Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

15/04/2025 - La normativa sul consolidato fiscale nazionale al vaglio della CGUE: analisi dei principali profili critici

argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza

Il presente contributo analizza il contenuto dell’ordinanza interlocutoria della Suprema Corte di Cassazione, con cui è stato rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il giudizio sulla compatibilità della normativa nazionale sul consolidato fiscale (nella versione precedente alla riforma attuata dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, c.d. “Decreto internazionalizzazione), con i principi di libertà di stabilimento previsti agli articoli 49 e 54 TFUE. Scopo delle presenti note è esaminare gli esiti probabili del giudizio innanzi alla CGUE, soffermandosi sui possibili effetti nell’ordinamento interno.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., ord. 19 aprile 2024, n. 24344) scarica file

PAROLE CHIAVE: consolidato fiscale - Corte di Giustizia UE - libertā di stabilimento - principio di non discriminazione


di Rachele Olivieri

1. Con l’ordinanza interlocutoria n. 24344 del 29 aprile 2024, i giudici della Corte di Cassazione hanno rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea l’onere di pronunciarsi sulla compatibilità della disciplina nazionale del consolidato fiscale con i principi di non discriminazione e libertà di stabilimento, previsti agli artt. 49 e 54 del TFUE.

2. La vicenda trae origine dall’impugnazione di tre provvedimenti di diniego di rimborso, conseguenti all’istanza di una società capogruppo francese con cui era richiesta la restituzione della maggiore IRES versata da quattro sue controllate italiane nei periodi d’imposta 2009-2012. Inquadrando brevemente la fattispecie, si ricorda che si trattava di società che, in base alla disciplina vigente ratione temporis, non potevano essere parte del consolidato fiscale nazionale di cui all’art. 117 del TUIR. Le stesse corrispondevano interessi passivi alla stabile organizzazione della capogruppo, deducendoli nella misura del 96% del loro ammontare (in qualità di soggetti finanziari nei cui confronti trovava applicazione l’allora vigente art. 96, comma 5 bis del TUIR). Nel caso in cui fosse stato possibile includerle nel perimetro del consolidato fiscale, tale deduzione sarebbe stata integrale. Pertanto, veniva avanzata una richiesta di rimborso dalla controllante; tale richiesta aveva ad oggetto la maggiore IRES versata dalle menzionate società in conseguenza della mancata deduzione della percentuale residua (del 4%) di interessi passivi nell’ambito del consolidato. L’Agenzia rispondeva a tale istanza in maniera negativa adducendo come motivazione l’insussistenza delle condizioni previste dall’art. 117, comma 2, del TUIR per l’ammissione al regime della tassazione di gruppo, non essendovi, infatti, un rapporto di partecipazione diretta tra la stabile organizzazione della controllante francese operante in Italia e le suddette controllate.

3. Dopo il vaglio di merito, la causa giungeva innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la quale rimetteva il giudizio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiedendole di pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione degli artt. 49 e 54 TFUE per i seguenti ordini di motivi:

a) verificare la correttezza di una normativa che esclude la possibilità di dedurre integralmente gli interessi passivi corrisposti all’interno di un consolidato fiscale ogni qualvolta la controllante non sia residente e non abbia una propria stabile organizzazione nel territorio nazionale. In altri termini, si mette in discussione la compatibilità della normativa interna con il diritto UE, nella parte in cui esclude l’integrazione orizzontale. Veniva altresì sottolineato che, quand’anche la controllante avesse disposto di tale stabile organizzazione, la deducibilità delle predette somme sarebbe stata ugualmente esclusa se tra la stessa e le società controllate da consolidare non fosse sussistito un rapporto di controllo. Per tali ragioni sarebbe potuto risultare leso il principio delle libertà di stabilimento e di equiparazione delle società all’interno dell’Unione di cui agli articoli 49 e 54 del TFUE.

b) verificare la compatibilità con gli artt. 49 e 54 TFUE e, in particolare, con i principi comunitari di effettività ed equivalenza, di una normativa nazionale che preclude il rimborso delle somme pagate in casi di violazione del diritto dell’UE. Infatti, come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate, in caso di sentenza di incompatibilità della disciplina fiscale interna, il mancato esercizio dell’opzione per il consolidato fiscale da parte delle società controllate, finanche non consentita, impedirebbe il riconoscimento del rimborso delle somme dovute.

4. Per comprendere appieno i motivi di rinvio, occorre ripercorrere l’evoluzione della disciplina in esame (per alcune considerazioni sull’introduzione dell’istituto cfr. FANTOZZI, La nuova disciplina Ires: i rapporti di gruppo, in Riv. dir. trib, 2004, p. 495 ss.; STEVANATO, Il consolidato fiscale nella delega per la riforma tributaria: profili problematici e prospettive di attuazione, in Rass. trib., 2002, p. 1187; RASI, La tassazione dei redditi societari in ambito U.E.: il modello italiano a confronto con i sistemi degli altri Paesi, in Rass. trib, 2004, p. 1789 ss.; BEGHIN, Le opportunità del consolidato nazionale nella nuova imposta sulle società, in Corr. trib., 2003, p. 2281 ss.; LUPI, Prime considerazioni sulla proposta di “consolidato fiscale”, in Giur. imp., 2002, p. 493 ss.; FICARI, Gruppo di imprese e consolidato fiscale all’indomani della riforma tributaria, in Rass. trib., 2005, p. 1587 ss. Più in generale sul tema della tassazione di gruppo, cfr. GARBARINO, La tassazione delle società e dei gruppi, Torino, 2020; RICCI, La tassazione consolidata nell’IRES, Torino, 2015; D’ABRUZZO, Il Consolidato nazionale, in Aspetti internazionali della riforma fiscale, a cura di Garbarino, Milano, 2004; BUCCI, Il consolidato fiscale nazionale, in BUCCI-CAPOZZI-GALLUCCI, La disciplina IRES dei gruppi di imprese, Milano, 2006; PEVERINI, Disciplina fiscale dei gruppi societari, in Diritto tributario delle attività economiche, a cura di Salvini, Torino, 2022; ID., Soggettività e capacità contributiva nel consolidato nazionale, Padova, 2017; BEGHIN, Il consolidato nazionale, in Imposta sul reddito delle società (IRES),opera diretta da TESAURO, Bologna, 2007; BORIA, La tassazione del gruppo di imprese, Il consolidato e la trasparenza delle società di capitali, in Il sistema tributario, Milano, 2008). L’art. 6 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. “Decreto internazionalizzazione) ha integrato l’originaria formulazione degli artt. 117 e 120 del TUIR, ampliando la tipologia di soggetti che possono accedere al regime del consolidato nazionale. Prima della modifica normativa, l’ordinamento tributario permetteva di istituire il consolidato fiscale c.d. “verticale”, consentendo ad una società controllante residente di costituire un’entità fiscale unica con una sua controllata residente, della quale deteneva indirettamente le quote per mezzo di una o più entità estere. L’art. 1, lett. b) del D.M. 9 giugno 2004, recante “Disposizioni applicative del regime di tassazione del consolidato nazionale, di cui agli articoli da 117 a 128” del TUIR, precisava che, nell’individuazione del rapporto di controllo rilevante per la disciplina in esame, dovesse essere ricompreso anche quello intercorrente tra soggetti non aventi i requisiti per l’accesso alla tassazione di gruppo, come i soggetti residenti in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni (cfr. DODERO, Interruzione e continuazione del consolidato, in Corr. trib., 2010, p. 1439 ss.; MICHELUTTI, Riporto delle perdite per fusioni e scissioni che interrompono il consolidato, in Corr. trib., 2007, p. 1366 ss.; SCREPANTI, Consolidato fiscale nazionale: le norme attuative e le implicazioni in tema di responsabilità, controlli fiscali e accertamento, in Il fisco, 2004, p. 4641 ss.). Nonostante tale norma, l’accesso al regime della fiscal unit appariva in ogni caso precluso alle società controllate (residenti) detenute da una controllante estera priva una sua stabile organizzazione in Italia. Risultava, dunque, necessario che la controllante estera esercitasse in Italia un’attività d’impresa per il tramite di una sua succursale, la quale doveva necessariamente essere legata da un rapporto partecipativo diretto con le società controllate da consolidare (per un’analisi in tal senso, cfr. VIAL, Aspetti critici del consolidato fiscale nazionale in presenza di società estere, in Fiscalità internazionale, 2005, p. 475 ss.; D’ABRUZZO, Le regole del consolidato fiscale nazionale per la stabile organizzazione di società non residente, ivi, 2005, p. 196 ss.).

5. Come ampiamente sottolineato in dottrina (cfr., ex multis, DI PIETRO, La nuova disciplina Ires: la tassazione dei redditi dei non residenti ed i principi comunitari, in Riv. dir. trib., 2004, p. 600 ss.; GALLO, Etica e giustizia della “nuova” riforma tributaria, in Dir. prat. trib, 2004, p. 37 ss.; FICARI, Gruppo di imprese e consolidato fiscale all’indomani della riforma tributaria, cit., p. 1595), tale assetto risultava in contrasto con la normativa europea sulla libertà di stabilimento, stante la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, ribadita da ultimo nelle pronunce C-39/13, C-40/13 e C-41/13, SCA Group Holding BV (di cui si dirà di seguito). Al fine di evitare l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, il legislatore si era già adoperato per rimuovere tale profilo di contrasto introducendo il consolidato c.d. “orizzontale” o “tra sorelle”, ovverosia prevedendo:

  • la possibilità di includere nel consolidato nazionale le stabili organizzazioni di soggetti residenti in Stati appartenenti all’UE o allo SEE in qualità di consolidate o di consolidanti;
  • l’eliminazione dell’obbligo di inclusione nel patrimonio della stabile consolidante delle partecipazioni nelle società da consolidare.
  • la possibilità per l’entità controllante non residente di consolidare le basi imponibili di società “sorelle” e delle stabili organizzazioni di controllate residenti in paesi UE/SEE, previa designazione di una esse nella veste di “consolidante”.

In altri termini, è stata eliminata la necessità di una connessione patrimoniale tra consolidate e stabile organizzazione della controllante non residente e, congiuntamente, è stata introdotta la possibilità di inserire all’interno del perimetro del consolidato la controllante residente in Stati UE/SEE, senza che ne sia richiesta la presenza nel territorio dello Stato. Quest’ultima può quindi designare una delle sue controllate come entità consolidante per l’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo. Si verifica così una “dissociazione” tra il soggetto tenuto all’esercizio dell’opzione, destinatario dei diritti e degli obblighi previsti dalla disciplina nazionale, e il soggetto in capo al quale avviene la verifica il requisito del controllo. Ciò permette il realizzarsi di una scissione soggettiva che agevola la creazione di gruppi di imprese “europei”, che abbiano la regia imprenditoriale in uno Stato membro e le strutture operative collocate altrove (cfr. CANNAS, La Corte di giustizia rimuove alcuni ostacoli al consolidato orizzontale: anche l’Iitalia non potrà più considerare l’aggregazione di una società sorella come causa di interruzione dell’opzione, in Dir. prat. trib. int., 2020, p. 1135. Più in generale, STEVANATO, Libertà di stabilimento e consolidato fiscale “europeo”, in Corr. trib., 2005, p. 289 ss. Per un’analisi della disciplina, cfr. GABELLI, Il consolidato tra società “sorelle”: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate, in Fiscalità e commercio internazionale, 2016, p. 48 ss.). Questo nuovo assetto risulta altresì coerente con la ratio della modifica normativa che discende dalla necessità di garantire il pieno esercizio della libertà di stabilimento alle controllanti UE/SEE che non appaiano costruzioni meramente artificiose (cfr. in tal senso, Corte di Giustizia UE, sentenze: 12 dicembre 2002, causa C‑324/00; 11 marzo 2004, causa C‑9/02; 13 dicembre 2005, causa C‑446/03; 12 settembre 2006, causa C-196/0).  

6. Tanto premesso in punto di ricostruzione normativa, si possono analizzare le questioni rinviate alla Corte di Giustizia UE tenuto conto che tale disciplina non si applicava ai periodi di imposta in discussione.

Quanto al primo motivo di rinvio, gli Ermellini hanno richiamato la celebre pronuncia SCA Group Holding BV, cause riunite C-39/13, C-40/13, C-41/13, 12 giugno 2014 della CGUE, riguardante la compatibilità della disciplina nazionale olandese in materia di concordato nazionale rispetto agli artt.  49 e 54 TFUE. Anche la normativa olandese impediva la formazione di un consolidato fiscale nazionale quando una società residente era controllata (indirettamente) da un’altra società residente per il tramite di una controllante interposta estera; allo stesso modo l’applicabilità del regime risultava preclusa alle società residenti controllate da un’unica società non residente, in assenza di una sua sede stabile nello Stato d’imposizione. In tale occasione, il Giudice europeo ha stabilito il principio di diritto secondo cui “gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale un regime di entità fiscale unica viene concesso a una società controllante residente che detiene controllate residenti, ma viene escluso per società sorelle residenti la cui società controllante comune non abbia la sua sede in tale Stato membro e non disponga ivi di una sede”. In sostanza, la Corte ha reputato incompatibile con i principi richiamati la disciplina di uno Stato membro che riservi un trattamento deteriore in funzione della collocazione della società, invocando la tutela della libertà di stabilimento, che si esplica anche per la libera costituzione e gestione di imprese, alle stesse condizioni previste dalle leggi dello Stato membro di stabilimento per i propri cittadini.  

7. La Cassazione ha applicato gli stessi principi al caso alla sua attenzione e ha ritenuto che avallare un diverso trattamento sulla deducibilità integrale degli interessi passivi per i soli consolidati fiscali aventi una rilevanza nazionale, non può che configurare una disparità di trattamento. All’epoca di fatti, in assenza di una previsione di legge sul consolidato orizzontale, la capogruppo francese non aveva gli “strumenti normativi” per realizzare un’ipotesi di fiscal unit, se non mediante l’istituzione di una propria stabile organizzazione nel territorio italiano, nel cui patrimonio   dovesse essere   compresa   la partecipazione in ciascuna società controllata da consolidare. Di conseguenza, il raggiungimento del medesimo beneficio (i.e. la deducibilità integrale degli interessi all’interno del consolidato) era reso più difficoltoso ai gruppi, la cui società controllante non fosse residente. Per risolvere tale questione, non si possono che estendere le conclusioni – raggiunte dalla CGUE sul consolidato verticale – alle ipotesi di consolidato orizzontale, in quanto un esito diverso rischierebbe ugualmente di incidere sulla libertà di scelta della sede dell'impresa (e, quindi, sull'esercizio della libertà di stabilimento), determinando un'applicazione non effettiva e non uniforme del diritto dell'Unione. In definitiva, non appare condivisibile la tesi difensiva dell’Ufficio, secondo la quale non si porrebbe alcun profilo di discriminazione in quanto la disciplina italiana dell’epoca ammetteva soltanto il consolidamento verticale e non quello orizzontale, sia che si trattasse di controllate nazionali, che estere non residenti.

8. Quello che sembrerebbe essere, sin qui, un esito della pronuncia della CGUE prevedibile, quasi scontato (viepiù per il fatto che lo stesso legislatore italiano ha modificato la normativa nazionale), pone, in realtà, alcuni dubbi con specifico riguardo agli effetti che la stessa potrà produrre nell’ordinamento interno. L’Agenzia ha, infatti, individuato nel mancato esercizio dell’opzione per il consolidato nazionale (ex art. 117 del TUIR) un profilo ostativo alla possibilità di ravvisare i presupposti per il rimborso della maggiore IRES versata. Secondo tale tesi, le società interessate avrebbero dovuto presentare tale opzione, per poi impugnare eventuali provvedimenti negativi della stessa Amministrazione finanziaria. Estendere quindi, ex post, gli effetti premiali del regime della tassazione di gruppo sarebbe precluso a causa della mancata effettuazione di tale opzione. L’argomentazione merita uno specifico profilo di analisi; infatti, nella giurisprudenza unionale sono ravvisabili precedenti che sembrerebbero confermare la posizione dell’Ufficio. Nello specifico, nella sentenza B. c. Administration des contributions directes (C- 749/189), la CGUE ha giudicato compatibile con il diritto dell’Unione la fissazione di termini decadenziali ragionevoli nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente che dell’amministrazione interessata. Ebbene, in tale pronuncia – avente ad oggetto la (mancata previsione della) disciplina del consolidato fiscale orizzontale nello Stato del Lussemburgo – la stessa Corte ha individuato nei principi comunitari di effettività ed equivalenza profili che non ostano alla sussistenza di disposizioni interne che prevedano la decadenza dalla possibilità di optare per il regime di integrazione fiscale. La Corte, condividendo la tesi illustrata dall’Amministrazione fiscale lussemburghese, ha ritenuto legittima l’apposizione di un termine decadenziale (rappresentato dalla presentazione della domanda entro la conclusione del primo esercizio fiscale per il quale si richiedeva l’applicazione dell’istituto), in quanto il rigetto dell’istanza non può essere assimilato all’ipotesi di sussistenza di difficoltà eccessive tali da rendere impossibile o eccessivamente difficoltoso un simile comportamento. Per la Corte, sebbene la normativa lussemburghese non prevedesse la disciplina del consolidato orizzontale, le società ricorrenti non avrebbero dovuto “attendere” l’esito di una sentenza a loro favorevole per chiedere il rimborso delle somme pagate, ma avrebbero dovuto presentare istanza di ammissione al regime in questione, invocando l’incompatibilità della normativa con il diritto dell’Unione (vd. punto 72 della sentenza citata). Tale pronuncia rappresenta un importante precedente, che consente di esplicitare alcune questioni rilevanti anche per il caso de quo.

9. Risulta pacifico che, in assenza di specifiche disposizioni normative di diritto unionale, la definizione delle norme di attuazione di un qualunque regime fiscale sia di competenza degli Stati membri (in virtù del principio di autonomia procedurale), ferma restando la necessità di garantire uniformità di trattamento tra situazioni interne e situazioni crossborder. Ne è un esempio la pronuncia Santex SpA (27 febbraio 2003, causa 320/00), nella quale è stato affermato che “sebbene spetti all’ordinamento nazionale di ogni Stato membro definire le modalità relative al termine di ricorso destinate ad assicurare la salvaguardia dei diritti conferiti dal diritto comunitario ai candidati e agli offerenti lesi da decisioni delle amministrazioni aggiudicatrici, tali modalità non devono mettere in pericolo l'effetto utile della direttiva, la quale è intesa a garantire che le decisioni illegittime di tali amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile”. In altri termini, ancorché la definizione delle modalità di salvaguardia della posizione giuridica del contribuente sia rimessa alla sfera di competenza degli Stati membri, questa non deve essere meno favorevole di quella riservata a situazione analoghe di natura interna (principio di equivalenza), né essere strutturata in modo da rendere concretamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività) (cfr. GRECO, Effettività del diritto amministrativo nel sistema comunitario (e recessività nell’ordinamento nazionale?), in Dir. amm., 2003, p. 284 ss.; PIGNATELLI, L’illegittimità “comunitaria” dell’atto amministrativo, in Giur. cost., 2008, p. 3536 ss.; R. GIOVAGNOLI, L’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico e il problema dell’autotutela decisoria, in Gius. amm., 2004, p. 908 ss. Per un’ulteriore conferma, si veda la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 31 marzo 2011, n. 1983, punto 4.2.1). Nella questione oggetto del giudizio della CGUE, il tema che si pone è quello di valutare la legittimità del diniego di rimborso in conseguenza di una norma decadenziale di diritto nazionale. I Giudici Unionali dovranno quindi decidere se confermare l’assetto di “non ingerenza” finora delineato, anche a scapito del contribuente, o se accentuare il proprio ruolo di “garanzia” di corretta applicazione della normativa comunitaria, che non può prescindere dalla tutela effettiva e dalla salvaguardia dei diritti dei cittadini unionali.

10. Ferme tali prime conclusioni sul caso che qui occupa, lo stesso solleva un ulteriore profilo di analisi, ovverosia quello degli effetti nel tempo della sentenza della CGUE. Infatti, qualora quest’ultima dovesse ravvisare un contrasto della normativa nazione con i principi fondanti dell’Unione, dovrebbe dichiarare illegittima la disciplina interna vigente ratione temporis con una pronuncia avente efficacia erga omnes. Di norma gli effetti di tale pronuncia risultano retroattivi in quanto volti a “rimuovere” la normativa di uno Stato membro sin dalla sua entrata in vigore (sugli effetti delle pronunce della CGUE si è espressa la Corte costituzionale nella sentenza del 18 gennaio 1990, n. 64, riconoscendo la stessa efficacia e vincolatività delle direttive self executing). Può tuttavia accadere che la stessa Corte scelga di “limitarne” l’efficacia esclusivamente pro futuro; ciò accade specificamente in ipotesi di overruling, in cui la Corte sceglie di “tutelare” il principio di certezza del diritto e di legittimo affidamento del contribuente, in quanto la modifica risulterebbe “peggiorativa” della posizione giuridica del contribuente (per un approfondimento si veda la sentenza della Corte di Cassazione, sez. un., 16 aprile 2014, n. 13676. In dottrina, senza pretese di esaustività, cfr. MARCHESELLI, Tutelato l’affidamento nella legge interna contraria al diritto UE: la decadenza dal diritto al rimborso, in Corr. trib., 2013, p. 311 ss.; AMATUCCI, L’overruling interpretativo ministeriale non incide sul dies a quo per il rimborso dell’IVA, in Rass. trib., 2012, p. 803 ss.; CIPOLLA, Diritto e processo nelle azioni di indebito comunitario: quando la Corte di Cassazione inventa l’overruling per rimettere in terminis i contribuenti, in Riv. giur. it., 2012, p. 502 ss.; MELIS, L’interpretazione nel diritto tributario, Padova, 2003, p. 455). A seconda del regime di efficacia scelto, gli effetti sul piano dell’ordinamento interno risultano differenti: in caso di sentenza con efficacia retroattiva, il dies a quo per l’istanza di rimborso si calcola dal pagamento del tributo; in ipotesi di sentenza irretroattiva, il termine è computato a partire dalla data della pronuncia della CGUE, determinando una remissione in termini “di fatto” per tutti gli interessati. Nel caso di specie, l’ipotesi più probabile sembrerebbe essere la prima, non ravvisandosi ragioni per discostarsi dagli altri precedenti in materia di consolidato fiscale.

11. Per garantire la tutela della Società ricorrente si renderebbe, inoltre, necessario rimuovere il provvedimento amministrativo emesso nei suoi confronti (i.e. il diniego espresso dell’istanza di rimborso) in quanto direttamente contrastante con l’ordinamento eurounitario (la dottrina amministrativista riconduce l’invalidità del provvedimento antieuropeo al genus dell’annullabilità o della nullità a seconda della natura della norma di riferimento, prevedendo conseguenze differenti a seconda che questa sia attributiva del potere all’emanazione dell’atto o si presenti come una mera disposizione regolatoria. Per un’analisi esaustiva, cfr. BUCCARELLA, I conflitti dell’azione amministrativa con il diritto dell’Unione europea. Quali rimedi per i provvedimenti amministrativi antieuropei?, in www.rivista.eurojuris.it, 2024, p. 40 ss.). Nello specifico, tale obbligo discende direttamente dal principio di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3 del TFUE, secondo il quale gli Stati membri sono tenuti ad adottare “ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione” (sul principio di leale collaborazione, cfr. CASOLARI, Leale collaborazione tra Stati membri e diritto dell’Unione europea, Napoli, 2020). La pretesa della capogruppo francese è, in sintesi, rinvenibile nel diritto alla corretta applicazione della pretesa erariale e alla restituzione di un tributo nazionale ritenuto incompatibile con l’ordinamento comunitario (cfr. causa Rewe (C-33/76), par. 5; causa Comet (C-45/76), par. 11; causa San Giorgio (C-199/82), par. 12; causa Marks & Spencer, cit. par. 39.).

12. In definitiva, fermi tali chiarimenti, la questione che si pone è quella di verificare la spettanza del rimborso sulla base di una norma procedurale nazionale (come l’art. 38 del D.P.R. 600 del 1973) o, in alternativa, di individuare quale possa essere il rimedio restitutorio di diritto interno più opportuno. Secondo la CGUE, tale aspetto “dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di tale norma nell'insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare segnatamente, se necessario, la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento” (sentenza 22 febbraio 2018, causa C-572/16, INEOS Köln, punto 44; sentenza 24 ottobre 2018, causa C-234/17, XC e a., punto 49). Partendo dall’analisi del canone della “certezza del diritto”, invocato dalla stessa Agenzia, la dottrina si è spesa a lungo nella ricerca di una sua definizione univoca e, in tale locuzione, “sono stati individuati, di volta in volta, la stabilità nel tempo delle regole, l’efficacia dell’ordinamento, l’osservanza delle norme, l’accessibilità delle prescrizioni o la loro effettiva cognizione da parte dei consociati, l’univocità delle qualificazioni, la prevedibilità del contenuto delle decisioni del contenuto del giudice, l’inviolabilità dei diritti, l’irretroattività della legge e più in generale il principio di legalità” (GIOVANNINI, “Certezza del diritto” in materia tributaria: il ruolo della giurisprudenza, in Innovazione e diritto, 2014, p. 6 ss.). Peraltro, lo stesso concetto ha assunto, con l’evolversi della giurisprudenza unionale, una rappresentazione poliedrica tanto che agli inizi è stato interpretato come esigenza di stabilità degli atti nel tempo e tutela del legittimo affidamento, con il concreto affermarsi della vincolatività del diritto unionale “la certezza del diritto si è sempre più identificata con la certezza dei diritti” (TUFANO, La certezza del diritto nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2019, p. 776). Di talché, la certezza del diritto deve essere intesa come la prevedibile applicazione della normativa interna ed euro-unitaria, da cui discende la necessità di garantire l’effettiva applicazione del diritto europeo all’interno degli ordinamenti nazionali dei Paesi membri. In tale ottica, risulta, quindi, difficoltoso ancorare il diniego di rimborso, ad un principio che, ex se, presidia la piena e corretta attuazione della normativa unionale.

13. Il profilo ostativo maggiore al riconoscimento del rimborso risulta essere il mancato esercizio dell’opzione. Da un punto di vista concettuale, essa rappresenta un’istanza avente natura dichiarativa della volontà delle parti al volersi consolidare, che dispiega effetti costitutivi nell’istituzione del regime. Nell’ordinamento interno, la sua assenza è considerata preclusiva degli effetti del consolidato, anche in ipotesi di sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa (cfr. Cass., sez. V, 2 marzo 2020, n. 5647). Tuttavia, è opportuno sottolineare che – nel caso di specie – l’attribuzione degli effetti preclusivi derivanti dalla mancata effettuazione di tale opzione non sarebbero da attribuire al contribuente, in ragione del fatto che egli non aveva lo “spazio” normativo per effettuare una simile dichiarazione, non essendo prevista una disciplina per l’esercizio di tale opzione. Per esemplificare, la sua condotta non può essere equiparata (negli effetti) a quella conseguente al difetto dell’opzione per cause imputabili allo stesso contribuente, come in ipotesi di dimenticanza o di insussistenza delle condizioni soggettive e oggettive. Nel caso, con una “spinta correttiva”, la CGUE potrebbe permettere di sorpassare tale aspetto, che assume carattere meramente formalistico, mediante una lettura congiunta del principio di effettività con quello di ragionevolezza. Infatti, considerando l’usuale approccio teleologico-funzionale utilizzato dei Giudici dell’UE, una sentenza che, dichiarando l’incompatibilità di una disciplina nazionale con i principi fondanti dell’ordinamento comunitario, ne limiti gli effetti in virtù del mancato esercizio di una dichiarazione formale (peraltro in un’epoca in cui questa non era possibile) oltre ad apparire poco ragionevole, sarebbe “ineffettiva”. Infatti, non si ritiene condivisibile (né possibile) estendere le medesime conclusioni raggiunte dalla Corte nella sentenza B. c. Administration des contributions directes sopra menzionata (cfr. paragrafo 7). In tale giudizio, le ricorrenti avevano la possibilità di depositare una domanda di integrazione fiscale orizzontale, invocando l’incompatibilità della normativa lussemburghese con il diritto dell’Unione (vd punto 72 della pronuncia). Ciò non sarebbe stato possibile nell’ordinamento domestico, potendosi raggiungere il medesimo effetto solo mediante un procedimento di gran lunga più difficoltoso. Nello specifico, le singole società controllate avrebbero dovuto: presentare l’apposita opzione (comunque priva di effetti in quanto non vi era una normativa permissiva del consolidato orizzontale), inviare la dichiarazione di gruppo, attendere la contestazione dell’Agenzia delle Entrate, impugnare tale atto innanzi all’autorità giudiziale e invocare la remissione alla CGUE della questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Tuttavia, ciò sarebbe potuto accadere ben prima dell’arrivo della pronuncia SCA Group Holding BV della CGUE, con il rischio che un disattento giudice nazionale – non ravvisando alcun profilo di contrasto con la normativa UE – avrebbe potuto non azionare il meccanismo ex art. 267 TFUE, facendo rimanere il contribuente privo di tutele. Invero, sebbene nel nostro ordinamento non si pongano gli stessi rischi finanziari oggetto di analisi nella pronuncia Metallgesellschaft (in cui il contribuente avrebbe dovuto sopportare, in ogni caso, il peso economico della controversia, non essendo previsto nell’ordinamento interno del Paese membro il rimborso del versamento anticipato dell’imposta sulle società, vd punto 104), la posizione della CGUE sul dovere di attivare preventivamente il controllo giudiziale non appare ragionevole anche alla luce della portata vincolante che le pronunce della CGUE esplicano negli ordinamenti degli Stati membri. Una simile impostazione avrebbe soltanto l’effetto di “depotenziare” la portata applicativa delle sentenze dei giudici comunitari, senza contare un’inutile moltiplicazione di giudizi.

14. In conclusione, a parere di chi scrive, tale giudizio rappresenta l’occasione per i Giudici dell’Unione di estendere la portata dei principi di libertà di stabilimento e di non discriminazione, potendo questi ultimi rappresentare il parametro per la dichiarazione di incompatibilità della normativa interna, in quanto ostativa all’eliminazione degli effetti preclusivi derivanti dalla violazione del diritto comunitario. Di guisa, dietro indicazione della stessa CGUE, si delineerebbe in capo ai Giudici di legittimità il dovere di individuare il meccanismo restitutorio più adatto. Ciò potrebbe aprire all’adozione da parte di un approccio creativo: infatti, si potrebbe consentire una “tramutazione” degli effetti dell’istanza di rimborso con quelli dell’opzione per il concordato fiscale ai soli fini restitutori. Sarebbe così assicurata la rimozione di una disposizione interna e di un atto amministrativo contrastanti con i diritti dell’Unione, garantendo al contempo la tutela effettiva dei principi derivanti dall’ordinamento comunitario e il rafforzamento dell’efficacia interna delle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.