Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

14/02/2025 - Piccola proprietà contadina e contratto di sale and lease back: la cassazione nega i benefici fiscali ai fini dell’imposta di registro

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

Con l’ordinanza del 28 novembre 2024, n. 30664, la Corte di cassazione ha statuito in ordine all’applicazione dei benefici fiscali in materia di imposta di registro previsti per la piccola proprietà contadina dall’art. 2, comma 3-bis, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla l. 26 febbraio 2010, n. 25. Questa disposizione prevede la decadenza dai benefici fiscali quando le parti interessate, prima che siano trascorsi cinque anni dalla conclusione dei contratti, vendano i terreni o cessino di coltivarli direttamente. La Corte di cassazione ha sostenuto che un contratto di sale and lease back rientra nelle ipotesi di perdita del beneficio fiscale; in specie, l’operazione negoziale di sale and lease back, alla luce della sua natura e dell’individualità propria di ciascun negozio di cui si compone, costituisce ipotesi di cessione idonea ad integrare la fattispecie dell’alienazione volontaria contemplata dalla normativa in esame, determinando la decadenza dall’agevolazione.

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PAROLE CHIAVE: agevolazioni fiscali - imposta di registro - piccola proprietà contadina


di Maria Cecilia Fregni

 

1. La decisione in rassegna verte su un caso di revoca dai benefici fiscali riconosciuti ad una società agricola e relativi all’imposta di registro e ipocatastale da versare al momento della registrazione, inquadrabili tra le misure agevolative della cd. piccola proprietà contadina.

In specie, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio erano stati giudicati non spettanti i benefici fiscali applicati all’atto di registrazione del diritto di superficie su terreni agricoli, finalizzato alla “costruzione, gestione e mantenimento al di sopra del suolo, di tutte le opere necessarie per la realizzazione di impianti serricoli con copertura fotovoltaica”, in quanto i giudici di prime e seconde cure avevano ritenuto che fosse intervenuta una alienazione volontaria del bene entro i cinque anni dall’acquisto, determinando così la decadenza dell’agevolazione. Questo perché la società agricola aveva stipulato un contratto di sale and lease back, equiparabile in realtà ad un atto di compravendita.

I giudici di legittimità hanno confermato l’orientamento sfavorevole al contribuente, negando valore non solo al fatto che la cessione fosse avvenuta nell’ambito di un’operazione finanziaria, appunto di sale and lease back, volta a reperire i mezzi economici occorrenti per la realizzazione del progetto imprenditoriale che aveva costituito la ragione fondante dell’acquisto, ma anche, e soprattutto, che la società avesse mantenuto la disponibilità del bene anche dopo il trasferimento, continuando a svolgervi la propria attività. Nemmeno ha trovato accoglienza il richiamo, da parte della società ricorrente, all’unitarietà della causa (ossia il finanziamento con garanzia atipica) del contratto di cessione e del correlato contratto di locazione finanziaria, oltre alla non definitività del trasferimento del diritto, “destinato a permanere solo nei limiti in cui assolve la finalità di garanzia che causalmente la connota, e quindi sino alla conclusione del contratto di locazione finanziaria”.

2. Per quanto concerne la c.d. piccola proprietà contadina, il legislatore fiscale ha previsto un’agevolazione consistente nel riconoscimento, in sede di acquisto di terreni ricompresi nelle zone E, ossia dei terreni qualificati come agricoli, e relative pertinenze (su cui cfr. PETTERUTI, Pertinenze agricole e agevolazioni per la piccola proprietà contadina, in Immobili & Proprietà, 2015, p. 641) dell’applicazione dell’imposta di registro e ipotecaria in misura fissa, e di quella catastale all’1 per cento. Si tratta dunque di una misura fortemente agevolativa rispetto alla tassazione ordinaria della compravendita di terreni a destinazione agricola e fabbricati pertinenziali, e finalizzata a ridurre al minimo l’imposizione indiretta per l’acquisto di terreni agricoli da parte di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (cfr. SERVIDIO, Piccola proprietà contadina: assimilazione tra IAP e società agricole, in Agricoltura, 2014, p. 39; SCAPPINI, Criticità nella fruizione della piccola proprietà contadina da parte delle società agricole IAP, in Il Fisco, 2022, p. 3187), nonché a favorire l’ampliamento e l’accorpamento della proprietà dei terreni in capo a questi soggetti, oltre alla riunione della proprietà dei medesimi in capo a chi li coltiva.

Secondo l’art. 2, comma 4-bis del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito, con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2010, n. 25), “(…) gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, nonché le operazioni fondiarie operate attraverso l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), sono soggetti alle imposte di registro ed ipotecaria nella misura fissa ed all'imposta catastale nella misura dell'1 per cento”. Cfr. Cass., 16 luglio 2020, n. 15157, secondo cui nel novero degli "atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti" può essere incluso anche il trasferimento di beni conseguente a cessione di azienda (v. BARUZZI, Agevolazioni piccola proprietà contadina per il trasferimento di terreno agricolo derivante dalla cessione di azienda, in Il Fisco, 2020, p. 3187). Queste agevolazioni “si applicano altresì agli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni agricoli e relative pertinenze, posti in essere a favore di proprietari di masi chiusi di cui alla legge della provincia autonoma di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17, da loro abitualmente coltivati”.

Inoltre, sempre in base al disposto normativo gli onorari dei notai per gli atti suindicati sono ridotti alla metà.

Successivamente, la l. 28 dicembre 2015, n. 208 ha statuito che le disposizioni di cui sopra “sono applicabili anche a favore del coniuge o dei parenti in linea retta, purché già proprietari di terreni agricoli e conviventi, di soggetti aventi i requisiti di cui al medesimo articolo 2, comma 4-bis” (art. 1, comma 907). Cfr. Cass., 29 settembre 2022, n. 28369.

L’art. 2, comma 2-bis prevede anche la decadenza dalle agevolazioni predette, che si verifica se i soggetti interessati “prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente”.

Sono fatte salve le disposizioni di cui all’art. 11, commi 2 e 3 del d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228, secondo cui “La estinzione anticipata del mutuo o la vendita del fondo acquistato con i suddetti benefici non possono aver luogo prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto” (comma 2) e “Non incorre nella decadenza dei benefici l’acquirente che, durante il periodi vincolativo (…), ferma restando la destinazione agricola, alieni il fondo o conceda il godimento dello stesso a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l’attività di imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 del codice civile (…). Le disposizioni del presente comma si applicano anche in tutti i casi di alienazione conseguente all’attuazione delle politiche comunitarie, nazionali e regionali volte a favorire l’insediamento di giovani in agricoltura o tendenti a promuovere il prepensionamento nel settore”. Parimenti, è fatto salvo l’art. 2, d. lgs. 29 marzo 2004, n. 99, relativo alle società agricole, che possono avvalersi delle agevolazioni in questione, ovviamente a condizione che siano mantenuti tutti i requisiti per almeno un quinquennio.

Il quadro normativo sembra essere ormai assestato, e rappresenta l’esito di un percorso che nel tempo ha progressivamente ridotto le agevolazioni riconosciute al settore, salvi ripensamenti come quello rappresentato dall’art. 9, comma 2, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, riguardante i territori montani, prima abrogato dall’art. 10, comma 4, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 e successivamente reintrodotto con l. 11 dicembre 2016, n. 232. Tale disposizione nasce dall'esigenza di tutelare l'attività agricola svolta in piccole zone montane di scarsa produttività, onde recuperare terreni incolti e abbandonati dal proprietario e non, invece, di incentivare l'attività agricola organizzata in forma imprenditoriale ed esplicata sui fondi in questione (cfr. Cass., 23 gennaio 2024, n. 2288). Nell’ultima versione dell’art. 9, comma 2, in vigore dal 1° gennaio 2023, nei territori montani “i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici a favore di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastale e di bollo. Le agevolazioni di cui al presente comma si applicano anche ai trasferimenti a favore di soggetti che, pur non essendo iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale di cui al primo periodo, con apposita dichiarazione contenuta nell'atto di acquisto, si impegnano a coltivare o a condurre direttamente il fondo per un periodo di cinque anni; i predetti soggetti decadono dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti di acquisto, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli direttamente. Le stesse agevolazioni si applicano anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni”.

3. La giurisprudenza è stata interessata a più riprese dal tema del perimetro di applicazione delle norme agevolative sulla piccola proprietà contadina e della loro decadenza.

Anche se in larga parte riferibili a normativa previgente, alcuni principi desumibili dalle pronunce della Corte di cassazione possono essere applicati in parte qua anche alle disposizioni oggetto della pronuncia in rassegna.

In specie, l'iscrizione alla gestione previdenziale INPS, richiesta al fine di ottenere l'agevolazione per favorire la piccola proprietà contadina di cui all'art. 2, comma 4-bis, del d.l. n. 194 del 2009 in sede di stipula dell'atto, deve conseguire da una domanda presentata dal soggetto interessato e l'eventuale retrodatazione dell'obbligazione contributiva (che, di quella iscrizione, costituisce l'effetto giuridico principale) implica che la richiesta di iscrizione (ancorché accolta con riserva) sia stata effettivamente presentata (così Cass., 14 marzo 2022, n. 8278). 

Inoltre, il presupposto della iscrizione del coltivatore diretto o dell'imprenditore agricolo professionale nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, previsto dall'art. 2 ai fini della concessione delle agevolazioni per gli atti traslativi a titolo oneroso di terreni agricoli, non ha natura di requisito “istantaneo” (che deve ricorrere solo al momento dell'acquisto agevolato) ma deve essere caratterizzato dalla permanenza nel tempo. Ne deriva (secondo Cass., 12 febbraio 2021, n. 3597) che la cancellazione dell'iscrizione per effetto di una condotta volontaria (nella specie, acquisizione dello status di pensionato, di per sé non incompatibile con la qualifica di coltivatore diretto) comporta la perdita dell'agevolazione ove si verifichi entro un quinquennio dall'acquisto, conformemente a quanto espressamente sancito dall'art. 2, comma 4-bis, del d.lgs. n. 99 del 2004, per il coltivatore diretto che sia socio o amministratore "qualificante" della società agricola.

Si ritiene che il fondo debba essere effettivamente coltivato nei cinque anni successivi all’acquisto, pena la decadenza dai benefici fiscali, senza che assuma rilievo il fatto che la mancata coltivazione sia dipesa da opere prodromiche e funzionali all’esercizio dell’agricoltura, che non siano riconducibili a quelle indicate dalla l. 1° febbraio 1956, n. 53, art. 3, trattandosi di attività che rispondono a scelte imprenditoriali e organizzative dell'acquirente e che, dunque, non possono ritenersi non imputabili allo stesso (Cass., 31 ottobre 2022, n. 32149).

Inoltre, l'acquirente che usufruisce delle agevolazioni per la piccola proprietà contadina decade dal beneficio fiscale se il terreno, al momento dell'acquisto, è affittato a un terzo, per cui l'acquirente non può coltivarlo direttamente (Cass., 29 settembre 2022, n. 28370; ID.,10 febbraio 2021, n. 3260). Cfr. anche in senso conforme Cass., 5 febbraio 2021, n. 2778, la quale ha statuito che: “L'agevolazione per la piccola proprietà contadina esige che l'acquirente inizi la conduzione diretta del fondo sin dall'acquisto e non la dismetta per cinque anni. Una diversa interpretazione legittimerebbe la permanenza dell'agevolazione tributaria a favore di chi acquisti il terreno affittato a terzi e senza mai coltivarlo lo rivenda dopo il quinquennio, ciò che sarebbe palesemente contrario alla ratio legis, diretta a sostenere chi coltiva i fondi agricoli e non chi ne fa commercio”, nonché Cass., 15 luglio 2022, n. 22290, secondo cui “il contratto di affitto assume rilevanza, quale indice sintomatico della cessazione della coltivazione diretta da parte del proprietario, in quanto sarebbe contraddittorio considerare come tuttora in coltivazione, ad opera del suo acquirente, un terreno da quest'ultimo concesso in affitto a terzi, tenuto conto che la finalità di assicurare la formazione o l'arrotondamento della piccola proprietà contadina, in relazione all'oggetto dell'atto di acquisto agevolato, implica l'effettiva coltivazione del terreno”.

Nel vigore della l. 6 agosto 1954, n. 604, si riteneva già che i benefici di cui all’art. 1, previsti per il coltivatore diretto persona fisica, si estendessero (per effetto degli artt. 1, comma 4 e 2, del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99) anche alle società aventi la qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP), a condizione che il fondo venisse coltivato direttamente, tenendo conto della ratio della normativa, mirante a promuovere il riordino della piccola proprietà contadina per il più razionale esercizio dell’agricoltura (Cass., 10 maggio 2023, n. 12500). Cfr. anche Cass., 9 febbraio 2021, n. 3100, secondo cui l'art. 1, comma 4, del d. lgs. n. 99 del 2004 ha esteso anche all'imprenditore agricolo professionale (IAP) i benefici fiscali di cui all'art. 1 della l. n. 604 del 1954, già previsti per la piccola proprietà contadina, senza richiedere altresì la sussistenza in capo a detto imprenditore delle condizioni di cui all'art. 2, n. 1, della l. n. 604 cit., trattandosi di requisiti dettati per il solo coltivatore diretto e incompatibili con la nuova figura professionale che il legislatore ha inteso incentivare.

Si veda anche Cass., 11 maggio 2022, n. 14935, secondo cui il contribuente che non abbia dimostrato il possesso del requisito soggettivo di coltivatore diretto, dichiarato al momento del rogito, non può successivamente pretendere il beneficio fiscale sulla base del diverso requisito soggettivo di imprenditore agricolo professionale, seppur equipollente ai fini del riconoscimento, in quanto non è ritenuto possibile mutare il titolo dell'attribuzione. Analogamente, posto che i poteri di accertamento e valutazione del tributo si esauriscono nel momento in cui l’atto viene sottoposto a tassazione, e tale decadenza preclude un altro accertamento sulla base di diversi presupposti normativi o di fatto, si è ritenuto che, nel caso di decadenza dal beneficio della piccola proprietà contadina, non possa essere invocata altra agevolazione sebbene menzionata, in via subordinata, nella medesima scrittura (Cass., 12 febbraio 2021, n. 3599).

Cass., 3 maggio 2023, n. 11583, ha comunque ribadito che ai fini dell’agevolazione prevista per l’imposta di registro per le società agricole dall'art. 2, commi 1 e 2, d.lgs. n. 99 del 2004, lo svolgimento in modo esclusivo delle attività elencate nell'art. 2135 c.c. deve essere effettivo e non formale, considerata la ratio di tale norma di incentivare le società che realmente svolgono in tal modo tali attività e quelle ad esse connesse; pertanto, il contribuente deve fornire la prova rigorosa della sussistenza delle condizioni previste dall'indicata norma codicistica e, in particolare, di condurre i terreni stessi e che su questi persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale. A tal fine, non è sufficiente la costituzione di una società semplice diretta alla coltivazione del fondo, in quanto è necessario provare l'effettivo esercizio dell'attività. 

L'agevolazione fiscale è stata riconosciuta anche nel caso di acquisto per usucapione, ove questa sia stata giudizialmente accertata (Cass., 26 novembre 2019, n. 30817), e nel caso di scissione parziale effettuata entro cinque anni dall'acquisto dei terreni agricoli, concretizzando l'operazione di scissione una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto, sia pure in un nuovo assetto organizzativo (Cass., 27 settembre 2022, n. 28169); in quest’ultima ipotesi devono comunque permanere, in capo alla società beneficiaria, gli altri requisiti cui risulta subordinato il trattamento agevolativo. 

4. La pronuncia in rassegna si occupa di un caso inedito (e proprio in ragione della novità della questione le spese del giudizio vengono compensate), ossia della decadenza dal beneficio nell’ipotesi in cui la società agricola aveva sottoscritto un contratto di sale and lease back. Esso, come noto, si caratterizza per essere un contratto con il quale un’impresa trasferisce, dietro corrispettivo, un bene di sua proprietà a un imprenditore finanziario, il quale, divenutone proprietario, lo cede in locazione finanziaria (leasing) all’alienante, per una durata temporale determinata e a fronte del periodico versamento di un canone (cfr. DI ROSA, L’operazione di “sale and lease back” tra normotipo astratto e fattispecie concreta, in dir. civ., 2015, p. 1136 e segg.). Il contratto prevede, altresì, la facoltà per il concessionario, alla scadenza, di riacquistare la proprietà con il pagamento di un prezzo finale, ovvero di prorogare il godimento continuando a pagare i canoni per un ulteriore periodo o di consegnare definitivamente il bene al concedente.

Il sale and lease back non è disciplinato a livello legislativo, ma nella prassi è molto diffuso, soprattutto nei casi in cui un soggetto abbia la necessità di acquisire liquidità senza dover dismettere un dato investimento in un bene strumentale di cui, pur cedendone la titolarità, può preservarne la disponibilità materiale. Diversamente dal contratto di leasing vero e proprio, vi è coincidenza soggettiva tra venditore e utilizzatore del bene.

I giudici, per la ricostruzione dell’operazione, si richiamano a Cass., 25 gennaio 2022 e Cass., 22 febbraio 2021, n. 4664 (per un commento a quest’ultima pronuncia v. AMBROSOLI, Il sale and lease back: un contratto tormentato, in Corr. giur., 2021, p. 1524), secondo cui il sale and lease back configura un contratto d'impresa socialmente tipico che, come tale, è, in linea di massima, astrattamente valido, ferma la necessità di verificare, caso per caso, la presenza di elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere in funzione di garanzia e sia volta, pertanto, ad aggirare il divieto del patto commissorio. In particolare, il sale and lease back si configura come un'operazione negoziale complessa, frequentemente applicata nella pratica degli affari poiché risponde all'esigenza degli operatori economici di ottenere liquidità con immediatezza, mediante l'alienazione di un bene strumentale, in genere funzionale ad un determinato assetto produttivo e, pertanto, non agevolmente collocabile sul mercato; l’alienante ne conserva l'uso con la facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto. Si tratta, dunque, di operazione caratterizzata da una pluralità di negozi collegati funzionalmente e volti al perseguimento di uno specifico interesse pratico che ne costituisce appunto la relativa causa concreta. Quest’ultima assume specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella - parziale - dei singoli contratti, di questi ultimi connotando la reciproca interdipendenza (sì che le vicende dell'uno si ripercuotono sull'altro, condizionandone la validità e l'efficacia) nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale.

5. Nel caso di specie, la Corte di cassazione ribadisce che sono di stretta interpretazione non solo le norme agevolative (cfr. per tutti TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, 15° ed., Milano, 2024, p. 48 e seg.), ma anche le corrispondenti disposizioni che ne prevedono la decadenza dai benefici già concessi. In altri termini, ad esse si applica un’interpretazione “rigida e anelastica, in quanto rigorosamente legata al dato letterale”. Questo tipo di interpretazione non consentirebbe pertanto l’applicazione del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma, come avrebbe forse potuto sostenersi nel caso in esame, allargando però troppo le maglie dell’applicazione del beneficio rispetto al perimetro normativo rigorosamente tracciato dal legislatore.

Non solo. Relativamente alla alienazione ovvero alla cessazione della coltivazione o della coltivazione diretta l’“ovvero” della disposizione secondo i giudici è correttamente da intendersi in funzione disgiuntiva, delineante due distinte ed autonome ipotesi di decadenza, per cui, nel caso di specie, ben può considerarsi solo l’aspetto dell’alienazione infraquinquennale come causa decadenziale.

Seguendo questa linea interpretativa, sono stati anche ritenuti ultronei i riferimenti comparati ad altri tributi, nei quali il contratto di sale and lease back viene qualificato in maniera differente, come nel caso dell’ICI-Imu, relativamente alla soggettività passiva, o nell’Iva, ove la giurisprudenza tende a negare il carattere di cessione di beni (cfr. sotto quest’ultimo profilo Corte di Giustizia UE, 27 marzo 2019, causa C-201/18, Mydibel SA c. Gov. Belgio; Cass., 26 ottobre 2021; ID., 22 giugno 2021, n. 17710; in dottrina cfr. MONTANARI, L’autonoma qualificazione ai fini Iva del contratto di “sale and lease back” nel prisma delle categorie del diritto europeo, in Dir. prat. trib. int., 2021, p. 1792; BARTOLAZZI MENCHETTI, Nell’operazione “complessa” di “sale and lease back” non si realizza una cessione di beni ai fini Iva, in Giur. comm., 2022, p. 1180).

I giudici si richiamano dunque all’approccio interpretativo “stretto”, che porta ad escludere che possano essere considerate ipotesi derogatorie rispetto all’alienazione volontaria nel quinquennio, quali, ad esempio, la volontà di reperire i mezzi economici occorrenti per la realizzazione del progetto imprenditoriale che aveva costituito la ragione fondante dell’acquisto. Dato come assodato che il contratto in questione comporta l’alienazione del bene, e dato il criterio delle stretta interpretazione letterale applicabile alle fattispecie agevolative come quella che ci occupa nel caso di specie, a nulla vale dunque  il richiamo, opposto da parte ricorrente, al dato sostanziale (leggi: disponibilità del bene) rispetto al dato formale.

Da ultimo, una breve considerazione. Se la decisione pare adeguata per il caso di specie, qualche rilievo critico si può invece avanzare rispetto all’affermazione, avanzata in maniera apodittica, circa l’impossibilità di un’interpretazione logico-evolutiva e, soprattutto, di un’interpretazione costituzionalmente orientata laddove sia in gioco l’applicazione di norme agevolative come quella in esame. La giurisprudenza sopra menzionata del resto dimostra che in vari casi, in altre pronunce, sia pure con prudenza ma sempre senza distaccarsi dalla ratio della normativa, i benefici fiscali sono stati correttamente riconosciuti anche a fattispecie per le quali erano sorti dubbi in ordine alla loro possibile fruizione.