argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La Corte di cassazione è ritornata recentemente sul tema del ne bis in idem in ambito tributario, ammettendo che la sanzione penale possa intervenire anche ad anni di distanza da quella amministrativa. Tale posizione non pare però in linea con i più recenti orientamenti della Corte EDU – sentenze Nodet e Bjarni del 2019 – che non ammettono un divario temporale eccessivamente ampio tra la definizione di un procedimento e l’altro. Proprio su questo tema, del resto, dovrà la Corte costituzionale inoltre pronunciarsi tra breve tempo.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 14 gennaio 2021, n. 4439)PAROLE CHIAVE: ne bis in idem - sanzioni - connessione
di Samuel Bolis
Il caso in esame riguardava la condotta di un contribuente titolare di partita IVA che, al fine di evadere le imposte, indicava – nelle dichiarazioni fiscali relative all’Irpef ed all’Iva con riferimento all’annualità del 2010 – elementi passivi inesistenti, rispettivamente, di 344.000 euro e di 174.270 euro. In forza di ciò egli è stato: da un lato condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di quattro mesi di reclusione, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 per avere definito la pretesa erariale; da un altro lato, sanzionato amministrativamente al pagamento di una somma di 182.895,95 euro a titolo di sanzioni ed interessi, applicando la misura minima del compasso editale con riduzione per effetto dell’adesione nel procedimento penale. Il procedimento amministrativo si è definito nel 2015, mentre il procedimento penale risulta ancora pendente nel 2021.
La Corte di Cassazione ha pacificamente riconosciuto la natura sostanzialmente afflittiva della sanzione amministrativa ed ha conseguentemente applicato il formante giurisprudenziale sovranazionale riferito alla matière pénale, per il quale è doveroso applicare le garanzie processuali forti fissate, in ambito penale, dall’art. 6 della CEDU in ragione dell’art. 4 del suo protocollo n. 7 nonché dell’art. 50 della Carta europea dei diritti fondamentali. In particolare gli Ermellini hanno richiamato il precedente A. e B. contro Norvegia del 2016 (Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, ricorsi riuniti 24130/11 e 29758/11, A. e B. c. Norvegia, riportata in Dir. pen. cont., 18 novembre 2016, con nota di F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio), nel quale la sussistenza della duplicazione della sanzione e del procedimento viene esclusa qualora tra i due procedimenti – amministrativo e penale che sanzionano il medesimo fatto – sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto.
È a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, infatti, che la Corte, con la sentenza Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, ha isolato tre criteri per sperimentare se una sanzione possa definirsi sostanzialmente penale a prescindere dall’etichetta formale ad essa attribuita. Tali criteri consistono nella: a) qualificazione giuridica offerta dall’ordinamento interno; b) effettiva natura della sanzione; c) grado di severità dalla stessa veicolato. Utilizzando tali criteri la Corte ha ad esempio ritenuto, con la già citata sentenza Lucky Dev, che una sanzione amministrativa in ambito tributario ha natura sostanzialmente penale in quanto corrispondente al 40 % ed al 20% del tributo evaso dal contribuente a seguito di omessa dichiarazione dei redditi ed IVA.
Secondo l’arresto fissato in A. e B. contro Norvegia il criterio del “sufficiently close connection, in substance and in time” sussisterebbe in astratto quando: a) le due sanzioni perseguono scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; b) la duplicazione dei procedimenti è prevedibile per l’interessato; c) esiste un coordinamento, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; d) il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulta eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito.
Lo jus superveniens europeo è stato infatti innovato dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU che ha nel frattempo delimitato con rigore il perimetro entro il quale inscrivere il criterio della “stretta connessione in senso cronologico”. Con le sentenze Bjarni (Corte EDU, Sez. II, 16 aprile 2019, ric. 72098/14, Bjarni Armansson c. Islanda; per un commento si veda F. Pepe, Un nuovo “tassello” nell’interpretazione della regola del “ne bis in idem” da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, in Taxnews, 21 maggio 2019. del 16 aprile 2019) e Nodet (Corte EDU, Sez. V, 6 giugno 2019, ric. 47342/14, Nodet. c. Francia) il giudice di Strasburgo – pur non ravvisando, in questi casi, una sproporzione della sanzione globalmente inflitta – ha ritenuto violato il divieto di un secondo giudizio per assenza della close connection tra i due procedimenti: in particolare, è stata rilevata l’assenza di una sovrapposizione tra i due procedimenti con il conseguente mancato loro coordinamento dal punto di vista sia dell’acquisizione e della valutazione della prova sia del profilo cronologico. In particolare in Bjarni la Corte statuisce, § 57, che lack of overlap in time and the largely independent collection and assessment of evidence; in Nodet, precisa poi, § 51, che la condition du lien temporel demeure et doit être satisfaite. Ce lien doit être suffisamment étroit pour que le justiciable ne soit pas en proie à l’incertitude et à des lenteurs, et pour que les procédures ne s’étalent pas trop dans le temps. Plus le lien temporel est ténu, plus il faudra que l’État explique et justifie les lenteurs dont il pourrait être responsable dans la conduite des procedures.
Quindi, oggi – a differenza di quanto richiesto nel 2016 – la Corte EDU impone al giudice nazionale di riscontrare, ai fini dell’individuazione della stretta connessione temporale, anche che non vi sia un divario temporale eccessivamente ampio tra la definizione di un procedimento e l’altro; deve quindi essere presente pure questo requisito, unitamente agli altri sopra indicati, poiché la mancanza anche solo di uno di essi impone di stigmatizzare la sussistenza di un inammissibile bis in idem.
Nel caso in esame non vi è stata alcuna duplicazione della prova, perché il Giudice penale ha utilizzato ai fini della condanna penale gli stessi elementi già posti alla base delle sanzioni amministrative; la pena complessivamente comminata può essere giudicata proporzionata in quanto la sanzione penale ha tenuto conto di quella amministrativa già comminata. Tuttavia è mancato proprio il criterio della stretta connessione cronologica dei due procedimenti, sulla base della datazione degli atti emessi in sede amministrativa e penale.
Come accaduto nella richiamata vicenda Bjarni, i due procedimenti sanzionatori oggetto del caso Cella, per quanto caratterizzati da un contestuale iniziale avvio, hanno poi però maturato un’inammissibile discrasia temporale tra la conclusione del procedimento tributario e quella prospettabile per il procedimento penale.
Con il proprio atto di promovimento, la corte felsinea ha quindi meglio precisato un’eccezione di costituzionalità sulle stesse norme che la Corte costituzionale, nel recente passato, aveva evitato di apprezzare per un’insufficiente motivazione tanto della non manifesta infondatezza della questione prospettata, quanto della sua rilevanza (Corte cost., sent. 18 giugno 2019 – 24 ottobre 2019, n. 222, § 2.3 in diritto). L’esame di costituzionalità investiva in quest’ultimo caso l’art. 649 c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 117, co 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 4 del prot. n.7 della CEDU “nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di un imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU”.
È bene a questo punto ricordare come, nella dialettica tra Corti, il Giudice di Strasburgo ha già perentoriamente ribadito, e proprio all’Italia, che tutte le sue decisioni – e tra di esse, per il caso in esame, i casi Bjarni Armansson e Nodet – hanno il medesimo valore e sono parimenti vincolanti, non solo quelle che costituiscono un “orientamento consolidato”. La Corte ha infatti enfatizzato che “its judgments all have the same legal value. Their binding nature and interpretative authority cannot therefore depend on the formation by which they were rendered” (così Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, ric. n. 1828/06, G.I.E.M. e altri c. Italia, § 252 ove si legge che “the Court would emphasise that. Per un commento si rinvia a M. Bignami, Da Strasburgo via libera alla confisca urbanistica senza condanna, in Questione Giustizia, 10 luglio 2018, ed in particolare il § 4; volendo, anche S. Bolis, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca in materia di riciclaggio. Una lettura (in)convenzionale, in AA.VV., Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, a cura di D. Castronuovo – C. Grandi, Napoli, 2021, pp. 335 ss.).
In conclusione, i principi di diritto espressi nella sentenza Cella non rappresentano – pur nella definitività del giudicato ed a prescindere da un eventuale ricorso allo stesso Giudice di Strasburgo – il punto di approdo definitivo sul tema del ne bis in idem in ambito tributario per il quale, invece, si attende ancora dalla Consulta una pronuncia espressa, auspicabilmente, in senso convenzionalmente orientato.