Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

01/06/2021 - Ne bis in idem: in attesa della Consulta la Corte di Cassazione si perde sulla via di Strasburgo

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Corte di cassazione è ritornata recentemente sul tema del ne bis in idem in ambito tributario, ammettendo che la sanzione penale possa intervenire anche ad anni di distanza da quella amministrativa. Tale posizione non pare però in linea con i più recenti orientamenti della Corte EDU – sentenze Nodet e Bjarni del 2019 – che non ammettono un divario temporale eccessivamente ampio tra la definizione di un procedimento e l’altro. Proprio su questo tema, del resto, dovrà la Corte costituzionale inoltre pronunciarsi tra breve tempo.

» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 14 gennaio 2021, n. 4439) scarica file

PAROLE CHIAVE: ne bis in idem - sanzioni - connessione


di Samuel Bolis

  1. La Corte di Cassazione è recentemente tornata sul tema dell’ammissibilità della sanzione amministrativa e penale dell’idem factum connesso ad un’infedele dichiarazione dei redditi. La sentenza costituisce l’ultima battuta del fitto dialogo tra le corti domestiche e quelle europee nella tutela “multilivello” dei diritti fondamentali, ma pare essere ancora congelata all’anno 2016, in quanto non recepisce il più recente jus superveniens che ha innovato la portata del criterio della stretta connessione temporale tra procedimento penale ed amministrativo.

Il caso in esame riguardava la condotta di un contribuente titolare di partita IVA che, al fine di evadere le imposte, indicava – nelle dichiarazioni fiscali relative all’Irpef ed all’Iva con riferimento all’annualità del 2010 – elementi passivi inesistenti, rispettivamente, di 344.000 euro e di 174.270 euro. In forza di ciò egli è stato: da un lato condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di quattro mesi di reclusione, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 per avere definito la pretesa erariale; da un altro lato, sanzionato amministrativamente al pagamento di una somma di 182.895,95 euro a titolo di sanzioni ed interessi, applicando la misura minima del compasso editale con riduzione per effetto dell’adesione nel procedimento penale. Il procedimento amministrativo si è definito nel 2015, mentre il procedimento penale risulta ancora pendente nel 2021.

La Corte di Cassazione ha pacificamente riconosciuto la natura sostanzialmente afflittiva della sanzione amministrativa ed ha conseguentemente applicato il formante giurisprudenziale sovranazionale riferito alla matière pénale, per il quale è doveroso applicare le garanzie processuali forti fissate, in ambito penale, dall’art. 6 della CEDU in ragione dell’art. 4 del suo protocollo n. 7 nonché dell’art. 50 della Carta europea dei diritti fondamentali. In particolare gli Ermellini hanno richiamato il precedente A. e B. contro Norvegia del 2016 (Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, ricorsi riuniti 24130/11 e 29758/11, A. e B. c. Norvegia, riportata in Dir. pen. cont., 18 novembre 2016, con nota di F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio), nel quale la sussistenza della duplicazione della sanzione e del procedimento viene esclusa qualora tra i due procedimenti – amministrativo e penale che sanzionano il medesimo fatto – sussista un legame materiale e temporale sufficientemente stretto.

 

  1. Già nel 2009 il Giudice di Strasburgo (Corte EDU, Grande Camera, sent. 10 febbraio 2009, ric. n. 14939/03, Zolotukhin c. Russia) aveva in effetti superato la concezione formalistica dell’idem factum, concentrandosi sulla concreta materialità della condotta: non più un’analisi di tipo logico-formale che porta all’idem legale, bensì una di tipo storico-empirico che porta a ritenere l’idem in quei fatti che sono sostanzialmente gli stessi. L’attenzione dell’interprete, sostiene la Corte, deve orientarsi dunque al fatto nella sua concreta materialità e non già all’astratto rapporto tra fattispecie: a rilevare deve essere quindi la condotta tenuta e contestata (idem factum) e non la sua tipizzazione nelle singole condotte punitive (idem legale). Anche la giurisprudenza successiva ha ribadito la necessità di concentrare l’analisi sul fatto concreto, prescindendo dalla fattispecie astratta, pena un indebolimento complessivo della garanzia veicolata dal principio del ne bis in idem (Corte EDU, V, sent. 27 novembre 2014, ric. n. 7356/10, Lucky Dev c. Svezia). Tale rinnovato approccio materialistico unito al già avvenuto riconoscimento della natura sostanzialmente penale di talune sanzioni formalmente amministrative ha consentito l’avvio di una florida stagione giurisprudenziale europea – inaugurata dalla Corte EDU e proseguita dalla Corte di Giustizia UE – inerente alla tutela del divieto di una duplicazione delle sanzioni e dei procedimenti penali per un medesimo fatto (L. Tosi, Lineamenti di diritto penale dell’impresa, Milano, 2017, pp. 287-297; volendo, S. Bolis, Obiettiva connessione tra illeciti amministrativi e reati tributari: una soluzione alla vexata quaestio del ne bis in idem?, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, fasc. 3-4, pp. 383-432; in ultimo, L. Bin, Anatomia del ne bis in idem: da principio unitario a trasformatore neutro di principi in regole, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2020, pp. 98-141).

È a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, infatti, che la Corte, con la sentenza Engel c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, ha isolato tre criteri per sperimentare se una sanzione possa definirsi sostanzialmente penale a prescindere dall’etichetta formale ad essa attribuita. Tali criteri consistono nella: a) qualificazione giuridica offerta dall’ordinamento interno; b) effettiva natura della sanzione; c) grado di severità dalla stessa veicolato. Utilizzando tali criteri la Corte ha ad esempio ritenuto, con la già citata sentenza Lucky Dev, che una sanzione amministrativa in ambito tributario ha natura sostanzialmente penale in quanto corrispondente al 40 % ed al 20% del tributo evaso dal contribuente a seguito di omessa dichiarazione dei redditi ed IVA.

Secondo l’arresto fissato in A. e B. contro Norvegia il criterio del “sufficiently close connection, in substance and in time” sussisterebbe in astratto quando: a) le due sanzioni perseguono scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta; b) la duplicazione dei procedimenti è prevedibile per l’interessato; c) esiste un coordinamento, specie sul piano probatorio, tra i due procedimenti; d) il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulta eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito.

 

  1. Tornando al caso in commento (Corte cass., III Sez. penale, 14 gennaio 2021 – 4 febbraio 2021, n. 4439, ric. Cella) ricorrerebbero, secondo il Palazzaccio, tutte le predette condizioni previste dalla Corte EDU e riconosciute dalla Consulta (Corte cost., sent. 24 gennaio 2018 – 2 marzo 2018, n. 43). In particolare, il sistema italiano che prevede un doppio binario sanzionatorio sarebbe infatti convenzionalmente ammesso in quanto: a) la complementarietà della sanzioni è rilevabile dal fatto che il procedimento amministrativo è volto a contrastare l’evasione fiscale mediante il recupero delle imposte non versate, mentre il procedimento penale è teso alla prevenzione ed alla repressione dei reati tributari: detto in altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva al superamento di determinate soglie di punibilità, in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, rafforzerebbe da un lato l’effetto specialpreventivo e da un altro lato assicurerebbe l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali riconosciuti in ambito penale all’integrale saldo del debito tributario avvenuto in ambito amministrativo; b) la prevedibilità del doppio binario è insita nell’espressa previsione in norme di legge: in particolare dall’art. 13, co. 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per la parte amministrativa e dall’art. 4 (ovvero dall’art. 5, a seconda che si tratti di dichiarazione infedele ovvero omessa) del d. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per la parte penale; c) il coordinamento tra entrambi i procedimenti è stato garantito dal loro contestuale avvio, avvenuto ad aprile 2015 con notifica sia dell’accertamento sia dell’avviso di conclusione delle indagini penali: sotto il profilo probatorio, la Corte ha qui evidenziato, in § 4.2, come non sussiste alcuna duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, posto che l'accertamento eseguito in sede tributaria è sostanzialmente confluito nel giudizio penale; d) la proporzionalità della sanzione complessivamente comminata è assicurata dal fatto che il giudice penale ha decurtato la pena della metà – ai sensi dell’art. 13 bis del d.lgs. 74 del 2000 – sospendendone oltretutto gli effetti.

 

  1. Tuttavia la pronuncia non è, a sommesso parere di chi scrive, condivisibile nella parte in cui essa ritiene che la stretta connessione sostanziale e temporale sia garantita semplicemente dal contestuale avvio dei due distinti procedimenti, i quali – essendo governati da regole e principi affatto diversi – hanno necessariamente tempi di definizione non coincidenti, anche in ragione delle differenti modalità di formazione ed acquisizione della prova e dei mezzi di impugnazione previsti nei rispettivi ordinamenti (così sent. Cella, , § 4.1 in diritto). Nel caso in esame, infatti, è stata rilevata la prosecuzione del procedimento penale negli anni successivi per oltre quattro anni dopo quello amministrativo.

Lo jus superveniens europeo è stato infatti innovato dalla più recente giurisprudenza della Corte EDU che ha nel frattempo delimitato con rigore il perimetro entro il quale inscrivere il criterio della “stretta connessione in senso cronologico”. Con le sentenze Bjarni (Corte EDU, Sez. II, 16 aprile 2019, ric. 72098/14, Bjarni Armansson c. Islanda; per un commento si veda F. Pepe, Un nuovo “tassello” nell’interpretazione della regola del “ne bis in idem” da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, in Taxnews, 21 maggio 2019. del 16 aprile 2019) e Nodet (Corte EDU, Sez. V, 6 giugno 2019, ric. 47342/14, Nodet. c. Francia) il giudice di Strasburgo – pur non ravvisando, in questi casi, una sproporzione della sanzione globalmente inflitta – ha ritenuto violato il divieto di un secondo giudizio per assenza della close connection tra i due procedimenti: in particolare, è stata rilevata l’assenza di una sovrapposizione  tra i due procedimenti con il conseguente mancato loro coordinamento dal punto di vista sia dell’acquisizione e della valutazione della prova sia del profilo cronologico. In particolare in Bjarni la Corte statuisce, § 57, che lack of overlap in time and the largely independent collection and assessment of evidence; in Nodet, precisa poi, § 51, che la condition du lien temporel demeure et doit être satisfaite. Ce lien doit être suffisamment étroit pour que le justiciable ne soit pas en proie à l’incertitude et à des lenteurs, et pour que les procédures ne s’étalent pas trop dans le temps. Plus le lien temporel est ténu, plus il faudra que l’État explique et justifie les lenteurs dont il pourrait être responsable dans la conduite des procedures.

 

  1. Quest’ultimo è l’elemento centrale dell’innovativa interpretazione della Corte di Strasburgo che ha stigmatizzato il fatto che il procedimento amministrativo e quello penale avevano condiviso solo pochi mesi, per poi lasciar proseguire per anni il procedimento penale dopo la definizione di quello amministrativo; è a questo punto opportuno evidenziare come nel caso Bjarni, § 56, il procedimento penale sia giunto a condanna un anno dopo il termine di quello amministrativo, mentre nel caso Nodet, 52, quattro anni e due mesi più tardi.

Quindi, oggi – a differenza di quanto richiesto nel 2016 – la Corte EDU impone al giudice nazionale di riscontrare, ai fini dell’individuazione della stretta connessione temporale, anche che non vi sia un divario temporale eccessivamente ampio tra la definizione di un procedimento e l’altro; deve quindi essere presente pure questo requisito, unitamente agli altri sopra indicati, poiché la mancanza anche solo di uno di essi impone di stigmatizzare la sussistenza di un inammissibile bis in idem.

Nel caso in esame non vi è stata alcuna duplicazione della prova, perché il Giudice penale ha utilizzato ai fini della condanna penale gli stessi elementi già posti alla base delle sanzioni amministrative; la pena complessivamente comminata può essere giudicata proporzionata in quanto la sanzione penale ha tenuto conto di quella amministrativa già comminata. Tuttavia è mancato proprio il criterio della stretta connessione cronologica dei due procedimenti, sulla base della datazione degli atti emessi in sede amministrativa e penale.

Come accaduto nella richiamata vicenda Bjarni, i due procedimenti sanzionatori oggetto del caso Cella, per quanto caratterizzati da un contestuale iniziale avvio, hanno poi però maturato un’inammissibile discrasia temporale tra la conclusione del procedimento tributario e quella prospettabile per il procedimento penale.

 

  1. L’esistenza di un’antinomia tra le norme sanzionatorie interne viste in precedenza – penale ed ammnistrativa, ma attratta alla matière pénale – e l’art. 649 c.p.p. con l’art. 117 della Carta costituzionale a mezzo del parametro interposto dell’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione EDU è attualmente al vaglio, declinata proprio in questi termini, della Corte Costituzionale (Rif. atto di promovimento del giudizio della Corte Costituzionale n. 164/2020, in Uff., 2 dicembre 2020, 1° serie speciale, n. 49, pp. 98-103) su sollevazione della Corte di Appello di Bologna che ha rilevato l’impossibilità ad attribuire alla situazione in parola un’interpretazione conforme al diritto sovranazionale. Secondo la Corte felsinea, infatti, non sarebbe possibile raccogliere l’invito espresso dal Giudice del Lussemburgo che ha affidato al giudice nazionale il compito di verificare se, nel singolo caso portato innanzi alla sua giurisdizione, l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso (così Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, sent. 20 marzo 2018, C-524/15, Menci, § 64). Del resto, la disciplina italiana del cumulo penale ed amministrativo delle sanzioni tributarie è stato avvallato ma con riserva dalla Corte UE, rimettendo al giudice comune una valutazione caso per caso. Nella sentenza Menci, infatti, la Corte, § 57, ha osservato come risulta pertanto che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, una normativa nazionale, come quella in discussione nel procedimento principale, consente di garantire che il cumulo di procedimenti e di sanzioni che essa autorizza non eccede quanto è strettamente necessario ai fini della realizzazione dell’obiettivo di assicurare l’efficace riscossione dell’IVA (per un commento, A. Galluccio, La Grande Sezione della Corte di Giustizia si pronuncia sulle attese questioni pregiudiziali in materia di bis in idem, in Dir. pen. cont., 3/2018, pp. 286-294).

Con il proprio atto di promovimento, la corte felsinea ha quindi meglio precisato un’eccezione di costituzionalità sulle stesse norme che la Corte costituzionale, nel recente passato, aveva evitato di apprezzare per un’insufficiente motivazione tanto della non manifesta infondatezza della questione prospettata, quanto della sua rilevanza (Corte cost., sent. 18 giugno 2019 – 24 ottobre 2019, n. 222, § 2.3 in diritto). L’esame di costituzionalità investiva in quest’ultimo caso l’art. 649 c.p.p. in riferimento agli artt. 3 e 117, co 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 4 del prot. n.7 della CEDU “nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di un imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU”.

È bene a questo punto ricordare come, nella dialettica tra Corti, il Giudice di Strasburgo ha già perentoriamente ribadito, e proprio all’Italia, che tutte le sue decisioni – e tra di esse, per il caso in esame, i casi Bjarni Armansson e Nodet – hanno il medesimo valore e sono parimenti vincolanti, non solo quelle che costituiscono un “orientamento consolidato”. La Corte ha infatti enfatizzato che “its judgments all have the same legal value. Their binding nature and interpretative authority cannot therefore depend on the formation by which they were rendered” (così Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, ric. n. 1828/06, G.I.E.M. e altri c. Italia, § 252 ove si legge che “the Court would emphasise that. Per un commento si rinvia a M. Bignami, Da Strasburgo via libera alla confisca urbanistica senza condanna, in Questione Giustizia, 10 luglio 2018, ed in particolare il § 4; volendo, anche S. Bolis, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca in materia di riciclaggio. Una lettura (in)convenzionale, in AA.VV., Confische e sanzioni patrimoniali nella dimensione interna ed europea, a cura di D. Castronuovo – C. Grandi, Napoli, 2021, pp. 335 ss.).

In conclusione, i principi di diritto espressi nella sentenza Cella non rappresentano – pur nella definitività del giudicato ed a prescindere da un eventuale ricorso allo stesso Giudice di Strasburgo – il punto di approdo definitivo sul tema del ne bis in idem in ambito tributario per il quale, invece, si attende ancora dalla Consulta una pronuncia espressa, auspicabilmente, in senso convenzionalmente orientato.