argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza
Il gestore di un porto turistico che non è ricompreso nell’ambito in cui sono istituite le Autorità portuali – le attuali Autorità di sistema portuale - AdSP – è tenuto al pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani -TARSU. Le condizioni per ottenere agevolazioni devono essere comunicate al comune nella denuncia originaria o in quella di variazione.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 2 agosto 2023, n. 23555)PAROLE CHIAVE: soggetti passivi - tassa rifiuti - presupposto impositivo
di Stefania Cianfrocca
1. L’intervento della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23555 del 2 agosto 2023 sull’applicazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani - TARSU alle aree portuali si snoda lungo un tracciato abbastanza articolato che fa leva su consolidati orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi in una materia assai delicata sulla quale si registrano di continuo contrasti tra enti impositori e addetti al settore.
Nella controversia in esame la società ricorrente nell’impugnare un avviso di accertamento con il quale il comune richiedeva il pagamento della TARSU relativa all’anno 2011, sosteneva nel primo grado di giudizio - conclusosi con esisto a lei favorevole - di aver diritto all’esenzione dal pagamento del tributo per il fatto di avere la gestione del porto turistico; detta circostanza le avrebbe, infatti, riconosciuto il compito di attivare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti in detta area, che doveva, pertanto, ritenersi esclusa per legge dalla privativa comunale.
La Corte di Cassazione con la sentenza in commento, nel ribaltare le conclusioni della Commissione tributaria provinciale, ha puntato i riflettori su alcuni aspetti che sono fondamentali per la soluzione delle varie questioni applicative del tributo comunale sottese alla controversia in esame.
In particolare, era necessario, innanzitutto, appurare se il porto turistico non era ricompreso nelle aree in cui sono istituite le Autorità portuali - denominate oggi Autorità di sistema portuale -AdSP; una volta conclusa positivamente tale indagine occorreva valutare se sussistevano specifiche cause di esclusione della tassazione; bisognava, infine, verificare la sussistenza delle condizioni che consentivano al comune di riconoscere eventuali agevolazioni.
2. Il primo passo per dipanare l’intricata matassa interpretativa è stato, quindi, quello di verificare se il porto turistico ricadesse o meno nell’ambito in cui sono state istituite le Autorità portuali di cui all’art. 1 della legge 28 gennaio 1994, n. 84. Detta legge – con la quale è stato effettuato il “Riordino della legislazione in materia portuale” – all’art. 6, comma 4, lettera c), attribuisce, infatti, alle Autorità portuali l’”affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale” che sono stati individuati con decreto del Ministero dei trasporti e della navigazione 14 novembre 1994. Tra questi, all’art. 1, lettera B) il citato decreto contempla i servizi di pulizia e raccolta rifiuti che comprendono la “Pulizia, raccolta dei rifiuti e sversamento a discarica relativa agli spazi, ai locali e alle infrastrutture comuni e presso i soggetti terzi (concessionari, utenti, imprese portuali, navi). Derattizzazione, disinfestazione e simili. Gestione della rete fognaria. Pulizia e disinquinamento degli specchi acquei portuali”.
Dall’assetto normativo appena tratteggiato consegue che la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti prodotti all'interno dell'area di competenza delle Autorità portuali non devono essere svolti dal comune, ma rientrano tra le competenze attribuite dalla legge alla stessa Autorità portuale.
E’ pertanto legittimo sostenere che “l'attività di gestione dei rifiuti nell'ambito dell'area portuale - da intendersi come spazio territoriale in cui svolge i suoi compiti la singola Autorità portuale - rientra nella competenza di quest'ultima, la quale per legge è tenuta ad attivare il relativo servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti fino alla discarica. Ne deriva, per esclusione, che la relativa attività sfugge alla competenza in materia dei Comuni, che invece normalmente agiscono in questo ambito in regime di privativa, i quali sono di conseguenza privi anche di ogni potere impositivo (…)” (Cass. Sent. n. 23583 del 2009; negli stessi termini: Cass Sentenze n. 5568 del 2023, n. 11717 del 2023; principio confermato da ultimo da Cass. Sentenze n. 7665 e n. 11853 del 2024).
Peraltro, la competenza dell'Autorità portuale non si limita alla mera pulizia e raccolta all'interno dell'area del porto, giacché la richiamata norma del D.M.14 novembre 1994, attribuisce all'Autorità portuale anche lo “sversamento a discarica” dei rifiuti delineando, così, una serie di operazioni che devono essere svolte in totale e completa alternativa al comune, escludendo, conseguentemente, ogni sovrapposizione di competenze.
Detto sistema ha, del resto, una sua razionalità, dal momento che è diretto ad attribuire il compito di svolgere il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ad un ente - diverso dal comune – in ragione del fatto che detto ente ha più diretta competenza funzionale in materia.
Val la pena di segnalare che detti principi sono stati rimarcati dalla Corte di Cassazione nelle ordinanze n. 1341 e n. 7448 del 2019 anche in materia di rifiuti prodotti nelle aree autostradali, il cui smaltimento è affidato Codice della strada agli enti proprietari delle strade.
Del resto, l’esclusione dell’applicazione della TARSU discende dalla natura stessa di tassa che i contribuenti sono tenuti a versare in relazione all’utilità che traggono dallo svolgimento di un’attività da parte dell’ente impositore. Nel caso di specie, quindi, non sussistono i presupposti per il pagamento di un tributo ad un soggetto differente da quello che svolge il servizio sulla base di una disposizione legislativa. Detto principio è stato da ultimo ribadito dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 11853 del 2024 ha sostenuto: “Ne consegue che, in relazione a detta attività, deve escludersi la competenza dei Comuni, che sono pertanto privi di ogni potere impositivo ai fini della TARSU, non essendo detto potere configurabile in favore di un soggetto diverso da quello che espleta il servizio”.
Non è un caso che le disposizioni della legge 28 gennaio 1994, n. 84, sono espressamente fatte salve dalle norme in materia ambientale, vale a dire dapprima dall’art. 21, comma 8, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e successivamente dall’art. 308, comma 14 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152.
Alla stessa logica risponde l’art. 62, comma 5, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che nel disciplinare il presupposto del tributo della TARSU, stabilisce espressamente che sono esclusi dalla tassa i locali e le aree scoperte per le quali non sussiste l'obbligo dell'ordinario conferimento di rifiuti solidi urbani interni ed equiparati in regime di privativa comunale “per effetto di norme legislative o regolamentari, di ordinanze in materia sanitaria, ambientale o di protezione civile ovvero di accordi internazionali riguardanti organi di Stati esteri".
3. La situazione muta radicalmente nell’ipotesi in cui nell’area dove insiste il porto turistico non sia istituita l’Autorità portuale; infatti, in tal caso, venendo meno la scriminante che, ai sensi del comma 5 dell'art. 62 del D.Lgs. n. 507 del 1993, si atteggia come causa di esclusione dalla TARSU, non si rientra più nella fattispecie innanzi illustrata.
L’area in esame ricade, quindi, nell'ambito del servizio comunale di gestione dei rifiuti, con la conseguente applicazione della TARSU secondo le regole ordinarie (Cfr: Cass., n. 5568 del 2023 e, da ultimo, Cass. sentenze n. 7665 e n. 11853 del 2024).
Ciò in quanto si realizza il presupposto impositivo della TARSU delineato dall’art. 62 del D.Lgs. n. 507 del 1993 il quale precisa che “la tassa è dovuta per l'occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito ed attivato o comunque reso in maniera continuativa”. Sul punto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da sempre ribadito che la TARSU “è dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti” (Cfr: Cass. sent. 2020, n. 6551 e, da ultimo, sent. n. 16138 del 2024).
In tale fattispecie si inserisce perfettamente il “Porto turistico” definito dall’art. 2, comma 1, lettera a) del DPR. 2 dicembre 1997, n. 509 come “il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari”, per il quale il gestore è chiamato a corrispondere il tributo comunale.
Nella sentenza in commento la Corte, rispetto ai precedenti arresti, effettua un’ulteriore precisazione, valorizzando un generale orientamento giurisprudenziale che, pur essendosi sviluppato in materia di aree adibite a parcheggio, esprime un principio esportabile anche nella fattispecie in esame e cioè che le aree frequentate da persone sono presuntivamente produttive di rifiuti. (Cfr. Cass. sentenze n. 17311 del 2017, n. 25630 del 2022 e n. 16265 del 2024).
Siffatta considerazione è stata determinante per la Corte per sgombrare il campo da un’ulteriore eccezione sollevata dalla ricorrente, la quale sosteneva di essere esonerata dal pagamento del tributo per il fatto che nell’area portuale si producevano “solo rifiuti speciali”, che, essendo sottratti alla privativa comunale, erano smaltiti direttamente dalla società stessa con oneri a proprio carico.
A contestare dette affermazioni e ad escludere che nell'area venissero prodotti "solo rifiuti speciali" è stato sufficiente per i giudici valutare due circostanze: da un lato la rilevante presenza umana; dall’altra l’esistenza di contratto concluso dalla società ricorrente con un Consorzio preposto allo svuotamento dei cassonetti stradali ubicati all'interno dell'area portuale, che, come tali, non potevano essere destinati a contenere rifiuti speciali.
A tal proposito la Corte ha fatto, altresì, appello ad un precedente nel quale è stato ribadito che il tributo è dovuto indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, dal momento che il presupposto impositivo della TARSU “si identifica con l'espletamento, da parte dell'ente pubblico, di un servizio nei confronti dell'intera collettività e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti” (Cass., sent. n. 2373 del 2022 e n. 2146 del 2024)
Da ciò deriva che la sola disponibilità dell'area in cui si producono rifiuti determina l’obbligo di assolvimento del tributo, salvo che non sussistano i presupposti per il riconoscimento di riduzioni tariffarie o agevolazioni.
4. Una volta appurato che il porto turistico gestito dalla società ricorrente era assoggettato al potere impositivo del comune e doveva, quindi, scontare la TARSU, occorreva verificare se le superfici ricadenti nell'area portuale erano complessivamente imponibili o potevano beneficiare di qualche agevolazione.
In tale contesto assume fondamentale rilievo l’art. 62 del D.Lgs. n. 507 del 1993 con il quale il legislatore ha inteso temperare la rigidità del criterio impositivo della TARSU - collegato alla mera occupazione e detenzione di locali ed aree - introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione che operano:
La società ricorrente sosteneva, come innanzi precisato, che nell'area del porto venivano prodotti "solo rifiuti speciali", reclamando l’esclusione dell’intera area dalla quantificazione della superficie imponibile.
Tale motivazione non è stata accolta, oltre che per le ragioni innanzi illustrate, anche per il fatto che la sussistenza delle condizioni che consentono di ottenere un’agevolazione devono essere provate dal contribuente e riscontrabili da parte dell’ente impositore. È solo in tal modo, infatti, che è possibile superare la presunzione legale di potenziale produzione di rifiuti delle aree occupate. (Cfr.: Consiglio di Stato, Sez. Prima, parere n. 2754 del 23 ottobre 2019; Cass., sent. n. 5293 del 2023 e n. 2146 del 2024).
Sul punto un’ampia e consolidata giurisprudenza è concorde nell’affermare che è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell'esenzione dal tributo, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell'imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale. Le disposizioni che regolano la materia non contemplano, infatti, nessun riconoscimento automatico di dette agevolazioni, in quanto, ponendo la norma una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell'area, le condizioni che escludono la produttività e la tassabilità devono essere sempre riportate nella denuncia originaria o in quella di variazione. In buona sostanza la ricorrente avrebbe dovuto dichiarare nella denuncia originaria o in quella di variazione le aree nelle quali si producevano rifiuti speciali, in modo da evidenziare gli elementi che potevano determinare una tassazione meno onerosa o dar luogo anche all’esenzione dal tributo (cfr., da ultimo Cass., sent. n. 5293 e n. 17564 del 2023). Detto adempimento che non era stato, invece, assolto.
A poco è valso sostenere, come ha fatto la ricorrente, che dal momento che il comune era a conoscenza dell'auto-smaltimento dei rifiuti dalla stessa svolto attraverso l’affidamento del servizio ad un Consorzio, sarebbe necessario far prevalere “la sostanza fattuale ed economica sulla forma” e conseguentemente riconoscere l’esenzione dal pagamento della TARSU per non aver mai usufruito del servizio comunale.
La risposta della Corte è stata ferma ed è bastato richiamare in ausilio la precedente sentenza n. 15867 del 2004, nella quale, nell’affrontare un caso analogo, è stato chiarito che nessuno spazio può avere nella materia in esame la mera esistenza di una situazione di fatto conforme ad una delle previsioni normative; occorre, invece, tener conto esclusivamente del dato normativo finalizzato a subordinare le agevolazioni alla presentazione di apposita denunzia da parte del contribuente, che costituisce una conditio sine qua non per escludere dalla tassazione le aree o le superfici improduttive di rifiuti ovvero per ottenere le riduzioni di superfici e tariffarie.
5. Un ulteriore aspetto che merita attenzione è l’approfondimento svolto dalla Corte sul fatto che nel citato art. 62, comma 3, del D.Lgs. 15 novembre 1992, n. 507, manca un'esplicita previsione di decadenza dal beneficio per effetto della mancata denuncia.
La norma dispone, infatti che “Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie non tassabile il comune può individuare nel regolamento categorie di attività produttive di rifiuti speciali tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l'attività viene svolta.”
E’ stato sufficiente, infatti, sviluppare un’interpretazione sistematica delle norme che regolano la TARSU per arrivare ad affermare che seppure la decadenza dal beneficio in questione per omesso adempimento dell'onere informativo non è prescritta espressamente, essa è chiaramente desumibile dalla previsione dell'art. 62, comma 2, dello stesso D.Lgs. n. 507 del 1993, che esclude l’assoggettamento al tributo dei locali e delle aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell'anno, “qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione”.
Ed invero nell’esaminare l’intricato sistema di norme con le quali il legislatore ha disciplinato la materia dei rifiuti non può negarsi che l’elemento essenziale attorno al quale ruota la tassazione è la dichiarazione del contribuente.
Detta conclusione scaturisce, del resto, dalla stessa struttura della TARSU che suggella il principio della necessità della copertura integrale dei costi del servizio che impone, infatti, al comune di calibrare tutte le tariffe finalizzandole al rispetto di detta prescrizione normativa.
Tale assetto ha trovato conferma nell’attuale disciplina della Tariffa rifiuti-TARI, in particolare nell’art. 1, comma 654, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede, appunto, che in ogni caso deve essere assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi al servizio in questione.
E’, pertanto, indispensabile per il comune avere tutti gli elementi – desumibili appunto dalla denuncia iniziale o di variazione dei contribuenti – per costruire un quadro tariffario razionale e perfettamente riguardoso del principio della copertura integrale dei costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Ciò è del resto funzionale, altresì, alle conseguenti verifiche sulla sussistenza o meno delle aree sottratte alla tassazione che l’ente è chiamato ad effettuare.
La Corte ha concluso affermando che “opinare diversamente minerebbe la complessiva logica e la tenuta del sistema gestione dei rifiuti, esponendo i comuni a dover verificare, dopo anni dal periodo impositivo, nell'ambito di svariati ed incerti contenziosi, la sussistenza delle condizioni esonerative o riduttive dell'imposta, con una imprevedibile ricaduta sui non più prevedibili costi di gestione del settore”.
6. In ordine, poi, alla contestata violazione del principio di derivazione unionale "chi inquina paga" chiamato in ballo dalla ricorrente in ragione dell’assoggettamento a tassazione dell’area portuale nonostante che i rifiuti speciali fossero smaltiti direttamente dalla società, è stato agevole per la Corte disattendere l’eccezione sollevata dalla società ricorrente facendo leva su precedenti arresti con i quali già da anni nell’esaminare la questione è giunta alla conclusione che la disciplina della TARSU contenuta nel D.Lgs. n. 507 del 1993 sull’individuazione dei presupposti del tributo e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio "chi inquina paga", per un duplice ordine di motivi: perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell'immobile posseduto e perché la disciplina prevede l’applicazione di regimi presuntivi che consentono di fornire un'ampia prova contraria (Cfr. da ultimo Cass., sent. n. 16556 del 2022).
7. Merita, infine, attenzione la circostanza che, come più volte sostenuto dalla Corte di Cassazione, gli orientamenti di legittimità formatisi per la TARSU sono estensibili anche alla tassa sui rifiuti -Tari introdotta a decorrere dal 2014 dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 al fine di sostituire il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi- TARES, che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2).