argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia di secondo grado della Toscana si pronuncia sulla controversa materia delle cessioni immobiliari, nel tentativo di sopire i contrasti interpretativi sorti in relazione alla prassi operativa dell’Agenzia delle Entrate. La questione prospettata, che riguarda il disconoscimento delle agevolazioni “prezzo valore” e “prima casa”, rappresenta l’occasione per pronunciarsi sul più ampio tema della possibilità di qualificare come imprenditoriali – e quindi imponibili – le cessioni immobiliari, che, per esplicito dettato normativo, dovrebbero ritenersi fiscalmente escluse. La soluzione interpretativa individuata dalla Corte, basata su un rigoroso iter logico argomentativo, esclude tale riqualificazione, sancendo l’ineludibilità del dato testuale quale frutto di precise scelte sistematiche del nostro legislatore. Un’occasione ben sfruttata per dirimere le incertezze generate dalle diverse interpretazioni emerse
» visualizza: il documento (Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana, 3 dicembre 2024 n. 1435)PAROLE CHIAVE: cessioni immobiliari infraquinquennali - agevolazioni imposta di registro - redditi diversi
di Matilde Manfriani
1. La pronuncia in commento, in materia di cessioni immobiliari infraquinquennali, si propone di fare chiarezza sulla possibilità – invero assai dibattuta – per l’Amministrazione finanziaria, di qualificare come imprenditoriali le cessioni di unità immobiliari sulla base di elementi asseritamente idonei a configurarne la natura commerciale ai sensi dell’art. 55 TUIR, nonostante la presenza del requisito della destinazione ad abitazione, che ne determinerebbe l’esclusione fiscale ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), TUIR.
2. La controversia de qua origina dalla impugnazione proposta dal contribuente di tre avvisi di liquidazione, con i quali l’Agenzia delle Entrate disconosceva le agevolazioni fiscali “prima casa” e del “prezzo valore” relativamente all’acquisto di due unità immobiliari, avvenuto nell’arco di un quinquennio.
In maggior dettaglio, l’Ufficio contestava la decadenza dal beneficio “prima casa” asserendo che non fosse stato effettuato il trasferimento di residenza nel secondo degli immobili acquistati, così incorrendo nella violazione dell’art. 1, co. 4, nota II-bis, Tariffa parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986 (che, in caso di cessione infraquinquennale del cespite agevolato, subordina il mantenimento della agevolazione “all’acquisto di altro immobile da adibire a propria abitazione principale”). In ogni caso, l’Ufficio argomentava che le modalità con cui il contribuente aveva successivamente proceduto alla alienazione degli immobili in questione fossero idonee a qualificare l’intera operazione come “commerciale”, e, sulla base di tale assunto, disconosceva tout court le agevolazioni in parola.
Il contribuente/ricorrente confutava la tesi erariale fornendo la dimostrazione dell’avvenuto trasferimento della propria residenza nel predetto immobile, che costituiva, alla luce della pacifica sussistenza degli ulteriori requisiti formali, l’unica condizione richiesta dalla norma ai fini del riconoscimento della agevolazione.
Il giudice di primo grado, non persuaso dell’effettivo trasferimento di residenza del contribuente, aderiva alla tesi prospettata dall’Ufficio, valorizzando la circostanza che la numerosità delle operazioni di compravendita compiute fosse idonea a configurare un’attività di carattere imprenditoriale e perciò a disconoscere entrambe le agevolazioni.
Proponeva pertanto appello il contribuente, insistendo per la valorizzazione del dettato normativo, che dimostrava esser stato integrato nella fattispecie concreta.
La Corte di Giustizia di secondo grado della Toscana, riformando la decisione del precedente grado di giudizio, rigettava le tesi erariali. Nel dettaglio, sulla base delle prove dedotte in giudizio, che dimostravano “inequivocabilmente che il contribuente ha risieduto effettivamente nei due immobili di cui si discute”, il Collegio riconosceva l’applicazione delle agevolazioni in parola, ritenendo che il trasferimento di residenza nell’immobile ex novo acquistato fosse “l’unica circostanza richiesta dalla legge per l’ottenimento/il mantenimento delle agevolazioni “prima casa” e del “prezzo-valore”.
3. Al fine di comprendere la rilevanza della pronuncia in commento, giova preliminarmente considerare che essa parrebbe, ad un primo sguardo, riguardare esclusivamente la materia dell’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n.131, ed in specie le relative agevolazioni fiscali c.d. “prima casa” e del “prezzo valore”, sotto il profilo dei rispettivi requisiti normativi (disciplinati, rispettivamente, dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa, parte prima, allegata al medesimo D.P.R. 131/1986 e dall’art. 1 comma 497 della legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Invero, il principio di diritto ivi pronunciato assume portata ancor più rilevante nell’ambito dell’imposizione diretta, poste le criticità emerse nell’applicazione della normativa, apprezzabili sulla base di una mera ricognizione del contesto di riferimento.
Come noto, l’art. 67, co. 1 lett. b), TUIR disciplina espressamente l’imponibilità dei proventi derivanti dalla cessione di unità abitative, disponendo che sono redditi diversi “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari”. In tal modo, il legislatore, introducendo una disciplina settoriale per l’attività di cessione di beni immobili, ha ricondotto all’alveo dell’imposizione fiscale quelle plusvalenze realizzate in conseguenza della cessione di un immobile acquistato da meno di cinque anni, escludendovi espressamente (e a prescindere dal periodo di detenzione) le ipotesi di acquisto per successione e di destinazione dell’immobile ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di possesso.
Ciononostante, negli anni è venuta affermandosi una prassi dell’Agenzia delle Entrate che qualifica come “commerciali” operazioni di compravendita immobiliari, anche bypassando il dato normativo ora descritto e, quindi, addirittura in assenza dei requisiti previsti per l’assoggettamento della relativa plusvalenza ad imposizione quale reddito diverso, di cui al citato art. 67, co. 1, lett. b) TUIR. Ciò avviene ogni volta che l’Ufficio ravvisi nelle modalità di esercizio dell’attività di compravendita immobiliare le caratteristiche di cui all’art. 55 TUIR e riconduca, pertanto, i relativi introiti in seno al reddito di impresa.
Al proposito, non si può che evidenziare come tale possibilità risulti facilitata dalla evanescenza dei confini fissati dal nostro ordinamento tributario ai fini della configurazione di attività d’impresa. Infatti, il requisito della “professionalità abituale”, di cui al citato articolo 55 TUIR, essendo privo di alcuna definizione certa ed oggettiva, finisce di fatto per identificarsi nei vaghi concetti di “sistematicità” e “ripetitività” degli atti, apprezzabili esclusivamente a posteriori e nel caso concreto (G. Tinelli, Il reddito di impresa nel diritto tributario, Milano, 1991; P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009; V. Ficari, L’impresa commerciale ai fini delle imposte sul reddito: punti fermi, problemi e prospettive, in Rivista di Diritto Tributario, 2019; G Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Padova, 2021; F. Campobasso, Diritto commerciale 1. Diritto dell’impresa, Torino, 2022). Del resto, l’irrilevanza a fini fiscali del requisito dell’organizzazione in forma d’impresa, per lo svolgimento delle attività di cui al 2195 c.c. – tra le quali deve annoverarsi la compravendita, in quanto attività di intermediazione nella circolazione dei beni – priva tale caratterizzazione dell’unico elemento che risulterebbe percepibile dall’esterno, rendendone ancor più ardua l’identificazione nella pratica (ex multis, cfr. G. Fransoni, La categoria dei redditi di impresa, in P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009; A. Fantozzi, Imprenditore e impresa nelle imposte sui redditi e nell’Iva, Milano, 1982., pag. 76 e ss.).
In questo modo, la nozione di attività si presta ad un utilizzo distorto da parte dell’Amministrazione, che finisce per qualificare come “imprenditoriale” ogni attività economica (G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2021, pag. 263) che risulti ripetuta nel tempo.
Le conseguenze di una simile incertezza interpretativa si apprezzano considerando i riflessi fiscali che derivano dalla riconduzione della fattispecie concreta alla sfera dell’impresa o dell’attività privata, atteso che soltanto nel primo caso i proventi generati saranno tassati, mentre nel secondo i guadagni non si ascriveranno ad alcuna categoria reddituale e dovranno essere considerati non soggetti ad imposizione fiscale.
In questo quadro, si comprende allora l’importanza di una disposizione quale è l’art. 67, co.1, lett. b), del TUIR, che seppur relativa alle plusvalenze occasionali, ascrivibili alla categoria dei redditi diversi, risulta quantomeno idonea ad individuare in termini certi ipotesi di imposizione ed esclusione fiscale, ancorando la possibilità di assoggettare a tassazione le plusvalenze immobiliari a dati oggettivi.
Tuttavia, la norma in esame non ha – almeno fino a questo momento – sopito le incertezze relative alla qualificazione fiscale di tali proventi proprio perché secondo la lettura dell’Amministrazione finanziaria, cessioni infraquinquennali ripetute di immobili adibiti ad abitazione potrebbero comunque essere inquadrate come attività di impresa, in quanto tale imponibile.
Il contrasto interpretativo si presenta come particolarmente evidente nelle ipotesi – come è quella sottesa alla pronuncia in commento – in cui nonostante la presenza di uno degli elementi che ex art. 67, co. 1 lett. b) escludono la tassabilità della plusvalenza (ovverosia la destinazione del bene ad abitazione, del cedente o dei suoi familiari, per la maggior parte del periodo di possesso) se ne predichi la tassabilità quale reddito d’impresa.
4. In un panorama così articolato, è intervenuta la sentenza in commento, a cui deve riconoscersi l’indubbio pregio di aver indicato un criterio interpretativo da seguire, fissando così limiti ben precisi all’attività amministrativa.
Di fronte ad una contestazione erariale che ravvisava la commercialità di una operazione sulla base di elementi del caso concreto, la Corte interviene attribuendo dirimente importanza alla circostanza, espressamente contemplata dalla normativa agevolativa e sussistente nel caso di specie, dell’avvenuto trasferimento da parte del cedente negli immobili successivamente dismessi.
In questo modo, i giudici ribaltano la ricostruzione dell’Ufficio, negando la possibilità di ravvisare la commercialità di una operazione di compravendita immobiliare in presenza dei requisiti individuati dalle norme come preclusivi alla imponibilità delle relative plusvalenze.
Secondo quanto disposto dal Collegio, infatti, quando il bene immobile sia stato abitato dal cedente o dai suoi familiari, per la maggior parte del periodo di possesso “non può strutturalmente configurarsi la professionalità che caratterizza l’attività imprenditoriale, e ciò a prescindere dal numero di cessioni/acquisti posti in essere (i.e. dell’abitualità o meno delle operazioni)”. Così, la Corte chiarisce una volta per tutte l’importanza che il dato normativo assolve nella disciplina dell’inquadramento fiscale delle plusvalenze relative a cessioni immobiliari infraquinquennali, statuendo il principio di diritto per cui in presenza di un immobile destinato ad abitazione principale, risulta ab origine preclusa alla Amministrazione la possibilità di qualificare la relativa dismissione come imprenditoriale, a prescindere dalla presenza di elementi che risultino – a detta dell’Ufficio – sintomatici di commercialità, primo tra tutti l’abitualità delle operazioni.
Ciò, poiché il requisito abitativo viene ritenuto dal Collegio il risultato di scelte sistematiche compiute a monte dal legislatore, come conferma l’utilizzo che del medesimo elemento viene fatto anche ai fini del riconoscimento di agevolazioni in materia di imposta di registro (quale è la agevolazione “prima casa”, di cui all’art. 1, nota II-bis, della Tariffa parte prima, DPR n.131/1986, che subordina l’applicazione della aliquota ridotta pari al 2%, tra le altre condizioni, al trasferimento della residenza del contribuente, entro 18 mesi dall’acquisto, nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato (sul punto cfr. Salvati A., I termini di decadenza senza norma: agevolazioni “prima casa” e vendita infraquinquennale, in Rivista telematica di Diritto Tributario, 12 novembre 2021; Puri, P., Le agevolazioni prima casa e il fantasma della decadenza, in Corriere Tributario n. 4/2024).
Sulla base di tali premesse, la Corte accoglie l’appello del contribuente, escludendo la presenza di attività di impresa e quindi riconoscendo la legittima spettanza delle agevolazioni in parola.
5. Sancendo l’ineludibilità del dato testuale, la Corte assicura una visione bidirezionale, in virtù della quale il dettato normativo deve ritenersi idoneo a tipizzare sia ipotesi di imposizione, che di esclusione fiscale. Al contrario, l’adesione alla lettura prospettata dall’Amministrazione, comporterebbe la creazione di un circuito asimmetrico, all’interno del quale sarebbe rimessa all’Erario la possibilità di scegliere, caso per caso, se privilegiare la “forma giuridica” o la “sostanza economica”, a seconda di quale delle due risulti più conveniente (cfr. Targhini M., La lettera e lo spirito della tassazione delle plusvalenze immobiliari ai fini reddituali, in Diritto e pratica tributaria, n.5/2022).
Ebbene, se nell’ipotesi dell’acquisto per successione, è l’assenza di un’operazione di acquisto a monte a determinare il venir meno di una “preordinazione” (e quindi di uno scopo, anche lucrativo) del soggetto agente, nel caso della destinazione ad abitazione emerge la necessità di tutelare un interesse – quello a disporre per sé e per il proprio nucleo familiare di uno spazio abitativo – annoverabile tra i diritti fondamentali dell’individuo (che trova tutela nel dettato costituzionale, all’art. 47, come confermato dalla stessa Corte costituzionale, che definisce il diritto all’abitazione come un “fondamentale diritto sociale”, che “rientra tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione” ( cfr. sentenza del 25 febbraio 1988 n.217). Tale esclusione rappresenta dunque – come è stato evidenziato- un “favor nei confronti di un bene fondamentale quale la residenza del soggetto” (così, D. Stevenato, Plusvalenze immobiliari: questioni attuali e aspetti problematici, in Corriere Tributario, n.44/2010).
Ne consegue che tutte le attività (di acquisto e di rivendita) poste in essere per garantire tale diritto non potranno che essere considerate ad esso funzionali: ciò è di per sé sufficiente ad escludere qualsiasi intento lucrativo, e, quindi in radice l’imponibilità dei relativi introiti (nello stesso senso, cfr. M. Targhini op. cit., pag. 1816).
Alla luce di quanto adesso osservato, si rileva che l’art. 67, co.1, lett. b) contempla una casistica tassativa di ipotesi da assoggettare ed al contempo escludere da imposta, che risultano il frutto di ponderate scelte legislative. La limpida chiarezza del dato testuale impedisce la configurazione di ipotesi di plusvalenze tassabili che esulino la disciplina normativa; così che, in presenza dei requisiti previsti, deve ritenersi preclusa la possibilità di ricorrere a criteri residuali per assoggettare ad imposizione le plusvalenze immobiliari.
6. In conclusione, si ritiene di dover condividere il disposto del Collegio. L’incidenza positiva della pronuncia in commento si apprezza infatti non soltanto con riguardo alla sua chiarezza, ma anche in riferimento all’iter motivazionale a sostegno della lettura offerta, che si mostra in grado di cogliere i principi alla base del nostro ordinamento tributario. Un’occasione ben sfruttata, dunque, per ricondurre ad ordine il complesso inquadramento fiscale delle cessioni infraquinquennali di beni immobili.