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G. Giappichelli Editore

18/03/2019 - Compensazione necessaria delle spese di lite in caso di “rottamazione”

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

Se il processo è dichiarato estinto per adesione alla rottamazione dei ruoli ex art. 6 del DL 193 del 2016, la compensazione delle spese di lite è automatica. Con la sentenza n. 1978 del 24 gennaio 2019, la Corte di Cassazione conferma il principio secondo il quale la condanna del contribuente alle spese di lite rappresenterebbe un controsenso rispetto alla ratio e alla finalità stessa della definizione agevolata e, sul piano pratico, finirebbe per imporre un maggior onere per la definizione rispetto a quanto stabilito dalla legge.

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PAROLE CHIAVE: rottamazione - spese legali - estinzione del giudizio


di Giorgio Infranca – Avvocato tributarista del Foro di Milano

  1. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato che a fronte della rinuncia al giudizio instaurato dal contribuente in relazione a carichi tributari sui quali questi si si sia avvalso della cosiddetta “rottamazione dei ruoli”, le spese di lite vanno compensate. La sentenza de qua si inserisce a pieno titolo nel solco della giurisprudenza della Suprema Corte (ormai, si può dire, pacifica) che, dopo taluni oscillamenti, ha propeso per l’obbligo di compensazione delle spese in caso di rinuncia agli atti del giudizio a seguito di definizione agevolata dei carichi iscritti a ruolo, ex articolo 6, D.L. 193/2016; ciò anche in deroga al generale principio di cui all’articolo 391, comma 2, c.p.c., a mente del quale “Il decreto, l’ordinanza o la sentenza che dichiara l’estinzione può condannare la parte che vi ha dato causa alle spese”.
  2. Per meglio comprendere la questione in oggetto, occorre effettuare un breve excursus sulla disciplina introdotta nel 2016 in tema di definizione agevolata dei carichi tributari pendenti; norma che ha aperto la via ad una stagione di “pacificazione fiscale”, ancora in pieno corso di svolgimento. L’articolo 6, D.L. 193/2016, rubricato “Definizione agevolata”, consentiva ai contribuenti di definire i carichi fiscali affidati all’agente della riscossione dal 2000 al 2016 con il versamento di capitale e interessi (nonché dell’aggio di riscossione dovuto su tali somme e delle spese di notifica) e conseguente stralcio totale delle sanzioni e degli interessi di mora. A tal fine, il contribuente doveva presentare un’apposita dichiarazione, redatta su modello ad hoc predisposto dall’Agente della riscossione, con la precisazione che, in caso la “rottamazione” si riferisse a carichi oggetto di un contenzioso tributario pendente, il contribuente doveva assumere l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi.
  3. Si è quindi discusso se “l’impegno a rinunciare” ai giudizi in questione integrasse una vera e propria rinuncia agli atti, ex articolo 44, D.Lgs. 546/1992 (che richiede, affinché sia efficace, l’accettazione delle altre parti costituite che abbiano un interesse effettivo alla continuazione del processo), ovvero rappresentasse causa di estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, ai sensi del successivo articolo 46, comma 1, D.Lgs. 546/1992, secondo cui “Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere”.
  4. L’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 2/E dell’8 marzo 2017 (dedicata proprio a fornire chiarimenti in merito alla disciplina della “definizione agevolata”) ha sposato questa seconda tesi. L’Amministrazione finanziaria ha difatti chiarito che l’impegno a rinunciare ai giudizi non corrisponde strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’articolo 44, D.Lgs. 546/1992; quanto rileva, difatti, è solo il perfezionamento della procedura deflattiva a seguito del versamento delle somme dovute. Pertanto, sostiene l’Agenzia delle Entrate, indipendentemente dalla rinuncia agli atti del giudizio da parte del contribuente, a fronte dell’integrale versamento delle somme dovute, si produce del pari la causa di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.
  5. La Corte di Cassazione ha, invece, qualificato la rinuncia del contribuente alla stregua di una rinuncia agli atti, idonea a palesare la carenza di interesse del contribuente alla continuazione del giudizio; tuttavia, poiché detta rinuncia è prevista dalla legge, essa è da ritenersi efficace a prescindere dall’esplicita accettazione della controparte.
  6. In relazione alle spese processuali, invece, la Cassazione ha affrontato una prima fase piuttosto ondivaga; in talune decisioni, difatti, la Suprema Corte si è espressa per la compensazione delle spese processuali ex articolo 92, c.p.c. (secondo cui “Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione”), ritenendo la definizione agevolata alla stregua di una conciliazione fra le parti in causa (Cass., ord. n. 5497 del 3 marzo 2017). In altre ipotesi, invece, pur a fronte della definizione agevolata, la Cassazione ha comunque condannato il contribuente al rimborso delle spese di lite, vuoi invocando la soccombenza virtuale della parte privata (il cui ricorso, ove si fosse andato a sentenza, sarebbe stato giudicato infondato) (Cass., ord. n. 8377 del 31 marzo 2017), vuoi ritenendo di dover addossare le spese al contribuente rinunciante, essendo la parte che aveva dato causa al processo (in ciò riecheggiando il disposto dell’articolo 44, comma 2, D.Lgs. 546/1992 a mente del quale “Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro”) (Cass., ord. n. 18432 del 26 luglio 2017).
  7. La questione è stata definitivamente risolta con il deposito della sentenza n. 10198 del 27 aprile 2018, con la quale la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sugli effetti della rinuncia agli atti ex articolo 6, comma 2, D.L. 193/2016, ai fini della condanna alle spese di lite. La Suprema Corte, in particolare, ha ribadito che la rinuncia al giudizio di cui all’articolo 6, comma 2, cit. non richiede l’accettazione della controparte per essere efficace. La Corte ha poi avuto modo di precisare che detta mancata accettazione formale da parte dell’Agenzia delle Entrate o dell’Avvocatura dello Stato preclude l’applicazione dell’articolo 391, comma 4, c.p.c. secondo cui “La condanna [alle spese, N.d.R.] non è pronunciata, se alla rinuncia hanno aderito le altre parti personalmente o i loro avvocati autorizzati con mandato speciale”. Ciò nondimeno, la condanna del contribuente alle spese di lite rappresenterebbe, nel caso di specie, un controsenso rispetto alla ratio e alla finalità stessa della definizione agevolata e, sul piano pratico, finirebbe per imporre un maggior onere per la definizione rispetto a quanto stabilito dalla legge. Il punto di caduta del ragionamento della Suprema Corte è quindi quello di ritenere la rinuncia ai giudizi ex articolo 6, comma 2, D.L. 193/2016, alla stregua di un’eccezione alla regola generale della condanna alle spese in capo al rinunciante (recata dal citato articolo 391, comma 2, c.p.c.), dovendo condurre ad una compensazione necessaria delle spese di lite.
  8. L’ordinanza in commento si inserisce a pieno titolo nel filone giurisprudenziale maggioritario, appena citato. Nell’ordinanza, difatti, si legge “in merito alle spese del giudizio di legittimità, deve disporsi la loro integrale compensazione tra le parti in quanto, in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie ai sensi dell’art. 6, secondo comma, d.l. n. 193 del 2016, ove il contribuente rinunci al ricorso durante il procedimento di legittimità, l’applicazione del criterio della soccombenza contrasterebbe con la ratio della definizione agevolata, dissuadendolo ad aderire alla stessa mediante la previsione di oneri ulteriori rispetto a quelli contemplati dalla legge, anche se – come nel caso in esame – l’Amministrazione finanziaria non accetti la rinuncia”.
  9. Dovendo quindi considerarsi la compensazione delle spese di lite come corollario ormai necessario alla rinuncia agli atti, ex articolo 6, comma 2, D.L. 193/2016, non resta che augurarsi che la Corte di Cassazione voglia replicare il ragionamento sopra esposto anche alle ulteriori ipotesi di rottamazione che si sono susseguite negli anni successivi al 2016 (articolo 1, D.L. 148/2017 e articolo 3, D.L. 119/2018), così come anche alla definizione agevolata delle controversie tributarie, attualmente in corso (articolo 6, D.L. 119/2018).