argomento: Attuazione del tributo - Legislazione e prassi
Il requisito della motivazione, così come riformulato, comporta un cambio di prospettiva derivante dal nuovo disegno del procedimento e dei relativi principi, tra contraddittorio, istruttoria procedimentale e perseguimento della parità tra le parti anche nella fase precontenziosa. Tuttavia, il Legislatore sembra aver dimenticato la centralità della motivazione per gli atti sottratti al sindacato giurisdizionale.
PAROLE CHIAVE: motivazione - elementi di prova - rimborso - sanzioni - proporzionalità
di Silvia Giorgi
1. Le modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente apportate con il D.Lgs. 219/2023 sono forse più impattanti, se rigorosamente verranno applicate, di quanto ci possa immaginare. Nonostante il Legislatore avesse da tempo, ma “rapsodicamente”, imposto all’Amministrazione di indicare gli elementi di prova a sostegno della pretesa impositiva (noti in tal senso l’art. 56 del D.P.R. n. 633/1972 e l’art. 16, comma 2° del D.Lgs. n. 472/1997), la previsione generalizzata inserita nello Statuto dei diritti del contribuente assume certamente un valore più pregnante. Ma al di là della nuova collocazione, ciò che appare dirimente per un cambio di prospettiva sul tema della motivazione e degli elementi istruttori è, nel complesso, il nuovo disegno del procedimento e dei relativi principi, tra contraddittorio, istruttoria procedimentale e tendenziale perseguimento del principio di parità tra le parti anche nella fase pre-contenziosa.
Recita, infatti, la nuova formulazione dell’art. 7 che “Gli atti dell'amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione…I fatti e i mezzi di prova a fondamento dell'atto non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l'adozione di un ulteriore atto, ove ne ricorrano i presupposti e non siano maturate decadenze”.
La prima precisazione, che riguarda lo spettro applicativo, investe “tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria”, purché siano autonomamente impugnabili. Ciò è rilevante perché, le novità che ci accingiamo ad analizzare non trovano applicazione con riferimento, ad esempio, allo “schema d’atto”, non essendo un atto autonomamente impugnabile che è, dunque, sottratto per definizione al “nuovo” obbligo di motivazione e ciò, tutto sommato, per le considerazioni che saranno svolte appresso, ha una sua coerenza sistematica.
Meno comprensibile è, invece, la mancata inclusione delle variegate forme di definizione consensuale finalizzate alla deflazione del contenzioso, giacché proprio la mancanza di un successivo vaglio giurisdizionale dovrebbe essere più che mai bilanciata da particolare rigore motivazionale nella fase amministrativa. Qui, probabilmente, l’esclusione sconta il forte legame, creato dalla Riforma, tra motivazione e regime dei vizi (infra), creando, tuttavia un vero e proprio vuoto per gli atti sottratti al sindacato del Giudice Tributario, ipotizzando, quanto meno astrattamente, una categoria di atti immotivati (se non coperti da disposizioni ad hoc), tendenzialmente sottratti alle novità più interessanti della Riforma in tema di motivazione.
Due sono gli elementi innovativi che immediatamente “balzano all’occhio” già dalla prima lettura del testo: il riferimento ai presupposti tout court che prendono il posto del precedente riferimento ai “presupposti di fatto” e la necessità di indicare anche i “mezzi di prova” con la conseguente impossibilità di modificare integrare o sostituire detti mezzi di prova se non attraverso un ulteriore atto. In sostanza è stato istituito il divieto di c.d. motivazione postuma.
Il passaggio dai “presupposti di fatto” ai “presupposti” indica un vero e proprio cambio di prospettiva del Legislatore che erge la motivazione a strumento di giustificazione dell’azione impositiva a trecentosessanta gradi. Non si tratta, infatti, soltanto di verificare la legittimità formale dell’atto ma anche di giustificarne la fondatezza, la sostenibilità sulla base delle risultanze istruttorie (MULEO, Il nuovo obbligo di motivazione degli atti tributari ovvero dell’impatto delle modifiche di testo e contesto, in Riv. tel. dir. trib., 2024, 1, pubblicato online il 13 aprile 2024). Nella cornice di sistema dello Statuto, depone verso questa conclusione, in primo luogo, l’art. 10-ter, secondo cui l’azione amministrativa deve essere conforme al principio di proporzionalità e non eccedere rispetto ai fini perseguiti, bilanciando l’interesse tributario con i diritti fondamentali del contribuente. Se la motivazione deve essere anche lo specchio dell’attuazione del principio di proporzionalità, non potrà che consentire un vaglio sull’effettività del bilanciamento oggi prescritto dall’art. 10-ter (MAURO, La motivazione dei provvedimenti di accertamento tributario alla luce delle modifiche dello statuto dei diritti
del contribuente, in Riv. dir. fin. sc. fin, 2024, 2, 178). Inoltre, il nuovo regime dei vizi dell’atto conferma la necessità di una disclosure completa non solo degli elementi di prova acquisiti, ma anche delle relative modalità di acquisizione, tanto da prevedere l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge (art. 10-quinquies della L. n. 212/2000).
È chiaro, dunque, il cambio di prospettiva: la motivazione è filtro a tutto tondo circa la legittimità e fondatezza dell’agire amministrativo, ancor prima che strumento per garantire il diritto di difesa del contribuente. Non si tratta di un mero cambio lessicale o di formule di stile ma della precisa scelta di incidere sulla trasparenza, l’imparzialità e l’efficienza dell’azione impositiva: l’Amministrazione dovrà giustificare prima a se stessa, poi al contribuente ed eventualmente al giudice e alla collettività le ragioni alla base del proprio agire, non soltanto dal punto di vista della legalità formale ma anche dal punto di vista dei presupposti sostanziali.
2. La seconda novità, attraverso l’obbligo di indicare i mezzi di prova, completa l’impostazione avviata dal Legislatore con la previsione di cui all’art. 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992, con la volontà di confermare una regola di giudizio volta a rendere più stringente l’onere della prova a carico dell’Amministrazione (MELIS G., Su di un trittico di questioni di carattere generale relative al nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D.Lgs. 546/1992: profili temporali, rapporto con l’art. 2697 c.c. ed estensione del principio di vicinanza alla prova, in Riv. tel. dir. trib.; FICARI, Modifiche normative ed onere della prova tra procedimento e processo tributario, in Riv. dir. trib., 2023, 6, I, 603; 2023, 1, 211), estendendo al giudizio tributario il modello processual-penalistico di valutazione della prova (TOSI, La nuova norma sull’onere della prova nel processo tributario, in questa Rivista, 2024, 2, online il 20 dicembre 2024). Oltre a ciò, il fatto che si preveda l'annullamento dell'atto quando in giudizio manca la prova è lo specchio della compenetrazione tra motivazione, prova e requisiti di validità dell’atto: le prove, così come indicate nell’iter logico-giuridico a sostegno della pretesa impositiva, sono un requisito della validità dell'atto.
La previsione statutaria procedimentale si salda così alla citata norma processuale sull’onere della prova, generalizzando la previsione per cui gli atti dell’Amministrazione finanziaria devono indicare anche i mezzi di prova e non possono essere successivamente modificati, integrati o sostituiti se non attraverso l’adozione di un ulteriore atto. Questo esprime, poi, la chiara voluntas legis di far cadere quell’orientamento giurisprudenziale, ancora spesso surrettiziamente persistente, in tema di motivazione postuma.
Anche la giurisprudenza più recente, infatti, pur ribadendo che l’Amministrazione finanziaria non possa integrare le ragioni alla base dell’atto impositivo in sede contenziosa, spesso in concreto finisce per disconoscere sistematicamente che eventuali nuove eccezioni/rilievi avanzati dall’Ufficio in sede contenziosa integrino una motivazione postuma. Tali pronunce, oltre che apertamente lesive della nuova formulazione dell’art. 7, sono oggi distoniche con il “sistema” complessivamente delineato dalla Riforma nella fase procedimentale.
Si tratta, invero, di un sistema criticabile perché sbilanciato a favore dell’Amministrazione finanziaria ma, proprio per questo, soltanto la valorizzazione del ruolo della motivazione ed una sua rigorosa valutazione ai fini della legittimità/fondatezza dell’atto impositivo può recuperare la parità tra le parti nel procedimento e, poi, nel processo tributario.
L’impianto complessivo si caratterizza, infatti, per un mal celato sbilanciamento dell’istruttoria pro- Fisco, con un contraddittorio di fatto finalizzato a massimizzare le informazioni a tutto vantaggio dell’Amministrazione finanziaria: una serie di previsioni sembrano, infatti, compulsare la disclosure degli elementi “a favore” del contribuente già nella fase precontenziosa, parallelamente consentendo all’Ufficio di meglio calibrare la pretesa in una fase antecedente alla confezione dell’atto impositivo. Spingono in questa direzione sia il rapporto ormai “simbiotico” tra contraddittorio e accertamento con adesione, sia le previsioni processuali secondo cui le spese di lite sono compensate quando la parte è risultata vittoriosa sulla base di documenti decisivi che la stessa ha prodotto solo nel corso del giudizio.
In questo scenario, il Legislatore mira ad indurre il contribuente a giocare “a carte scoperte” ben prima dell’instaurazione del contenzioso, lasciando tempo all’Amministrazione di cristallizzare la pretesa solo al momento della redazione dell’atto impositivo, con l’indubbio vantaggio di conoscere in anticipo la strategia difensiva del contribuente. Lo schema d’atto, infatti, appartiene ancora alla fase “esplorativa” in cui l’Agenzia è esonerata dal fornire una motivazione completa della pretesa e non ha alcun obbligo di indicazione dei mezzi istruttori. La tempestiva disclosure è, infatti, “compulsata” solo per la parte privata, mentre l’Amministrazione finanziaria ha tutto il tempo di “aggiustare il tiro”. Soltanto con l’accertamento si realizza, infatti, il passaggio dalla fase strategica e appunto esplorativa alla cristallizzazione della pretesa in tutti i suoi elementi, di legittimità e fondatezza, inclusa l’eventuale motivazione “rafforzata” rispetto alle osservazioni allo schema d’atto presentate dal contribuente.
In questo impianto – caratterizzato di fatto da un’esaustività istruttoria a senso unico fino alla redazione dell’atto impositivo – la motivazione rimane (ancorché ex post rispetto alle interlocuzioni Fisco- contribuente) l’unico baluardo di garanzia e di tendenziale parità tra le parti. Il regime introdotto dallo Statuto ribadisce senz’altro che il giudizio si svolge sulla pretesa per come è veicolata nell'atto (MARCHESELLI, Il regime introdotto dallo Statuto ribadisce che il giudizio si svolge sulla pretesa per come è veicolata nell'atto, in Riv. dir. trib. on line del 7 gennaio 2025) in tutti i suoi elementi oggi estesi anche al corredo istruttorio e alle modalità di acquisizione del medesimo.
La rigorosa valutazione della motivazione, anche con riferimento ai mezzi di prova, diviene, quindi, l’unica chiave di lettura possibile per ripristinare la parità delle armi tra contribuente e Amministrazione finanziaria nella fase procedimentale, là dove il primo è indotto a scoprire la propria strategia difensiva ed i relativi elementi probatori prima ancora che la seconda debba cristallizzare la pretesa impositiva. Tale vantaggio temporale e strategico dell’Amministrazione non può che essere bilanciato dalla completezza e dall’esaustività, sotto ogni profilo, dell’atto impositivo.
3. Ancor più evidente potrebbe risultare l’impatto delle novità sulla giurisprudenza in tema di rimborsi. Sovente, infatti, l’atto di diniego espresso poggia su ragioni poi ampiamente modificate o integrate in sede contenziosa. Lo stesso accade per eventuali dinieghi parziali o sospensioni.
Se, poi, vengono opposti in compensazione dei controcrediti erariali, nella maggior parte dei casi, l’Amministrazione si limita al più ad indicare gli estremi degli estratti di ruolo o, addirittura, le risultanze dell’anagrafe tributaria, senza, invece, indicare compiutamente e analiticamente le cartelle e la relativa data di notifica.
Altresì frequente è il principio secondo cui la motivazione del diniego di rimborso – richiamando testualmente le parole della Suprema Corte - non avrebbe il «carattere dell’esaustività» e potrebbe limitarsi a delineare gli «aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento» e a richiamare l’«insussistenza dei presupposti per il rimborso», e potrebbe addirittura mancare. Nel relativo giudizio di impugnazione, e per la prima volta anche in appello, l’Agenzia delle entrate potrebbe «prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto dell’istanza in sede amministrativa», perché il contribuente «assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda», mentre l’ente impositore «non ha esplicitato una pretesa tributaria nuova», come avviene in presenza di un avviso di accertamento o di un provvedimento sanzionatorio» (Cass., 21 agosto 2023, n. 24887; Id., 2 maggio 2024, n. 11835).
Questo orientamento è criticabile ed è stato ampiamente criticato (da ultimo, TURCHI, L’azione di rimborso nella recente giurisprudenza della Corte di cassazione, in questa Rivista, on line 9 settembre 2024) in quanto anche il diniego di rimborso è un provvedimento autoritativo e costitutivo di effetti lesivi per il destinatario, essendo pacifico – come la stessa Corte ricorda – che la sua mancata impugnazione esaurisce il rapporto giuridico d’imposta e preclude al contribuente la possibilità di chiedere in seguito il rimborso negato.
Non è quindi mai stata condivisibile l’affermazione per cui il diniego potrebbe non essere motivato, o contenere una motivazione priva del «carattere dell’esaustività» (CALIFANO, La motivazione degli atti impositivi, Torino, 2015, 394). Né è mai stato corretto ritenere che, nel relativo giudizio di impugnazione, l’Agenzia delle entrate sia svincolata da tale motivazione e possa formulare argomentazioni giuridiche nuove e diverse da quelle in essa contenute.
Oggi, tuttavia, la nuova formulazione dell’art. 7 dà definitivamente corpo all’orientamento secondo cui, anche in tema di rimborsi debba essere bandita la c.d. motivazione postuma. E la rafforza al punto di esigere che in sede di diniego o sospensione debbano essere indicati anche i “mezzi di prova” relativi alle ragioni ostative. E, dunque, eventuali controcrediti opposti in compensazione devono essere puntualmente indicati attraverso la menzione del numero di cartella e della data di notifica. Non sarà, invece, necessaria l’allegazione stante la disciplina della motivazione per relationem, ispirata ad una condivisibile logica di semplificazione ed economicità.
Le medesime considerazioni possono estendersi, mutatis mutandis, anche agli atti di diniego di autotutela e diniego di agevolazioni, che dovranno essere motivati compiutamente, anche con riferimento ad eventuali elementi istruttori a supporto del rifiuto.
4. Da ultimo, l’impatto della nuova formulazione deve essere valutato con riferimento all’atto di irrogazione delle sanzioni, funzionalmente autonomo rispetto all’atto impositivo ancorché integrato ad esso quando la sanzione è collegata al tributo evaso ed è irrogata nel medesimo atto. A tal proposito l’unicità (invero meramente cartolare) tra atto impositivo e atto sanzionatorio è tale per cui costante è la prassi, confermata dalla giurisprudenza, per cui l’elemento soggettivo è immanente alla violazione oggettiva (ex multis, Cass., SS. UU., 30 settembre 2009, n. 20930. Cass. Sez. trib., ord. 15 maggio 2019, n. 12901 in Riv. Dir. Trib. Supplemento on line del 24 ottobre 2019, con nota di M. DI SIENA, In tema di elemento psicologico dell’illecito amministrativo tributario: le linee guida (svalutative) della Corte di Cassazione) e l’onere motivazionale dell’atto sanzionatorio è considerato dalla giurisprudenza assolto per relationem rispetto a quanto prospettato con riferimento ai tributi contestati ed ai fatti ivi narrati (Cass. Sez. trib, ord. 4 maggio 2021, n. 11610).
Anche questo orientamento non potrà che essere rivisto (SBROIAVACCA, Nuovo onere probatorio ed impatto sulla motivazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, in Riv. tel. dir. trib. 2024, 2 on line il 3 ottobre 2024), sia alla luce della nuova formulazione degli artt. 7 comma 1-bis della L. n. 212/2000 e 7, comma 5-bis del D.Lgs. n. 546/1992, ma, ancor più considerando la sostanziale introduzione di una sanzione fissa per l’ipotesi di infedele dichiarazione, la cui “personalizzazione” è calibrata in ragione delle specifiche circostanze di gravità della violazione. Il c.d. Decreto Sanzioni (D. Lgs n. 87/2024) ha, infatti, eliminato la previsione di limiti edittali minimi e massimi, introducendo, di fatto, una sanzione fissa da determinarsi in ragione del principio di proporzionalità e della gravità desunta dalle circostanze indicate dall’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997.
La nuova dosimetria sanzionatoria e i principi (in particolare quello di proporzionalità su cui, per una ricostruzione sistematica, MERCURI, Il principio di proporzionalità nel diritto tributario, Milano, 2024, 403) corroborati dalla Riforma impongono di superare l’immedesimazione della sanzione (e dell’atto di irrogazione) con l’atto impositivo, attraverso la puntuale ricostruzione delle circostanze di fatto e di diritto legittimanti la sanzione e la sua determinazione. Se, quindi, con riferimento all’elemento oggettivo, potrà perpetuarsi il rinvio ai presupposti di fatto indicati con riferimento ai tributi contestati, l’accresciuta valorizzazione delle circostanze di gravità dell’illecito imporrà una più analitica valutazione ed esternazione dell’elemento soggettivo della violazione.
5. Nonostante l’attuale formulazione dell’obbligo di motivazione possa indurre prima facie a svalutare le novità della Riforma, un’interpretazione sistematica fa emergere una rinnovata vitalità di tale requisito di validità degli atti dell’Amministrazione finanziaria, puntualmente svilito nell’esperienza applicativa.
Le novità letterali – il riferimento ai presupposti tout court e la necessità di indicare specificamente i mezzi di prova – esprimono di per sé una ben nitida rotta del Legislatore, verso una (più) decisa esaustività e completezza della motivazione. L’impianto sistematico non fa che confermare come solo una rigorosa interpretazione e verifica dei requisiti di legittimità e fondatezza a tutto tondo possa garantire non solo il principio di proporzionalità, ampiamente enfatizzato dalla Riforma, ma anche quello di parità tra le parti sin dalla fase procedimentale. La motivazione si erge, infatti, a baluardo garantistico rispetto ad un’istruttoria smaccatamente sbilanciata a favore dell’Amministrazione finanziaria.
L’unico appunto riguarda lo spettro applicativo “monco” della nuova formulazione dell’art. 7, espressamente circoscritto agli atti impugnabili dell’Amministrazione finanziaria. Questo perché motivazione e prova escono dalla Riforma saldamente legati tra loro e al regime dei vizi degli atti tributari. Rimangono, così, esclusi proprio quegli atti che nel processo non entrano perché, proprio per deflazionare il contenzioso, definiscono in modo consensuale la pretesa impositiva.
La norma statutaria dedica, infatti, a questi soltanto il secondo comma dell’art. 7, con la previsione estesa a tutti “gli atti dell’Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione”, per cui debbono essere tassativamente indicati l’ufficio presso cui chiedere informazioni; l’organo amministrativo presso cui chiedere il riesame; le eventuali indicazioni per ricorrere (in caso di atti impugnabili). Un onere motivazionale ridotto, monodimensionale, giacché al più proiettato alle esigenze di chiarimento e tutela del contribuente.
Verrebbe da dire che per le definizioni consensuali non vi sia alcun bisogno di una motivazione completa ed esaustiva, giacché vi è un’adesione del contribuente alla pretesa ed il consenso sana qualunque eventuale deficit motivazionale. Così, tuttavia, si finirebbe per appiattire la motivazione alla mono-dimensione di strumento di tutela del contribuente, dimenticando l’acquisita consapevolezza della sua polifunzionalità (G. MORBIDELLI, Il procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo, II, a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Bologna 2005, 1238). Proprio, infatti, quando il vaglio giurisdizionale manca l’Amministrazione finanziaria dovrebbe giustificare a sé stessa e alla collettività le ragioni di una pretesa rideterminata ma “giusta”, nella piena salvaguardia dei canoni dell’Amministrazione di risultato.