi perché la compensazione sia rimessa alla discrezionalità del giudice, ovvero non vi è alcuna imposizione in tal senso (M. Ingrosso, Le spese della lite tributaria, in Dir. proc. trib., n. 1/2016, 29).

Il comma 2 prevede espressamente la compensazione delle spese nei casi di soccombenza reciproca.

La “soccombenza reciproca” era e resta la principale fonte applicativa della compensazione; la reciprocità trova giustificazione nell’inutilità di una pronuncia che condanni reciprocamente le parti al rimborso delle spese, determinando, de jure, la compensazione tra i debiti in tal modo sorti; tale presupposto conferisce, al giudice, una ampia discrezionalità che investe l’an, ovvero l’opportunità della compensazione e la misura (totale o parziale) della stessa, graduata in ragione del diverso valore o importanza delle domande delle parti o in conseguenza delle argomentazioni prospettate, con il solo limite della impossibilità della condanna alle spese della parte totalmente vittoriosa (A. Russo, Revisione delle spese di lite nel processo tributario, in Il fisco, n. 44/2015, 4231)

La nozione di soccombenza reciproca che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta (Comm. trib. prov. di Taranto, sez. I, sent. del 24 settembre 2021, n. 780), allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento anche meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo (Cass., sez. VI – 5, ord. del 14 ottobre 2020, n. 22132) ovvero quando uno solo fra i motivi di gravame è stato accolto e sono dichiarati assorbiti gli altri, in quanto quell’unico motivo ha portato alla definizione della lite (Cass., sez. VI – 5, ord. del 28 ottobre 2021, n. 30541).

Il giudice, quindi, in ipotesi di soccombenza reciproca per parziale accoglimento della domanda con significativa riduzione del quantum richiesto, deve valutare la ricorrenza dei presupposti per la totale o parziale compensazione delle spese processuali.

In particolare, nel regolare le spese del giudizio, il giudice deve effettuare una valutazione fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate (A. Sibilla, Spese giudiziali civili. Il principio di causalità e compensazione delle spese giudiziali, in Giur. it., n. 3/2015, 599) ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi, sempre che non sussistano particolari motivi, da esplicitare in motivazione, per una integrale compensazione o comunque una modifica del carico delle spese in base alle circostanze di cui è possibile tenere conto ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c. (Cass., sez. VI – 5, ord. del 19 ottobre 2020, n. 22703).

L’art. 15 riprende i principi sanciti dall’art. 92 c.p.c.; quest’ultimo, come risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. n. 132 del 12 settembre 2014 e dalla sentenza n. 77 del 18 aprile 2018 della Corte costituzionale, prevede espressamente che la compensazione delle spese di lite può essere disposta (oltre che nel caso della soccombenza reciproca), soltanto nell’eventualità di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a tali questioni e di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle situazioni tipiche espressamente previste dall’art. 92 c.p.c., comma 2.

Sulla corretta applicabilità dei principi sanciti dall’art. 92 c.p.c., di recente vi è stata una rimessione alle SS.UU. della Corte di Cassazione, con una ordinanza interlocutoria (Cass., sez. III civ., del 14 ottobre 2021, n. 28048), che ha  rilevata l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale.

In particolare, l’art. 92 c.p.c., stabilisce quando le spese possano essere compensate anche in parte, ma non stabilisce a carico di chi vada posta la parte di spese non compensate: e dunque consente la condanna anche a carico della parte “poco vittoriosa”, vale a dire vittoriosa solo in parte o solo in minima parte.

Il punto di contrasto, dunque, riguarda l’ipotesi in cui all’esito del giudizio si registri un rilevante divario tra petitum e decisum: mentre alcune decisioni ritengono che ricorra in tal caso un’ipotesi di soccombenza reciproca, altre ritengono che ricorra soltanto un “giusto motivo” ex art. 92 c.p.c., per la compensazione delle spese.

L’ovvia conseguenza è che il primo orientamento ammette nella suddetta ipotesi non solo la compensazione delle spese, ma anche la condanna dell’attore “esoso” alla rifusione delle spese in favore della controparte.

Il secondo orientamento, invece, ammette nella suddetta ipotesi solo la compensazione delle spese, ma non anche, neppure in parte, la condanna della parte che sia risultata vittoriosa in misura inferiore al richiesto.

Alla luce di ciò, Corte ha ritenuto opportuno sottoporre la suddetta questione alle Sezioni Unite sia a causa del citato contrasto sia perché reputa non soddisfacente l’orientamento che consente la condanna della parte “parzialmente vittoriosa” alla rifusione delle spese di lite: sia sul piano dell’interpretazione letterale, sia sul piano dell’interpretazione logica, sia sul piano dell’interpretazione costituzionalmente orientata.

Nel caso di soccombenza totale di una delle parti, come si è verificato nella sentenza in commento, i giudici possono comunque disporre la compensazione delle spese (L. Iacobellis, Il principio victus victori nella disciplina del processo tributario e la deroga della compensazione delle spese, in Rass. trib., n. 2/2021, 534).

L’art. 15, tuttavia, dispone che tale compensazione possa avvenire laddove sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate.

Tale disposizione, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano gravi ed eccezionali ragioni, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche.

Possono farsi rientrare nel concetto di gravi ed eccezionali ragioni  di compensazione specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa: l’obiettiva controvertibilità delle questioni; la novità delle questioni di diritto trattate; la dubbiezza della lite; il mutamento di giurisprudenza nel corso del processo su questioni di particolare complessità; la mancanza di una consolidata giurisprudenza; la peculiarità del rapporto giuridico controverso richiedente delle questioni interpretative.

Più recentemente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il richiamo, in sede motivazionale, ad una supposta “controvertibilità o peculiarità della materia del contendere” (Cass., sez. VI - 5, ord. del 3 novembre 2021, n. 31253), alla “presenza di una giurisprudenza di merito oscillante” (Cass., sez. VI - 5, ord. del 29 ottobre 2021, n. 30753) e al valore modesto della controversia (Cass., sez. VI - 5, ord. del 21 dicembre 2020, n. 29211) non sia sufficiente a motivare la compensazione, in ragione del nuovo testo dell’art. 15.

Si possono, quindi ritenere non congrue le motivazioni espresse in base unicamente a formule generiche in quanto le stesse non consentono il necessario controllo sulla loro validità e sulla congruità delle ragioni addotte, finendo con il pregiudicare il concreto esercizio del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost..

E’ evidente, quindi, che le gravi ed eccezionali ragioni che il giudice deve esplicitare nella motivazione per giustificare la compensazione totale o parziale delle spese del giudizio, non possono essere illogiche o erronee, altrimenti si potrebbe configurare un vizio di violazione di legge, denunciabile in sede di legittimità (L. Catallo, La compensazione delle spese di giudizio: da disporre al ricorrere di ragioni gravi ed eccezionali adeguatamente motivate, in Il tributarista, del 24 settembre 2020).

Ne consegue, secondo gli orientamenti più recenti della Suprema Corte, che le gravi ed eccezionali ragioni, da indicarsi esplicitamente nella motivazione, che legittimano la compensazione totale o parziale, devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendosi ritenere sufficiente, ad esempio, il mero riferimento alla “natura processuale della pronuncia”, che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento (Cass. 2 ottobre 2020, n. 21178; Cass. 11 luglio 2014, n. 16037; 14 marzo 2019 n. 7352 – in dottrina: M. Cancedda, Compensazione delle spese tributarie entro limiti rigorosi, in Il fisco, n. 3/2020, 291).

La condanna alle spese non ha una natura sanzionatoria, né costituisce un risarcimento del danno, ma è un’applicazione del citato principio di causalità, per cui l’onere delle spese grava su chi ha provocato la necessità del processo.

La compensazione, quindi, resta una ipotesi eccezionale ed il giudice arrecherebbe un danno alla parte vittoriosa se non motivasse, in fatto ed in diritto, le ragioni per le quali non ha condannato, alle spese, la parte soccombente. Il supporto motivazionale deve risultare dettagliato e puntualmente riferito a circostanze o aspetti della controversia specificamente indicati.

Tale compensazione deve fondarsi su una giustificazione puntuale e circostanziata inerente gravi ed eccezionali ragioni che caratterizzano specificamente la vicenda e non tradursi in motivazioni apparenti e basate meramente su formulazioni generiche, vaghe o disposte su presupposti inintelligibili che rimarrebbero non sottoponibili ad un vaglio di validità.

Nel caso de quo, la Corte, ha ritenuto sufficientemente motivata la sentenza della CTR che aveva compensato le spese, sebbene ci fosse stato un accoglimento totale delle ragioni del contribuente.

La giustificazione della compensazione è da ricercarsi nel fatto che la produzione (pur ammissibile) di nuovi documenti in appello non è di per sé estranea, né illogica, rispetto alle ragioni che possono essere discrezionalmente apprezzate dal giudice ai fini dell’eventuale compensazione delle spese.

Si può, quindi, concludere che i giudici della Commissioni tributarie devono, nella sentenza, dare effettivo e comprovato rilievo, ai fini della compensazione, al fatto processuale controverso che ha portato alla compensazione delle spese.

Pertanto una generica considerazione di motivi che al detto fatto non sono in alcun modo correlati, costituisce un argomento inidoneo a poter essere oggetto del controllo che compete alla Suprema Corte; tale fattispecie, quindi, consente una rimessione della lite al giudice del merito affinché effettui un regolare apprezzamento in ordine alla questione relativa alla regolazione delle spese di lite ed alla loro liquidazione.