Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

02/06/2023 - Crediti d'imposta inesistenti e non spettanti:alle Sezioni Unite l'individuazione del termine decadenziale per il recupero da parte del Fisco

argomento: Agevolazioni - Giurisprudenza

L’ordinanza affronta il tema dei termini di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertamento nelle ipotesi di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, rinvenendo un contrasto interpretativo tale da giustificare la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 2 dicembre 2022, n. 35536) scarica file

PAROLE CHIAVE: crediti di imposta - agevolazioni - termini di accertamento - avviso di recupero


di Laura Vischi

1. Con l’ordinanza in epigrafe, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto di trasmettere gli atti al Primo Presidente per valutare la rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa all’individuazione del termine di accertamento in ipotesi di indebita compensazione di crediti inesistenti e non spettanti.

La fattispecie in esame trae origine dal ricorso proposto da una società tipografica avverso un avviso di accertamento, relativo alle annualità 2006 e 2007, con integrale recupero del credito d’imposta di cui alla L. 7 marzo 2001, n. 62.

L’emissione dell’avviso di accertamento si era resa necessaria a fronte del fatto che la società contribuente, in seguito all’acquisto di due macchine rotative da utilizzarsi in via esclusiva per la produzione di prodotti editoriali in lingua italiana (presupposto richiesto ai fini dell’applicazione dell’agevolazione de qua), aveva successivamente impiegato i suddetti macchinari anche per la produzione di altri prodotti editoriali, non in lingua italiana, decadendo di fatto dal beneficio. La società, ritenendo al più di versare in una situazione di “credito non spettante” e rilevando l’illegittimità dell’atto impositivo, in quanto intervenuto oltre il termine quadriennale previsto dalla legge per esperire l’azione di accertamento, ricorreva in primo e secondo grado, vedendo però sempre respinte le proprie doglianze. I giudici di seconde cure rigettavano l’appello sostenendo che i fatti di causa fossero da ricondursi alla fattispecie di “credito inesistente”, non solo per l’intervenuta decadenza dal diritto all’agevolazione, ma anche poiché era stato acquisito il preventivo parere tecnico del Mise per procedere al disconoscimento del credito, dovendosi da ultimo ritenere legittimo l’atto di recupero, in quanto intervenuto tempestivamente entro il termine di decadenza (otto anni) normativamente previsto. È noto, infatti, che l’art. 27, commi da 16 a 18, del D.L. n. 185/2008, vigente ratione temporis, aveva introdotto la possibilità per gli Uffici di fruire di un raddoppio degli ordinari termini di accertamento (id est quattro anni, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. 600/1973), circoscrivendola però alle sole fattispecie di crediti inesistenti illegittimamente utilizzati in compensazione. La società proponeva dunque ricorso per Cassazione, deducendo la nullità della sentenza impugnata per non aver dichiarato l’Amministrazione finanziaria decaduta dai poteri di accertamento e, conseguentemente, per aver ritenuto legittimo l’atto di recupero del credito d’imposta, sebbene in assenza dei relativi presupposti sostanziali. La Suprema Corte, nel tentativo di ricostruire un quadro normativo e giurisprudenziale che si rivelasse dirimente per la risoluzione della controversia, ha ravvisato, invero, significative oscillazioni interpretative da parte della giurisprudenza di legittimità, ritenendo dunque opportuno rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione della questione relativa alla rilevanza della distinzione tra credito non spettante e credito inesistente ai fini dell'applicazione del termine decadenziale di otto anni previsto dall'art. 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2/2009.

2. Originariamente, la normativa nazionale contemplava un unico istituto, disciplinato dall’art. 1, comma 421, L. n. 311/2004, in forza del quale veniva riconosciuta all’Agenzia delle Entrate la possibilità di notificare al contribuente un apposito atto di recupero per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in compensazione: alla luce di ciò, non individuando, il tenore letterale della norma, alcun ambito oggettivo specifico, il suddetto procedimento di riscossione veniva declinato indistintamente per il recupero di qualunque tipologia di credito illegittimamente compensato, senza distinzione fra crediti d’imposta inesistenti o non spettanti ( LOVECCHIO, Atti di recupero di crediti d’imposta: irrilevante la distinzione tra crediti inesistenti e non spettanti?, in Corr. Trib., 2013, XIII, 1045). Parimenti, non era contemplata alcuna distinzione fra inesistenza e non spettanza nemmeno sotto il profilo sanzionatorio dell’indebita compensazione (C. CARPENTIERI, La nuova sanzione per l’indebita compensazione dei crediti d’imposta, in Corr. Trib., 2009, XXI, 1719.), essendo indistintamente punita a titolo di omesso versamento con la sanzione fissa - disposta dall’art. 13 del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 - pari al trenta percento del credito illegittimamente preteso in compensazione. Il fatto che tale disciplina si applicasse a qualunque ipotesi di illegittima compensazione di crediti d’imposta rispondeva all’originario intento del Legislatore, ovvero quello di contrastare le indebite compensazioni, tanto a livello verticale quanto a livello orizzontale (Cass., 30 novembre 2010, n. 42462, in Corr. Trib., 2011, XXXIV, 212 con nota di M. BASILAVECCHIA, Credito 'riportato' ma inesistente: rilevanza penale dell'utilizzo, ivi, 216). In quest’ottica, è d’uopo evidenziare come, sia nell’ipotesi in cui il credito emerga da una dichiarazione sia che esso derivi dalle modalità che legittimano una data agevolazione finanziaria, l’affidamento dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti del contribuente, su cui fa perno l’intero sistema della fiscalità di massa, investa ovviamente anche l’autoliquidazione delle posizioni creditorie nonché la stessa possibilità di accedere a determinate disposizioni agevolative, che dunque vengono lasciate interamente a carico del contribuente stesso. In molti casi, infatti, il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l’effettivo accertamento da parte dell’erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche (Cass. 28 febbraio 2012, n. 7662).

Da tale impostazione emerge, a ben vedere, come manchi una fase di controllo preventivo, idonea ad accertare l’esistenza della posizione creditoria utilizzata in compensazione e a garantire in qualche modo la legittimità della procedura di versamento. La mancanza di una verifica a monte, che risulta facilmente ravvisabile dai controlli automatici del modello dichiarativo per la compensazione interna, determina maggiori criticità in ipotesi di compensazione esterna, dal momento che l’assenza di un controllo preordinato alla presentazione del Modello F24 rende ancora più insidioso il comportamento di chi, per non versare imposte, utilizza illegittimamente crediti in compensazione (G. SEPIO, La compensazione in ambito penale-tributario e gli equivoci legati alla derivazione civilistica dell’istituto, in Dialoghi Tributari, 2010, IV, 390).

3. A fronte della sostanziale libertà riconosciuta al contribuente tanto nell’individuazione quanto nella liquidazione delle proprie posizioni creditorie, il Legislatore del D.L. n. 185/2008 ritenne di dover necessariamente perseguire chi di tale libertà abusasse con scopo ingannatorio ai danni dello Stato (G.L. SOANA, Il reato di indebita compensazione, in Trib., 2008, I, 65), con un intervento che, con esclusivo riferimento alla fattispecie di crediti inesistenti (Ag. Entr., risol. 27 novembre 2008, n. 452/E), non si limitò all’inasprimento sanzionatorio, innalzando la cornice edittale dal cento al duecento percento dell’importo indebitamente fruito, ma ritenne di allungare il termine per la notifica dell’atto volto a recuperare il credito d’imposta, prevedendo che questo potesse essere emesso e notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo (R. FANELLI, L’Assonime illustra le novità su accertamento, riscossione e sanzioni, in Corr. Trib., 2009, XXXI, 2527). Tuttavia, sebbene l’intento del Legislatore fosse definito, non fu accompagnato da una altrettanto esplicita previsione normativa, in quanto la formulazione dell’art. 27, commi 16 - 18, D.L. n. 185/2008, pur citando espressamente i “crediti inesistenti”, non forniva alcuna descrizione specifica dei presupposti che integrassero detta fattispecie. Maggiore sistematicità venne apportata a tale quadro normativo dal D. Lgs. 158/2015 – il cosiddetto “Decreto Sanzioni” – che abrogò il comma 18 dell’art. 27, D.L. n. 185/2008 per riproporne il medesimo contenuto novellando l’art. 13 del D. Lgs. n. 471/1997, introducendo, al comma 4, la previsione per cui “nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato” e, al comma 5, quella secondo cui “nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi” (G. PANZERA DA EMPOLI, A. SAINI, “Inesistenza” e “non spettanza” dei crediti: la Cassazione rimedia alla scelta semantica del legislatore, in Corr. Trib., 2022, III, 248). Il fondamentale intervento del Legislatore in materia non si è limitato, dunque, ad un mera riorganizzazione dei dispositivi, ma ha avuto una ulteriore e più rilevante finalità qualificatoria della fattispecie (Relazione Illustrativa al D.lgs. 158/2015), introducendo, all’ultimo periodo del citato comma, la specifica definizione di credito inesistente, dovendosi con ciò intendere “il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.

Peraltro, la stessa Relazione illustrativa al Decreto ha confermato il rapporto di continuità normativa tra il nuovo comma 5 dell’art. 13 e la nozione di credito inesistente contenuta nell’art. 27 del D.L. n. 185/2008, affermando che, alla luce della nuova definizione introdotta, “devono, pertanto, escludersi dall’ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l’inesistenza del credito emerga direttamente dai controlli operati dall’Amministrazione nonché quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso”.

Stante, dunque, la particolare decettività della condotta sottesa alla sola compensazione di crediti inesistenti, l’impianto normativo voluto dal Legislatore mira a creare uno stretto nesso inferenziale tra inesistenza del credito compensato e raddoppio dei termini per l’esercizio del potere impositivo (I.M. RUGGERI, “Raddoppio dei termini” solo per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti, in Corr. Trib., 2014, XXXVIII, 2939): ragionevolmente, sul punto, è stato evidenziato come il maggior termine di accertamento riguardi unicamente gli atti di recupero di crediti qualificabili come totalmente o parzialmente inesistenti e non, invece, gli atti di recupero di crediti esistenti, ma non spettanti in compensazione (Assonime, Circ. n. 24 del 12 giugno 2009), per i quali continua ad operare il canonico termine per l’accertamento di cui all’art. 43 del D.P.R. 600/73.

4.In questo contesto evolutivo “a tratti” del dato normativo, lo sfuggente discrimen fra crediti inesistenti e non spettanti, ha legittimato il frequente modus operandi della giurisprudenza, la quale, approfittando dell’assenza di una esplicita limitazione normativa dell’istituto ex art. 1, comma 421, L. 311/2004 alla sola inesistenza del credito (M. LOGOZZO, Gli incerti confini dell’indebita compensazione dei crediti inesistenti, in Corr. Trib., 2011, XXXIII, 2663), ha ritenuto di poter applicare indistintamente la disciplina relativa ai più ampi termini di decadenza dell’azione di recupero, introdotta esclusivamente per la fattispecie di utilizzo di credito inesistente, anche alla meno gravosa condotta di errata compensazione di credito esistente ma non spettante (D. MIRARCHI, Affermata la distinzione fra credito inesistente e credito spettante, in L’IVA, 2022, II, 49). L’ordinanza in esame opportunamente richiama gli orientamenti della Corte di Cassazione esistenti in materia, riconoscendone uno tradizionale e prevalente, che ritiene privo di pregio distinguere tra non spettanza ed inesistenza del credito, ed uno di recente introduzione, più garantista nei confronti del contribuente.

5.Invero, in molteplici sentenze successive al Decreto Sanzioni, si è progressivamente consolidato un orientamento della giurisprudenza di legittimità che giustifica l’aumento dei termini di accertamento e l’inasprimento sanzionatorio in ragione della maggiore difficoltà per il Fisco di accertare la sussistenza dei presupposti costituitivi del credito stesso, difficoltà che verrebbe a prodursi indistintamente tanto nel caso in cui il credito compensato sia non spettante o inesistente (P. COPPOLA, La fattispecie dell’indebito utilizzo di crediti d’imposta inesistenti e non spettanti tra i disorientamenti di legittimità e prassi: la “zona grigia” da dipanare, in e Prat. Trib., 2021, IV, 1526). La concezione prevalente della Corte di Cassazione è stata quella di valicare le modifiche del Legislatore del 2015, ritenendo che “la distinzione basata sulla diversa definizione terminologica del credito d'imposta, oltre a non avere base normativa, si appalesa speciosa in quanto la ratio della norma di cui all'articolo 27, comma 16, del Decreto Legge 185/2008, convertito dalla legge numero 2/2009, che prevede il termine di otto anni per il recupero dell'imposta, è volta a consentire all'ufficio di compiere gli accertamenti, talvolta complessi, riguardanti la natura dell'investimento che ha generato il credito di imposta” (Cass., 21 Aprile 2017, n. 10112). Ad ulteriore e definitiva conferma della propria posizione, la Suprema Corte, sostenendo che “quando stabilisce il termine di otto anni per l'atto di recupero dei crediti inesistenti, l'art. 27, comma 16, D.L. 185/2008, non intende elevare l'inesistenza del credito a categoria distinta dalla non spettanza, distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico, ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l'investimento generatore del credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dall'art. 43 D.P.R. 600/1973 per il comune avviso di accertamento” (Cass., 2 Agosto 2017, n. 19237) ha definitivamente disconosciuto qualsivoglia rilevanza alla distinzione fra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti.

6. All’interno di questo frammentato e complesso iter normativo e giurisprudenziale, la medesima Corte di Cassazione, ponendosi espressamente in contrasto con le pronunce che si erano succedute in materia, si è distanziata dall’approccio prevalente, aprendo, in medias res, ad una nuova concezione volta a tracciare una chiara linea di demarcazione fra l’ipotesi di indebita compensazione di un credito inesistente e la diversa fattispecie di utilizzo di credito non spettante. A fondamento di questo mutamento di prospettiva, vi sono due successive, se non quasi complementari, pronunce della Corte di Cassazione - le sentenze nn. 34444/2021 e 34445/2021 della quinta sezione civile-tributaria – che hanno riconosciuto la piena dicotomia fra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti, affermando che “l'affermazione secondo cui sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante vada necessariamente superata anche per effetto della novella operata dall’art. 13 D.lgs. 471/97, perché nella stessa definizione positiva di "credito inesistente" può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base dell'originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati dal contribuente, mediante l'emissione dell'atto di recupero di cui all'art. 1, comma 421, della legge n. 311 del 2004”. Secondo i Supremi Giudici, la diversa struttura intrinseca e la maggiore gravosità nelle ipotesi di compensazione di crediti inesistenti, giustifica il conseguente diverso trattamento ai fini sanzionatori e decadenziali e comporta l’automatica differenziazione dalla fattispecie del credito non spettante (, 16 novembre 2021, n. 34445, in GT - Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2022, I, 27 con nota di A. LOVISOLO, Credito “inesistente” e credito “non spettante” ai fini del termine di decadenza: la Cassazione dimentica il credito “non utilizzabile” in relazione alle sanzioni, ivi, 29), la cui definizione è ricavabile per via negationis dal medesimo articolo. Facendo riferimento alla littera legis, è di fondamentale importanza  la congiunzione “e”, dalla quale si desume che per poter considerare il credito come inesistente è condizione necessaria il ricorre di entrambi i presupposti, da cui deriva “a contrario”, ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, che in mancanza di uno di tali requisiti, il credito deve automaticamente ritenersi non spettante, e questo quand’anche esso dovesse essere completamente inventato, purché il suo indebito utilizzo sia comunque riscontrabile tramite i controlli di cui agli artt. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972 (A. GAETA, Inapplicabile il termine di decadenza di 8 anni per l’avviso di recupero se il credito è soltanto “non spettante”, in il fisco, 2022, I, 506).

7. L’ordinanza in commento, nel decidere di rimettere gli atti al Primo Presidente, risulta complessivamente condivisibile. Sebbene dalla ricostruzione del quadro normativo si palesa evidente l’intento del Legislatore di perseguire con una disposizione ad hoc, sia per quanto riguarda l’ambito sanzionatorio sia le procedure di recupero, i crediti creati in maniera artificiosa e utilizzati fraudolentemente in compensazione all’interno dei modelli di versamento, la neo dichiarata dicotomia fra crediti d’imposta inesistenti e non spettanti non sembra esaurire la pluralità di ipotesi di indebita compensazione che di fatto possono verificarsi. Invero, si dimostra non di facile riconciliazione la fattispecie, oggetto della controversia de qua, ove un credito d’imposta, ab origine perfettamente esistente e legittimo, venga successivamente disconosciuto. In tali casi, poiché il fatto generatore del credito d’imposta in un primo momento viene regolarmente a prodursi, rivelandosi solo in seguito insussistente, non si tratta di stabilire se il contribuente abbia legittimamente utilizzato in compensazione il credito d’imposta, ma se detto credito “esista” nel mondo giuridico (PANZERA DE EMPOLI, A.SAINI, cit, 250) e dunque richieda da parte dell’Agenzia delle Entrate l’esperimento di controlli complessi e tali da giustificare la concessione di un maggior termine di decadenza dal potere accertativo.