Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

13/05/2019 - Transazione fiscale e sequestro preventivo nei reati tributari

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

La Corte di Cassazione ha ribadito che solo l’integrale pagamento del debito tributario rende inoperativa la confisca e determina la revoca del sequestro preventivo. Pertanto, gli effetti della misura cautelare reale non vengono meno neppure qualora sia stata perfezionata, nell’ambito di una procedura concorsuale, una transazione fiscale tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, non idonea di per sé ad eliminare il pericolo di una dispersione dei beni.

PAROLE CHIAVE: reati tributari - transazione fiscale - concordato preventivo - sequestro preventivo - confisca


di Laura Torzi

  1. Con la sentenza n. 18034 del 2 maggio 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito, in linea conla sua precedente giurisprudenza,la legittimità del sequestro preventivo disposto per i reati tributari anche in presenza di una transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall. conclusa nell’ambito di un concordato preventivo omologato.

In particolare, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso il provvedimento deltribunale del riesame che, ad avviso del contribuente (rectius: indagato), avrebbe errato nel ritenere sussistentinel caso oggetto di giudizio entrambi i presupposti necessari per l’adozione del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, ossia del fumus commissidelictiedelpericulum in mora.

Perquanto di interesse in questa sede, è noto che, per ciò che attiene alla sussistenza del periculum in mora, il sequestro preventivo può ritenersi legittimo non soltanto in presenza diun pericolo concreto ed attuale, ma anche se venga dimostrata, con ragionevole certezza, l’utilizzazione del bene per la commissione di ulteriori reati o per l’aggravamento o la prosecuzione di quello per cui siprocede. Proprio tale ultima circostanza, ad avviso del ricorrente, non potrebbe essere rinvenuta nella fattispecie oggetto del giudizio,stante l’omologazione da parte del medesimo tribunale non solo del concordato preventivo ma anche della relativa transazione fiscale.

In altri termini, il giudice del riesame avrebbe erroneamente ritenuto persistente il rischio di dispersione dei beni sebbene la conservazione degli stessi sarebbe stata garantita dagli organi della procedura, incaricati del controllo della regolarità dell’esecuzione del piano concordatario, con conseguente impossibilità per la società di non onorare i pagamenti in ottemperanza dell’impegno assunto con la transazione fiscale.

Nel respingere il ricorso, i giudici di legittimità hanno tuttavia ritenuto corretta la decisione del giudice del riesame secondo cui, da un lato, il sequestro preventivo del profitto dei reati tributari funzionale alla confisca prevarrebbe sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per ammissione al concordato preventivo e, dall’altro, la transazione fiscale conclusa dalla società non eliminerebbe il pericolo di una dispersione dei beni.

In particolare, con riferimento a tale ultimo aspetto il tribunale del riesame avrebbe correttamente negato la configurabilità di un automatismo tra la sussistenza della procedura conservativa di carattere pubblicistico e l’assenza del periculum in mora, posto che la transazione fiscale si configura come un mero “impegno ad adempiere, ma di per sé, non elimina in radice il pericolo di una dispersione dei beni costituendo l’inadempimento una opzione non auspicabile, ma certamente possibile”.

 

  1. La questione rimessa all’analisi della Corte si inserisce nella più ampia problematica attinente agli effetti che la transazione fiscale può produrre nell’ambito del processo penale (in argomento, tra gli altri, si veda FICARI – SCANU, Soglie di punibilità, “accordi” deflativi e transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2014, 937; MASTROIACOVO, Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscali delle definizioni bonarie delle vertenze penali, in Riv. dir. trib., 2015, I, 143; BELLI CONTARINI, Transazione fiscale ed eventuali riflessi penali, in Riv. dir. trib., 2017, III, 4).

Al riguardo,secondo un indirizzo giurisprudenziale minoritario la transazione fiscale, o meglio la sua omologazione, sarebbe addirittura idonea ad incidere sulla sussistenza stessa del reato, se l’inosservanza dei terministabiliti per il versamento delle imposte consegue all’ammissione al concordato. In altri termini, posto che il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto di carattere prettamente pubblicistico, lo stesso non potrebbe essere considerato irrilevante ai fini penali, dissociando così settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento giuridico (così Cass., Sez. III, n. 15853 del 12 marzo 2015).

Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria si è mostrata da sempre contraria a riconoscere un qualche rilievo all’ammissione alla procedura di concordato preventivo ai fini dell’esclusione della configurabilità del reato. In tale prospettiva, l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppur antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell’imposta, non escluderebbe il reato in relazione al debito scaduto e da versare. Pertanto, la transazione fiscale conclusa nell’ambito di un concordato preventivo omologato da parte del tribunale non farebbe venir meno la responsabilità penale del debitore (in tal senso, tra le tante, si veda Cass., Sez. III, n. 39101 del 24 aprile 2013; Cass., Sez. III, n. 44283 del 14 maggio 2013; Cass., Sez. III, n.12912  del 4 febbraio 2016).

Solo l’omologazione dell’accordo intervenuta prima della scadenza del termine previsto dalle norme incriminatrici per il pagamento dell’imposta, potrebbe eventualmente determinare la modifica di un elemento strutturale della fattispecie penale.

 

  1. Aderendo al richiamato orientamento maggioritario, la Corte di Cassazione nella pronuncia in commento si è soffermata – come già avvenuto in passato - sulla possibilità di configurare ueffettinell’ambito del procedimento penale derivanti dalla conclusione di una transazione fiscale, chiarendo che l’unico effetto impeditivo, come previsto espressamente dal legislatore, riguarda l’inoperativitàdella confisca.

Infatti, il D.lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, nel disciplinare la confisca obbligatoria nei reati tributari, collocandola nell’apparato normativo in tema di reati tributari all’art. 12-bis delD.Lgs. n. 74 del 2000 (così superando la precedente applicazione ai reati tributari della confisca regolata dall’art. 322-ter c.p.), ha altresì introdotto un’importante novità in materia, con l’intento di regolare i rapporti tra l’istituto ed un eventuale accordo intervenuto tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria. A tal fine, il comma 2, del richiamato art. 12- bisprevede espressamente che “la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, precisando altresì che “Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.

Come chiarito in dottrina, sebbene sia lodevole la ratio dell’intervento legislativo diretto ad incentivare l’adempimento dell’obbligazione tributaria (in tal senso si veda SOANA, I reati tributari, Milano, 2018, 657), la soluzione adottata dal legislatore è apparsa da subito insoddisfacente ed ha richiesto numerosi interventi interpretativi della Suprema Corte (sul punto si veda la disamina,contenuta nella Relazione dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione n. III/05/2015, di taluni aspetti problematici della disciplina).

Ed invero, i giudici di legittimità si sono soffermati più volte sulla corretta interpretazione della richiamata disposizione e, dopo aver chiarito che per la non operatività della confisca obbligatoria è necessario non un generico impegno unilaterale del contribuente, ma l’assunzione di una obbligazione di carattere formale “riscontrabile, ad esempio nei casi di conciliazione giudiziale, transazione fiscale o procedure di rateizzazione” (in senso conforme, tra le altre,si veda altresìCass., Sez. III, n. 5728 del 14 gennaio 2016; Cass., Sez. III, n. 42470 del 13 luglio 2016), sono statichiamati a soffermarsi sull’ipotesi di non operatività della confisca anche in presenza di un sequestro.

Come ricordato anche nella pronuncia in commento, in merito a tale ultimo aspettosono state prospettate due interpretazioni differenti. Secondo una prima impostazione, qualora l’imputato si fosse impegnato formalmente al versamento di quanto dovuto, il giudice non avrebbe dovuto disporre la confisca in seguito alla condanna, dovendosi attendere l’eventuale successivo mancato versamento. Conseguenza di tale posizione sarebbe stata l’esclusione di un sequestro preventivo successivo all’assunzione dell’impegno, ovvero la caducazione degli effetti di quello che fosse stato già disposto in precedenza in quanto, essendo lo stesso finalizzato alla confisca, ne sarebbe mancata la ragione giustificativa, non potendo l’ablazione definitiva essere disposta dal giudice (in tal senso si veda Cass., Sez. III, n. 32213 del 13 luglio 2018).

Tuttavia, ad avviso dei giudici di legittimità, tale impostazione contrasterebbe con la letteradella norma la quale, al contrario,indicherebbe che gli effetti dell’impegno assunto si producono solo sulla confisca e non sul precedente sequestro. Infatti, l’uso della locuzione “non opera” lascerebbe intendere che il giudice debba comunque disporre la confisca del profitto illecito conseguito e non ancora restituito, subordinando l’efficacia del provvedimento ad un momento, successivo e meramente eventuale, di verifica del mancato adempimento dell’impegno assunto.

Non solo, ma, ed è questo l’aspetto più interessante della pronuncia in commento, non ritenere legittimo il sequestro preventivo in presenza di una transazione fiscale consentirebbe la conservazione della disponibilità dei beni per il reo, con l’evidente rischio di non impedire la dispersione del patrimonio.

Maggiormente sostenibile ad avviso dei giudici di legittimità è, dunque, la seconda opzione interpretativa che riconosce la legittimità della confisca, la cui produzione di effetti verrebbe tuttavia condizionata al mancato ottemperamento dell’impegno formalmente assunto in sede di transazione fiscale, quindi ad un evento futuro ed eventuale.

Si tratterebbe, in definitiva, di una confisca “condizionata”, che non diverrebbe “più semplicemente efficace con riguardo alla parte “coperta” da tale impegno salvo ad essere disposta, come recita il comma 2 dell’art. 12-bis cit., allorquando l’impegno non venga rispettato e il versamento promesso non si verifichi” (cfr. Cass., Sez. III, n. 5728 del 11 febbraio 2016).

Da tale impostazione discenderebbe, dunque, la conservazione della legittimità del sequestro preventivo prodromico alla stessa confisca, permanendo sino all’integrale pagamento del debito, almeno per l’ammontare corrispondente ai versamenti mancanti (in senso conforme, tra le altre, si veda Cass., Sez. III, n. 25339 del 27 maggio 2015; Cass., Sez. III, n. 20887 del 15 aprile 2015; Cass., Sez. III, n. 11497 del 11 febbraio 2015).

 

  1. In definitiva, il sequestro preventivo finalizzato e funzionale alla confisca deve ritenersi pienamente legittimo sia se adottato prima che dopo la formalizzazione dell’accordo con l’amministrazione finanziaria concluso nell’ambito di una procedura concorsuale.

Come chiarito dai giudici di legittimità, infatti, l’impegno del contribuente assunto in sede di transazione fiscale, non solo non esclude l’adozione della confisca ma, a maggior ragione, non è idoneo di per sé ad impedire il sequestro che è a quella funzionale e prodromico.

Data infatti la funzione anche “recuperatoria” della confisca in materia tributaria, essendo finalizzata principalmente al recupero dell’imposta evasa, solo una volta soddisfatto integralmente il credito tributario si può rinunciare all’ablazione definitiva dei beni sequestrati.

Di conseguenza, deve necessariamente esserericonosciuta la possibilità di operare una rideterminazionedel quantum sequestrato in misura corrispondente alle somme già versate in ottemperanza dell’impegno assunto, anche al fine di evitareil rischio di una duplicazione della sanzione.

Tale conclusione appare altresìconfortata dal consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha da tempo sottolineato la natura della confisca nei reati tributari - e, quindi, del sequestro preventivo ad essa finalizzato -quale misura sanzionatoria assimilabile ad una vera e propria pena accessoria con finalità di compensazione (in tal senso si veda Cass., Sez. III, n. 4097 del 19 gennaio 2016; in senso conforme già Cass., Sez. V, n. 15445 del 16 gennaio 2004; Cass., Sez. Un., n. 41936 del 25 ottobre 2005).

Non solo, ma se non fosse effettuata tale rideterminazione si realizzerebbe una evidente violazione anche del principio secondo cui il valore del bene oggetto di ablazione non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito mediante la commissione del reato (sul punto cfr. Cass., Sez. III, n. 46726 del 12 luglio 2012).

Il contribuente, dunque, come ricordato dai giudici di legittimità anche nella pronuncia in commento, potrebbe domandare il dissequestro,ex art. 321 c.p.p., comma 3, per la parte che dimostri di avere versato ovvero invocare l’applicazione dell’art. 85 disp. att. c.p.p., il quale consente che le cose sequestrate possano essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni ed imponendo una idonea cauzione a garanzia della esecuzione nel termine stabilito.