Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

28/02/2023 - DAC 6: obbligo di notifica degli intermediari e tutela del segreto professionale dopo la pronuncia CGUE dell'8 dicembre 2022

argomento: Profili europei e Internazionali - Giurisprudenza

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza dell’8 dicembre 2022 (causa C-694/20, Orde van Vlaamse Balies e a.), ha dichiarato l’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva n. 2011/16/UE, contrastante con il diritto alla riservatezza di cui all’art. 7 Carta di Nizza. Secondo tale previsione, introdotta dalla direttiva 2018/822/UE (DAC 6), i soggetti intermediari coinvolti in un meccanismo transfrontaliero potenzialmente elusivo, quando esentati dall’obbligo di notifica nei confronti dell’amministrazione fiscale in forza del segreto professionale, sono comunque tenuti a comunicare a qualsiasi “altro intermediario” o, in sua assenza, al contribuente “pertinente”, di non poter adempiere a tale obbligo. Infatti, l’obbligo dell’avvocato-intermediario di riportare a soggetti terzi tali informazioni costituisce violazione del diritto alla segretezza del rapporto fra cliente e avvocato e delle comunicazioni fra questi intercorse. Tale violazione, peraltro, non è giustificata dalla necessità di rispettare l’obiettivo di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva, atteso che tutti gli intermediari sono comunque tenuti a provvedere alla comunicazione alle autorità competenti. La disposizione non viene invece valutata contrastante con il diritto ad un equo processo (art. 47, Carta di Nizza), collocandosi l’obbligo di notifica in una fase anteriore all’instaurazione di un procedimento giudiziario, al di fuori del quale non si può configurare tale diritto.

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PAROLE CHIAVE: DAC 6 - obbligo di notifica - intermediari - segreto professionale


di Natalia Cecconi

1. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è venuta a pronunciarsi per la prima volta su uno dei profili più delicati della Direttiva n. 2018/822/UE (c.d. DAC 6), che per la quinta volta ha modificato, integrandola, la Direttiva n. 2011/16/UE (c.d. DAC 1, di seguito “Direttiva”). Il tema è quello del rapporto fra gli obblighi di comunicazione di informazioni relative a pianificazioni fiscali aggressive gravanti sui c.d. intermediari (soggetti che in varia forma vi partecipano, v. infra), e la tutela del segreto professionale di taluni di questi. Già parte della dottrina italiana, nel commentarne il decreto attuativo, si era espressa in termini scettici rispetto alla soluzione data dalla DAC 6 a tali esigenze di bilanciamento (v. fra tutti A. Ballancin, DAC6. Le cause di esonero riguardanti il segreto professionale ed il principio di non autoincriminazione: il difficile bilanciamento per non paralizzare la DAC6, in Riv. Tel. Dir. Trib., 30 novembre 2021). Non stupisce quindi che la questione sia stata portata all’esame della Corte di Giustizia UE, che vi ha incentrato la pronuncia dell’8 dicembre 2022 (causa C-694/20, Orde van Vlaamse Balies e a.).Una ricognizione del quadro normativo di riferimento si rende necessaria. La DAC 6, senza soluzione di continuità rispetto alle precedenti, si pone come obiettivo quello di favorire l’acquisizione di informazioni il più possibile “complete e pertinenti riguardo a meccanismi fiscali potenzialmente aggressivi” (considerando 2), e lo fa questa volta dando assoluta centralità al ruolo degli “intermediari”. Si tratta di tutti gli attori coinvolti nell'elaborazione, commercializzazione, organizzazione e gestione dell'attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica – per tale intendendosi qualunque meccanismo transfrontaliero che contenga almeno uno degli elementi distintivi di cui all'allegato IV della Direttiva (c.d. hallmarks) –, nonché di coloro che forniscono assistenza o consulenza per l’elaborazione o attuazione dello stesso (art. 3, punto 21 della Direttiva). Tali soggetti, nel disegno della DAC 6, sono tenuti a stringenti e sistematici obblighi di notifica: la direttiva ha infatti disposto che ciascuno Stato Membro è tenuto a introdurre in capo agli intermediari l’obbligo di comunicare alle autorità competenti le informazioni su meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica delle quali siano a conoscenza (art. 8 bis ter, par. 1, della Direttiva, introdotto dall’art. 1 della DAC 6). Informazioni specificate al par. 14 dell’art. 8 bis ter – fra queste, l’identificazione degli intermediari e dei contribuenti c.d. “pertinenti” (a), l’individuazione dettagliata degli elementi distintivi che rendono necessaria la notificazione del meccanismo (b), una sintesi del contenuto del meccanismo transfrontaliero soggetto all’obbligo di notifica (c), la data di attuazione della prima fase del meccanismo (d). Nel tracciare questo obbligo, la DAC 6 dimostra però anche di voler dare uno spazio di protezione alle prerogative proprie di taluni intermediari, laddove osserva che “l’obbligo di comunicazione di informazioni non sarebbe applicabile a un intermediario a causa del segreto professionale” (considerando 8), e a tal fine prevede un diritto all’esenzione da tale obbligo quando ciò violerebbe il segreto professionale cui lo stesso è tenuto sulla base del diritto nazionale (art. 8 bis ter, par. 5). È il caso, evidentemente, degli avvocati che forniscono consulenza o assistono in qualità di difensori i propri clienti: una distinzione, questa, che acquista rilievo nell’esame della Corte, come rilevato infra § 3. In tali casi, l’avvocato-intermediario che intenda avvalersi dell’esenzione è tenuto a notificare senza indugio l’obbligo di comunicazione nei confronti dell’Amministrazione fiscale a qualsiasi “altro intermediario” o, in sua assenza, al contribuente “pertinente” (art. 8 bis ter, par. 5). Sarà dunque in capo a questi ultimi che andrà automaticamente a gravare tale obbligo (art. 8 bis ter, par. 6), affinché l’interesse a far pervenire all’Amministrazione finanziaria le informazioni necessarie sia comunque soddisfatto. Anche quando opera il meccanismo di esonero in forza del segreto professionale, dunque, la Direttiva richiede un obbligo di segnalazione agli altri intermediari coinvolti, che finisce comunque per minare, in linea di principio, il rapporto fiduciario fra cliente e professionista (P. De’ Capitani Di Vimercate, La DAC 6 e gli obblighi di comunicazione delle operazioni di pianificazione fiscale internazionale aggressiva: l’ispirazione americana e il nuovo ruolo dei professionisti, in Dir. prat. trib. int., 4/2021, p. 1539). È su quest’ultimo profilo che la Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio) ha adito, tramite rinvio pregiudiziale, la Corte di Giustizia.

2. Con ricorsi del 31 agosto 2020 e del 1° ottobre 2020, alcune organizzazioni professionali di avvocati, tra cui l’Orde van Vlaamse Balies (Ordine degli Avvocati fiamminghi, Belgio) e l’associazione di fatto Belgian Association of Tax Lawyers, hanno chiesto alla Corte costituzionale belga la sospensione e l’annullamento totale o parziale dell’art. 14 del decreto del 26 giugno 2020, che traspone l’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva. Tale previsione, infatti, aggiunge al decreto 21 giugno 2013 (attuativo della DAC 1) una nuova disposizione, l’art. 11/6, relativa ai rapporti fra l’obbligo di notifica e il segreto professionale di taluni intermediari. L’art. 11/6, in particolare, in linea con l’art. 8 bis ter, parr. 5 e 6, della Direttiva, prevede che un intermediario tenuto al segreto professionale sia esentato dall’obbligo di notifica soltanto se informa, per iscritto e indicandone le ragioni, l’altro intermediario interessato (o gli altri intermediari interessati) oppure, in sua assenza, il contribuente, di non poter soddisfare l’obbligo di notifica. Ad avviso dei ricorrenti, tale disposizione violerebbe non solo gli artt. 22 (rispetto della vita privata e familiare) e 29 (diritto alla segretezza della corrispondenza) della Costituzione belga, ma anche, fra gli altri, gli artt. 7 (rispetto della vita privata) e 47 (diritto a un equo processo) della Carta di Nizza (v. infra), ritenendo che l’obbligo di comunicazione ad altro intermediario non eviti la violazione del segreto professionale. Preliminarmente a un qualsiasi giudizio di legittimità costituzionale, la Grondwettelijk Hof ha ritenuto opportuno che la CGUE si pronunciasse sulla compatibilità della Direttiva con il diritto primario dell’Unione, sollevando questione pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, comma 1, lett. B), del TFUE. La questione pregiudiziale proposta dalla Corte belga è, in sintesi, la seguente: se la nuova previsione dell’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva 2011/16/UE violi il diritto a un processo equo, sancito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e il diritto al rispetto della vita privata, sancito all’articolo 7 della stessa, “nella misura in cui da tale obbligo discende che un avvocato che agisce come intermediario viene obbligato a condividere con un altro intermediario, che non è il suo cliente, dati che acquisisce nell’esercizio delle attività essenziali della sua professione, ossia la difesa o la rappresentanza in giudizio del cliente e la prestazione di consulenza giuridica, anche extragiudiziale” (Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Grondwettelijk Hof il 21 dicembre 2020, causa C-694/20). Le informazioni relative a un cliente sono infatti, secondo la giurisprudenza costituzionale belga, protette dal segreto professionale quando riguardano attività rientranti nell’incarico specifico di difesa o rappresentanza in giudizio e di prestazione di consulenza giuridica. In particolare, ad avviso del giudice del rinvio, “[i]l mero fatto di essersi rivolto a un avvocato rientra nella tutela del segreto professionale”, una tutela che va garantita non solamente nei confronti dell’autorità, ma anche nei confronti di altri attori, come gli intermediari coinvolti. Il segreto professionale, che quindi è in questi casi pienamente operativo, può ammettere deroghe solo se giustificate da esigenze imperative di interesse generale e solo se la sua disapplicazione è proporzionata. Di qui la rimessione della questione alla CGUE circa la validità dell’art. 8 bis ter, par. 5.

3. Prima di affrontare l’esame di compatibilità della disposizione controversa con gli artt. 7 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte di Giustizia circoscrive il raggio d’azione della questione. Come osservato anche dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni del 5 aprile 2022 (§ 24), un rischio di lesione del segreto professionale nell’applicazione della disposizione controversa si pone soltanto nell’ipotesi in cui l’altro intermediario non sia anche cliente dell’avvocato, specie quando il primo, fino al momento della notifica, non era a conoscenza dell’identità dell’avvocato né della sua consultazione in relazione al meccanismo. Infatti, laddove la notifica sia effettuata dall’avvocato-intermediario nei confronti del proprio cliente, sia questi un altro intermediario oppure il contribuente pertinente stesso, non si configurano ipotesi di contrasto con le disposizioni degli artt. 7 e 47 Carta di Nizza, non ponendosi fra l’avvocato e il proprio cliente una questione di segreto professionale. In questi casi, l’avvocato-intermediario potrà assolvere alla comunicazione di cui all’art. 8 bis ter, par. 5, senza incorrere in alcuna violazione. Diverso è invece il caso in cui l’obbligo di notifica vada espletato nei confronti di un altro intermediario (o altri intermediari) che non sia cliente dell’avvocato-intermediario: è questa, ad avviso della Corte, l’unica ipotesi rilevante ai fini di una valutazione di compatibilità della Direttiva con la Carta di Nizza – non viene invece presa in considerazione l’eventualità che il contribuente pertinente non sia anche cliente dell’intermediario. Dopo aver svolto una ricognizione del quadro normativo che viene in rilievo e aver ribadito che la tutela del segreto professionale è garantita nei limiti delle pertinenti norme nazionali che definiscono la professione, la Corte si concentra finalmente sulla compatibilità con gli articoli 7 e 47 Carta di Nizza. Come ricordato dalla Corte, l’art. 7 della Carta, corrispondente all’art. 8, par. 1, della CEDU, riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU (Corte EDU, sent. 6 dicembre 2012, Michaud c. France, §§ 117 e 118, citata dalla CGUE), l’art. 8, par. 1, CEDU, che tutela la segretezza della corrispondenza, accorda una protezione rafforzata agli scambi tra avvocato e cliente, sia con riguardo al contenuto delle comunicazioni che all’esistenza stessa della consulenza. La ratio di tale garanzia, come chiarito nella sentenza Michaud c. France, §§ 118 e 119, sta nel fatto che “agli avvocati è affidata una missione fondamentale in una società democratica, ossia la difesa dei singoli”. Ebbene, la disposizione controversa determina una triplice potenziale lesione di tale segretezza, nella misura in cui l’altro intermediario coinvolto viene a conoscenza dell’identità dell’avvocato, della sua valutazione giuridica sulla natura del meccanismo e, infine, dell’esistenza stessa della consulenza. Non solo: la circostanza che, comunque, tali informazioni verranno poi trasmesse all’autorità – come ricordato, infatti, l’identificazione degli intermediari rientra fra le informazioni oggetto di notifica (art. 8 bis ter, par. 14) – dall’altro intermediario, non tenuto egli stesso al segreto professionale, costituisce un’ulteriore forma di contrasto con la segretezza delle comunicazioni fra cliente e avvocato. La Corte, dopo aver ricordato che i diritti della Carta dei diritti fondamentali dell’UE non sono assoluti ma, nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 52, par. 1, della stessa, possono essere compressi, verifica se tali requisiti siano soddisfatti e, insomma, se il conflitto con l’art. 7 possa ritenersi giustificato. Limitazioni ad un diritto fondamentale, giova rinfrescarlo, si considerano giustificate se le limitazioni sono previste dalla legge, rispettano il contenuto essenziale dei diritti e risultano necessarie e finalizzate al perseguimento di un interesse generale dell’Unione (principio di proporzionalità). È evidente per la Corte, innanzi tutto, che la limitazione rispetta il principio di legalità, essendo la comunicazione all’altro intermediario prevista dall’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva e la comunicazione delle informazioni all’autorità fiscale dalla medesima disposizione, parr. 1, 9, 13 e 14. Anche il secondo requisito appare alla Corte soddisfatto, dal momento che l’obbligo di notifica restringe solo in misura limitata il diritto alla segretezza delle comunicazioni fra cliente e avvocato: quest’ultimo non è infatti né autorizzato né tantomeno obbligato a “condividere, senza il consenso del suo cliente, informazioni relative al tenore di tali comunicazioni con altri intermediari” (punto 39) e questi ultimi non saranno quindi in grado di trasmetterle a loro volta all’amministrazione fiscale. Più spinoso, nell’esame della Corte, il giudizio di proporzionalità. In via preliminare, la Corte constata che il contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva e la prevenzione del rischio di elusione ed evasione fiscali, espresso nei Considerando nn. 2, 4, 8 e 9 della Direttiva n. 2018/822/UE, si qualificano senz’altro come finalità di interesse generale riconosciuto dall’Unione, tale da giustificare una limitazione, in questo caso, della tutela di cui all’art. 7 (v. CGUE, sent. 6 ottobre 2020, État luxembourgeois, C‑245/19 e C‑246/19, punto 87). Diverso è invece il giudizio sulla necessità di tale limitazione per perseguire l’obiettivo di interesse generale. Infatti, se è vero che la comunicazione imposta in capo all’avvocato-intermediario è idonea a soddisfare l’esigenza di garantire che le informazioni a disposizione degli intermediari siano trasmesse all’amministrazione fiscale, tale obbligo non è tuttavia strettamente necessario a tal fine. In primo luogo, gli obblighi di notifica sono riferibili, ai sensi del par. 1 dell’art. 8 bis ter, genericamente “agli intermediari” e, in caso di più intermediari, a tutti quelli coinvolti, come espresso al par. 9. Inoltre, l’eventualità che altri intermediari, confidando che la comunicazione all’autorità avvenga da parte dell’avvocato-intermediario, possano omettere di adempiere al proprio dovere di notifica, appare alla Corte ben lungi dall’essere concreta. Infatti, da un lato, gli altri intermediari potrebbero non essere a conoscenza dell’esistenza e/o dell’identità dell’avvocato, essendo questi per definizione protetto dal segreto professionale: circostanza, questa, che “esclude ab initio un rischio del genere” (punto 48). Ma anche nell’ipotesi contraria, la previsione di cui al par. 9, per cui un intermediario è esonerato dalla comunicazione di informazioni solo laddove possa dimostrare che le stesse informazioni sono già state comunicate da un altro intermediario, concorre ad escludere il rischio paventato, rendendo a fortiori superflua la disposizione controversa. Non solo, tantomeno necessaria al perseguimento degli obiettivi della direttiva è, ad avviso della Corte, l’ulteriore divulgazione all’amministrazione fiscale dell’identità e della consultazione dell’avvocato, essendo comunque questa informata dagli altri intermediari circa il meccanismo transfrontaliero in corso, e potendo comunque chiedere al contribuente pertinente delucidazioni in merito al meccanismo. Né si può ritenere che la divulgazione dell’identità dell’avvocato sia necessaria a verificare se questi sia legittimato a godere dell’esenzione: ad avviso della Corte, cioè, l’eventualità che il segreto professionale possa essere invocato a torto non è idoneo a rendere strettamente necessario l’obbligo di cui all’art. 8 bis ter, par. 5. Forte di questi argomenti, la Corte conclude per il contrasto della disposizione controversa con l’art. 7 della Carta. Non si configura invece, a suo avviso, una violazione, da parte dell’art. 8 bis ter, par. 5, del diritto a un equo processo di cui all’art. 47 Carta di Nizza, e art. 6 par. 1 della CEDU. Questo, infatti, come correttamente rilevato dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni, è un diritto che necessariamente, e per definizione, si inserisce nel contesto di un procedimento giudiziario (v. CGUE, 26 giugno 2007, causa C-305/05 Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., punto 35). Nell’ipotesi considerata dalla disposizione in esame, questo nesso non si configura necessariamente. In particolare, la struttura e la finalità stessa dell’obbligo di comunicazione, che si vuole collocare in una fase anticipata rispetto all’attuazione del meccanismo fiscale eventualmente elusivo, mirando a prevenirla, esclude che lo scenario di riferimento sia quello di un contenzioso. L’avvocato-intermediario, pertanto, non agisce in qualità di difensore del suo cliente nell’ambito o ai fini dell’esercizio di un diritto di difesa, ma si limita a svolgere un’attività di consulenza che, se protetta dall’art. 7 della Carta di Nizza, non è però da ricollegarsi al diritto a un equo processo. Viene dunque qui solo accennata e non ulteriormente approfondita – a differenza dell’intervento dell’Avvocato generale, che vi incentra una porzione significativa delle sue conclusioni – la distinzione fra differenti attività professionali coinvolte, che non potranno essere messe sullo stesso piano (v. sul punto V. E. Marello, Segreto professionale e segreto difensivo nell’accertamento tributario, in Rass. Trib., n. 2/2011, p. 280 ss.). È infatti indubbio che, laddove sia stato avviato un contenzioso, si possa parlare di una vera e propria “attività di difesa” del cliente – e di un relativo “segreto difensivo” –, che senza esitazioni dovrà essere tutelata come estensione del diritto di difesa: un diritto, come ricorda l’art. 24 della nostra Costituzione, “inviolabile”. In questo caso, il segreto professionale sarà garantito non solo dal diritto alla riservatezza, ma anche dal diritto a un equo processo. Ma ciò, lo ripetiamo, non si configura nelle ipotesi in esame, collocandosi l’attività dell’intermediario in un momento antecedente all’eventuale contenzioso che si potrà poi instaurare fra cliente ed Amministrazione fiscale (v. anche §§ 42-44 delle Conclusioni dell’Avvocato generale). Ecco perché, nel considerare l’ambito di operatività dell’obbligo di notifica e del relativo esonero previsto per i professionisti, ci si riferisce de facto ad attività che esulano da quelle precisamente difensive. Tali attività, che saranno essenzialmente di consulenza circa il meccanismo transfrontaliero (ma sul punto v. infra, § 4), saranno comunque protette, ma in forza del diritto alla riservatezza, comprensivo della garanzia per il cliente di affidarsi al proprio avvocato (come specificato anche dalla Corte EDU nella sentenza 17 dicembre 2020, causa C-459/18 Saber c. Norvegia).

4. Con la sentenza in esame, non c’è dubbio che la CGUE abbia adottato una posizione netta e incisiva nel senso di un’espansione del legal professional privilege, interpretandolo come diritto quasi inderogabile, meritevole di essere goduto nella sua pienezza e senza interferenze. La decisione della Corte appare tuttavia foriera di una frammentazione fra i vari Stati membri che, almeno finché non sia stata adottata una modifica della DAC 6, non sono assoggettati ad alcun obbligo di conformarvisi. Infatti, è indubbio che la decisione vincolerà il giudice a quo, che si è peraltro già mosso in tal senso: con sentenza del 15 dicembre 2022, n. 103, la Corte costituzionale belga ha dichiarato incostituzionale la disposizione in esame, cogliendo l’occasione per presentare nuove domande pregiudiziali alla CGUE relativamente alla DAC 6 (la sentenza è reperibile su www.const-court.be). Viceversa, nessun impegno di attenersi alla stessa esiste per gli altri giudici nazionali che, ferma la facoltà di disapplicare la disposizione interna in linea con la decisione della CGUE, potranno comunque effettuare nuovo rinvio pregiudiziale, in particolare qualora intendano ottenere chiarimenti circa i fondamenti, l’ambito e le possibili conseguenze dell’invalidità precedentemente stabilita (P. Craig, G. de Bùrca, EU Law: Text, Cases and Materials, Oxford, 2020, pagg. 506-507). Nessun obbligo di abrogare la disposizione attuativa esiste, poi, per i legislatori nazionali, che dovranno adeguarsi a un’eventuale modifica della direttiva, per la quale si attende l’iniziativa della Commissione. La frammentarietà del quadro risulta, peraltro, ulteriormente complicata dalla mancanza di una disciplina e nozione univoca del segreto professionale fra i vari Stati membri (v. A. Ballancin, F. Cannas, The ‘DAC 6’ and Its Compatibility with Some of the Founding Principles of the European Legal System(s), in EC Tax Review, 3/2020, p. 121), nonché delle categorie professionali cui si applica. Come ricordato, infatti, l’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva, rinviando alla nozione dell’istituto adottata dal diritto nazionale, «rimanda al singolo Stato membro la definizione del perimetro dell’esimente» (M. Greggi, DAC6 e osmosi giuridica: le plurime interazioni della disciplina con preesistenti norme ed istituti dell’ordinamento interno ed europeo, in Riv. tel. dir. trib., 19 novembre 2021). Questa «osmosi giuridica», pregiudicando l’uniforme applicazione della Direttiva, ha come corollario quello di provocare rischi di discriminazione tra soggetti intermediari nei vari Paesi, che appaiono ora acuiti dalla “intoccabilità” del segreto professionale e dal conseguente rafforzamento dell’esenzione.

Il segreto professionale dell’avvocato, nel nostro ordinamento, è soggetto ad una duplice tutela: la sua violazione, che da un lato costituisce un illecito disciplinare, dall’altro, e ben più gravemente, integra un’ipotesi di reato. Rinviando altrove per una più approfondita ricostruzione dell’istituto (A.R. Ciarcia, La tutela del segreto professionale, in L’attuazione della DAC 6 nell’ordinamento italiano, a cura di R. Cordeiro Guerra - A. Viotto - S. Dorigo, Torino, 2023, di prossima pubblicazione), basti ricordare che il Codice deontologico forense lo protegge nella sua dimensione tanto giudiziale quanto stragiudiziale, laddove prevede, al suo art. 13, che “[l]’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionali”. Non solo, l’art. 28, c. 1, del Codice definisce il segreto professionale come “dovere, oltre che diritto, primario e fondamentale dell’avvocato”. E “diritto-dovere” risulta anche dal quadro normativo penale, che riconosce nella sua violazione una fattispecie di reato (art. 622 c.p.), prevedendo altresì che nessuno può essere obbligato a deporre su quanto conosciuto in ragione della propria professione (art. 200 c.p.p.), né a consegnare all'autorità giudiziaria che ne faccia richiesta atti, documenti, dati, informazioni, etc., salvo che opponga l’esistenza di segreto inerente, fra l’altro, la propria professione (art. 256, c. 1, c.p.p.). Ebbene, facendo ritorno alla materia in esame, il d.lgs. 30 luglio 2020, n. 100, ha recepito fedelmente l’art. 8 bis ter, par. 5, della Direttiva, nel prevedere che “[l]’intermediario è esonerato dall’obbligo di comunicazione per le informazioni ricevute dal proprio cliente” (art. 3, comma 4), salvo dover poi informare gli altri intermediari circa il suo obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate (art. 3, comma 6) – è quindi quest’ultima la disposizione che risulta ora in contrasto con il diritto primario dell’Unione. Il segreto professionale, insomma, pur non menzionato espressamente, costituisce una delle tre cause di esonero dall’obbligo di comunicazione previste dal D.Lgs. n. 100/2020 (art. 3, commi 3-5), così affiancandosi alle altre forme di protezione che il nostro ordinamento accorda a tale diritto. Questa esenzione, che fa scattare un obbligo “sostitutivo” di comunicazione agli altri intermediari, opera in casi ben specificati: per le informazioni che l’intermediario riceve dal proprio cliente, o ottiene  riguardo allo stesso  nel  corso  dell’esame  della  posizione  giuridica  del medesimo  o  dell'espletamento   dei   compiti   di   difesa   o   di rappresentanza del cliente stesso in un procedimento innanzi  ad  una autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità  di  intentarlo  o  evitarlo,  ove  tali informazioni siano ricevute o  ottenute  prima,  durante  o  dopo  il procedimento stesso (art. 3, comma 4). Sembrerebbe potersi evincere che protetto dal segreto professionale è solo l’avvocato-intermediario che si limiti ad un esame del meccanismo transfrontaliero senza apportarvi modifiche o miglioramenti, e senza quindi che gli si possa attribuire un ruolo “partecipativo”, rimanendo in ogni caso fuori dal raggio di esonero il c.d. “promotore” del meccanismo stesso (P. De’ Capitani Di Vimercate, La Dac 6 e gli obblighi di comunicazione delle operazioni di pianificazione fiscale internazionale aggressiva: l’ispirazione americana e il nuovo ruolo dei professionisti, cit., p. 1537). In questo senso, sfruttando la distinzione effettuata dalla Circolare n. 2/E del 10 febbraio 2021 (“Primi chiarimenti in tema di meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di comunicazione, decreto legislativo del 30 luglio 2020, n. 100 (recepimento Direttiva “DAC 6”)), par. 3.1, nulla quaestio nel caso che il professionista sia coinvolto per una semplice consulenza o valutazione in relazione al meccanismo transfrontaliero, senza apportare un contributo sostanziale all’elaborazione o attuazione dello stesso (“prestatore di servizi”). Ma, laddove il soggetto abbia concorso invece alla elaborazione, commercializzazione, organizzazione o messa a disposizione ai fini dell’attuazione di un meccanismo transfrontaliero da comunicare, o ne abbia gestito in autonomia l’intera attuazione (“promotore”), l’operatività del legal professional privilege desta qualche perplessità. In prospettiva, e alla luce della posizione della Corte, se appare corretto, nel caso di consulenza meramente valutativo-consultiva, che l’intermediario non sia più tenuto a comunicare alcunché, con godimento “pieno e assoluto” del segreto professionale, in presenza di una consulenza “partecipativa” aumenta invece la tensione fra gli interessi in gioco: si può qui allora immaginare che il privilegio ceda parzialmente. È chiaro, comunque, che si tratta di una distinzione scivolosa, ma di cui è forse opportuno che tenga conto la Commissione nel rielaborare la disciplina alla luce dell’intervento della Corte. Interessante sarà anche vedere, infine, ora che la Corte ha rafforzato l’impenetrabilità del segreto professionale, cosa ne sarà della clausola di salvaguardia per le comunicazioni effettuate dall’intermediario, che se realizzate per le finalità previste dalla norma e in buona fede “non costituiscono violazione di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e non comportano responsabilità di alcun tipo” (art. 3, comma 4, D.Lgs. n. 100/2020). Tale clausola, infatti, già soggetta a critiche in fase di recepimento della direttiva (G. Baroni, Prime osservazioni sullo “schema” di decreto legislativo di recepimento della c.d. DAC6, in Riv. Tel. Dir. Trib., n. 1/2020, p. 504), risulta oggi più inopportuna che mai, e in ogni caso incompatibile con una concezione “blindata” di segreto professionale, accolta dalla Corte.