argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
Con le sentenze 18 ottobre 2024, n. 27081, e 8 novembre 2024, n. 28869, la Corte di Cassazione si è nuovamente espressa sulla responsabilità del curatore dell’eredità giacente per il pagamento dell’imposta sulle successioni dovuta in relazione ai beni amministrati. Uniformandosi a quanto affermato nella precedente pronuncia 15 luglio 2009, n. 16428, la Suprema Corte ha confermato come il curatore, non solo sia tenuto alla presentazione della dichiarazione di successione, ma, quale responsabile d’imposta, sia altresì obbligato al pagamento di tale tributo, nel limite del valore dei beni che compongono l’eredità giacente. Nelle pronunce in commento non sembra, tuttavia, che si sia sufficientemente riflettuto sul presupposto dell’imposta sulle successioni, nonché sul fatto che, per poter essere ritenuto obbligato al pagamento dell’imposta sulle successioni, il curatore deve essere ritenuto possessore dei beni che compongono l’eredità giacente.
» visualizza: il documento (Corte di Cass., 18 ottobre 2024, n. 27081, e 8 novembre 2024, n. 28869)PAROLE CHIAVE: imposta sulle successioni - curatore - eredità giacente - responsabilità
di Matteo Clò
1. Come noto, qualora i chiamati all’eredità non siano nel possesso dei beni ereditari, e si prolunghi l’attesa della loro accettazione o rinunzia, può essere nominato un curatore dell’eredità giacente (BONILINI, Esecutore testamentario, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., 1991, in banca dati One Legale).
Affinché si abbia eredità giacente, è necessario che ricorrano (congiuntamente) tre presupposti: l’eredità non deve essere stata accettata (occorre, in particolare, che vi sia un chiamato attuale, che abbia il diritto di accettare l’eredità e non l’abbia ancora esercitato); il chiamato all’eredità non sia nel possesso dei beni ereditati; la competente autorità giudiziaria abbia provveduto alla nomina del curatore, la quale ha efficacia costitutiva della giacenza (in tal senso, CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2023, Tomo I, pp. 158-159).
La dottrina prevalente ritiene che il curatore sia titolare di un ufficio di diritto privato (di tipo non rappresentativo), in quanto esplica in nome proprio un’attività nell’interesse altrui, in obbedienza ad un dovere e in forza di un potere derivanti dalla legge (per tutti, BONILINI, Successioni (parte generale), in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., 1991, in banca dati One Legale). Il curatore è chiamato a svolgere un’attività finalizzata alla conservazione del patrimonio ereditario e alla liquidazione delle relative passività. Nell’esercizio di tale funzione, egli “è tenuto a procedere all'inventario dell'eredità, a esercitarne e a promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima, ad amministrarla, a depositare presso le casse postali o presso un istituto di credito designato dal tribunale il danaro che si trova nell'eredità o si ritrae dalla vendita dei mobili o degli immobili, e, da ultimo a rendere conto della propria amministrazione” (art. 529 cc.). Egli deve, altresì, provvedere “al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale” (art. 530 c.c.).
Tra i compiti che la legge attribuisce al curatore dell’eredità giacente vi è, da un lato, quello di “procedere all’inventario dell’eredità” e di “rendere conto della propria amministrazione” e, dall’altro, quello di far fronte “al pagamento dei debiti ereditari e dei legatari”, ivi comprese le passività aventi natura fiscale. Ciò induce ad interrogarsi sulla possibilità che, con particolare riferimento all’imposta sulle successioni e donazioni, egli sia da ritenersi destinatario dei medesimi obblighi che incombono sui chiamati all’eredità e/o su coloro i quali siano in possesso dei beni ereditari.
Sotto il profilo dichiarativo, non paiono esservi particolari perplessità, in quanto il curatore dell’eredità giacente è espressamente ricompreso tra i soggetti che, in base all’art. 28, comma 2, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, sono obbligati a presentare la dichiarazione di successione.
Maggiori dubbi riguardano, invece, la possibilità che il curatore dell’eredità sia tenuto, non solo a presentare la dichiarazione di successione, ma altresì a versare all’Erario la relativa imposta. In assenza di una chiara ed espressa previsione del legislatore, è, infatti, sorto il dubbio se il curatore dell’eredità giacente possa essere ricompreso tra i soggetti che sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta sulle successioni. È proprio in relazione a tale questione, nonché sull’estensione della responsabilità del curatore, che è intervenuta la Corte di Cassazione con le pronunce 18 ottobre 2024, n. 27081, e 8 novembre 2024, n. 28869.
2. In entrambe le pronunce in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il curatore dell’eredità giacente sia da ricomprendere tra i soggetti tenuti, non solo alla presentazione della dichiarazione di successione, ma altresì al pagamento della relativa imposta (conformandosi a quanto affermato nella precedente sentenza 15 luglio 2009, n. 16428).
La Suprema Corte giunge a tale conclusione sulla base di quanto disposto dall’art. 36, comma 3, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, ai sensi del quale, “fino a quando l’eredità non sia stata accettata, o non sia stata accettata da tutti i chiamati, i chiamati all’eredità, o quelli che non hanno ancora accettato, e gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione, esclusi i legatari, rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”. Da tale disposizione discenderebbe, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, che, essendo il curatore dell’eredità giacente uno dei soggetti che, ai sensi degli artt. 28, comma 2, e 31, comma 2, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, sono tenuti alla presentazione della dichiarazione di successione, egli sarebbe automaticamente chiamato a rispondere solidalmente dell’imposta dovuta in relazione ai beni ereditari, dovendosi ritenere che vi sia una necessaria corrispondenza tra i soggetti tenuti alla presentazione della dichiarazione di successione e quelli obbligati al pagamento della relativa imposta. Ciò sarebbe coerente con quanto previsto dall’art. 36, comma 4, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, che “prevede la facoltà di promuovere la nomina di un curatore da parte del fisco”; facoltà che, secondo quanto affermato nelle pronunce in commento, sarebbe priva di logica “se il curatore non potesse assolvere al debito tributario” (Cass., 18 ottobre 2024, n. 27081; Id., 8 novembre 2024, n. 28869).
In ragione del fatto che il curatore agisce in nome proprio, ma nell’interesse altrui, secondo la Suprema Corte, egli rivestirebbe il ruolo di responsabile d’imposta, essendo obbligato a far fronte al pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni non “con le proprie personali sostanze” e “nei limiti del patrimonio dell’eredità giacente”, sul quale “cade la responsabilità patrimoniale” (Cass., 18 ottobre 2024, n. 27081; Id., 8 novembre 2024, n. 28869).
3. Nelle pronunce in commento, la Corte di Cassazione sembra aver preso in considerazione unicamente il rapporto intercorrente tra gli artt. 28 e 31, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, in materia di dichiarazione di successione, e il successivo art. 36, sull’obbligo di pagamento della relativa imposta.
Il ragionamento della Suprema Corte non tiene, tuttavia, in considerazione alcuni elementi, cui pare, invece, opportuno attribuire rilevanza.
In primis, occorre sottolineare come dalla lettura dell’art. 36, comma 3, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, sembra evincersi che, nel momento intercorrente tra l’apertura della successione e l’accettazione dell’eredità da parte di tutti i chiamati, affinché i soggetti di cui ai precedenti art. 28, comma 2, e 31, comma 2, possano dirsi solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta sulle successioni è necessario che gli stessi abbiano il possesso dei beni ereditari. La norma in esame prevede, infatti, che “gli altri soggetti obbligati alla dichiarazione della successione […] rispondono solidalmente dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti”, con la conseguenza che, qualora uno di tali soggetti non sia nel possesso dei beni che compongono l’eredità, egli non possa essere ritenuto titolare di alcun obbligo (di versamento) nei confronti del Fisco.
Ciò vale anche per il curatore, il quale, affinché possa dirsi obbligato a versare l’imposta sulle successioni, deve essere considerato possessore dei beni che compongono l’eredità giacente. Nelle sentenze in commento, la Suprema Corte sembra dare per scontato il ricorrere di tale circostanza, senza nemmeno interrogarsi se al termine “possesso” debba essere riconosciuto il medesimo significato che gli è attribuito nell’ambito del diritto civile (come rilevato in dottrina – per tutti, FREGNI, Obbligazione tributaria e codice civile, Torino, 1998, pp. 155-157 –, dall’autonomia del diritto tributario deriva la possibilità di dare a termini o istituti del diritto civile “un significato diverso da quello che hanno nel diritto di provenienza”; “anche dove il diritto tributario si serve di strumenti tecnico-giuridici simili a quelli del diritto privato”, occorre, infatti, “farsi carico della particolare colorazione che essi assumono nel diritto tributario”, dovendosi valutare, “da un lato, se la norma di diritto privato si presta ad essere estesa e, dall’altro, se non vi siano impedimenti connessi alle peculiarità del diritto tributario”).
Pare lecito dubitare che, riconoscendo al termine contenuto nell’art. 36, comma 3, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, il medesimo significato che gli è attribuito in sede civile (il riferimento è all’art. 1140 c.c.), il curatore possa dirsi possessore dei beni che compongono l’eredità giacente. Il possesso è, infatti, il potere che, non solo si esercita su di una cosa (come accade anche nel caso della detenzione), ma si manifesta, altresì, in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di un altro diritto reale. Per configurare una situazione possessoria non basta, quindi, il compimento di atti di materiale ingerenza su di una cosa in conformità al contenuto di un diritto reale, ma è necessario anche che esso sia sorretto da un elemento soggettivo, tradizionalmente definito animus possidendi, e cioè dall’intenzione di comportarsi e farsi considerare come titolare di quel diritto reale cui corrisponde la concreta attuazione del potere di fatto (così TENELLA SILLANI, Possesso e detenzione, in Dig. disc. priv. sez. civ., 1996, in banca dati One Legale).
Sebbene sia il possessore sia il detentore abbiano il potere di fatto su un determinato bene, possesso e detenzione si differenziano “in base alla circostanza che […] il possessore (sia diretto sia indiretto) ha l’intento di comportarsi ed essere considerato come titolare del diritto reale a cui corrisponde il potere di fatto, mentre […] il detentore […] potrà sì aver l’intento di realizzare un diritto reale, ma non avrà l’intento di realizzare un diritto reale proprio” (SACCO, Possesso (dir. priv.), in Enc. dir., 1985, Vol. XXXIV, p. 511).
Da quanto affermato pare discendere che il curatore dell’eredità giacente rivesta la qualifica non tanto di possessore dei beni ereditari, quanto piuttosto di mero detentore (benché qualificato) degli stessi. Ciò induce ad escludere che, riconoscendo al termine “possesso” il medesimo significato che gli è attribuito in sede civile, lo stesso possa dirsi obbligato al pagamento dell’imposta sulle successioni, in ragione di quanto previsto dall’art. 36, comma 3, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
In tal senso si sono espresse anche alcune corti di merito, secondo le quali, il curatore dell'eredità giacente, pur essendo obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione, non può dirsi soggetto passivo della relativa imposta, in quanto non è possessore dei beni ereditati, ma mero detentore degli stessi (amministrandoli “sotto il controllo del Giudice […], in attesa della devoluzione degli stessi all'erede o, in caso di rinuncia o assenza, allo Stato con, conseguente, esenzione dall'imposta, in quest'ultimo caso”) (in tal senso, tra le più recenti, CGT II grado Lombardia, 10 maggio 2023, n. 1626; Id., 25 gennaio 2024, n. 270; CGT I grado Reggio Emilia, 25 febbraio 2025, n. 45).
A ciò si aggiunga che le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione sembrano non tenere in debita considerazione il fatto che, affinché un soggetto possa ritenersi obbligato al pagamento dell’imposta sulle successioni, occorre che il relativo debito sia sorto, in ragione, non solo della presentazione della dichiarazione di successione, ma altresì del verificarsi del presupposto di tale tributo. Al fine di verificare se tra i debiti che il curatore dell’eredità giacente è tenuto a pagare sia da ricomprendere anche l’imposta sulle successioni, occorre, pertanto, interrogarsi, non solo sulle caratteristiche che contraddistinguono l’ufficio che egli è chiamato a ricoprire, e il rapporto che lo lega ai beni che compongono l’eredità giacente, ma altresì sulla natura e sul presupposto dell’imposta sulle successioni.
Il presupposto di tale imposta è da rinvenirsi, non nella mera apertura di una successione, ma nel trasferimento che da essa deriva – tant’è che, come rilevato in dottrina, “il presupposto d’imposta si ha per compiutamente realizzato solo con l’accettazione dell’eredità” (GHINASSI, Imposta di successione: presupposto di imposta e soggettività passiva alla luce della riforma, in AA.VV., L’imposta sulle successioni e donazioni tra crisi e riforme, Milano, 2001, p. 208) –, o nell’arricchimento patrimoniale (netto) conseguente al passaggio dei beni dal de cuius al beneficiario (in tal senso, GAFFURI, Successioni e donazioni (imposta sulle), in Dig. disc. priv. sez. comm., 1998, in banca dati One Legale; in senso sostanzialmente conforme, STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, Padova, 2000, p. 6 ss.; FALSITTA-DOLFIN, L’imposta sulle successioni e donazioni, in Falsitta (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2021, p. 1056 ss.).
Se così è, allora potrebbe escludersi che il curatore sia tenuto, anche solamente in qualità di responsabile d’imposta (sul tema, per tutti, COPPA, Responsabile d’imposta, in Dig. disc. priv. sez. comm., 1996, in banca dati One Legale), a pagare l’imposta sulle successioni, in ragione del fatto che, in assenza di un arricchimento patrimoniale, o quantomeno di un trasferimento, in favore degli eredi, non può dirsi sorto alcun obbligo di versamento in favore dell’Erario.
Il fatto che, in seguito all’apertura della successione e alla nomina da parte della competente autorità giudiziaria, il curatore sia divenuto titolare dei beni che compongono l’eredità giacente potrebbe, infatti, essere ritenuto insufficiente ai fini del sorgere dell’obbligo di versare l’imposta sulle successioni. Ciò poiché l’analisi del presupposto di tale tributo non può essere scissa da quella riguardante i relativi soggetti passivi (GAFFURI, L’imposta sulle successioni e donazioni. Trust e patti di famiglia, Padova, 2008, p. 50 ss.; in senso conforme, FALSITTA-DOLFIN, L’imposta sulle successioni e donazioni, cit., p. 1057, in cui si rileva come “nel presupposto ricade anche il profilo soggettivo ossia la individuazione dei soggetti cui è ascrivibile il presupposto oggettivo e che, in forza di tale ascrizione legislativamente prevista, sono eretti a soggetti passivi dell’obbligazione di imposta”), i quali, ai sensi dell’art. 5, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, sono unicamente gli eredi e i legatari, nonché in ragione del fatto che il trasferimento della titolarità dei beni ereditari in capo al curatore deriva dall’impossibilità di riconoscere all’eredità giacente un’autonoma soggettività giuridica ed è quindi funzionale a permettere al curatore di amministrare i beni che la compongono in attesa dell’accettazione da parte dei chiamati all’eredità o, in subordine, della devoluzione degli stessi allo Stato.
È vero che, con riferimento alla previsione di cui all’art. 36, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, in dottrina si è parlato di un’obbligazione anticipata rispetto all’eventuale perfezionarsi della fattispecie imponibile, a cui potrà far seguito, in assenza di accettazione dell’eredità, un integrale rimborso di quanto versato dai responsabili d’imposta (BOSELLO, L’imposta sulle successioni e donazioni, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Vol. IV, Padova, 2001, p. 190 ss., il quale parla del presupposto dell’imposta sulle successioni come di una “fattispecie a formazione progressiva, di cui è elemento essenziale l’accettazione dell’eredità”; FEDELE, Soggetti obbligati al pagamento (art. 36, D.Lgs. 31.10.1990, n. 346), in Codice delle leggi tributarie, a cura di Fedele, Mariconda e Mastroiacovo, Torino, 2014, p. 731). È altrettanto vero, tuttavia, che la Corte di Cassazione nulla ha detto sul tema, non prendendo in considerazione la possibilità che, pur in assenza sia del verificarsi del presupposto dell’imposta, sia dell’individuazione dei relativi soggetti passivi, un soggetto possa comunque dirsi responsabile del pagamento del tributo successorio, né ponendosi il dubbio se un simile prelievo anticipato possa dirsi conforme al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.
4. Alla luce di quanto affermato, pare che la Suprema Corte, nelle sentenze in commento, nonché nella precedente pronuncia 15 luglio 2009, n. 16428, non abbia fornito adeguata ed esaustiva risposta ai molteplici quesiti che emergono con riferimento alla possibilità che il curatore dell’eredità sia ritenuto responsabile del pagamento dell’imposta sulle successioni.
A prescindere dalla condivisibilità delle conclusioni cui è giunta la Suprema Corte, ritenere che il curatore dell’eredità giacente sia responsabile del pagamento dell’imposta sulle successioni non significa che egli sia da ricomprendere nel novero dei soggetti passivi del tributo, i quali, come anticipato, sono solamente gli eredi e i legatari. Anche qualora si ritenesse che il curatore dell’eredità giacente sia obbligato in solido al pagamento dell’imposta sulle successioni, è pertanto opportuno che la determinazione della stessa avvenga “considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato”, come previsto dal successivo art. 7, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (coerentemente con il fatto che tale tributo in esame è applicato in misura differente a seconda del grado di parentela, o di affinità, che lega i beneficiari del trasferimento mortis causa al de cuius). Evitando di determinare l’imposta come se il soggetto passivo fosse il curatore, si eliminerebbe (o quantomeno si ridurrebbe) il rischio che, qualora, in seguito al pagamento dell’imposta da parte del curatore, l’eredità sia accettata da soggetti per i quali la legge prevede franchigie e/o aliquote inferiori, gli stessi siano costretti a richiedere la restituzione di quanto pagato dal curatore (restituzione che potrebbe rivelarsi difficile da ottenere, poiché, da un lato, l’imposta è stata pagata dal curatore dell’eredità giacente, ossia da un soggetto diverso da quello che avanza la richiesta di rimborso e, dall’altro, l’art. 42, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, prevede che l’esercizio del diritto ad ottenere il rimborso sia assoggettato ad un termine decadenziale di tre anni).